Miei Cari,
Il Natale è un tempo forte, fondamento della
nostra fede. È un tempo che immette nella nostra
vita un calore umano che commuove l’intimo
anche dell’uomo più duro, e ispira il desiderio di
una nuova umanità. Il Natale, in questo senso, ci
fa penetrare nel mistero di una umanità nuova,
elevando il nostro sguardo verso l’umanità del
nostro Dio. Il Natale ci fa penetrare in questa
verità: Dio si fa uomo.
Di fronte al Bambino
avvolto in poveri panni, la fede ci porta a
riconoscere la tenerezza di Dio, di un Dio che
è innamorato delle sue creature, di un Dio che
è capace di farsi piccolo e inerme per amore
dell’uomo. Ci fa contemplare l’umiltà di Dio, che
“si svuota”, “abbassandosi” per incontrarsi con la
sua crea tura che ama come se stesso.
Il “vuotarsi”
di Dio manifesta uno degli attributi più belli della
santissima Trinità: l’umiltà.
Sì, Dio è umile. Nel seno della santissima Trinità
c’è l’umiltà: il Figlio di Dio “discende”, si
“abbassa” per incontrare l’umanità, incarnandosi,
facendosi uomo, assumendo la sua fragilità e
debolezza, senza lasciare di essere Dio. Verità
stupenda, questa, che dissipa ogni oscurità, dando
senso e speranza alla vita: c’è Qualcuno che mi
ama e che non può fare a meno di amarmi; e il suo
amore porta la mia anima ad amare.
Il suo amore
si manifesta propriamente nel venire a cercarmi
per elevarmi alla grande dignità di figlio di Dio,
dandomi la certezza che in me c’è qualcosa di
meraviglioso: la linfa della vita divina.
Il Bambino
adagiato nel presepe è Colui che fa rinascere,
rivivere e finalmente risuscitare ognuno di coloro
che credono in Lui come Figlio di Dio fattosi
uomo per nostro amore. Che bellezza e che gioia
per l’umanità comprendere e vivere questi giorni
con il cuore aperto all’Incarnazione del Figlio
di Dio, alla presenza di Dio in mezzo a noi! Che
dolore e che oscurità avvolgono invece l’umanità quando non vive il Natale secondo la sua reale
essenza e il suo vero significato!
Ai nostri giorni
si cerca di diluire e dissolvere il vero senso del
Natale. Il maligno non vuole che la gente viva
l’Amore, il Perdono e la Misericordia di Dio. La
società attuale fa di questo tempo natalizio un
semplice momento sociale un po’ speciale: tra
l’altro, da società parassita che è, approfitta dei
sentimenti e del calore umano di questi giorni
utilizzandoli in modo improprio, immettendovi
- da un lato - una straordinaria pubblicità (che
pretende di colmare con dei beni materiali il
vuoto che distrugge l’uomo allontanatosi da Dio);
e - dall’altro - una falsa filantropia, invitando tutti
quanti a condividere qualcosa con qualcuno, per
sentirsi buoni e alleviare la propria coscienza.
Il Natale non è un condividere qualcosa, ma è
l’accettare e riconoscere, nel Bambino avvolto
in poveri panni nel presepe di Betlemme, il Dio
che ha dato se stesso. Lui non ha dato “qualcosa”,
ma ha dato tutta sua vita per me. Vivendo questo
Natale così come la Chiesa si aspetta da me, non
posso restarmene inerte e indolente
contemplando Gesù Bambino. Sono
chiamato ad adorarlo e a imitarlo.
Condividere “qualcosa”? No, non
condividere, …qualcosa”, ma
condividere davvero la mia vita:
se voglio vivere la pace portata da
Gesù Bambino, non posso far altro
che perdonare; se voglio vivere
felice, non posso far altro che amare,
donandomi affinché l’altro sia felice,
come ce lo ricorda la nota preghiera
attribuita a san Francesco d’Assisi:
“Dove c’è guerra, che io porti pace;
dove c’è odio, che io porti amore;
dove c’è oscurità, che io sia luce;
dove c’è tristezza, che io sia gioia;
dove ci sono dubbi, che io porti la
fede; dove c’è disperazione, che io
porti speranza”. Il santo d’Assisi,
spinto da una devozione semplice
e profonda a Gesù: il Bambino che
si fece povero per farci ricchi, e
cosciente che questa ricchezza non
consiste nel denaro, ma nell’amore,
nella misericordia, nel perdono,
nella pace e nella gioia, volle imitare
il Signore ed essere strumento
dell’amore divino in mezzo ai poveri:
nel Natale del 1223, nel paese di
Greccio, preparò il primo Presepio vivente, per
rappresentare in un modo attrattivo e commovente
il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio.
In molte delle nostre case si prepara questo
avvenimento con segni esterni che ci aiutano
a penetrare nel mistero del Natale: il presepio,
l’albero di Natale, le varie decorazioni luminose, i
regali, ecc. Tutti questi sono segni che ci aprono al
mistero natalizio.
Il presepio ci trasporta idealmente in quei luoghi
e in quei momenti che ebbero la fortuna di
accogliere nel loro seno Dio stesso che nasceva
come uomo.
Nel collocare le statuine familiari
del presepio (Maria, Giuseppe, Gesù Bambino,
i pastori e i Re Magi), bisogna chiedere a Dio
che infonda nel nostro cuore quella semplicità e
quell’umiltà che hanno permesso loro di vedere
in quel Bambino il Figlio di Dio incarnato. Che
bello!
In questi personaggi sono rappresentate la
speranza e la gioia dell’intera creazione: essa tutta è in attesa; ma la sua è un’attesa non statica, ma
dinamica, perché è un camminare verso Dio, dove
tutto raggiunge la sua pienezza.
La bellezza del presepio risiede in ogni
personaggio e nell’insieme di tutti coloro che
peregrinano con un unico desiderio: incontrarsi
con il Figlio di Dio. I pastori, dopo l’annuncio
dell’angelo, decidono di comune accordo di
mettersi in cammino: andiamo a vedere di che
cosa si tratta e che cosa significa tutto questo!
Possibilmente sono mossi dalla curiosità, per
comprovare l’annuncio dell’angelo; però, essendo
uomini di grande saggezza nel discernere i
segni dei tempi, sentono qualcosa di grande nel
proprio cuore. Quell’annuncio esteriore li spinge
interiormente a mettersi in cammino. Quando
arrivano, scoprono la cosa più meravigliosa della
loro vita: un Bambino, il Salvatore annunciato,
avvolto in pannolini, cullato da Maria e Giuseppe
che lo contemplano estasiati. Quel camminare,
intrapreso nella notte, li ha condotti a vedere e a
credere. La celebrazione liturgica della nascita
di Gesù Bambino in quella Notte Santa non è un
semplice ricordare ed emozionarsi che ci fa sentire
bene e ci fa sentire buoni durante alcuni minuti,
ma è l’attualizzazione sacramentale di quella
realtà in cui Gesù Cristo viene davvero in me e in
ciascuno dei miei familiari, che precedentemente,
nella preparazione del presepio e dell’albero di
Natale, abbiamo trovato un bel modo di creare
l’ambiente propizio per raccoglierci e meditare il
grande mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio.
Buon Natale a tutti.
d. Vincenzo
LA CHIESA CRESCE PER “ATTRAZIONE” NON PER PROSELITISMO
La Chiesa non è una squadra di calcio che cerca tifosi», ha detto papa Francesco alla giornalista Stefania Falasca del quotidiano Avvenire che lo intervistava il 17 novembre scorso alla
vigilia della chiusura della Porta Santa. Poi, proseguendo l’intervista, ha aggiunto: «Non si può andare dietro a Cristo se non ti porta, se non ti spinge
lo Spirito con la sua forza. Per questo è lo Spirito
l’artefice dell’unità tra i cristiani. Ecco perché dico
che l’unità si fa in cammino, perché l’unità è una
grazia che si deve chiedere, e anche perché ripeto
che ogni proselitismo tra cristiani è peccaminoso.
La Chiesa non cresce mai per proselitismo ma
«per attrazione», come ha scritto Benedetto XVI.
Il proselitismo tra cristiani quindi è in se stesso un
peccato grave».
È indubbio che alcune affermazioni del Papa hanno provocato sconcerto fra i credenti, al punto che
taluni hanno parlato finanche di una protestantizzazione del cattolicesimo. Il silenzio sulle unioni civili, fra cui quelle tra omosessuali, sul Family Day,
nonché l’elogio pubblico dell’ex presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano e della radicale ed
abortista Emma Bonino, la quale, secondo alcune
fonti ben informate, ha praticato in casa, nel 1975,
con una pompa per le biciclette, addirittura 10.141
aborti in dieci mesi, che secondo la legge dell’epoca equivalevano a diecimila omicidi. Ma questo
Papa Francesco lo sapeva? Qualche dubbio serio
affiora. Forse poteva risparmiarsi il pubblico encomio nel momento in cui si chiede ai fedeli battezzati di essere coerenti con il Vangelo. Di certo Colui
che ha detto “Lasciate che i bambini vengano a
me, perché di essi è il Regno dei Cieli” (Mt 19,14-15) non approverebbe. Ogni creatura non nata è
un’offesa al Creatore, per i cattolici è un omicidio,
tant’è vero che l’aborto è un peccato grave. Certo,
il Signore perdona qualsiasi peccato (tranne quello
contro lo Spirito Santo) purché ci sia la conversione del cuore, una profonda e dolorosa comprensione del male procurato a sé o agli altri, altrimenti
finanche la confessione non ha valore, non toglie i
peccati, ma li appesantisce ed aggrava.
Ciò detto – credo fosse necessario dirlo – il Papa,
come ho accennato,ha riecheggiato le parole del
suo predecessore, Benedetto XVI, affermando
che la Chiesa non cresce per proselitismo ma per
attrazione. Ma anche su questo punto dovremmo
riflettere a fondo. Cosa si intende dire? Non ha
detto forse il Signore: «Andate in tutto il mondo
e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16, 15-16)? Siamo nel
campo della testimonianza e dell’esempio, non del
proselitismo o delle conversioni forzate, tant’è vero
che il Signore allude alla predicazione, lasciando
quindi liberi gli uomini di credere o no. Ma vi è una
condanna per chi non avrà creduto. In che cosa
consiste questa condanna se non nella lontananza
da Dio, quindi nell’Inferno scelto volontariamente?
È come dire che uno si scava la fossa con le sue
stesse mani. È una parola dura quella di Gesù, è
un severissimo ammonimento, ma chi è credente
non può sorvolare o tentare di dare interpretazioni
eufemistiche o di comodo. Dispiace asserirlo, ma
non tutti si salveranno. Si nasce figli di Dio, ma ci
si può trasformare in figli del diavolo, liberamente
e con piena avvertenza.
Vogliamo parlare di misericordia? Certo, parliamone e applichiamola, senza tuttavia dimenticare
che fra le opere di misericordia spirituali vi è anche
quella di “ammonire i peccatori”, cominciando da
noi stessi. L’ammonimento è un atto di misericordia. Essa non va intesa come qualcosa di mieloso, ma come il suono di una sveglia, come uno
schiaffo in pieno viso! Svegliatevi, perché il Signore è vicino! Questo è il nocciolo duro di un atto di
misericordia.
Concludo con un pensiero di Padre Pio che cade
a pennello: «A me non fa tanto paura la giustizia,
quanto la misericordia di Dio», poiché della prima
non si può abusare, della seconda sì.
Salvatore Bernocco
Salvatore Bernocco
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ANNO XXX - 357
IN MARIA LA PAROLA SI È FATTA CARNE
L’Immacolata Concezione di Maria. A metà
dell’Avvento, quasi una sosta in compagnia
della Madonna, per gioire con lei dei doni
di grazia che il Signore le ha riservato. “Nostra
madre e sorella”, Maria è stata amata da Dio in un
modo del tutto unico e questo amore ha trovato in
lei una risposta totale. La sua “immacolata concezione” - cioè l’essere stata salvata da ogni peccato
fin dal concepimento - indica che Maria è l’unica
creatura che ha potuto sperimentare fin dall'inizio
la salvezza di Dio, diventando per noi modello
concreto dell’umanità redenta e immagine di speranza sicura per il genere umano. Ma ciò che Lei
ha ricevuto in dono in modo singolare (fin dal suo
concepimento) è anche la promessa che Dio realizza
in ciascuno di noi con la grazia del Battesimo, per
il quale diveniamo anche noi figli di Dio, come ci
ricorda san Paolo: «in lui ci ha scelti prima della
creazione del mondo per essere santi e immacolati
di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere
per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo».
Maria dunque è «la piena di grazia», cioè colei
che è «colma del dono di Dio». Ma per essere
“colmati” prima occorre fare spazio, svuotarsi,
farsi da parte. Proprio come ha fatto Maria, che
ha saputo mettersi in ascolto della Parola e fidarsi
dell’iniziativa di Dio, accogliendo senza riserve
nella sua vita le proposte di Dio. Tanto che in lei,
la Parola «Si è fatta carne».
È proprio la scena dell’annunciazione a farci comprendere la profondità del «SÌ» di Maria a quanto
Dio le propone. «Ecco la serva del Signore: avvenga
per me secondo la tua parola». Quanto è autentica
e concreta l'adesione di Maria! Non si perde in
chiacchiere, in mille ragionamenti, non frappone
ostacoli al Signore. Con decisione e prontezza si
fida e lascia spazio all'azione dello Spirito Santo.
Mette subito a disposizione di Dio tutto il suo essere
e la sua storia personale, perché sia la sua Parola a
plasmarli e realizzarli compiutamente. Una scelta
di fecondità, che porta frutto e vita, che diviene
“luogo” dell’Incarnazione, che dona al mondo Gesù.
Ma vale la pena sottolineare anche la prospettiva
che Maria sceglie per connotare il suo “consegnarsi”
all'amore di Dio, definendosi «la serva del Signore». Il «SÌ» di Maria a Dio diventa quindi servizio,
attenzione alle necessità altrui, disponibilità ai
bisogni del prossimo e della comunità.
Tutto questo senza clamori o “sbandieramenti”
senza “posti d’onore”: senza “celebrazioni”. Al
contrario, i Vangeli ci raccontano una presenza di
Maria contrassegnata da grande discrezione e dal
nascondimento.
Così, Maria diviene per noi oggi una proposta, un
progetto da vivere. Approfittiamo dunque di questa
festa per imparare da lei a rinnovare il nostro «SÌ»
a Dio, perché anche in noi possa compiersi la sua
Parola.
N.G.
N.G.
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ANNO XXX - 357
MARIA, UN NOME DI ECCEZIONALE SPESSORE. LA DONNA “PIENA DI GRAZIA”,CHE HA ACCETTATO DIO NELLA SUA VITA
Nell'avvento, a mezza strada verso Natale, ecco la
festa dell’Immacolata. Maria, giovane, sola, luminosa. E’ lei la Madonna? L’angelo la guarda, si inginocchia, la chiama da quello che vede in lei: è piene di
grazia! E’ un nome che potrebbe significare il rispettoso
amore per una giovane degna. Ed invece nel testo del
vangelo, dal contesto della scrittura, risulta un nome di
eccezionale spessore. Dio è la grazia, è colui che si è
dato senza compensi, senza misura. Allora: «“Piena di
grazia” significa “piena di Dio”. Ed infatti il resto della
frase. Che viene dopo, da senso chiaro a quel “piena di
grazia” aggiungendo: “Il Signore è con te”. Nella storia
dell’umanità, all'inizio, il fatto centrale da cui scaturisce
tutta la storia sacra è un avvenimento rivelatore: quello
che Dio è, quello che Dio porta all'umanità, quello che
Dio Chiede all'umanità: “Vi amo, mi do a voi totalmente.
Amatemi. Accettatemi. Entrate nella mia intimità. Se mi
amate. imparerete ad amare, a riflettere Dio nella vita.
Quanto farete, sarà ispirato dal mio amore, risplenderà
dalla grandezza di Dio che ama e amando fa ... L’uomo
se accetta Dio, ama. Se ama, fa amando. Cioè dà un
‘anima, una qualità, un valore alle sue opere: l’amore. Se
si rifiuta, si chiude. Domanda a se stesso, alla sua solitudine, alla sua povertà, al suo individualismo ispirazione,
motivo, sapore per le cose che fa. Adamo. Eva hanno
preteso di prescindere da Dio, di attingere da sé per creare. Fuori di Dio, lontano da Lui, il loro mondo (amore,
famiglia, lavoro, relazioni) non ha la sostanza che viene
da Dio: l’amore. E’ un altro il materiale di cui si sostanzia:
l’uomo, l’io dell’uomo, di colui che presume di fare la sé e
che ci da il frutto arido, canceroso, duro del suo egoismo,
del suo cuore di pietra. della sua miopia, della sua corta
veduta. Quando l’angelo si inginocchia davanti a Maria e
la chiama dalla realtà che è (piena di grazia, piena di Dio),
riconosce che Maria è la donna, che ha accettato Dio nel
suo cuore, nella sua vita. nel periodo della sua prima età,
dell’adolescenza, della giovinezza. Anzi in Maria c’è un
fatto nuovo, unico, eccezionale. Dio in vista del comportamento per cui Lei ha accettato Dio, tenendo presente
che Maria ha accanto a Cristo e con Cristo il compito di
salvare l’uomo dal peccato non soltanto accetta la eccezionale rispondenza della Madonna al suo amore, ma compie un fatto che è fuori del normale: esenta Maria
dalla condizione del peccato originale. Ogni creatura, nascendo, porta l’ombra e il peso di quel no detto da Adamo, che si riflette su tutti i suoi figli. Maria in vista della
sua missione (Madre del Salvatore, madre dei liberali dal
peccato) è esentata, preservata, prima di essere concepita, da ogni ombra di peccato originale. L’angelo che si
piega davanti a Maria, la chiama dalla realtà che è: senza
peccato personale, piena di corrispondenza all'amore di
Dio. “Il Signore è con te”. Questa è la Madonna? Questa
è la donna preparata per essere la Madonna. Ed ecco
come diventa la Madonna. Dice l’angelo: Dio ha progettato che tu concepisca e partorisca un figlio: ... Gesù,
figlio dell’Altissimo. Dice Maria.· Come avverrà questo?
