Mentre riprende il cammino pastorale... PER UNA “SPIRITUALITÀ DEL SERVIZIO”

Miei Cari, 
tra le mie letture dei giorni scorsi leggo un titolo: “Senza radici il servizio si dissecca”. Mi ha fatto riflettere non poco anche se il fenomeno descritto è appena avvertito nella nostra parrocchia. “Le parrocchie soffrono la scomparsa di questo o quel collaboratore, diventa più difficile rispondere a tutte le esigenze”. Presi dalle urgenze spesso ci si dimentica di chiedersi (e di chiedere agli interessati): perché viene meno la tua collaborazione, perché salta l’impegno al servizio? L’autore dell’articolo afferma che la risposta è già scritta nel modo in cui una persona presta servizio o in cui la comunità lo chiede: senza una autentica “spiritualità del servizio”. Spiritualità che significa vedere negli altri (i poveri, i bambini da educare, gli adolescenti da accompagnare...) il volto di Dio: e quindi porta ad impegnarci e collaborare non tanto e non solo perché (e finché) “mi piace, mi interessa” o perché il parroco ha insistito o perché mi è simpatico, ma per amore gratuito, in nome di Dio. C’è poi il problema che si presume di “correre senza la benzina necessaria”, ossia il credere di poter fare a meno dei momenti di riflessione e spiritualità, tempi di studio e di silenzio, proposta di guida spirituale, confronti e itinerari formativi. Questo – afferma C. Contarini - è tentare lo Spirito Santo, guai sfidarlo in continuazione a dar vita alle ossa aride. Credo proprio, allora, che il “servizio” vissuto con taglio spirituale, matura le persone la comunità cresce perché si sente costruita più che dal lavoro degli uomini, dallo Spirito rinnovatore. E diventa segno concreto di santità e carità che la gente percepisce. Non parlò in questi termini il Sinodo Parrocchiale, celebrato alcuni anni or sono? La “spiritualità del servizio” diventi e ci porti a rivedere il nostro impegno per allungare la lista degli operai della vigna del Signore per immetterci tutti con sicurezza sulla pista della santità. È il mio augurio.
Cordialmente, don Vincenzo

FRANCESCO NON ARRETRA DI UN MILLIMETRO

Parole forti, quelle del papa emerito Benedetto XVI a Francesco, colme di amicizia e di rispetto filiale. “Mi auguro che lei vada avanti in questa via della misericordia. La sua bontà è il luogo in cui abito e in cui mi sento protetto”. L’occasione è stata il 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Ratzinger, avvenuta il 29 giugno 1951 nel duomo di Frisinga. Un’occasione che, ancora una volta, dimostra ai fedeli di ogni luogo quanto il legame tra il papa regnante e il papa emerito sia forte, duraturo, pieno di tenerezza. Ma, nello stesso tempo, l’abbraccio amicale tra Francesco e Benedetto ribadisce in modo perentorio che non esiste un ministero petrino condiviso. Il papa è uno, e uno solo. Lo ha ribadito lo stesso Francesco nell’intervista sul volo di ritorno dall’Armenia: “Benedetto è papa emerito. Lui ha detto chiaramente, quell’11 febbraio, che dava le sue dimissioni a partire dal 28 febbraio, che si sarebbe ritirato per aiutare la chiesa con la preghiera. E Benedetto è nel monastero, pregando. Io sono andato a trovarlo tante volte o al telefono... L’altro giorno mi ha scritto una letterina, ancora firma con quella firma sua, dandomi gli auguri per questo viaggio... E una volta, non una volta: parecchie volte, ho detto che è una grazia avere a casa il nonno saggio. Anche di persona gliel’ho detto e lui ride. Ma lui per me è il papa emerito, è il nonno saggio, è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera. Mai dimentico quel discorso che ci ha fatto, ai cardinali, il 28 febbraio: “Fra voi sicuro che sarà il mio successore. Prometto obbedienza” e lo ha fatto. Poi ho sentito, ma non so se è vero questo, eh?, sottolineo: ho sentito, forse saranno dicerie, ma vanno bene con il suo carattere, che alcuni sono andati li a lamentarsi perché questo nuovo papa... e li ha cacciati via, eh? Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via. E se non è vero, è ben trovato, perché quest’uomo è così: è un uomo di parola, un uomo retto, retto, retto, eh?, il papa emerito… Dopodomani si celebra il 65.mo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. E io dirò qualche cosa a questo grande uomo di preghiera, di coraggio, che è il papa emerito, non il secondo papa, che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio. È molto intelligente, e per me è il nonno saggio a casa”. E così poi ha fatto il giorno dopo, abbracciando Ratzinger per il suo 65° . “Proprio vivendo e testimoniando oggi in modo tanto intenso e luminoso quest’unica cosa veramente decisiva - avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio - lei, santità, continua a servire la chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto di oggi tende a relegare le persone quando, con l’età, le loro forze vengono meno. È tutto il contrario – ha continuato Bergoglio - e questo permetta che lo dica con forza il suo successore che ha scelto di chiamarsi Francesco! Perché il cammino spirituàle di san Francesco iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato, il cuore pulsante dell’ordine, lì dove lo fondò e dove infine rese la sua vita a Dio fu la Porziuncola, la piccola porzione, l’angolino presso la madre della chiesa; presso Maria che, per la sua fede così salda e per il suo vivere così interamente dell’amore e nell’amore con il Signore, tutte le generazioni chiameranno beata. Così, la Provvidenza ha voluto che lei, caro confratello, giungesse in un luogo per così dire propriamente “francescano” dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me ed a tutta la chiesa. E di lì, mi permetto di dire, viene anche un sano e gioioso senso dell’umorismo”. Francesco ha concluso il suo discorso con questo augurio rivolto al predecessore ma anche a tutta la chiesa: “Che lei, santità, possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che la sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio; che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede”. Francesco, quindi, continua nella sua opera di riforma della chiesa. Una parola sacra ma anche intrisa della “sacralità” della terra. Continua i suoi viaggi verso nazioni che hanno bisogno del suo sorriso, vedi l’Armenia, sorregge i passi, a volte un po’ lenti, che stanno portando a una riforma della curia, cerca di annunciare il vangelo lungo le strade impervie e difficili degli uomini. È davvero l’uomo e il papa della misericordia. A qualcuno continua a non piacere. I tradizionalisti non lo sopportano, i curiali lo temono, in genere lo “status ecclesiale” è quello messo a dura prova dalla parola misericordiosa di Francesco. Ad esempio, i lefebvriani sono i più arrabbiati. Con un comunicato del 29 giugno 2016, scrivono a chiare lettere che “la fraternità non è alla ricerca innanzitutto di un riconoscimento canonico”. E poi incalzano: “Nella grande e dolorosa confusione attuale nella chiesa, la proclamazione della dottrina cattolica richiede la segnalazione di errori che sono penetrati all’interno di essa, purtroppo incoraggiati da molti pastori, fino a al papa stesso”. La fraternità “ha un solo desiderio: portare fedelmente la luce della tradizione antica di 2000 anni che mostra l’unica strada percorribile in questo momento di oscurità dove il culto dell’uomo sostituisce il culto di Dio nella società e nella chiesa”. Infme, la fraternità “prega e fa penitenza perché il papa abbia la forza di proclamare integralmente la fede e la morale. Così sarà accelerato il trionfo del cuore immacolato di Maria che noi chiediamo, mentre ci avviciniamo al centenario delle apparizioni di Fatima”. Insomma, si preannuncia un autunno ecclesiale “caldo”. I terni non mancano. Ma papa Francesco non arretra di un millimetro.