Non conosco uomo. L’amore di Dio, risponde l’angelo e
spiega: l’amore di Dio scenderà sopra di te. ti avvolgerà.
ti coprirà con la sua ombra. IL bambino che nascerà da
te sarà chiamato: Figlio di Dio. Maria accetta, spalanca
tutto il suo essere (anima e corpo). accoglie Dio che si fa
uomo dentro di lei; “La tua Parola si faccia dentro di me”.
E il Verbo si fece carne ed abitò tra noi. L’Immacolata diventa Madre. Questa è la Madonna. E diventerà sempre
più la Madonna, quando nutrirà Cristo, quando lo educherà, guidando le sue facoltà umane ad aprirsi alla vita.
E diventerà sempre più la Madonna quando vede Gesù
che, fatto uomo, abbandona la sua casa e si immette
nelle vie degli uomini. Diventerà sempre più la Madonna
quando i parenti di Gesù impressionati che Cristo non
riscuote il favore generale della gente, la portano in una
casa ove la folla lo preme da tutte le parti. L’idea era di
sottrarlo alla gente e di portarlo a casa. al sicuro. A Gesù
fu riferito che erano lì la madre i i fratelli-cugini. Gesù rispose: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Mia
madre e miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola
di Dio e la mettono in pratica. La sua maternità acquista
così le qualità, le dimensioni, la generosità del cuore del
Figlio. L’Immacolata è doppiamente madre: nella carne e
nel cuore. Questa statura di Madonna crescerà ancora.
Maria, /’immacolata, si fa grande, si fa Madonna, sulla
via del Calvario e sotto la croce. Si fa grande quando
al sepolcro, sul Cristo disteso sulla pietra si spegne la
fede di tutti (“speravamo ... ormai tutto è finito ... “). Lì,
al sepolcro. Maria, mentre accetta la morte di Cristo, è
ferma nel suo credo: Risorgerà’. Maria, l’Immacolata.
raggiunge il vertice della sua statura di donna. quando a
capo degli Apostoli si apre alla irruzione dello Spirito ed
entra in pieno in quel mistero che dal Cenacolo percorrerà il mondo. Concludendo allunghiamo e fermiamo lo
sguardo sul percorso che Maria nella storia ha superato
per venire sino a noi mentre è sui tracciali che si aprono
sul futuro. Maria, bambina, fa tenerezza. Maria, giovane.
immacolata, affascina. Maria, madre ... è lei che ci porta
Cristo. Maria, sotto la croce ... è lei che ci porta Cristo
con il cuore aperto. Maria, al sepolcro ci porta il Risorto.
Maria al cenacolo ci dice che se ami Dio devi amare i
fratelli e devi andare in cerca dei fratelli che consci o no
cercano il Fratello più grande che solo il cuore della Madre può dare. Maria senza Cristo non ha senso. non ha
valore. Cristo senza Maria è fuori della storia, immerso
nell'indefinito del mistero. Se trovi Maria la riconosci in
quel bimbo che porta tra le braccia. Se incontri Cristo
avverti il profumo della sua carne che è la carne di Maria.
GIUSEPPE LANAVE
Vescovo emerito di Andria
GIUSEPPE LANAVE
Vescovo emerito di Andria
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ANNO XXX - 357
A FIANCO DEL VESCOVO
È necessaria qualche riflessione
su alcuni comportamenti che, a
nostro avviso, hanno
ferito la comunione
nelle nostre comunità ecclesiali, creando
sconcerto tra i fedeli.
Premettiamo che il Vescovo è a capo della
Chiesa locale ed è chiamato a “governare”
la porzione di Chiesa che gli è stata affidata.
Il Vescovo è un successore degli apostoli. A
lui si deve dunque rispetto e obbedienza in
virtù della sua funzione, che è quella di far
crescere la comunità dei credenti nella fede,
nella speranza e nella carità. Le sue decisioni,
che crediamo siano ponderate, vanno dunque
osservate con umiltà e in spirito di servizio.
Aggiungiamo che va sostenuto e coadiuvato
dal popolo di Dio, semmai in una relazione
di dialogo benevolo e fraterno, senza creare sommovimenti o scossoni che turbino la
pace e la serenità all'interno della Chiesa. Se,
come abbiamo scritto in un altro articolo di
questo numero di “Fermento”, la Chiesa deve
crescere per attrazione, è necessario che si
determinino le condizioni favorevoli a questa
modalità di crescita. In caso contrario, non si
darebbe una immagine positiva della Chiesa
come corpo unico e solidale, ma piuttosto di
una congrega di gruppi in lotta tra loro ed in
conflitto con le scelte di governo del Vescovo.
Il nostro auspicio è che si mettano da parte le
divisioni e si cammini a fianco del Vescovo, il
quale va aiutato nel suo gravoso compito e
non contrastato con parole ed atteggiamenti
irriguardosi.
S.B.
S.B.
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ANNO XXX - 357
Nel tempo e nello spazio di Dio
Dopo il pellegrinaggio annuale a Pompei, la
comunità si riunì per la
celebrazione dei defunti e
l’adorazione eucaristica mensile.
Ci fu la ripresa della catechesi
a tutti i livelli, compresa quella al
gruppo uomini e alle Associate alla
Madonna del Buon Consiglio. Anche
i catechisti ebbero il loro incontro
formativo-organizzativo. Il giorno
19 andarono poi in pellegrinaggio al
cimitero ove il vescovo don Mimmo
celebrò in suffragio dei defunti. Si
tenne la Convivenza di inizio corso per i
fratelli neo-catecumenali a Mariotto. La
Comunità si portò poi presso il Santuario
della Madonna dei Martiri con le Comunità
neo-catecumenali per lucrare l’indulgenza giubilare e
il giorno 13 con una rappresentanza
della parrocchia partecipò alla
chiusura della Porta Santa in
Molfetta.
Ci ritrovammo poi per la tre sere in
onore di Cristo Re, titolare della
parrocchia e che festeggiammo
la domenica 20 mentre il 22
ci fu un concerto in onore
di S. Cecilia, partecipato
da moltissimi amici della
musica. Ci fu poi la lezione
preparatoria al periodo
liturgico dell’Avvento, mentre
il 23 ci fu l’adorazione da
parte del Gruppo di P. Pio e il
29 demmo inizio alla novena dell’Immacolata.
Luca
Luca
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ANNO XXX - 357
CRISTO È IL NOSTRO PROGRAMMA
Miei Cari,
novembre ci orienta, come Comunità, alla solennità di Cristo Re dell’universo, titolare della nostra Parrocchia. Andremo preparandoci in modo adeguato fissando il nostro sguardo su Cristo Redentore del mondo, attraverso i suggerimenti dell’esortazione del Papa e, di recente, del nostro Vescovo con la sua Lettera pastorale sulla famiglia.
Tutto ci predispone a contemplare il volto di Cristo, nelle molteplici forme della sua presenza che non può non ispirarsi a quanto di Lui ci dice la Sacra Scrittura; ancorati ad essa ci apriamo all’azione dello Spirito e insieme alla testimonianza degli Apostoli che hanno fatto esperienza viva di Cristo, il Verbo della vita, lo hanno visto con i loro occhi, udito con le orecchie, toccato con le loro mani. Per cui il Redentore da contemplare non è solo il Cristo storico, “via, verità evita”, ma anche il Cristo risorto, orizzonte della nostra fierezza e della nostra speranza. Scaturisce di qui la necessità che il Cristo diventi il nostro programma da vivere e da realizzare: non si tratta - ci dice il Papa - di inventare un nostro programma. C’è già. E’ quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra in Cristo stesso, da conoscere, da amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. E’ un programma che non cambia col variare dei tempi e della cultura, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Ci studieremo, quindi, come singoli e come Comunità di conoscere Cristo, tramite la sua Parola che è parola di Dio al mondo perché l’umanità si trovi con il vero senso della propria vita. Amare Cristo, come orizzonte finale della nostra vita e presenza operante nell’intimità di ogni persona. Presenza che va accolta, ascoltata, seguita, mediante la sapienza per cui, attratti dall’amore alla verità, possiamo camminare verso una vita sempre più vera e autentica, nella sequela di Cristo, nostro Re.
Imitare Cristo come chi da’ posto a Lui perché viva in noi e possa rivelare il suo volto in ciascuno di noi e in noi che formiamo il suo corpo.
Vivere di Cristo, attingendo per Lui, con Lui e in lui, la vita trinitaria, sia come persone che come Chiesa, chiamata a vivere nei rapporti interni e col mondo quello che intercorre nella Trinità. Generare Cristo nella storia, giorno dopo giorno fino alla consumazione dei secoli, dilatando il Regno di Dio e delle sue esigenze, inaugurata dal Redentore e continuata nella Chiesa, sacramento, segno del suo Regno.
Ci trovi la imminente solennità di Cristo Re, predisposti a questo programma. Ripartire da Lui, crocefisso e risorto, animati dalla fede, quella che trasporta le montagne, non in un istante, ma passo dopo passo, cioè nella logica della speranza. È il fiore più bello che offriremo al SS. Redentore. E intanto vi ricordo che martedì 6 dicembre il nostro Vescovo don Mimmo sarà tra noi, alle 18.00. Cordialmente,
d. Vincenzo
novembre ci orienta, come Comunità, alla solennità di Cristo Re dell’universo, titolare della nostra Parrocchia. Andremo preparandoci in modo adeguato fissando il nostro sguardo su Cristo Redentore del mondo, attraverso i suggerimenti dell’esortazione del Papa e, di recente, del nostro Vescovo con la sua Lettera pastorale sulla famiglia.
Tutto ci predispone a contemplare il volto di Cristo, nelle molteplici forme della sua presenza che non può non ispirarsi a quanto di Lui ci dice la Sacra Scrittura; ancorati ad essa ci apriamo all’azione dello Spirito e insieme alla testimonianza degli Apostoli che hanno fatto esperienza viva di Cristo, il Verbo della vita, lo hanno visto con i loro occhi, udito con le orecchie, toccato con le loro mani. Per cui il Redentore da contemplare non è solo il Cristo storico, “via, verità evita”, ma anche il Cristo risorto, orizzonte della nostra fierezza e della nostra speranza. Scaturisce di qui la necessità che il Cristo diventi il nostro programma da vivere e da realizzare: non si tratta - ci dice il Papa - di inventare un nostro programma. C’è già. E’ quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra in Cristo stesso, da conoscere, da amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. E’ un programma che non cambia col variare dei tempi e della cultura, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Ci studieremo, quindi, come singoli e come Comunità di conoscere Cristo, tramite la sua Parola che è parola di Dio al mondo perché l’umanità si trovi con il vero senso della propria vita. Amare Cristo, come orizzonte finale della nostra vita e presenza operante nell’intimità di ogni persona. Presenza che va accolta, ascoltata, seguita, mediante la sapienza per cui, attratti dall’amore alla verità, possiamo camminare verso una vita sempre più vera e autentica, nella sequela di Cristo, nostro Re.
Imitare Cristo come chi da’ posto a Lui perché viva in noi e possa rivelare il suo volto in ciascuno di noi e in noi che formiamo il suo corpo.
Vivere di Cristo, attingendo per Lui, con Lui e in lui, la vita trinitaria, sia come persone che come Chiesa, chiamata a vivere nei rapporti interni e col mondo quello che intercorre nella Trinità. Generare Cristo nella storia, giorno dopo giorno fino alla consumazione dei secoli, dilatando il Regno di Dio e delle sue esigenze, inaugurata dal Redentore e continuata nella Chiesa, sacramento, segno del suo Regno.
Ci trovi la imminente solennità di Cristo Re, predisposti a questo programma. Ripartire da Lui, crocefisso e risorto, animati dalla fede, quella che trasporta le montagne, non in un istante, ma passo dopo passo, cioè nella logica della speranza. È il fiore più bello che offriremo al SS. Redentore. E intanto vi ricordo che martedì 6 dicembre il nostro Vescovo don Mimmo sarà tra noi, alle 18.00. Cordialmente,
d. Vincenzo
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ANNO XXX - 356
Il referendum costituzionale del 4 Dicembre
Il prossimo 4 dicembre, dalle 7 alle 23,
si terrà il referendum confermativo
della riforma della Costituzione
varata dal governo Renzi.
La riforma concerne la modifica di più di 40 articoli della Carta costituzionale, in particolare modificando le attribuzioni del Senato e il numero dei senatori, che da 315 vengono ridotti a 100. Ma questi senatori non verranno eletti direttamente dal corpo elettorale, ma dai Consigli regionali (elezione di secondo livello). 21 di essi saranno sindaci. Inoltre bisogna annoverare i cosiddetti senatori di diritto a vita (ex presidenti della Repubblica) e quelli nominati dal capo dello Stato per meriti conseguiti nel campo della scienza, della cultura, ecc. Così stando le cose, gli italiani non voteranno più per il Senato, ma solo per la Camera dei Deputati, i quali restano 630, un numero abnorme rispetto alla popolazione italiana.
Molti si pongono il quesito: perché ridurre il numero dei senatori e non anche quello dei deputati? È un mistero tutto italiano. Si pensi che negli Stati Uniti il Congresso è composto da 435 deputati e 100 senatori. Gli abitanti sono 306 milioni. In Germania nel Bundestag (Parlamento federale) siedono 612 deputati, mentre il Bundesrat (Consiglio federale) conta 69 membri. La popolazione è di 82 milioni di persone. Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti. È evidente la sproporzione fra popolazione italiana e numero dei parlamentari.
Una riforma equilibrata e funzionale alla reale riduzione dei costi dell’apparato politico avrebbe dovuto contemplare anche la riduzione del numero dei deputati. Altre domande concernono i consiglieri regionali e i sindaci. Costoro devono occuparsi dei problemi delle loro Regioni e dei loro Comuni oppure devono svolgere le funzioni di senatore? Come si può sedere al Senato cinque giorni su sette e occuparsi contestualmente delle problematiche locali?
Altro mistero tutto italiano. Probabilmente si introdurrà per legge la bilocazione o multilocazione, cioè la supposta capacità di un corpo di essere contemporaneamente presente in due o più luoghi diversi. E poi non siamo in presenza di un accumulo di incarichi che andrebbe invece scoraggiato?
I propugnatori del SI ritengono invece che la riforma sia necessaria per ammodernare il Paese e rendere più spedita l’azione del Governo.
Votare è un diritto ed è un dovere. Votare implica il dovere civico di informarsi e di assumere una decisione meditata e autonoma, non influenzata dalle direttive dei partiti di maggioranza o di minoranza, di chi è per il SI e chi propende per il NO per spirito di parte.
Di certo il 4 dicembre segna una tappa importante della storia costituzionale e istituzionale del nostro Paese. Il mio auspicio è che, qualunque sia il risultato delle urne, il sistema Italia possa decollare e combattere l’unico fenomeno che, a mio avviso, ne ostacola la crescita: la corruzione del settore pubblico che, secondo talune stime, tocca la cifra esorbitante di 60 miliardi l’anno.
Salvatore Bernocco
La riforma concerne la modifica di più di 40 articoli della Carta costituzionale, in particolare modificando le attribuzioni del Senato e il numero dei senatori, che da 315 vengono ridotti a 100. Ma questi senatori non verranno eletti direttamente dal corpo elettorale, ma dai Consigli regionali (elezione di secondo livello). 21 di essi saranno sindaci. Inoltre bisogna annoverare i cosiddetti senatori di diritto a vita (ex presidenti della Repubblica) e quelli nominati dal capo dello Stato per meriti conseguiti nel campo della scienza, della cultura, ecc. Così stando le cose, gli italiani non voteranno più per il Senato, ma solo per la Camera dei Deputati, i quali restano 630, un numero abnorme rispetto alla popolazione italiana.
Molti si pongono il quesito: perché ridurre il numero dei senatori e non anche quello dei deputati? È un mistero tutto italiano. Si pensi che negli Stati Uniti il Congresso è composto da 435 deputati e 100 senatori. Gli abitanti sono 306 milioni. In Germania nel Bundestag (Parlamento federale) siedono 612 deputati, mentre il Bundesrat (Consiglio federale) conta 69 membri. La popolazione è di 82 milioni di persone. Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti. È evidente la sproporzione fra popolazione italiana e numero dei parlamentari.
Una riforma equilibrata e funzionale alla reale riduzione dei costi dell’apparato politico avrebbe dovuto contemplare anche la riduzione del numero dei deputati. Altre domande concernono i consiglieri regionali e i sindaci. Costoro devono occuparsi dei problemi delle loro Regioni e dei loro Comuni oppure devono svolgere le funzioni di senatore? Come si può sedere al Senato cinque giorni su sette e occuparsi contestualmente delle problematiche locali?
Altro mistero tutto italiano. Probabilmente si introdurrà per legge la bilocazione o multilocazione, cioè la supposta capacità di un corpo di essere contemporaneamente presente in due o più luoghi diversi. E poi non siamo in presenza di un accumulo di incarichi che andrebbe invece scoraggiato?
I propugnatori del SI ritengono invece che la riforma sia necessaria per ammodernare il Paese e rendere più spedita l’azione del Governo.
Votare è un diritto ed è un dovere. Votare implica il dovere civico di informarsi e di assumere una decisione meditata e autonoma, non influenzata dalle direttive dei partiti di maggioranza o di minoranza, di chi è per il SI e chi propende per il NO per spirito di parte.
Di certo il 4 dicembre segna una tappa importante della storia costituzionale e istituzionale del nostro Paese. Il mio auspicio è che, qualunque sia il risultato delle urne, il sistema Italia possa decollare e combattere l’unico fenomeno che, a mio avviso, ne ostacola la crescita: la corruzione del settore pubblico che, secondo talune stime, tocca la cifra esorbitante di 60 miliardi l’anno.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXX - 356
IL MONDO CAMBIA… E LA PARROCCHIA?
All'inizio del nuovo anno pastorale, il
Vescovo ci fa dono di un Convegno
sul ruolo della parrocchia nella nuova
evangelizzazione.
Credo che alcune riflessioni potranno bene
orientarci su questo tema sul quale peraltro
siamo tornati in passato più volte non per
crogiolarci su una realtà insostituibile quanto per rivitalizzarla dall'interno e abilitarla
sempre più verso la nuova evangelizzazione,
come più volte il Papa e i vescovi ci hanno
stimolato a fare.
Se difatti urge sempre più, porre la nuova
evangelizzazione al centro dell’ansia missionaria della Chiesa, nuova nei metodi, nell'ordine,
nel linguaggio, la parrocchia può e deve svolgere un ruolo da protagonista. Ci si è chiesto
difatti: “Il mondo cambia... e la Parrocchia?
Essa, disegnata nella sua fisionomia appare
come ultimo decentramento della Chiesa e,
soprattutto, come presenza della medesima
nel territorio, dove gli uomini vivono e intersecano relazioni tra loro e attorno a Cristo: tale
relazione, pertanto, - affermava Mons. Romeo, Nunzio Ap. in Italia- prima ancora di essere “fatto sociologico” è “evento teologico”.
E se la Chiesa nasce dal bisogno di comunicare l’esperienza di fede vissuta con Cristo, la
parrocchia si configura come la Comunità dei
credenti che garantiscono in un determinato
territorio la testimonianza di un’esperienza di
salvezza integrale dell’uomo. Per cui l’attività
missionaria, l’uscire cioè fuori dal perimetro parrocchiale, l’incontro con il non credente
e la comunicazione della fede debbono con
chiarezza costituire l’impegno primario di una
parrocchia intorno al quale si costruisce tutto
il resto.
Ne scaturisce pertanto che la parrocchia che
si pone oggi in ascolto delle sfide del mondo
contemporaneo in continua trasformazione,
è chiamata a divenire casa e scuola in cui
si cresce nella fede, che diventa cantiere di
formazione, scuola di comunione, punto di
speranza, segno del “totalmente altro”, snodo
di collaborazione, incrocio di culture, spazio
di dialogo, tirocinio di vita cristiana nelle sue
molteplici vocazioni. Conclusione: perché la
parrocchia diventi avamposto missionario nel
suo quartiere, le nuove piste da percorrere e
sulle quali non rifletteremo mai abbastanza
sono l’evangelizzazione, il laicato, la formazione, il territorio, l’inculturazione, la comunicazione, la comunità.
Se vogliamo - ricordava un vescovo -, la parrocchia è oggi chiamata ad essere, come
Giona, profeta di Dio in una città pagana. Al
lavoro quindi, tutti insieme, e con grande fiducia e speranza nel Signore che fa nuove tutte
le cose.
Anche noi che a volte ci lasciamo prendere
dallo scoraggiamento nel riprendere il cammino.
E’ il mio augurio all'inizio di questo nuovo
anno pastorale.
d. Vincenzo
d. Vincenzo
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ANNO XXX - 356
IL TERREMOTO E IL CASTIGO DI DIO
Purtroppo capita che anche certi
sacerdoti o frati dicano delle cose
che offuscano l’immagine di Dio.
È quanto è accaduto qualche tempo fa,
quando a Radio Maria, la radio di padre
Livio Fanzaga, nota per le sue posizioni
tradizionaliste, padre Giovanni Cavalcoli
ha affermato che il terremoto che ha
colpito il centro Italia è il castigo di Dio per
le unioni civili.
Padre Cavalcoli è stato sospeso da Radio
Maria ed è stato redarguito dalla Santa
Sede.
In effetti il Dio di Cristo non è il Dio che
castiga gli uomini per i loro peccati, ma è
il Dio che punta alla redenzione dell’uomo,
al recupero alla vita di colui che pecca
o ha peccato. Emblematica al riguardo
è la parabola del Padre misericordioso
(Lc 15, 11-32), che non bastona il figlio
degenere, ma che lo accoglie: «Quando
era ancora lontano, suo padre lo vide,
ebbe compassione, gli corse incontro,
gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli
disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e
davanti a te; non sono più degno di essere
chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai
servi: “Presto, portate qui il vestito più
bello e fateglielo indossare, mettetegli
l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete
il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e
facciamo festa, perché questo mio figlio
era morto ed è tornato in vita, era perduto
ed è stato ritrovato”. E cominciarono a
far festa». Potremmo anche richiamare
la parabola della pecorella smarrita (Lc
15,4-7). Il Signore è quindi sempre pronto
al perdono e a donare il suo spirito a chi
glielo chiede. Lui stesso ha detto di essere
Fermento venuto per i malati e non per i sani, quindi
le affermazioni apocalittiche di padre
Cavalcoli non trovano appigli nei Vangeli,
anzi equiparano il Dio di Gesù ad un dio
capriccioso ed instabile, vendicativo
e giustiziere, geloso della felicità degli
uomini. Non ci siamo. Se seguissimo
la logica di padre Cavalcoli potremmo
sostenere la tesi che ogni croce (malattia)
viene da Dio ed è il suo castigo, mentre
Dio non manda nessuna croce, è vicino
a chi è in croce a causa delle sofferenze
legate alla nostra natura umana, fragile e
precaria. Nei Vangeli sono descritti episodi
di prodigi e guarigioni operati dal Signore,
per cui come potrebbe Dio spargere croci
e poi sanare, guarire? Non sarebbe un dio
stravagante, matto? Non siamo figli di un
dio pazzo. I terremoti ci sono sempre stati,
come ci sono state alluvioni, disgrazie,
uccisioni di massa. Il mondo sarebbe finito
da un pezzo se il Signore avesse voluto
punire l’umanità per i suoi peccati. Invece
egli aspetta pazientemente che l’albero
dia il suo frutto, lo pota, se ne prende cura
come una madre si prende cura della sua
creatura.
Quindi, non diamo retta a certe visioni
terribili di Dio. Piuttosto convertiamoci
ogni giorno alla sua Parola salvifica,
preghiamo e rispondiamo al suo amore
gratuito usando misericordia e carità
verso tutti. Il giudizio non spetta a noi,
ma a colui che ci conosce meglio di
qualunque altro.
S. B.
S. B.
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ANNO XXX - 356
Nel tempo e nello spazio di Dio
Con la dovuta solennità demmo inizio
alla pratica del mese di ottobre in onore
della Madonna del Rosario. Come pure
iniziammo i primi venerdì del mese. Dopo i
vari incontri con i catechisti ebbe inizio anche
la scuola di catechismo per i
fanciulli che riceveranno in
quest’anno i sacramenti. Si
avviò così l’anno pastorale
incentrato sulla Famiglia e
i cui orientamenti sono stati
forniti dalla lettera pastorale
del vescovo don Mimmo.
Tutti gli operatori pastorali
hanno potuto esaminare e
approfondire il testo, mentre
i responsabili del Gruppo
famiglia hanno partecipato
agli incontri diocesani e fino a
tutto ottobre tutti gli aderenti al
gruppo si sono incontrati a Villa
Pasqualina ogni domenica. Come
ogni mese non sono mancati gli appuntamenti
eucaristici guidati dai gruppi dell’Eucarestia
e di S. Pio da Pietrelcina. Anche alcuni dei
nostri hanno partecipato al pellegrinaggio
diocesano a Roma per l’anno giubilare che va concludendosi. Gli incontri di catechesi a
tutti i livelli sono stati condotti puntualmente
e la verifica non è mancata con i singoli e
con i responsabili. Ogni venerdì sera c’è
stata la presenza degli animatori
per il canto sulla liturgia e molto
significativa è stata la presenza
dei partecipanti. Si è poi tenuto
in Molfetta presso il Seminario
minore il rito del “Passaggio”
della Prima Comunità del
Cammino neo-catecumenale,
presieduto dal vescovo
don Mimmo; alla Comunità
della nostra parrocchia si
è unita anche quella di
Altamura. La conclusione
del mese del rosario,
recitato sia prima della
messa vespertina che alle
20,30 dal Gruppo famiglia
e giovani, si è concluso con il pellegrinaggio
annuale a Pompei il 1° novembre. Onorato in
ultimo l’appuntamento catechistico-liturgico
per le associate della Madonna del Buon
Consiglio.
Luca
Luca
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ANNO XXX - 356
Mentre riprende il cammino pastorale... PER UNA “SPIRITUALITÀ DEL SERVIZIO”
Miei Cari,
tra le mie letture dei giorni scorsi leggo un titolo: “Senza radici il servizio si dissecca”. Mi ha fatto riflettere non poco anche se il fenomeno descritto è appena avvertito nella nostra parrocchia. “Le parrocchie soffrono la scomparsa di questo o quel collaboratore, diventa più difficile rispondere a tutte le esigenze”. Presi dalle urgenze spesso ci si dimentica di chiedersi (e di chiedere agli interessati): perché viene meno la tua collaborazione, perché salta l’impegno al servizio? L’autore dell’articolo afferma che la risposta è già scritta nel modo in cui una persona presta servizio o in cui la comunità lo chiede: senza una autentica “spiritualità del servizio”. Spiritualità che significa vedere negli altri (i poveri, i bambini da educare, gli adolescenti da accompagnare...) il volto di Dio: e quindi porta ad impegnarci e collaborare non tanto e non solo perché (e finché) “mi piace, mi interessa” o perché il parroco ha insistito o perché mi è simpatico, ma per amore gratuito, in nome di Dio. C’è poi il problema che si presume di “correre senza la benzina necessaria”, ossia il credere di poter fare a meno dei momenti di riflessione e spiritualità, tempi di studio e di silenzio, proposta di guida spirituale, confronti e itinerari formativi. Questo – afferma C. Contarini - è tentare lo Spirito Santo, guai sfidarlo in continuazione a dar vita alle ossa aride. Credo proprio, allora, che il “servizio” vissuto con taglio spirituale, matura le persone la comunità cresce perché si sente costruita più che dal lavoro degli uomini, dallo Spirito rinnovatore. E diventa segno concreto di santità e carità che la gente percepisce. Non parlò in questi termini il Sinodo Parrocchiale, celebrato alcuni anni or sono? La “spiritualità del servizio” diventi e ci porti a rivedere il nostro impegno per allungare la lista degli operai della vigna del Signore per immetterci tutti con sicurezza sulla pista della santità. È il mio augurio.
Cordialmente, don Vincenzo
tra le mie letture dei giorni scorsi leggo un titolo: “Senza radici il servizio si dissecca”. Mi ha fatto riflettere non poco anche se il fenomeno descritto è appena avvertito nella nostra parrocchia. “Le parrocchie soffrono la scomparsa di questo o quel collaboratore, diventa più difficile rispondere a tutte le esigenze”. Presi dalle urgenze spesso ci si dimentica di chiedersi (e di chiedere agli interessati): perché viene meno la tua collaborazione, perché salta l’impegno al servizio? L’autore dell’articolo afferma che la risposta è già scritta nel modo in cui una persona presta servizio o in cui la comunità lo chiede: senza una autentica “spiritualità del servizio”. Spiritualità che significa vedere negli altri (i poveri, i bambini da educare, gli adolescenti da accompagnare...) il volto di Dio: e quindi porta ad impegnarci e collaborare non tanto e non solo perché (e finché) “mi piace, mi interessa” o perché il parroco ha insistito o perché mi è simpatico, ma per amore gratuito, in nome di Dio. C’è poi il problema che si presume di “correre senza la benzina necessaria”, ossia il credere di poter fare a meno dei momenti di riflessione e spiritualità, tempi di studio e di silenzio, proposta di guida spirituale, confronti e itinerari formativi. Questo – afferma C. Contarini - è tentare lo Spirito Santo, guai sfidarlo in continuazione a dar vita alle ossa aride. Credo proprio, allora, che il “servizio” vissuto con taglio spirituale, matura le persone la comunità cresce perché si sente costruita più che dal lavoro degli uomini, dallo Spirito rinnovatore. E diventa segno concreto di santità e carità che la gente percepisce. Non parlò in questi termini il Sinodo Parrocchiale, celebrato alcuni anni or sono? La “spiritualità del servizio” diventi e ci porti a rivedere il nostro impegno per allungare la lista degli operai della vigna del Signore per immetterci tutti con sicurezza sulla pista della santità. È il mio augurio.
Cordialmente, don Vincenzo
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ANNO XXX - 355
FRANCESCO NON ARRETRA DI UN MILLIMETRO
Parole forti, quelle del papa emerito
Benedetto XVI a Francesco, colme
di amicizia e di rispetto filiale. “Mi
auguro che lei vada avanti in questa via della
misericordia. La sua bontà è il luogo in cui abito
e in cui mi sento protetto”. L’occasione è stata
il 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale
di Ratzinger, avvenuta il 29 giugno 1951 nel
duomo di Frisinga.
Un’occasione che, ancora una volta, dimostra
ai fedeli di ogni luogo quanto il legame tra
il papa regnante e il papa emerito sia forte,
duraturo, pieno di tenerezza. Ma, nello stesso
tempo, l’abbraccio amicale tra Francesco e
Benedetto ribadisce in modo perentorio che
non esiste un ministero petrino condiviso. Il
papa è uno, e uno solo. Lo ha ribadito lo stesso
Francesco nell’intervista sul volo di ritorno
dall’Armenia: “Benedetto è papa emerito. Lui
ha detto chiaramente, quell’11 febbraio, che
dava le sue dimissioni a partire dal 28 febbraio,
che si sarebbe ritirato per aiutare la chiesa con
la preghiera. E Benedetto è nel monastero,
pregando. Io sono andato a trovarlo tante volte
o al telefono... L’altro giorno mi ha scritto una
letterina, ancora firma con quella firma sua,
dandomi gli auguri per questo viaggio... E una
volta, non una volta: parecchie volte, ho detto
che è una grazia avere a casa il nonno saggio.
Anche di persona gliel’ho detto e lui ride. Ma
lui per me è il papa emerito, è il nonno saggio, è
l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena
con la sua preghiera.
Mai dimentico quel discorso che ci ha fatto, ai
cardinali, il 28 febbraio: “Fra voi sicuro che sarà
il mio successore. Prometto obbedienza” e lo ha
fatto. Poi ho sentito, ma non so se è vero questo,
eh?, sottolineo: ho sentito, forse saranno dicerie,
ma vanno bene con il suo carattere, che alcuni
sono andati li a lamentarsi perché questo nuovo
papa... e li ha cacciati via, eh? Con il migliore
stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via. E
se non è vero, è ben trovato, perché quest’uomo
è così: è un uomo di parola, un uomo retto,
retto, retto, eh?, il papa emerito… Dopodomani
si celebra il 65.mo anniversario della sua
ordinazione sacerdotale. E io dirò qualche cosa
a questo grande uomo di preghiera, di coraggio,
che è il papa emerito, non il secondo papa, che
è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio.
È molto intelligente, e per me è il nonno saggio
a casa”.
E così poi ha fatto il giorno dopo, abbracciando
Ratzinger per il suo 65° . “Proprio vivendo e
testimoniando oggi in modo tanto intenso e
luminoso quest’unica cosa veramente decisiva
- avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio -
lei, santità, continua a servire la chiesa, non
smette di contribuire veramente con vigore e
sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo
monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si
rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di
quegli angolini dimenticati nei quali la cultura
dello scarto di oggi tende a relegare le persone
quando, con l’età, le loro forze vengono meno.