Il Giubileo nella Storia -1900

I MONUMENTI AL REDENTORE

Quando si era svolto l’ultimo Giubileo solenne, nel 1825, l’allora Gioacchino Pecci aveva solo quattordici anni. Una volta divenuto Papa con il nome di Leone XIII raccontò di conservarlo nella memoria «e ci sembra quasi di vedere ancora l’afflusso dei pellegrini, la moltitudine che si aggira in ordinata schiera attorno ai templi più augusti, i luoghi più celebri che risuonano di lodi divine, il Pontefice, con grande accompagnamento di cardinali, che offre agli occhi di tutti esempi di pietà e di carità». Perciò, affinché «dovunque sulla terra si comprenda in quel tempo di passaggio la venerazione che deve avere Gesù Cristo salvatore», 1’11 maggio 1899 indisse il Giubileo con la bolla Properante ad exitum e, il successivo 25 maggio, promulgò l’enciclica Annum sacrum con la quale consacrava l’umanità al sacro Cuore di Gesù in preparazione all’Anno santo del 1900. L’organizzazione del Giubileo venne affidata a un Comitato internazionale, presieduto dal conte Giovanni Acquaderni (il cofondatore dell’Azione cattolica), che da alcuni anni stava già promuovendo la devozione a Cristo Redentore. La Porta santa di San Pietro venne aperta il 24 dicembre 1899, con una solenne cerimonia allietata dal coro della Basilica vaticana, diretto da Lorenzo Perosi. Ancor più significative furono le Messe di mezzanotte fra il 31 dicembre e il 1° gennaio sia del 1899 sia del 1900, che per disposizione del Papa vennero celebrate in tutte le chiese del mondo con l’adorazione eucaristica. La cerimonia di chiusura della Porta santa in San Pietro, il 24 dicembre 1900, vide per la prima volta inserite nella muratura venti pietre provenienti da altrettante montagne italiane sulle quali nel 1900 era stato innalzato un monumento al Redentore. Il giorno seguente, Leone XIII estese a tutte le diocesi la possibilità di celebrare il Giubileo a livello locale.

RUVO: PER UN FUTURO MIGLIORE

Premettiamo che siamo convinti che non vi sia classe politica, amministratore pubblico, sindaco o assessore, che non voglia il progresso della comunità in cui opera. Lo diamo per scontato, sebbene (ma non riguarda il nostro paese) ci siano episodi, ormai quotidiani, di malaffare, di arresti, di avvisi di garanzia indirizzati a politici ed amministratori locali. Roma è un esempio eclatante dello sfascio cui sono giunte molte amministrazioni a causa di fenomeni corruttivi e di pessima amministrazione della cosa pubblica. Anche non saper amministrare con competenza una città costituisce un fatto assai grave. La nostra Ruvo per fortuna non ha vissuto situazioni come quelle appena descritte, ma fa fatica a rimettersi in sesto a causa di un debito abnorme relativo al mancato incasso delle somme dovute dalle cooperative edilizie. Pare che non vi siano soldi pubblici da destinare ad altre opere pubbliche e che sia divenuto complicato persino sostituire una lampadina (a proposito di illuminazione pubblica, come mai è così fioca in Corso Cavour?). Esigere quelle somme sarà estremamente complesso. Probabilmente ci vorranno anni e si andrà ben oltre l’attuale amministrazione, da qualcuno definita di “salute Pubblica” o intesa come commissariamento di un partito e di una città che pure aveva espresso nel 2011 un sindaco, Vito Ottombrini, che suscitò molte speranze ed aspettative ma che poi, alla resa dei conti, è stato praticamente spazzato via dal suo stesso partito di appartenenza, pensionato, esonerato. È assai raro che un sindaco uscente non sia ricandidato neppure dal suo partito, il quale, evidentemente, gli ha addebitato peccati, omissioni, negligenze di cui, in ogni caso, non sarebbe l’unico responsabile. Abbiamo l’impressione che l’attuale amministrazione voglia far dimenticare quella amministrazione. Senza riuscirci. Il sindaco appare un po’ “blindato” nel suo ruolo, decisionista e scarsamente propenso al dialogo con la sua stessa maggioranza consiliare. Qualche mal di pancia si avverte, e proviene proprio dalle fila della maggioranza. Questo - se ci è permesso esprimere un parere disinteressato – è il risultato inevitabile dell’affidamento di una amministrazione ad una figura tecnica, la quale è stata “pregata” di scendere in campo per salvare un partito in difficoltà, scosso da turbolenze interne, e sull’orlo della esplosione. Vogliamo credere nelle capacità di questa amministrazione di risolvere almeno qualche problema atavico. Gli assessori sono tutti tecnici, non politici, per cui dovrebbero conoscere a menadito le questioni e lumeggiare le soluzioni, sebbene sia importante, democratico e responsabile non rinchiudersi nel “fortino tecnico” (anche Monti e Fornero erano tecnici) ma dialogare con i consiglieri comunali, di maggioranza ed opposizione, al fine di condividere le scelte ed individuare le strade più agevoli, legittime e lecite, per portare a casa qualche risultato, per il bene comune.