È tutto il contrario – ha continuato Bergoglio - e
questo permetta che lo dica con forza il suo
successore che ha scelto di chiamarsi Francesco!
Perché il cammino spirituàle di san Francesco
iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato,
il cuore pulsante dell’ordine, lì dove lo fondò
e dove infine rese la sua vita a Dio fu la
Porziuncola, la piccola porzione, l’angolino
presso la madre della chiesa; presso Maria che,
per la sua fede così salda e per il suo vivere
così interamente dell’amore e nell’amore con il
Signore, tutte le generazioni chiameranno beata.
Così, la Provvidenza ha voluto che lei, caro
confratello, giungesse in un luogo per così dire
propriamente “francescano” dal quale promana
una tranquillità, una pace, una forza, una
fiducia, una maturità, una fede, una dedizione
e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno
tanta forza a me ed a tutta la chiesa. E di lì, mi
permetto di dire, viene anche un sano e gioioso
senso dell’umorismo”.
Francesco ha concluso il suo discorso con
questo augurio rivolto al predecessore ma
anche a tutta la chiesa: “Che lei, santità,
possa continuare a sentire la mano del Dio
misericordioso che la sorregge, che possa
sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio;
che, con Pietro e Paolo, possa continuare a
esultare di grande gioia mentre cammina verso
la meta della fede”.
Francesco, quindi, continua nella sua opera di
riforma della chiesa. Una parola sacra ma anche
intrisa della “sacralità” della terra. Continua i
suoi viaggi verso nazioni che hanno bisogno del suo sorriso, vedi l’Armenia, sorregge i
passi, a volte un po’ lenti, che stanno portando
a una riforma della curia, cerca di annunciare
il vangelo lungo le strade impervie e difficili
degli uomini. È davvero l’uomo e il papa della
misericordia.
A qualcuno continua a non piacere. I
tradizionalisti non lo sopportano, i curiali lo
temono, in genere lo “status ecclesiale” è quello
messo a dura prova dalla parola misericordiosa
di Francesco. Ad esempio, i lefebvriani sono
i più arrabbiati. Con un comunicato del 29
giugno 2016, scrivono a chiare lettere che “la
fraternità non è alla ricerca innanzitutto di un
riconoscimento canonico”. E poi incalzano:
“Nella grande e dolorosa confusione attuale
nella chiesa, la proclamazione della dottrina
cattolica richiede la segnalazione di errori che
sono penetrati all’interno di essa, purtroppo
incoraggiati da molti pastori, fino a al papa
stesso”. La fraternità “ha un solo desiderio:
portare fedelmente la luce della tradizione
antica di 2000 anni che mostra l’unica strada
percorribile in questo momento di oscurità dove
il culto dell’uomo sostituisce il culto di Dio
nella società e nella chiesa”.
Infme, la fraternità “prega e fa penitenza
perché il papa abbia la forza di proclamare
integralmente la fede e la morale. Così sarà
accelerato il trionfo del cuore immacolato di
Maria che noi chiediamo, mentre ci avviciniamo
al centenario delle apparizioni di Fatima”.
Insomma, si preannuncia un autunno ecclesiale
“caldo”. I terni non mancano. Ma papa
Francesco non arretra di un millimetro.
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ANNO XXX - 355
Il Giubileo nella Storia -1900
I MONUMENTI AL REDENTORE
Quando si era svolto l’ultimo Giubileo solenne, nel 1825, l’allora Gioacchino Pecci aveva solo quattordici anni. Una volta divenuto Papa con il nome di Leone XIII raccontò di conservarlo nella memoria «e ci sembra quasi di vedere ancora l’afflusso dei pellegrini, la moltitudine che si aggira in ordinata schiera attorno ai templi più augusti, i luoghi più celebri che risuonano di lodi divine, il Pontefice, con grande accompagnamento di cardinali, che offre agli occhi di tutti esempi di pietà e di carità». Perciò, affinché «dovunque sulla terra si comprenda in quel tempo di passaggio la venerazione che deve avere Gesù Cristo salvatore», 1’11 maggio 1899 indisse il Giubileo con la bolla Properante ad exitum e, il successivo 25 maggio, promulgò l’enciclica Annum sacrum con la quale consacrava l’umanità al sacro Cuore di Gesù in preparazione all’Anno santo del 1900. L’organizzazione del Giubileo venne affidata a un Comitato internazionale, presieduto dal conte Giovanni Acquaderni (il cofondatore dell’Azione cattolica), che da alcuni anni stava già promuovendo la devozione a Cristo Redentore. La Porta santa di San Pietro venne aperta il 24 dicembre 1899, con una solenne cerimonia allietata dal coro della Basilica vaticana, diretto da Lorenzo Perosi. Ancor più significative furono le Messe di mezzanotte fra il 31 dicembre e il 1° gennaio sia del 1899 sia del 1900, che per disposizione del Papa vennero celebrate in tutte le chiese del mondo con l’adorazione eucaristica. La cerimonia di chiusura della Porta santa in San Pietro, il 24 dicembre 1900, vide per la prima volta inserite nella muratura venti pietre provenienti da altrettante montagne italiane sulle quali nel 1900 era stato innalzato un monumento al Redentore. Il giorno seguente, Leone XIII estese a tutte le diocesi la possibilità di celebrare il Giubileo a livello locale.
Quando si era svolto l’ultimo Giubileo solenne, nel 1825, l’allora Gioacchino Pecci aveva solo quattordici anni. Una volta divenuto Papa con il nome di Leone XIII raccontò di conservarlo nella memoria «e ci sembra quasi di vedere ancora l’afflusso dei pellegrini, la moltitudine che si aggira in ordinata schiera attorno ai templi più augusti, i luoghi più celebri che risuonano di lodi divine, il Pontefice, con grande accompagnamento di cardinali, che offre agli occhi di tutti esempi di pietà e di carità». Perciò, affinché «dovunque sulla terra si comprenda in quel tempo di passaggio la venerazione che deve avere Gesù Cristo salvatore», 1’11 maggio 1899 indisse il Giubileo con la bolla Properante ad exitum e, il successivo 25 maggio, promulgò l’enciclica Annum sacrum con la quale consacrava l’umanità al sacro Cuore di Gesù in preparazione all’Anno santo del 1900. L’organizzazione del Giubileo venne affidata a un Comitato internazionale, presieduto dal conte Giovanni Acquaderni (il cofondatore dell’Azione cattolica), che da alcuni anni stava già promuovendo la devozione a Cristo Redentore. La Porta santa di San Pietro venne aperta il 24 dicembre 1899, con una solenne cerimonia allietata dal coro della Basilica vaticana, diretto da Lorenzo Perosi. Ancor più significative furono le Messe di mezzanotte fra il 31 dicembre e il 1° gennaio sia del 1899 sia del 1900, che per disposizione del Papa vennero celebrate in tutte le chiese del mondo con l’adorazione eucaristica. La cerimonia di chiusura della Porta santa in San Pietro, il 24 dicembre 1900, vide per la prima volta inserite nella muratura venti pietre provenienti da altrettante montagne italiane sulle quali nel 1900 era stato innalzato un monumento al Redentore. Il giorno seguente, Leone XIII estese a tutte le diocesi la possibilità di celebrare il Giubileo a livello locale.
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ANNO XXX - 355
RUVO: PER UN FUTURO MIGLIORE
Premettiamo che siamo convinti che non vi
sia classe politica, amministratore pubblico, sindaco o assessore, che non voglia il
progresso della comunità in cui opera. Lo diamo
per scontato, sebbene (ma non riguarda il nostro
paese) ci siano episodi, ormai quotidiani, di malaffare, di arresti, di avvisi di garanzia indirizzati a
politici ed amministratori locali. Roma è un esempio eclatante dello sfascio cui sono giunte molte
amministrazioni a causa di fenomeni corruttivi e
di pessima amministrazione della cosa pubblica.
Anche non saper amministrare con competenza
una città costituisce un fatto assai grave. La nostra
Ruvo per fortuna non ha vissuto situazioni come
quelle appena descritte, ma fa fatica a rimettersi
in sesto a causa di un debito abnorme relativo al
mancato incasso delle somme dovute dalle cooperative edilizie. Pare che non vi siano soldi pubblici da destinare ad altre opere pubbliche e che sia
divenuto complicato persino sostituire una lampadina (a proposito di illuminazione pubblica, come
mai è così fioca in Corso Cavour?). Esigere quelle
somme sarà estremamente complesso. Probabilmente ci vorranno anni e si andrà ben oltre l’attuale amministrazione, da qualcuno definita di “salute
Pubblica” o intesa come commissariamento di un
partito e di una città che pure aveva espresso nel
2011 un sindaco, Vito Ottombrini, che suscitò molte speranze ed aspettative ma che poi, alla resa dei
conti, è stato praticamente spazzato via dal suo
stesso partito di appartenenza, pensionato, esonerato. È assai raro che un sindaco uscente non
sia ricandidato neppure dal suo partito, il quale,
evidentemente, gli ha addebitato peccati, omissioni, negligenze di cui, in ogni caso, non sarebbe
l’unico responsabile. Abbiamo l’impressione che
l’attuale amministrazione voglia far dimenticare
quella amministrazione. Senza riuscirci. Il sindaco
appare un po’ “blindato” nel suo ruolo, decisionista e scarsamente propenso al dialogo con la sua
stessa maggioranza consiliare. Qualche mal di
pancia si avverte, e proviene proprio dalle fila della
maggioranza. Questo - se ci è permesso esprimere un parere disinteressato – è il risultato inevitabile
dell’affidamento di una amministrazione ad una figura tecnica, la quale è stata “pregata” di scendere
in campo per salvare un partito in difficoltà, scosso
da turbolenze interne, e sull’orlo della esplosione.
Vogliamo credere nelle capacità di questa amministrazione di risolvere almeno qualche problema
atavico. Gli assessori sono tutti tecnici, non politici, per cui dovrebbero conoscere a menadito le
questioni e lumeggiare le soluzioni, sebbene sia
importante, democratico e responsabile non rinchiudersi nel “fortino tecnico” (anche Monti e Fornero erano tecnici) ma dialogare con i consiglieri
comunali, di maggioranza ed opposizione, al fine
di condividere le scelte ed individuare le strade più
agevoli, legittime e lecite, per portare a casa qualche risultato, per il bene comune.
Filoteo
Filoteo
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ANNO XXX - 355
“ANNUNCIARE LA GIOIA DEL VANGELO IN FAMIGLIA”
Lettera pastorale per l’anno 2016-2017 del nostro Vescovo don Mimmo
La prima lettera pastorale del nostro nuovo Vescovo, Mons. Cornacchia, è dedicata alla gioia dell’amore sponsale, anzi familiare. Egli ci induce a riflettere su alcuni temi che sono di stretta attualità, relativi alla condizione delle famiglie (e delle famiglie cristiane) e ai percorsi educativi che possono immaginarsi affinché l’amore in famiglia possa poggiarsi non sulla sabbia, ma sulle solide fondamenta della Parola di Dio, che dona gioia e stabilità. La famiglia è al centro di un vortice di spinte e controspinte. Tutelata finanche dalla Costituzione della Repubblica, non sembra granché al centro delle attenzioni del legislatore. Al di là dell’aspetto spirituale, dobbiamo affermare con forza che la famiglia tradizionale è stata accantonata a vantaggio di forme di unioni cosiddette “civili”, cioè di coabitazioni che, pur avendo le stesse caratteristiche della famiglia, non ne possiedono requisiti di stabilità e l’obbligo di fedeltà, indice di responsabilità, pazienza, coraggio. Non solo. Com’è noto, le unioni civili o di fatto contemplano anche i connubi omosessuali, mentre altre leggi hanno reso più spedito l’iter della separazione e del divorzio. Stabiliamo un punto fermo: una cosa sono le famiglie tradizionali, altra cosa sono le unioni civili, ed altra cosa ancora sono le unioni omosessuali. Per comprendere bisogna saper distinguere e non comportarsi come quei tanti ideologi che parificano i fenomeni, affermando che pur sempre di amore si tratta. È una semplificazione che rende l’idea del clima relativista culturale ed ideologico che si è impossessato delle nostre comunità. Le nostre esistenze sono bombardate di continuo da messaggi di omologazione dei fenomeni affettivi, per cui non c’è nessuna differenza fra chi si sposa in chiesa e chi si sposa civilmente, fra chi, unendosi al proprio partner, può generare, e chi non potrà mai farlo senza ricorrere ad espedienti quali l’utero in affitto (la vicenda di Vendola docet!). Il passaggio ulteriore a cui guardano le lobby omosessuali è l’adozione, con che il processo omologativo e distruttivo della famiglia tradizionale sarà concluso. Già Amintore Fanfani, nel lontano 1974, ebbe a dire che dopo il divorzio sarebbe stata l’ora delle unioni gay. Fu profetico. La gioia della famiglia che si regge sul Vangelo, letto e praticato, è tuttavia l’obiettivo cui dobbiamo tendere in quest’anno pastorale, attraverso incontri formativi, letture appropriate, esami di coscienza, onde poter verificare il grado di adesione dei componenti delle famiglie al messaggio evangelico. Si tratta sempre e comunque di operare in vista di una rievangelizzazione delle nostre comunità, e poi di allargare il cerchio a chi vive situazioni familiari difficili e di disagio, alle famiglie ferite che, come quell’uomo tramortito dai malviventi sulla strada che da Gerusalemme conduceva a Gerico, aspettano forse qualcuno che si prenda cura di loro, che sia in grado di stimolare ad una riflessione appropriata che rilanci il progetto familiare, fondandolo su nuovi presupposti e condizioni, in ciò sorretti dalla preghiera, dalla carità e dall’azione dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Il mandato del nostro Vescovo alle comunità della Diocesi è quindi molto impegnativo, ma necessario ed ineludibile. Per mutare lo spirito comunitario, oggi sfregiato da subculture nichiliste e relativiste, non v’è altro modo che comunicare la gioia che sgorga continuamente dal costato di Cristo, morto e risorto per noi affinché possiamo avere la vita, avere più vita, e, in ultimo, accedere alla gioia della vita eterna.
Salvatore Bernocco
La prima lettera pastorale del nostro nuovo Vescovo, Mons. Cornacchia, è dedicata alla gioia dell’amore sponsale, anzi familiare. Egli ci induce a riflettere su alcuni temi che sono di stretta attualità, relativi alla condizione delle famiglie (e delle famiglie cristiane) e ai percorsi educativi che possono immaginarsi affinché l’amore in famiglia possa poggiarsi non sulla sabbia, ma sulle solide fondamenta della Parola di Dio, che dona gioia e stabilità. La famiglia è al centro di un vortice di spinte e controspinte. Tutelata finanche dalla Costituzione della Repubblica, non sembra granché al centro delle attenzioni del legislatore. Al di là dell’aspetto spirituale, dobbiamo affermare con forza che la famiglia tradizionale è stata accantonata a vantaggio di forme di unioni cosiddette “civili”, cioè di coabitazioni che, pur avendo le stesse caratteristiche della famiglia, non ne possiedono requisiti di stabilità e l’obbligo di fedeltà, indice di responsabilità, pazienza, coraggio. Non solo. Com’è noto, le unioni civili o di fatto contemplano anche i connubi omosessuali, mentre altre leggi hanno reso più spedito l’iter della separazione e del divorzio. Stabiliamo un punto fermo: una cosa sono le famiglie tradizionali, altra cosa sono le unioni civili, ed altra cosa ancora sono le unioni omosessuali. Per comprendere bisogna saper distinguere e non comportarsi come quei tanti ideologi che parificano i fenomeni, affermando che pur sempre di amore si tratta. È una semplificazione che rende l’idea del clima relativista culturale ed ideologico che si è impossessato delle nostre comunità. Le nostre esistenze sono bombardate di continuo da messaggi di omologazione dei fenomeni affettivi, per cui non c’è nessuna differenza fra chi si sposa in chiesa e chi si sposa civilmente, fra chi, unendosi al proprio partner, può generare, e chi non potrà mai farlo senza ricorrere ad espedienti quali l’utero in affitto (la vicenda di Vendola docet!). Il passaggio ulteriore a cui guardano le lobby omosessuali è l’adozione, con che il processo omologativo e distruttivo della famiglia tradizionale sarà concluso. Già Amintore Fanfani, nel lontano 1974, ebbe a dire che dopo il divorzio sarebbe stata l’ora delle unioni gay. Fu profetico. La gioia della famiglia che si regge sul Vangelo, letto e praticato, è tuttavia l’obiettivo cui dobbiamo tendere in quest’anno pastorale, attraverso incontri formativi, letture appropriate, esami di coscienza, onde poter verificare il grado di adesione dei componenti delle famiglie al messaggio evangelico. Si tratta sempre e comunque di operare in vista di una rievangelizzazione delle nostre comunità, e poi di allargare il cerchio a chi vive situazioni familiari difficili e di disagio, alle famiglie ferite che, come quell’uomo tramortito dai malviventi sulla strada che da Gerusalemme conduceva a Gerico, aspettano forse qualcuno che si prenda cura di loro, che sia in grado di stimolare ad una riflessione appropriata che rilanci il progetto familiare, fondandolo su nuovi presupposti e condizioni, in ciò sorretti dalla preghiera, dalla carità e dall’azione dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Il mandato del nostro Vescovo alle comunità della Diocesi è quindi molto impegnativo, ma necessario ed ineludibile. Per mutare lo spirito comunitario, oggi sfregiato da subculture nichiliste e relativiste, non v’è altro modo che comunicare la gioia che sgorga continuamente dal costato di Cristo, morto e risorto per noi affinché possiamo avere la vita, avere più vita, e, in ultimo, accedere alla gioia della vita eterna.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXX - 355
Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo straordinario della Misericordia
Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e
ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo
pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla
schiavitù del denaro; l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa’
che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la
parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio! Tu sei il volto visibile
del Padre invisibile, del Dio che manifesta la
sua onnipotenza soprattutto con il perdono e
la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e
nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono
nell’ignoranza e nell’errore: fa’ che chiunque
si accosti a uno di loro si senta atteso, amato
e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e
consacraci tutti con la sua unzione perché
il Giubileo della Misericordia sia un anno di
grazia del Signore e la tua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri
il lieto messaggio proclamare ai prigionieri e
agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la
vista. Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a te che vivi e
regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i
secoli dei secoli. Amen
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ANNO XXX - 355
OTTOBRE: MARIA, REGINA DEL SANTO ROSARIO
È questo l’invito chiaro della Vergine
affinché i credenti rafforzino la propria
fede e preghino, sì da fermare la diffusione
del male e ottenere la conversione degli atei.
Senza dubbio il Rosario, in seguito alle tante
sollecitazioni di Maria, è una delle più efficaci
preghiere cristiane e, nella storia, non solo i
santi, ma tutte le persone di fede hanno amato
tale preghiera e ne hanno promosso la pratica
quotidiana, per rendere grazie alla Madre della
Misericordia. Nella realtà contemporanea la
recita del Rosario è una supplica corale per
superare tutte le perversioni del nostro tempo
e salvare la società dove, purtroppo, regnano
criminalità, edonismo, indifferenza... Ma Maria
è mediatrice di tutte le grazie e, in risposta
alla pia pratica della recita del Santo Rosario,
chiede al Suo Figlio diletto di aiutare e salvare
gli uomini, anche quelli indifferenti e ingrati
del Suo sacrificio. Chi crede, attraverso la
preghiera, compie un atto di totale affidamento
alla Madonna e nello stesso tempo si lascia
guidare dalla Sua costante e premurosa
presenza. La preghiera del Santo Rosario è
il pane che alimenta e sostiene i credenti nel
loro cammino sulla terra, perciò, là dove si fa
unanime il grido da parte di tutti gli uomini,
Maria placa gli “spiriti” bollenti e guerrafondai,
ferma le logiche della vendetta, genera armonia
e pace. L’uomo ha, dunque, bisogno di recitare
il Santo Rosario: un bisogno del corpo e
dell’anima, per riparare alle offese e cibarsi
della gloria di Dio. Maria, Madre del Figlio di Dio
e di tutti gli uomini, desidera che ogni creatura
diventi il santuario della vita e dell’amore. “…
dal Rosario si può ottenere tutto. È una lunga catena che lega il cielo e la terra. Una delle
estremità è nelle nostre mani, l’altra in quelle
della Madonna. Finché il Rosario sarà recitato,
Dio non potrà abbandonare il mondo, perché
questa preghiera è onnipotente al Suo Cuore’’.
(S. Teresa del Bambin Gesù). Recitare il Rosario
è una vera dichiarazione d’amore e di fede a
Maria, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo:
è una forma di dialogo intimo e profondo con
chi ama in modo infinito ed eterno e il continuo
ripetere l’invocazione “Ave Maria” diventa un
colloquio filiale che avvicina a Dio, consente
di vivere secondo la Sua volontà, dà il senso
del vivere la propria missione sulla terra. Ma,
a quale missione è chiamato l’uomo? Sotto
gli occhi di tutti ci sono i conflitti in varie parti
del mondo: si inneggia alla guerra, si sevizia,
si perseguita, si uccide senza pietà, ritenendo
sia l’unica strada per risolvere i problemi
di convivenza, rimuovendo il principio e il
significato dell’essere creature dello stesso
universo. L’invito di Maria è dunque disatteso
dai più, accecati come sono dall'odio,
dall'esaltazione di sé, dall'egoismo sfrenato
e dall'indifferenza fredda. È facile prendere le
distanze dalle amare realtà che affliggono i
fratelli meno fortunati, figli dello stesso Padre.
L’.uomo di oggi è sordo al richiamo accorato
della Vergine e con il suo considerarsi estraneo
ai fatti mette in atto la perfida strategia del
fratello che dice al proprio fratello: - Andiamo
ai campi!
Come non accogliere con zelo e amore filiale
l’invito di Maria? Corale dovrebbe essere
la risposta, sciogliendo labbra e cuore
all'invocazione dolce: “Ave Maria!”.
A.B.
A.B.
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ANNO XXX - 355
Nel tempo e nello spazio di Dio
Verso la fine delle vacanze, ma col
pensiero al prossimo anno pastorale e
quindi alla riorganizzazione delle varie
iniziative che serviranno
a bene impostare
quest’anno, mentre termina
l’anno giubilare e, con
novembre, saremo alla fine
e alla verifica del ventennio
della esperienza bellissima
del Sinodo parrocchiale
1994/95 e a quella della
realizzazione del mosaico
absidale della nostra chiesa
parrocchiale. Ci ritrovammo
intanto per il settenario in
onore della Addolorata e per
l’adorazione mensile animata dal
gruppo eucaristico e in quella
di P. Pio che festeggiammo
preparandoci con un triduo solenne e la breve processione del Santo la sera del 23
settembre. Ci siamo poi portati a Molfetta
per il Convegno diocesano sul
tema “Annunciare la Gioia del
Vangelo in famiglia”. Molto utili
le riflessioni del Vescovo don
Mimmo e quella di d. Paolo
Gentili della CEI. Un momento
molto bello e fruttuoso quello
della festa di S. Vincenzo de’
Paoli, animato dal Volontariato
Vincenziano; il parroco non
ha mancato di sottolineare
la vocazione caritativa di
questo Santo che ha mirato
ad andare all’essenziale del
Vangelo: la carità. Si è poi
tenuta a Riva del Sole la
convivenza della prima Comunità
neocatecumenale.
Luca
Luca
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ANNO XXX - 355
TESTATA CHE FAVORISCE LA “COMUNIONE” E LA “PARTECIPAZIONE”
Trent’anni di Fermento: porta che introduce alla vita parrocchiale, finestra aperta sul mondo
La cartina di tornasole per valutare l’efficacia di Fermento, testata che affonda le radici nel disegno conciliare, è il primo editoriale firmato da mons. Vincenzo Pellegrini nel gennaio 1986.
Fermento nasce trent’anni fa, come fattore di crescita della comunità intitolata al SS.mo Redentore in Ruvo di Puglia, con due chiari obiettivi: comunione e partecipazione.
La comunicazione può accrescere la comunione e la partecipazione? Come incrementarle nel popolo di Dio? Come instillare, nella famiglia dei credenti, i germi di vita nuova di cui trasuda la Parola e la liturgia? Come accrescere l’attenzione alla diversità e accogliere il volto dell’altro? In che modo attraversare la navata del mondo per testimoniare Cristo oggi? La mission è questa. Improba ma decisiva.
Il lettore valuti con serenità se lo strumento di comunicazione, benedetto e incoraggiato da don Tonino Bello fin dal suo nascere, e da allora mai sottrattosi all’appuntamento mensile, ha effettivamente costituito occasione di fermento nell’ambito del progetto richiamato.
Dal canto mio, credo abbia svolto al meglio il proprio compito! Sulle pagine ho letto sintesi riuscite sugli orientamenti pastorali di Chiesa locale, puntuali catechesi capaci di ricucire e irrobustire il tessuto parrocchiale, chiari riferimenti alla cronaca religiosa e interessanti spaccati di storia locale, precisi richiami agli appuntamenti ecclesiali, esiti di coinvolgimento sinodale per innovare la realtà guardando con speranza al futuro, intelligenti interpretazioni dei fatti di cronaca, valutazioni sociali riferite ai punti di forza e di debolezza del territorio su cui insiste la parrocchia e chi la abita.
Da trent’anni Fermento è una porta ospitale che introduce alla vita parrocchiale e una finestra aperta sul mondo, grazie al significativo apporto dei vescovi diocesani che non hanno disdegnato di collaborare (preziose e d’indirizzo le considerazioni eucaristiche svolte da don Tonino Bello), del parroco e di diversi laici provvisti di talento giornalistico.
Collaborazioni, tutte, all’insegna della gratuità per una testata che viene offerta senza prezzo e che per questo non teme qualche considerazione scomposta, valutazioni malevoli, offensive e, forse, invidiose, di chi, evidentemente nel disagio, non risparmia insulti mentre indugia in giochi di parole, citazioni improprie della Parola, e si trastulla in codicilli e carte bollate pur di detenere il possesso esclusivo di beni non propri.
Fermento non ha corrotto le masse (addirittura!), ma ha teso a correggere, incline alla ricerca del Bene che non all’accaparramento dei beni materiali e ai conti da ragioniere. Tale comportamento antiecclesiale e anticomunitario di fatto sfugge a qualsiasi logica ecclesiale ed evangelica. Non solo. Tipizza il soggetto che si è lasciato andare ad una dissenteria di parole maleodoranti. Nell’epoca dei social, spesso impostati sulla comunicazione essenziale, necessariamente sintetica e virtuale, Fermento non rinuncia alla sfida di un’informazione cartacea che intende legare l’eterno al tempo, i valori al quotidiano, la fede alla vita. L’augurio è di continuare su questa strada.
Renato Brucoli
La cartina di tornasole per valutare l’efficacia di Fermento, testata che affonda le radici nel disegno conciliare, è il primo editoriale firmato da mons. Vincenzo Pellegrini nel gennaio 1986.
Fermento nasce trent’anni fa, come fattore di crescita della comunità intitolata al SS.mo Redentore in Ruvo di Puglia, con due chiari obiettivi: comunione e partecipazione.
La comunicazione può accrescere la comunione e la partecipazione? Come incrementarle nel popolo di Dio? Come instillare, nella famiglia dei credenti, i germi di vita nuova di cui trasuda la Parola e la liturgia? Come accrescere l’attenzione alla diversità e accogliere il volto dell’altro? In che modo attraversare la navata del mondo per testimoniare Cristo oggi? La mission è questa. Improba ma decisiva.
Il lettore valuti con serenità se lo strumento di comunicazione, benedetto e incoraggiato da don Tonino Bello fin dal suo nascere, e da allora mai sottrattosi all’appuntamento mensile, ha effettivamente costituito occasione di fermento nell’ambito del progetto richiamato.
Dal canto mio, credo abbia svolto al meglio il proprio compito! Sulle pagine ho letto sintesi riuscite sugli orientamenti pastorali di Chiesa locale, puntuali catechesi capaci di ricucire e irrobustire il tessuto parrocchiale, chiari riferimenti alla cronaca religiosa e interessanti spaccati di storia locale, precisi richiami agli appuntamenti ecclesiali, esiti di coinvolgimento sinodale per innovare la realtà guardando con speranza al futuro, intelligenti interpretazioni dei fatti di cronaca, valutazioni sociali riferite ai punti di forza e di debolezza del territorio su cui insiste la parrocchia e chi la abita.
Da trent’anni Fermento è una porta ospitale che introduce alla vita parrocchiale e una finestra aperta sul mondo, grazie al significativo apporto dei vescovi diocesani che non hanno disdegnato di collaborare (preziose e d’indirizzo le considerazioni eucaristiche svolte da don Tonino Bello), del parroco e di diversi laici provvisti di talento giornalistico.
Collaborazioni, tutte, all’insegna della gratuità per una testata che viene offerta senza prezzo e che per questo non teme qualche considerazione scomposta, valutazioni malevoli, offensive e, forse, invidiose, di chi, evidentemente nel disagio, non risparmia insulti mentre indugia in giochi di parole, citazioni improprie della Parola, e si trastulla in codicilli e carte bollate pur di detenere il possesso esclusivo di beni non propri.
Fermento non ha corrotto le masse (addirittura!), ma ha teso a correggere, incline alla ricerca del Bene che non all’accaparramento dei beni materiali e ai conti da ragioniere. Tale comportamento antiecclesiale e anticomunitario di fatto sfugge a qualsiasi logica ecclesiale ed evangelica. Non solo. Tipizza il soggetto che si è lasciato andare ad una dissenteria di parole maleodoranti. Nell’epoca dei social, spesso impostati sulla comunicazione essenziale, necessariamente sintetica e virtuale, Fermento non rinuncia alla sfida di un’informazione cartacea che intende legare l’eterno al tempo, i valori al quotidiano, la fede alla vita. L’augurio è di continuare su questa strada.
Renato Brucoli
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ANNO XXX - 354
LA SPERANZA PER RIPRENDERE IL CAMMINO
Miei Cari,
mentre sembrano in aumento situazioni di grigiore, con pastori appiattiti e laici rassegnati, i giovani che sfuggono a ogni proposta, adulti e anziani che “lasciano” gli ambienti ecclesiali, viene di chiedere: “C’è ancora da sperare?” E non solo nel mondo che rivela insieme segni di sazietà e disperazione, ma talvolta anche nella Chiesa per cui è stato scritto che “La chiesa è in crisi perché manca proprio la Chiesa”. È una riflessione che mi è capitata sotto mano nei giorni del campo-scuola dei giovani, provocato da alcune considerazioni di essi.
Non è scontato, né facile vivere di speranza, né tanto meno trasmetterla agli altri.
Non va dimenticato però che l’esperienza cristiana può mettere radici profonde in un Dio vicino e fraterno, creativo e sempre in grado di rinnovare la vita. Un Dio che progetta sempre il bene dell’uomo, fino a sognare una festa eterna nella sua casa. Allora a noi non resta che progettare il bene per sé, per la comunità, per l’uomo di oggi e di domani. A me sembra quindi che questo mese che stiamo vivendo offra buone possibilità per rinnovare la speranza. Mentre riprendiamo le attività di famiglia, di scuola, di parrocchia, innerviamo la routine quotidiana di progettualità aiutandoci a dare significato pieno e ricco al quotidiano. E nella Chiesa applicandoci ai programmi pastorali propositivi e condivisi col nostro Vescovo. È stato scritto anche che uno dei compiti della Chiesa è “organizzare la speranza”. E organizzarla insieme è più facile: anzi è obbligatorio. Che dire allora? Buon lavoro a tutti. Riprendiamo il cammino nella “speranza”.
don Vincenzo
mentre sembrano in aumento situazioni di grigiore, con pastori appiattiti e laici rassegnati, i giovani che sfuggono a ogni proposta, adulti e anziani che “lasciano” gli ambienti ecclesiali, viene di chiedere: “C’è ancora da sperare?” E non solo nel mondo che rivela insieme segni di sazietà e disperazione, ma talvolta anche nella Chiesa per cui è stato scritto che “La chiesa è in crisi perché manca proprio la Chiesa”. È una riflessione che mi è capitata sotto mano nei giorni del campo-scuola dei giovani, provocato da alcune considerazioni di essi.
Non è scontato, né facile vivere di speranza, né tanto meno trasmetterla agli altri.
Non va dimenticato però che l’esperienza cristiana può mettere radici profonde in un Dio vicino e fraterno, creativo e sempre in grado di rinnovare la vita. Un Dio che progetta sempre il bene dell’uomo, fino a sognare una festa eterna nella sua casa. Allora a noi non resta che progettare il bene per sé, per la comunità, per l’uomo di oggi e di domani. A me sembra quindi che questo mese che stiamo vivendo offra buone possibilità per rinnovare la speranza. Mentre riprendiamo le attività di famiglia, di scuola, di parrocchia, innerviamo la routine quotidiana di progettualità aiutandoci a dare significato pieno e ricco al quotidiano. E nella Chiesa applicandoci ai programmi pastorali propositivi e condivisi col nostro Vescovo. È stato scritto anche che uno dei compiti della Chiesa è “organizzare la speranza”. E organizzarla insieme è più facile: anzi è obbligatorio. Che dire allora? Buon lavoro a tutti. Riprendiamo il cammino nella “speranza”.
don Vincenzo
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ANNO XXX - 354
PRENDERSI CURA DELLA CASA COMUNE
"Usiamo misericordia verso la nostra
casa comune" è il titolo del Messaggio scritto da Papa Francesco per la
Giornata mondiale di preghiera per la cura
del creato che, in unione con il mondo ortodosso e in sintonia con le altre Chiese cristiane, la Chiesa cattolica celebra il 1° settembre. “La terra grida”, scrive il Papa, e “non
possiamo arrenderci o essere indifferenti alla
perdita della biodiversità e alla distruzione
degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri
comportamenti irresponsabili ed egoistici”.