 Filoteo


“ANNUNCIARE LA GIOIA DEL VANGELO IN FAMIGLIA”

Lettera pastorale per l’anno 2016-2017 del nostro Vescovo don Mimmo 

La prima lettera pastorale del nostro nuovo Vescovo, Mons. Cornacchia, è dedicata alla gioia dell’amore sponsale, anzi familiare. Egli ci induce a riflettere su alcuni temi che sono di stretta attualità, relativi alla condizione delle famiglie (e delle famiglie cristiane) e ai percorsi educativi che possono immaginarsi affinché l’amore in famiglia possa poggiarsi non sulla sabbia, ma sulle solide fondamenta della Parola di Dio, che dona gioia e stabilità. La famiglia è al centro di un vortice di spinte e controspinte. Tutelata finanche dalla Costituzione della Repubblica, non sembra granché al centro delle attenzioni del legislatore. Al di là dell’aspetto spirituale, dobbiamo affermare con forza che la famiglia tradizionale è stata accantonata a vantaggio di forme di unioni cosiddette “civili”, cioè di coabitazioni che, pur avendo le stesse caratteristiche della famiglia, non ne possiedono requisiti di stabilità e l’obbligo di fedeltà, indice di responsabilità, pazienza, coraggio. Non solo. Com’è noto, le unioni civili o di fatto contemplano anche i connubi omosessuali, mentre altre leggi hanno reso più spedito l’iter della separazione e del divorzio. Stabiliamo un punto fermo: una cosa sono le famiglie tradizionali, altra cosa sono le unioni civili, ed altra cosa ancora sono le unioni omosessuali. Per comprendere bisogna saper distinguere e non comportarsi come quei tanti ideologi che parificano i fenomeni, affermando che pur sempre di amore si tratta. È una semplificazione che rende l’idea del clima relativista culturale ed ideologico che si è impossessato delle nostre comunità. Le nostre esistenze sono bombardate di continuo da messaggi di omologazione dei fenomeni affettivi, per cui non c’è nessuna differenza fra chi si sposa in chiesa e chi si sposa civilmente, fra chi, unendosi al proprio partner, può generare, e chi non potrà mai farlo senza ricorrere ad espedienti quali l’utero in affitto (la vicenda di Vendola docet!). Il passaggio ulteriore a cui guardano le lobby omosessuali è l’adozione, con che il processo omologativo e distruttivo della famiglia tradizionale sarà concluso. Già Amintore Fanfani, nel lontano 1974, ebbe a dire che dopo il divorzio sarebbe stata l’ora delle unioni gay. Fu profetico. La gioia della famiglia che si regge sul Vangelo, letto e praticato, è tuttavia l’obiettivo cui dobbiamo tendere in quest’anno pastorale, attraverso incontri formativi, letture appropriate, esami di coscienza, onde poter verificare il grado di adesione dei componenti delle famiglie al messaggio evangelico. Si tratta sempre e comunque di operare in vista di una rievangelizzazione delle nostre comunità, e poi di allargare il cerchio a chi vive situazioni familiari difficili e di disagio, alle famiglie ferite che, come quell’uomo tramortito dai malviventi sulla strada che da Gerusalemme conduceva a Gerico, aspettano forse qualcuno che si prenda cura di loro, che sia in grado di stimolare ad una riflessione appropriata che rilanci il progetto familiare, fondandolo su nuovi presupposti e condizioni, in ciò sorretti dalla preghiera, dalla carità e dall’azione dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Il mandato del nostro Vescovo alle comunità della Diocesi è quindi molto impegnativo, ma necessario ed ineludibile. Per mutare lo spirito comunitario, oggi sfregiato da subculture nichiliste e relativiste, non v’è altro modo che comunicare la gioia che sgorga continuamente dal costato di Cristo, morto e risorto per noi affinché possiamo avere la vita, avere più vita, e, in ultimo, accedere alla gioia della vita eterna.

Salvatore Bernocco



Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo straordinario della Misericordia

Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro; l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio! Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore: fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore e la tua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista. Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen

OTTOBRE: MARIA, REGINA DEL SANTO ROSARIO

È questo l’invito chiaro della Vergine affinché i credenti rafforzino la propria fede e preghino, sì da fermare la diffusione del male e ottenere la conversione degli atei. Senza dubbio il Rosario, in seguito alle tante sollecitazioni di Maria, è una delle più efficaci preghiere cristiane e, nella storia, non solo i santi, ma tutte le persone di fede hanno amato tale preghiera e ne hanno promosso la pratica quotidiana, per rendere grazie alla Madre della Misericordia. Nella realtà contemporanea la recita del Rosario è una supplica corale per superare tutte le perversioni del nostro tempo e salvare la società dove, purtroppo, regnano criminalità, edonismo, indifferenza... Ma Maria è mediatrice di tutte le grazie e, in risposta alla pia pratica della recita del Santo Rosario, chiede al Suo Figlio diletto di aiutare e salvare gli uomini, anche quelli indifferenti e ingrati del Suo sacrificio. Chi crede, attraverso la preghiera, compie un atto di totale affidamento alla Madonna e nello stesso tempo si lascia guidare dalla Sua costante e premurosa presenza. La preghiera del Santo Rosario è il pane che alimenta e sostiene i credenti nel loro cammino sulla terra, perciò, là dove si fa unanime il grido da parte di tutti gli uomini, Maria placa gli “spiriti” bollenti e guerrafondai, ferma le logiche della vendetta, genera armonia e pace. L’uomo ha, dunque, bisogno di recitare il Santo Rosario: un bisogno del corpo e dell’anima, per riparare alle offese e cibarsi della gloria di Dio. Maria, Madre del Figlio di Dio e di tutti gli uomini, desidera che ogni creatura diventi il santuario della vita e dell’amore. “… dal Rosario si può ottenere tutto. È una lunga catena che lega il cielo e la terra. Una delle estremità è nelle nostre mani, l’altra in quelle della Madonna. Finché il Rosario sarà recitato, Dio non potrà abbandonare il mondo, perché questa preghiera è onnipotente al Suo Cuore’’. (S. Teresa del Bambin Gesù). Recitare il Rosario è una vera dichiarazione d’amore e di fede a Maria, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo: è una forma di dialogo intimo e profondo con chi ama in modo infinito ed eterno e il continuo ripetere l’invocazione “Ave Maria” diventa un colloquio filiale che avvicina a Dio, consente di vivere secondo la Sua volontà, dà il senso del vivere la propria missione sulla terra. Ma, a quale missione è chiamato l’uomo? Sotto gli occhi di tutti ci sono i conflitti in varie parti del mondo: si inneggia alla guerra, si sevizia, si perseguita, si uccide senza pietà, ritenendo sia l’unica strada per risolvere i problemi di convivenza, rimuovendo il principio e il significato dell’essere creature dello stesso universo. L’invito di Maria è dunque disatteso dai più, accecati come sono dall'odio, dall'esaltazione di sé, dall'egoismo sfrenato e dall'indifferenza fredda. È facile prendere le distanze dalle amare realtà che affliggono i fratelli meno fortunati, figli dello stesso Padre. L’.uomo di oggi è sordo al richiamo accorato della Vergine e con il suo considerarsi estraneo ai fatti mette in atto la perfida strategia del fratello che dice al proprio fratello: - Andiamo ai campi! Come non accogliere con zelo e amore filiale l’invito di Maria? Corale dovrebbe essere la risposta, sciogliendo labbra e cuore all'invocazione dolce: “Ave Maria!”.

 A.B.


Nel tempo e nello spazio di Dio

Verso la fine delle vacanze, ma col pensiero al prossimo anno pastorale e quindi alla riorganizzazione delle varie iniziative che serviranno a bene impostare quest’anno, mentre termina l’anno giubilare e, con novembre, saremo alla fine e alla verifica del ventennio della esperienza bellissima del Sinodo parrocchiale 1994/95 e a quella della realizzazione del mosaico absidale della nostra chiesa parrocchiale. Ci ritrovammo intanto per il settenario in onore della Addolorata e per l’adorazione mensile animata dal gruppo eucaristico e in quella di P. Pio che festeggiammo preparandoci con un triduo solenne e la breve processione del Santo la sera del 23 settembre. Ci siamo poi portati a Molfetta per il Convegno diocesano sul tema “Annunciare la Gioia del Vangelo in famiglia”. Molto utili le riflessioni del Vescovo don Mimmo e quella di d. Paolo Gentili della CEI. Un momento molto bello e fruttuoso quello della festa di S. Vincenzo de’ Paoli, animato dal Volontariato Vincenziano; il parroco non ha mancato di sottolineare la vocazione caritativa di questo Santo che ha mirato ad andare all’essenziale del Vangelo: la carità. Si è poi tenuta a Riva del Sole la convivenza della prima Comunità neocatecumenale.

Luca