È l’ottava opera di misericordia voluta da
Papa Francesco in questo anno giubilare. È la
cura della casa comune, il nostro pianeta Terra che grida e ha bisogno di un radicale cambiamento di rotta prima che sia troppo tardi.
È un Messaggio breve ma ricco di spunti e
proposte concrete quello che Papa Francesco
ha diffuso in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato che la
Chiesa cattolica celebra per il secondo anno il
1° settembre in unione spirituale con il mondo ortodosso e in sintonia “ecumenica” con
le altre Chiese cristiane, che alla salvaguardia
del creato dal 2007 dedicano 5 settimane, dal
1° settembre al 4 ottobre.
Le opere di misericordia sono sette e sono elencate nel brano del Vangelo di Matteo 25: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Nel periodo medievale se ne è aggiunta una settima: “Seppellire i morti”. Papa Francesco ne propone una nuova, “moderna”, all’altezza dei tempi e delle sfide attuali: la cura della casa comune. “La terra grida”, dice il Papa, e “non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici”. Il Papa è preoccupato per la sorte della Terra e per gli effetti che i cambiamenti climatici hanno soprattutto sulle popolazioni più povere. “Il pianeta – scrive nel Messaggio – continua a riscaldarsi, in parte a causa dell’attività umana: il 2015 è stato l’anno più caldo mai registrato e probabilmente il 2016 lo sarà ancora di più. Questo provoca siccità, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi sempre più gravi. I cambiamenti climatici contribuiscono anche alla straziante crisi dei migranti forzati. I poveri del mondo, che pure sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono i più vulnerabili e già ne subiscono gli effetti”. Francesco invita a fare un esame di coscienza ma il pentimento “deve tradursi in atteggiamenti e comportamenti concreti più rispettosi del creato”. Il Messaggio contiene una sorta di decalogo, una serie di “gesti” concreti da compiere nel rispetto per l’ambiente: “Fare un uso oculato della plastica e della carta, non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, differenziare i rifiuti, trattare con cura gli esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico e condividere un medesimo veicolo tra più persone”. “Non dobbiamo credere – scrive il Papa – che questi sforzi siano troppo piccoli per migliorare il mondo. Tali azioni provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente e incoraggiano ad uno stile profetico e contemplativo, capaci di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo”.
Salvatore Bernocco
Le opere di misericordia sono sette e sono elencate nel brano del Vangelo di Matteo 25: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Nel periodo medievale se ne è aggiunta una settima: “Seppellire i morti”. Papa Francesco ne propone una nuova, “moderna”, all’altezza dei tempi e delle sfide attuali: la cura della casa comune. “La terra grida”, dice il Papa, e “non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici”. Il Papa è preoccupato per la sorte della Terra e per gli effetti che i cambiamenti climatici hanno soprattutto sulle popolazioni più povere. “Il pianeta – scrive nel Messaggio – continua a riscaldarsi, in parte a causa dell’attività umana: il 2015 è stato l’anno più caldo mai registrato e probabilmente il 2016 lo sarà ancora di più. Questo provoca siccità, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi sempre più gravi. I cambiamenti climatici contribuiscono anche alla straziante crisi dei migranti forzati. I poveri del mondo, che pure sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono i più vulnerabili e già ne subiscono gli effetti”. Francesco invita a fare un esame di coscienza ma il pentimento “deve tradursi in atteggiamenti e comportamenti concreti più rispettosi del creato”. Il Messaggio contiene una sorta di decalogo, una serie di “gesti” concreti da compiere nel rispetto per l’ambiente: “Fare un uso oculato della plastica e della carta, non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, differenziare i rifiuti, trattare con cura gli esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico e condividere un medesimo veicolo tra più persone”. “Non dobbiamo credere – scrive il Papa – che questi sforzi siano troppo piccoli per migliorare il mondo. Tali azioni provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente e incoraggiano ad uno stile profetico e contemplativo, capaci di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo”.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXX - 354
Madre Teresa: IL SORRISO DELLA SANTITÀ
Il percorso per riconoscere la santità (canonizzazione) si avvia in presenza di un miracolo ottenuto per l’intercessione di una persona che ha vissuto in maniera sublime il Vangelo. Penso che per
Madre Teresa di Calcutta tale richiesta sia solo un
valore aggiunto. L’aurea della santità era evidente
già in vita e la morte, avvenuta il 5 settembre 1997,
ha solo confermato l’esercizio eroico delle virtù.
Elevarla all’onore degli altari è quanto mai doveroso e significativo.
Due i miracoli riconosciuti: la guarigione nel 1998 di una donna induista originaria di un villaggio a nord di Calcutta e quella nel 2008 di un uomo ridotto in fin di vita da “ascessi multipli cerebrali con idrocefalo ostruttivo”.
È tuttavia la sua stessa vicenda personale a essere un “miracolo” della fede. Dalla periferica Albania ai quartieri più poveri e degradati di Calcutta. Una santità delle periferie, per dirla con parole care a papa Francesco. Sarà proprio lui il 4 settembre ad additare al mondo quale esempio di virtù cristiane la piccola suora in sari bianco (la veste tradizionale delle donne indiane) orlato di blu. La biografia ci dice che non si tratta di una semplice e pia vocazione alla vita religiosa. Destinata al compito educativo, secondo la regola dell’Istituto delle Suore di Loreto presso le quali aveva emesso i voti, Madre Teresa (al secolo Agnes Gonxha Bojaxhiu) ha scoperto la «chiamata nella chiamata» sulle strade dell’India. Divenuta l’angelo dei poveri, la sua figura e la sua opera hanno valicato i confini del paese asiatico fino ad assurgere a emblema di carità in tutto il mondo.
Da quel primo incontro con una donna che giaceva sul marciapiede: «Era debole, sottile e magrissima - ricorda lei stessa-; si vedeva che era molto malata e l’odore del suo corpo era così forte che stavo per vomitare... ho visto dei grossi topi che mordevano il suo corpo senza speranza, e mi sono detta: questa è la cosa peggiore che hai visto in tutta la tua vita».
Non ci sono state barriere di etnia, di religione, di cultura che abbiamo prevalso sulla carità, suscitando stupore negli stessi emarginati.
Non sono mancate le accuse, le dicerie, le calunnie: sulla gestione dei fondi, sul modo di intendere l’aiuto ai poveri e ai moribondi, sui suoi ricoveri.
Non sono mancati nemmeno i momenti bui, abbandonata in una “aridità spirituale”, fra “le torture della solitudine”. Una “dolorosa notte” dell’anima iniziata nel periodo in cui aveva cominciato il suo apostolato che la condusse a un’unione ancora più profonda con Dio. Attraverso l’oscurità partecipò misticamente alla sete di Gesù, al suo desiderio, doloroso e ardente, di amore.
Del grido di Cristo sulla croce, “ho sete”, fece un motto, trascritto nelle cappelle delle case delle Missionarie della Carità.
I veri miracoli sono la sua vita e la sua carità: come dal nulla di una esistenza possa emergere un’opera così grande! La definizione più significativa di se stessa viene dai suoi scritti: una matita nelle mani di Dio. Una semplice matita per non darsi importanza e tracciare segni senza arroganza. Il Nobel per la Pace tributato nel 1979 è il riconoscimento laico di una santità smisurata.
È questa la forza della carità cristiana: non conosce barriere o differenze e si presenta come la migliore testimonianza del Vangelo. L’immagine che ci portiamo nel cuore è il suo sorriso. Il sorriso di una donna esile e minuta, avvolta nei semplici lini grezzi del vestito dei poveri. Ma quanta forza e quanta soavità in quel volto ormai consunto come una vecchia pergamena! Come ebbe a dire un giornalista: «Madre Teresa è una finestra aperta, e Dio si è affacciato e ha sorriso al mondo».
L.T.
Due i miracoli riconosciuti: la guarigione nel 1998 di una donna induista originaria di un villaggio a nord di Calcutta e quella nel 2008 di un uomo ridotto in fin di vita da “ascessi multipli cerebrali con idrocefalo ostruttivo”.
È tuttavia la sua stessa vicenda personale a essere un “miracolo” della fede. Dalla periferica Albania ai quartieri più poveri e degradati di Calcutta. Una santità delle periferie, per dirla con parole care a papa Francesco. Sarà proprio lui il 4 settembre ad additare al mondo quale esempio di virtù cristiane la piccola suora in sari bianco (la veste tradizionale delle donne indiane) orlato di blu. La biografia ci dice che non si tratta di una semplice e pia vocazione alla vita religiosa. Destinata al compito educativo, secondo la regola dell’Istituto delle Suore di Loreto presso le quali aveva emesso i voti, Madre Teresa (al secolo Agnes Gonxha Bojaxhiu) ha scoperto la «chiamata nella chiamata» sulle strade dell’India. Divenuta l’angelo dei poveri, la sua figura e la sua opera hanno valicato i confini del paese asiatico fino ad assurgere a emblema di carità in tutto il mondo.
Da quel primo incontro con una donna che giaceva sul marciapiede: «Era debole, sottile e magrissima - ricorda lei stessa-; si vedeva che era molto malata e l’odore del suo corpo era così forte che stavo per vomitare... ho visto dei grossi topi che mordevano il suo corpo senza speranza, e mi sono detta: questa è la cosa peggiore che hai visto in tutta la tua vita».
Non ci sono state barriere di etnia, di religione, di cultura che abbiamo prevalso sulla carità, suscitando stupore negli stessi emarginati.
Non sono mancate le accuse, le dicerie, le calunnie: sulla gestione dei fondi, sul modo di intendere l’aiuto ai poveri e ai moribondi, sui suoi ricoveri.
Non sono mancati nemmeno i momenti bui, abbandonata in una “aridità spirituale”, fra “le torture della solitudine”. Una “dolorosa notte” dell’anima iniziata nel periodo in cui aveva cominciato il suo apostolato che la condusse a un’unione ancora più profonda con Dio. Attraverso l’oscurità partecipò misticamente alla sete di Gesù, al suo desiderio, doloroso e ardente, di amore.
Del grido di Cristo sulla croce, “ho sete”, fece un motto, trascritto nelle cappelle delle case delle Missionarie della Carità.
I veri miracoli sono la sua vita e la sua carità: come dal nulla di una esistenza possa emergere un’opera così grande! La definizione più significativa di se stessa viene dai suoi scritti: una matita nelle mani di Dio. Una semplice matita per non darsi importanza e tracciare segni senza arroganza. Il Nobel per la Pace tributato nel 1979 è il riconoscimento laico di una santità smisurata.
È questa la forza della carità cristiana: non conosce barriere o differenze e si presenta come la migliore testimonianza del Vangelo. L’immagine che ci portiamo nel cuore è il suo sorriso. Il sorriso di una donna esile e minuta, avvolta nei semplici lini grezzi del vestito dei poveri. Ma quanta forza e quanta soavità in quel volto ormai consunto come una vecchia pergamena! Come ebbe a dire un giornalista: «Madre Teresa è una finestra aperta, e Dio si è affacciato e ha sorriso al mondo».
L.T.
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ANNO XXX - 354
A che punto siamo
Il 24 giugno 2016 è stato proclamato
sindaco di Ruvo di Puglia il prof.
Pasquale Chieco, detto Ninni. Ha chiamato al suo fianco, in qualità di assessori,
alcuni “tecnici”, cioè persone addentro
alle materie di competenza loro affidate.
Tranne l’assessore Domenica Montaruli,
si tratta di tecnici esterni alla realtà ruvese.
La scelta degli assessori compete esclusivamente al Sindaco, per cui presumiamo che abbia avuto le sue buone ragioni per scegliere uomini e donne non appartenenti alla comunità ruvese, che pure possiede persone competenti e sicuramente in grado di gestire un assessorato. Molti leggono tale opzione come un segno di netta rottura con la precedente amministrazione di sinistra, guidata da Vito Ottombrini, la cui vicenda amministrativa e politica è stata particolarmente travagliata. Insomma, ci sarebbero due o tre sinistre che non dialogano fra loro o che dialogano faticosamente ma che comunque sono unite, tant’è vero che, se diamo uno sguardo ai risultati delle consultazioni amministrative, notiamo che fra gli eletti non vi è nessuna presenza riveniente dall’esperienza del PPI o della DC.
La tradizione cattolico democratica è stata quindi azzerata, e questa evidenza oggettiva ci autorizza a concludere che questa amministrazione è esclusivamente di sinistra. È come se si fosse riformato il patto PCI-PSI di altri tempi. L’asse dei moderati non ha sfondato per varie ragioni nonostante sia maggioranza nel paese. Le divisioni hanno contato più dell’elemento dell’unità. Se non si è uniti e compatti non si vincono le elezioni. È lapalissiano, ma a Ruvo si stenta a comprenderlo. Potremmo dire che chi è causa del suo male pianga sé stesso.
Occorre un rinnovamento che lanci sul proscenio della politica locale nuovi cavalli di razza, ammesso che ce ne siano, perché la politica non è tecnica, o solo tecnica, ma è un’arte complessa che tiene insieme politica e tecnica. La sola tecnica rischia di degenerare nel tecnicismo sterile ed infruttuoso, laddove la politica tiene conto non soltanto del dato tecnico ma anche delle condizioni politiche, sempre nel pieno rispetto delle norme di legge e dei principi che disciplinano la pubblica amministrazione.
Intanto, ad oggi l’azione amministrativa appare in affanno o un po’ stagnante. Di certo non si può giudicare un’amministrazione dopo solo tre mesi. Bisogna prendere contatto con le problematiche amministrative, che sono molte e complicate, formarsi un’idea precisa di come e cosa fare per risolverne alcune, per cui va concesso il giusto periodo di rodaggio ai nuovi amministratori. Il nostro auspicio è che le promesse elettorali si concretizzino in fatti reali. Al di là dei titoli e delle parole, sono i fatti che contano, e sui fatti questa amministrazione sarà giudicata a suo tempo dal corpo elettorale, parte cospicua del quale si è astenuta, mostrando disinteresse o distacco assoluto dalle vicende politiche. All’opposizione spetterà il compito di controllare l’azione amministrativa e di pungolarla con proposte ed iniziative politiche serie. L’alternativa va costruita passo dopo passo, anche attraverso la comunicazione continua con i cittadini, i quali sono comunque desiderosi di conoscere i fatti amministrativi e di partecipare in qualche misura alle vicende che li coinvolgono
Filoteo
La scelta degli assessori compete esclusivamente al Sindaco, per cui presumiamo che abbia avuto le sue buone ragioni per scegliere uomini e donne non appartenenti alla comunità ruvese, che pure possiede persone competenti e sicuramente in grado di gestire un assessorato. Molti leggono tale opzione come un segno di netta rottura con la precedente amministrazione di sinistra, guidata da Vito Ottombrini, la cui vicenda amministrativa e politica è stata particolarmente travagliata. Insomma, ci sarebbero due o tre sinistre che non dialogano fra loro o che dialogano faticosamente ma che comunque sono unite, tant’è vero che, se diamo uno sguardo ai risultati delle consultazioni amministrative, notiamo che fra gli eletti non vi è nessuna presenza riveniente dall’esperienza del PPI o della DC.
La tradizione cattolico democratica è stata quindi azzerata, e questa evidenza oggettiva ci autorizza a concludere che questa amministrazione è esclusivamente di sinistra. È come se si fosse riformato il patto PCI-PSI di altri tempi. L’asse dei moderati non ha sfondato per varie ragioni nonostante sia maggioranza nel paese. Le divisioni hanno contato più dell’elemento dell’unità. Se non si è uniti e compatti non si vincono le elezioni. È lapalissiano, ma a Ruvo si stenta a comprenderlo. Potremmo dire che chi è causa del suo male pianga sé stesso.
Occorre un rinnovamento che lanci sul proscenio della politica locale nuovi cavalli di razza, ammesso che ce ne siano, perché la politica non è tecnica, o solo tecnica, ma è un’arte complessa che tiene insieme politica e tecnica. La sola tecnica rischia di degenerare nel tecnicismo sterile ed infruttuoso, laddove la politica tiene conto non soltanto del dato tecnico ma anche delle condizioni politiche, sempre nel pieno rispetto delle norme di legge e dei principi che disciplinano la pubblica amministrazione.
Intanto, ad oggi l’azione amministrativa appare in affanno o un po’ stagnante. Di certo non si può giudicare un’amministrazione dopo solo tre mesi. Bisogna prendere contatto con le problematiche amministrative, che sono molte e complicate, formarsi un’idea precisa di come e cosa fare per risolverne alcune, per cui va concesso il giusto periodo di rodaggio ai nuovi amministratori. Il nostro auspicio è che le promesse elettorali si concretizzino in fatti reali. Al di là dei titoli e delle parole, sono i fatti che contano, e sui fatti questa amministrazione sarà giudicata a suo tempo dal corpo elettorale, parte cospicua del quale si è astenuta, mostrando disinteresse o distacco assoluto dalle vicende politiche. All’opposizione spetterà il compito di controllare l’azione amministrativa e di pungolarla con proposte ed iniziative politiche serie. L’alternativa va costruita passo dopo passo, anche attraverso la comunicazione continua con i cittadini, i quali sono comunque desiderosi di conoscere i fatti amministrativi e di partecipare in qualche misura alle vicende che li coinvolgono
Filoteo
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ANNO XXX - 354
Nel tempo e nello spazio di Dio
Le attività parrocchiali proseguirono
regolarmente nel mese di agosto
attraverso le varie iniziative a ogni
livello preso villa Pasqualina
e col campo-scuola che
ci ha fatto fare ritorno
a Torre Lapillo accolti
dall’amabile don Pasquale
Rizzo di Bonocore di
Nardò. Interessante la
connotazione comunitaria:
hanno partecipato insieme
famiglie del Cammino neocatecumenale e membri
del sodalizio di S. Rocco,
insieme ad altri giovani. Belli i
momenti di svago e soprattutto
di preghiera. Anche i momenti
spirituali non sono stati disattesi,
come l’adorazione mensile, il
Triduo all’Assunta e quello a S. Rocco con la festa celebrata il 16 e la tradizionale breve
processione. Abbiamo poi festeggiato alcune
coppie di sposi (Anna Maria e
Vincenzo, Salvatore e Adele)
per il 50° e 25° di matrimonio, e
l’incontro con Mons. D’Addezio
parroco in Muro Lucano
dove il nostro parroco si è
portato per predicare nella
ricorrenza dei festeggiamenti
in onore di S. Gerardo, nato
appunto in Muro Lucano.
Il 28 poi la comunità si è
riunita nell’anniversario del
cammino iniziato insieme il
28 agosto 1983.
Indimenticabile poi
l’incontro che il vescovo
don Mimmo ha avuto con le
comunità parrocchiali presenti in parrocchia.
Luca
Luca
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ANNO XXX - 354
Un sogno d'Estate
Miei Cari,
mi è capitato tra le mani un “sogno d’estate”: un testo firmato Michel Seyrat, trovato in una piccola chiesa del sud della Francia, pubblicato da “L’Echo” di Losanna, che qui vi propongo tradotto in lingua italiana.
Signore, ti prego, dà un pò di vacanze alla tua Chiesa. E’ il tuo corpo, Signore, e lui ha pure bisogno di riposo. Da mille e novecento e più anni lavora a tutto spiano, predica senza pause, parla, scrive, tuona, costruisce ogni giorno, poi cura e amministra, viaggia e pellegrina in mille pellegrinaggi, dogmatizza, teorizza, moralizza, organizza, è tradizionalista oppure sinistroide, talvolta fa politica, talaltra divide benedice e assolve, scrive e istruisce, beatifica, scomunica, pacifica. Da una parte si svuota, altrove si riempie, talvolta si ripete, qualche volta si rinnova. O Signore, un pò di vacanze per la Chiesa! Alcuni hanno paura che si esaurisca. Quando viene l’estate sogno una chiesa piccola, albergo sulla riva di un lago, e ciascuno può raccontare nel tepore delle sere estive il suo orgoglio e la sua pena. Sogno una Chiesa-spiaggia, inzuppata di luce, dove nessuno ha vergogna né del corpo, né degli occhi, una Chiesa nell’infinito che riflette il mare. Sogno una Chiesa-tenda, sempre pronta a migrare, per andare dove l’uomo ha bisogno d’un riparo. Sogno una Chiesa che mostra i suoi crucci, che sorride, si distende, si apre, ascolta e perdona. Sogno una Chiesa-tavola a vela, leggera, ogni vela dispiegata ed ebbra di vento. Sogno una Chiesa che non corra all’ultimo appuntamento di ieri, con un’agenda sovraccarica, ma abbia una pagina bianca, per un domani aperto e disponibile. Sogno una Chiesa-festa popolare e festival, una Chiesa-orchestra di jazz, una Chiesa danzante con forze nuove. Il mondo intero ha bisogno di vacanze. I poveri anche, soprattutto i poveri. Chi può offrirele vacanze ai poveri, se non la tua Chiesa, o Signore? O certo, facciamo ch’essa pure abbia buone vacanze.
E’ un’invocazione-augurio per la nostra comunità parrocchiale e per ogni credente. Tutti abbiamo estremo bisogno in quest’epoca frenetica di una pagina bianca per un domani aperto e disponibile allo Spirito di Dio. Serve per ciascuno una vacanza... per respirare a pieni polmoni, stare in silenzio, riassaporare il gusto della vita, riscoprire l’importanza delle piccole cose e farne partecipi gli altri. Ci vuole una pagina bianca per sentirsi liberati dalla pesantezza che fa curvare le nostre giornate nello sforzo di accumulare, nell’ansia del fare. «Dobbiamo difenderci - scrive Romano Guardini nel libro dedicato alle virtù – contro l’ininterrotto fiume di chiacchiere che percorre il mondo, difenderci come uno che ha il petto oppresso e cerca di assicurarsi il respiro. Altrimenti qualcosa inaridisce in noi. Ma il chiasso esteriore è soltanto una metà, e forse quella più difficile da superare. L’altra metà è il chiasso interiore: il caos dei pensieri, il groviglio dei desideri, le inquietudini e le angosce dello spirito, il peso delle depressioni, il muro delle ottusità, e tutte le altre cose che si ammucchiano nel nostro mondo intimo come detriti sopra una sorgente occlusa». Serve una pagina bianca perché il Signore Gesù possa scrivere quelle parole che danno luce, che cambiano lo sguardo, che orientano il cuore alla gratuità, all’umile ascolto delle attese dell’altro, alla scioltezza di camminare ogni giorno verso la vita. Serve una pagina bianca perché la mano del fratello possa tracciare parole pensate, che nascono dal di dentro e che portano frutti di raccoglimento e di pace nell’anima. Dopo un anno trascorso tra mille preoccupazioni, ecco arrivare puntuali le vacanze: punto d’approdo di una anno di duro lavoro, momento di serenità per ritrovare se stessi in un rapporto di gratuità con le persone, con la natura; tempo propizio per ritrovarsi capaci di cercare e contemplare il volto di Dio.
don Vincenzo
mi è capitato tra le mani un “sogno d’estate”: un testo firmato Michel Seyrat, trovato in una piccola chiesa del sud della Francia, pubblicato da “L’Echo” di Losanna, che qui vi propongo tradotto in lingua italiana.
Signore, ti prego, dà un pò di vacanze alla tua Chiesa. E’ il tuo corpo, Signore, e lui ha pure bisogno di riposo. Da mille e novecento e più anni lavora a tutto spiano, predica senza pause, parla, scrive, tuona, costruisce ogni giorno, poi cura e amministra, viaggia e pellegrina in mille pellegrinaggi, dogmatizza, teorizza, moralizza, organizza, è tradizionalista oppure sinistroide, talvolta fa politica, talaltra divide benedice e assolve, scrive e istruisce, beatifica, scomunica, pacifica. Da una parte si svuota, altrove si riempie, talvolta si ripete, qualche volta si rinnova. O Signore, un pò di vacanze per la Chiesa! Alcuni hanno paura che si esaurisca. Quando viene l’estate sogno una chiesa piccola, albergo sulla riva di un lago, e ciascuno può raccontare nel tepore delle sere estive il suo orgoglio e la sua pena. Sogno una Chiesa-spiaggia, inzuppata di luce, dove nessuno ha vergogna né del corpo, né degli occhi, una Chiesa nell’infinito che riflette il mare. Sogno una Chiesa-tenda, sempre pronta a migrare, per andare dove l’uomo ha bisogno d’un riparo. Sogno una Chiesa che mostra i suoi crucci, che sorride, si distende, si apre, ascolta e perdona. Sogno una Chiesa-tavola a vela, leggera, ogni vela dispiegata ed ebbra di vento. Sogno una Chiesa che non corra all’ultimo appuntamento di ieri, con un’agenda sovraccarica, ma abbia una pagina bianca, per un domani aperto e disponibile. Sogno una Chiesa-festa popolare e festival, una Chiesa-orchestra di jazz, una Chiesa danzante con forze nuove. Il mondo intero ha bisogno di vacanze. I poveri anche, soprattutto i poveri. Chi può offrirele vacanze ai poveri, se non la tua Chiesa, o Signore? O certo, facciamo ch’essa pure abbia buone vacanze.
E’ un’invocazione-augurio per la nostra comunità parrocchiale e per ogni credente. Tutti abbiamo estremo bisogno in quest’epoca frenetica di una pagina bianca per un domani aperto e disponibile allo Spirito di Dio. Serve per ciascuno una vacanza... per respirare a pieni polmoni, stare in silenzio, riassaporare il gusto della vita, riscoprire l’importanza delle piccole cose e farne partecipi gli altri. Ci vuole una pagina bianca per sentirsi liberati dalla pesantezza che fa curvare le nostre giornate nello sforzo di accumulare, nell’ansia del fare. «Dobbiamo difenderci - scrive Romano Guardini nel libro dedicato alle virtù – contro l’ininterrotto fiume di chiacchiere che percorre il mondo, difenderci come uno che ha il petto oppresso e cerca di assicurarsi il respiro. Altrimenti qualcosa inaridisce in noi. Ma il chiasso esteriore è soltanto una metà, e forse quella più difficile da superare. L’altra metà è il chiasso interiore: il caos dei pensieri, il groviglio dei desideri, le inquietudini e le angosce dello spirito, il peso delle depressioni, il muro delle ottusità, e tutte le altre cose che si ammucchiano nel nostro mondo intimo come detriti sopra una sorgente occlusa». Serve una pagina bianca perché il Signore Gesù possa scrivere quelle parole che danno luce, che cambiano lo sguardo, che orientano il cuore alla gratuità, all’umile ascolto delle attese dell’altro, alla scioltezza di camminare ogni giorno verso la vita. Serve una pagina bianca perché la mano del fratello possa tracciare parole pensate, che nascono dal di dentro e che portano frutti di raccoglimento e di pace nell’anima. Dopo un anno trascorso tra mille preoccupazioni, ecco arrivare puntuali le vacanze: punto d’approdo di una anno di duro lavoro, momento di serenità per ritrovare se stessi in un rapporto di gratuità con le persone, con la natura; tempo propizio per ritrovarsi capaci di cercare e contemplare il volto di Dio.
don Vincenzo
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Anno XXX - 352
AD UN ANNO DALLA MORTE DEL VESCOVO DON GINO
Il 6 luglio del 2015 si spegneva
improvvisamente in Molfetta don
Luigi Martella, Vescovo della nostra
Diocesi, eletto il 13 dicembre del 2000
e consacrato il 10 marzo dell’anno
successivo. Il 20 aprile 2008, dopo aver
nominato postulatore Agostino Superbo e
vice-postulatori Domenico Amato e Silvia
Correale, emanò un editto per introdurre
la causa diocesana di beatificazione e
canonizzazione di Antonio Bello, suo
predecessore sulla cattedra molfettese.
I funerali si tennero l’8 luglio nella
cattedrale di Santa Maria Assunta di
Molfetta. Le esequie furono presiedute
dell’arcivescovo di Bari-Bitonto Francesco
Cacucci. Una seconda cerimonia funebre
si tenne il giorno successivo alle ore 17
nella chiesa parrocchiale di Sant’Antonio
a Depressa, suo paese natale, presieduta
dal vescovo di Ugento-Santa Maria di
Leuca Vito Angiuli. La salma è stata
sepolta nel cimitero cittadino.
Compì una visita pastorale della Diocesi
dal 3 dicembre 2006 al 28 giugno 2008,
che toccò anche la nostra parrocchia.
Sabato 28 giugno, sul corso antistante
alla Cattedrale di Molfetta, tenne
un’omelia a conclusione della predetta
visita, di cui riportiamo uno stralcio:
«Cristo Pastore delle nostre anime,
attraverso la mia povera persona,
ha visitato dal 3 dicembre 2006 fino
ad oggi, 28 giugno 2008, vigilia della
solennità dei SS. Apostoli Pietro e
Paolo, le 36 parrocchie della nostra
Chiesa diocesana. Siano rese grazie
innanzitutto a Dio, Signore della storia,
che conduce le sue creature per i retti
sentieri della vita e governa i popoli
con amore. Grazie anche a tutti voi per
questa vostra presenza, concorde e
partecipe nella gratitudine e nella gioia,
per un’esperienza straordinariamente
ricca e feconda di doni umani e
spirituali. Grazie perché avete creduto
con me alla bontà e all’importanza
dell’iniziativa così impegnativa; grazie
per la risposta entusiasta e convinta di
tutte le comunità. Un grazie sincero a
tutti i parroci e sacerdoti i quali davvero
si sono impegnati, con grande zelo, per
coinvolgere tutti i fedeli, come fanno
sempre nell’azione pastorale, in una corsa
senza respiro. E poi, consentitemi di
esprimere un grazie particolare ad alcune
persone che hanno dato un contributo
notevole alla buona riuscita della Visita».
Ne ricordiamo l’impegno apostolico
instancabile e l’affetto che portava verso
la nostra Comunità che, ad un anno dal
decesso, si stringe concorde in preghiera.
S.B.
S.B.
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Anno XXX - 352
Onde sempre nuove
Quando ero bambina e i miei genitori
ci portavano al mare, ricordo che
avevo paura a mettere i piedi
nell’acqua. Avevo paura che ci fossero
i granchi - li scambiavo per le piccole
conchiglie che spesso sono sul fondo
vicino alla riva - e avevo paura di cadere,
perché le onde nel “tornare indietro”
scavavano un po’ la sabbia e mi sentivo
“portare via”. Ma, anno dopo anno, ho
fatto l’esperienza che i granchiolini, se
c’erano, scappavano e le onde, in realtà,
mi cullavano e accarezzavano. Ho finito
per amare molto quel mettere i piedi
nell’acqua e camminare sulla riva del
mare. Soprattutto al mattino presto. Poi,
un giorno, un’amica mi ha mandato una
cartolina con un pensiero di Holley Gerrh:
«Ti sei mai fermata sulla riva del mare a
guardare le onde che arrivano? L’amore di
Dio è come le onde: costante, continuo,
sicuro, sempre nuovo. La Sua misericordia
e il Suo amore sono nuovi ogni mattina.
Ogni giorno riceviamo una nuova “onda”
del Suo amore e della Sua grazia».
P.B.
P.B.
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Anno XXX - 352
Chiare, fresche et dolci acque
Chiare, fresche et dolci acque è la
canzone numero CXXVI (126)
del Canzoniere di Francesco
Petrarca. La prendiamo a spunto per
parlare della fontanina che eroga acqua
fresca e buona in Piazza Giacomo Matteotti. Su quella fontanina è stata posta
una targa che riporta una frase celebre
del politico assassinato dai fascisti nel
1924: «Uccidete pure me, ma l’idea
che è in me non l’ucciderete mai». La
domanda che ci poniamo è la seguente:
era proprio necessario intitolare una
fontana al suddetto politico? A chi è
venuto in mente, visto che già la piazza
è a lui denominata? È come intitolare un
sedile a Gaetano Salvemini, ad esempio.
Ci sembra una sorta di svilimento della
sua figura oppure, se si vede la faccenda
da un altro punto di vista, un ulteriore
elogio postumo, ma enfatico e superfluo.
Anche nelle piccole cose ci vuole senso
della misura e buon gusto.
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Anno XXX - 352
Riflettiamo sui temi dell’Anno Santo della Misericordia: LE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
Su Fermento dello scorso mese di maggio abbiamo trattato delle sette opere di misericordia corporale. Su questo
numero ci occuperemo delle sette opere di
misericordia spirituale, tenendo presente
che le une non sono separabili dalle altre.
Tutte costituiscono un corpo unico in cui
il materiale si fonde con lo spirituale e viceversa. La prima opera di misericordia
spirituale è consigliare i dubbiosi.Vi sono
dubbi che ineriscono alla vita, alle scelte
da effettuare, e dubbi in materia di fede. In
entrambi i casi dovremmo essere in grado,
usando il buon senso, l’esperienza e la parola di Dio, di suggerire una via d’uscita
dal dubbio, spesso tormentoso e fonte di
disperazione. Ci vuole molto tatto e soprattutto una conoscenza approfondita delle
cose della vita e della fede, per cui ritengo
che solo chi ha ricevuto un dono particolare
dallo Spirito Santo possa essere capace di
indicare la retta via, di tracciare un percorso di salvezza.
Questa prima opera si collega alla consolazione degli afflitti.Non è affatto semplice
addolcire le pene fisiche, morali, psicologiche di chi versa in una condizione di afflizione. Il ricorso alla Parola di Dio e la
vicinanza fisica e spirituale possono fare
molto. Chi è nel bisogno non va lasciato
solo, va sostenuto anche materialmente,
giacché l’afflizione può essere causata anche, ad esempio, dalla mancanza di lavoro,
di un reddito che sia sufficiente a condurre
una vita libera e dignitosa, per cui non basta una parola buona.
Alla consolazione degli afflitti fa quasi
da contraltare la paziente sopportazione delle persone moleste. Quest’opera
di misericordia ci chiama ad esercitare la
virtù sublime della pazienza e della tolleranza. Quante persone difficili, complicate,
noiose, moleste incontriamo ogni giorno!
Quanta gente che ci critica senza ragione, che ci
rende la vita complicata,
che ci diffama o calunnia. La reazione istintiva
sarebbe quella di reagire
con fermezza e durezza,
mentre il Signore ci chiede di usare misericordia,
di sopportare le molestie,
di non opporre resistenza,
quindi di perdonare le offese ricevute, altra opera
di misericordia spirituale.
Si ricordi che chi possiede la virtù della pazienza
possiede sé stesso, è padrone di sé stesso. Chi è
capace di perdonare è simile al Padre che perdona
i nostri peccati se noi, a
nostra volta, perdoniamo
agli altri le loro colpe verso di noi.
Occorre poi insegnare
agli ignoranti. Per poter
insegnare occorre conoscere, aver appreso, imparato, approfondito. Ma
cosa dobbiamo insegnare? La matematica, il latino, il diritto? No, dobbiamo insegnare il Vangelo
e la sua scienza d’amore
e di perdono, di carità e
di misericordia. In questo
modo saremmo anche idonei ad ammonire
i peccatori, perché avremo appreso ciò che
è bene e ciò che è male secondo il Vangelo, senza dimenticare di annoverarci fra i
peccatori e quindi di ammonire noi stessi.
Infine, pregare Dio per i vivi e per i morti.La preghiera è il cibo dell’anima, è un
ponte lanciato verso il Cielo e che ci unisce
a Dio e alla schiera dei Santi. Funge da preparazione dello spirito alla confessione e
alla comunione. Ma non dobbiamo pregare
solo per i nostri bisogni materiali e spirituali, bensì anche per quelli degli altri esseri
viventi e per le anime dei defunti, affinché
possano presto vedere la gloria di Dio. Mi
riferisco alle anime cosiddette purganti,
non a quelle che, per loro scelta, si sono
dannate. La loro sorte è segnata, purtroppo. «C’era un uomo ricco, che era vestito
di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome
Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di
piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che
cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani
venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno
il povero morì e fu portato dagli angeli nel
seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu
sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti,
levò gli occhi e vide di lontano Abramo e
Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta
del dito e bagnarmi la lingua, perché questa
fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni
durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi
mali; ora invece lui è consolato e tu sei in
mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi
è stabilito un grande abisso: coloro che di
qui vogliono passare da voi non possono,
né di costì si può attraversare fino a noi.
E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di
mandarlo a casa di mio padre, perché ho
cinque fratelli. Li ammonisca, perché non
vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè
e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre
Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da
loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se
non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se
uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (Luca 16,19-31).
Salvatore Bernocco
Salvatore Bernocco
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Anno XXX - 352
Nel tempo e nello spazio di Dio
Iniziammo con la pratica del mese al S.
Cuore, mentre il parroco col vescovo don
Mimmo e una trentina di presbiteri della
Diocesi parteciparono a Roma al Giubileo dei
Sacerdoti. Si ebbero poi gli incontri conclusiviconsuntivi per i catechisti e gli altri movimenti
parrocchiali. Durante la riunione dei
catechisti, presso Villa
Pasqualina, il parroco
presentò la pergamena
ricordo dei 50 anni di
servizio in parrocchia ad
Anna Tremadio e si ebbe un
momento di festa.
Partecipammo poi tutti alla
processione eucaristica
dell’Ottavario del Corpus
Domini, mentre si intensificò
la preparazione dei ragazzi
che il giorno 19 ricevettero la
cresima. Sia pure in sordina ebbe
inizio per un gruppo di ragazzo
l’Oratorio estivo diretto da Adele,
Maria e altri collaboratori e si
va avanti senza alcuna remunerazione: si è
data precedenza ai fanciulli che provengono
da famiglie indigenti. Anche per i giovani
compresi quelli che fanno parte degli Amici di S. Rocco è in atto la preparazione al
campo scuola a Boncore – Torre Lapillo che
avverrà nella seconda metà di agosto. Si
ebbero poi altri incontri, compreso quello
conclusivo col Volontariato Vincenziano: don
Vincenzo celebrò l’Eucarestia domestica e
il ritiro spirituale per le aderenti.
Anche per il gruppo famiglia si
tennero le conclusivo e l’inizio
alle domeniche presso Villa
Pasqualina. Per l’Associazione
delle iscritte alla Madonna del
Buon Consiglio il parroco dettò
la meditazione conclusiva.
Con somma pace poi le tre
Comunità neo-catecumenali
accolsero e si incontrarono
col Vescovo don Mimmo
che parlò loro sollecitandole
ad un impegno fattivo e di
progresso nel cammino
di fede. Seguì poi
l’incontro conviviale. L’adorazione in
preparazione alla solennità del Corpus Domini
e quella del 23 del mese animata dal gruppo di
P. Pio coronarono in modo completo il mese
eucaristico di giugno. Il ritiro spirituale per i
cresimandi ebbe luogo a Calentano.
Luca
Luca
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Anno XXX - 352
GIUGNO: IN QUESTO MESE EUCARISTICO...
Miei Cari,
pensando alla solennità del Corpo e del Sangue del Signore, che rende eucaristico tutto il mese di giugno, il mio sguardo si posa sulla magnifica vetrata istoriata dell’abside della nostra chiesa parrocchiale e che raffigura la Cena di Emmaus. Mi lascio volentieri guidare da alcuni Amici per contemplare la divina Carità che per me, che sono un NIENTE che grida sulla soglia della taverna di Emmaus, si fa cibo e bevanda. La taverna diviene la nostra chiesa parrocchiale: il servo, l’amico. Nel cenacolo di Gerusalemme, come nella taverna di Emmaus, Cristo si fa L’EGUALE: la comunione comincia con una dichiarazione d’uguaglianza (D. Mazzolari). L’altare, sia a Gerusalemme che in Emmaus è una mensa, nè va dimenticato che il problema dell’ultima Cena è il problema della vita di Gesù (Schweitzer). Da un angolo della taverna di Emmaus guardiamo al MISTERO che si compie nelle mani del divino Viandante. Oggi il senso del mistero va affievolendosi in modo preoccupante; l’uomo di oggi non lo esclude di proposito, nè lo nega brutalmente: non se ne occupa, non lo sente. L’Eucarestia è il momento più effìcace di questa educazione al mistero che ci circonda e ci preme. Contro tutte le apparenze, sfidando tutti i sensi che vengono meno, ecco il Cristo in un po’ di Pane: l’INCREATO in una briciola di materia creata; l’INVISIBILE, in un attimo di visibile; l’ETERNO, in qualcosa che appartiene al tempo. Questa BRICIOLA DI PANE diventa un mondo. C’è qualcosa di eucaristico in ogni creatura, e chi scorge, con la fede, la presenza nel pane, finisce per scoprire che tutto è mistero. Il mistero di Emmaus e di tutti i giorni è la NOVITÀ di oggi e di ogni giorno; un riaffacciarsi dell’effimero sull’eterno, del mortale sull’immortale, la primavera divina sull’inverno del tempo. Quando alzo il Pane, esalto la carità di Dio e la fatica dell’uomo. L’uomo s’è incontrato con Te o Signore, nel pane, ancor prima che tu lo rendessi per noi Pane di vita. Nella Cena pasquale, Gesù istituendo l’Eucarestia, istituisce la Chiesa: non a caso Egli sceglie il banchetto come quadro del suo dono e la missione che egli affida è compendiata nelle sue parole: «Fate questo in memoria di me». La Chiesa dovrà celebrare nella storia il memoriale del suo Signore: in ciò consiste radicalmente il mandato che Egli le ha affidato (B. Forte). È necessario quindi che una Comunità, come la nostra, si disponga alla celebrazione del memoriale rivivendo i gesti e le scelte di Gesù nell’ultima Cena. Egli anzitutto banchetta con i suoi. Questo fatto crea fra lui e i convitati un profondo legame di fraternità. Per cui ne consegue che per celebrare la memoria del Cristo che si fa nostro cibo, si esige la comunione con Lui e con i fratelli: non si dà memoriale nella vita, senza questa comunione. Il pane eucaristico è un pane di comunione che ci riconcilia. Se di ciò saremo convinti non avvertiremo più la stanchezza. Ci sarà la notte ma non ci farà più paura. L’invito di poco prima: «Resta con noi perché si fa sera» non avrà più senso, perché avremo visto il Signore. E chi ha visto il Cristo lo riconoscerà in ogni creatura e in ogni avvenimento: chi ha visto l’IMMOLATO ripetere il suo dono sul tavolo di una taverna, sa che da tale offerta consumata ogni mattina sull’altare del proprio cuore, spunterà un nuovo giorno. È il mio auspicio!
don Vincenzo
pensando alla solennità del Corpo e del Sangue del Signore, che rende eucaristico tutto il mese di giugno, il mio sguardo si posa sulla magnifica vetrata istoriata dell’abside della nostra chiesa parrocchiale e che raffigura la Cena di Emmaus. Mi lascio volentieri guidare da alcuni Amici per contemplare la divina Carità che per me, che sono un NIENTE che grida sulla soglia della taverna di Emmaus, si fa cibo e bevanda. La taverna diviene la nostra chiesa parrocchiale: il servo, l’amico. Nel cenacolo di Gerusalemme, come nella taverna di Emmaus, Cristo si fa L’EGUALE: la comunione comincia con una dichiarazione d’uguaglianza (D. Mazzolari). L’altare, sia a Gerusalemme che in Emmaus è una mensa, nè va dimenticato che il problema dell’ultima Cena è il problema della vita di Gesù (Schweitzer). Da un angolo della taverna di Emmaus guardiamo al MISTERO che si compie nelle mani del divino Viandante. Oggi il senso del mistero va affievolendosi in modo preoccupante; l’uomo di oggi non lo esclude di proposito, nè lo nega brutalmente: non se ne occupa, non lo sente. L’Eucarestia è il momento più effìcace di questa educazione al mistero che ci circonda e ci preme. Contro tutte le apparenze, sfidando tutti i sensi che vengono meno, ecco il Cristo in un po’ di Pane: l’INCREATO in una briciola di materia creata; l’INVISIBILE, in un attimo di visibile; l’ETERNO, in qualcosa che appartiene al tempo. Questa BRICIOLA DI PANE diventa un mondo. C’è qualcosa di eucaristico in ogni creatura, e chi scorge, con la fede, la presenza nel pane, finisce per scoprire che tutto è mistero. Il mistero di Emmaus e di tutti i giorni è la NOVITÀ di oggi e di ogni giorno; un riaffacciarsi dell’effimero sull’eterno, del mortale sull’immortale, la primavera divina sull’inverno del tempo. Quando alzo il Pane, esalto la carità di Dio e la fatica dell’uomo. L’uomo s’è incontrato con Te o Signore, nel pane, ancor prima che tu lo rendessi per noi Pane di vita. Nella Cena pasquale, Gesù istituendo l’Eucarestia, istituisce la Chiesa: non a caso Egli sceglie il banchetto come quadro del suo dono e la missione che egli affida è compendiata nelle sue parole: «Fate questo in memoria di me». La Chiesa dovrà celebrare nella storia il memoriale del suo Signore: in ciò consiste radicalmente il mandato che Egli le ha affidato (B. Forte). È necessario quindi che una Comunità, come la nostra, si disponga alla celebrazione del memoriale rivivendo i gesti e le scelte di Gesù nell’ultima Cena. Egli anzitutto banchetta con i suoi. Questo fatto crea fra lui e i convitati un profondo legame di fraternità. Per cui ne consegue che per celebrare la memoria del Cristo che si fa nostro cibo, si esige la comunione con Lui e con i fratelli: non si dà memoriale nella vita, senza questa comunione. Il pane eucaristico è un pane di comunione che ci riconcilia. Se di ciò saremo convinti non avvertiremo più la stanchezza. Ci sarà la notte ma non ci farà più paura. L’invito di poco prima: «Resta con noi perché si fa sera» non avrà più senso, perché avremo visto il Signore. E chi ha visto il Cristo lo riconoscerà in ogni creatura e in ogni avvenimento: chi ha visto l’IMMOLATO ripetere il suo dono sul tavolo di una taverna, sa che da tale offerta consumata ogni mattina sull’altare del proprio cuore, spunterà un nuovo giorno. È il mio auspicio!
don Vincenzo
Vivere l’Apostolato Era il mese di maggio 1966 quando iniziai a seguire i ragazzi in parrocchia durante la celebrazione Eucaristica. Il parroco Don Michele Montaruli mi chiamò per iniziare il cammino di educatrice con i ragazzi di scuola media e risposi che dovevo pensarci. Il 10 Maggio diedi la mia adesione e iniziai il mio cammino di Apostolato nella parrocchia del SS. Redentore. Così, passo dopo passo, ho acquistato una maggiore consapevolezza e responsabilità quotidiane nel vivere con coerenza il Vangelo. Il 10 Maggio 2016 ho ricordato il 50° anno di Apostolato che ho cercato di svolgere sempre sotto la guida dello Spirito Santo. Ringrazio il parroco Don Vincenzo e tutti gli amici che hanno condiviso con me questo cammino per amore a Cristo.
Anna Tremadio
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Anno XXX - 351
Il Cuore di Gesù: oceano colmo di tesori
Nella prima metà del 1600 fu pubblicato un libro
di un teologo olandese, Cornelius Otto Jansen
(italianizzato in Giansenio), dal titolo Augustinus.
Fu condannato dall ‘autorità ecclesiastica, ma
conobbe una notevole diffusione soprattutto nelle
élite intellettuali e religiose, dando origine a una
corrente di pensiero chiamato “giansenismo”.
Esso provocava una spiritualità pessimista, fatta soprattutto di timore, fredda. Si diffuse
soprattutto in Francia, ma anche in Lombardia e
in Toscana.
Secondo Giansenio dopo il peccato originale
l’uomo non può che fare il male. Solo la grazia
può abilitare (sarebbe meglio dire: costringere)
l’uomo a compiere il bene. Ma la grazia non
è data a tutti, ma solo a una minoranza di
predestinati. Per la maggioranza dell’umanità non
può esservi altro che un destino di condanna.
Una umile (e anche sofferente e spesso umiliata)
suora francese, santa Margherita Maria Alacoque
(1647-1690), nel convento parigino della
Visitazione a Paray- le-Monial, chiamata da
Gesù e su sua indicazione, riuscì a diffondere la
devozione al Sacro Cuore di Gesù. Una devozione
che sottolineava l’amore del Signore verso
tutti, la fiducia nella sua infinita misericordia, la
dolcezza della piena confidenza in lui.
Santa Margherita Maria lasciò scritto: «Il Cuore
Divino è un oceano pieno di tesori d’ogni genere,
lì le anime povere possono gettare ogni richiesta;
è un oceano pieno di gioia dove far annegare
tutta la nostra tristezza; un oceano di umiltà
dove far annegare la nostra follia; un oceano di
misericordia per quelli che sono nell’angoscia;
un oceano d’amore in cui immergere la nostra
povertà».
Come si può constatare, una spiritualità ben
diversa da quella giansenista, fiduciosa,
rasserenante, colma di gratitudine e di speranza,
che metteva al centro l’unione d’amore con Gesù.
Santa Margherita diede anche una forma
alla devozione al Cuor di Gesù: suggeriva di
accostarsi alla Comunione eucaristica ogni
primo venerdì del mese per nove venerdì di
seguito, assicurando i devoti che in tal modo si
sarebbero certamente salvati. Nell’impostazione
giansenista la Comunione eucaristica era rara
e circondata da molto timore. Suggeriva anche
di dedicare ogni giovedì un’ora a meditare con
quanto amore Gesù ci ha amati, ricordando la sua
agonia al Getsemani. Suggerì infine che il venerdì
successivo al Corpus Domini fosse festa del
Sacro Cuore per tutta la Chiesa, il che avvenne
nel 1765. In tal modo questa dolce devozione
dell’amore conobbe una diffusione universale.
San Giovanni Eudes (1601-1680), un sacerdote
normanno pieno di zelo e di carità, anch’egli
devoto del Sacro Cuore di Gesù, ha il merito di
aver diffuso la devozione al Cuore Immacolato
di Maria, diventata con Pio XII festa devozionale
di tutta la Chiesa, da celebrare il giorno dopo la
festa del Sacro Cuore. Il Santo, infatti, ha sempre
tenute unite le due devozioni, spiegando che per
nove mesi il Cuore di Gesù aveva pulsato accanto
al Cuore di Maria e che ai piedi della croce Maria
aveva condiviso l’amore sofferente del Figlio per
la nostra salvezza.
La devozione al Cuore di Gesù attira l’attenzione
sulla sua vera e concreta umanità in tutto
simile alla nostra eccetto che nel peccato, e
ne sottolinea, come abbiamo detto, l’amore,
reso visibile dal colpo di lancia che lo ha trafitto
sulla croce: trafittura che rimane aperta anche
nel corpo del Signore Risorto. E da quella ferita
d’amore che esce verso di noi il dono dello Spirito Santo. La devozione al Cuore di Maria introduce
una nota di tenerezza materna nel nostro modo di
vivere la fede e, in fin dei conti, anche nel nostro
modo di concepire Dio che, come ha insegnato
Giovanni Paolo I: «E papà; più ancora è madre»
(Angelus del 10 settembre 1978)
d.C.B.
d.C.B.
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Anno XXX - 351
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