Miei Cari,
tra le mie letture dei giorni scorsi leggo
un titolo: “Senza radici il servizio si
dissecca”. Mi ha fatto riflettere non poco
anche se il fenomeno descritto è appena
avvertito nella nostra parrocchia.
“Le parrocchie soffrono la scomparsa
di questo o quel collaboratore, diventa
più difficile rispondere a tutte le
esigenze”. Presi dalle urgenze spesso ci
si dimentica di chiedersi (e di chiedere
agli interessati): perché viene meno la tua
collaborazione, perché salta l’impegno al
servizio? L’autore dell’articolo afferma
che la risposta è già scritta nel modo in
cui una persona presta servizio o in cui la
comunità lo chiede: senza una autentica
“spiritualità del servizio”. Spiritualità
che significa vedere negli altri (i poveri,
i bambini da educare, gli adolescenti da
accompagnare...) il volto di Dio: e quindi
porta ad impegnarci e collaborare non
tanto e non solo perché (e finché) “mi
piace, mi interessa” o perché il parroco ha
insistito o perché mi è simpatico, ma per
amore gratuito, in nome di Dio.
C’è poi il problema che si presume di
“correre senza la benzina necessaria”,
ossia il credere di poter fare a meno dei momenti di riflessione e spiritualità,
tempi di studio e di silenzio, proposta
di guida spirituale, confronti e itinerari
formativi.
Questo – afferma C. Contarini - è
tentare lo Spirito Santo, guai sfidarlo in
continuazione a dar vita alle ossa aride.
Credo proprio, allora, che il “servizio”
vissuto con taglio spirituale, matura le
persone la comunità cresce perché si
sente costruita più che dal lavoro degli
uomini, dallo Spirito rinnovatore. E
diventa segno concreto di santità e carità
che la gente percepisce. Non parlò in
questi termini il Sinodo Parrocchiale,
celebrato alcuni anni or sono?
La “spiritualità del servizio” diventi e
ci porti a rivedere il nostro impegno per
allungare la lista degli operai della vigna
del Signore per immetterci tutti con
sicurezza sulla pista della santità.
È il mio augurio.
Cordialmente, don Vincenzo
FRANCESCO NON ARRETRA DI UN MILLIMETRO
Parole forti, quelle del papa emerito
Benedetto XVI a Francesco, colme
di amicizia e di rispetto filiale. “Mi
auguro che lei vada avanti in questa via della
misericordia. La sua bontà è il luogo in cui abito
e in cui mi sento protetto”. L’occasione è stata
il 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale
di Ratzinger, avvenuta il 29 giugno 1951 nel
duomo di Frisinga.
Un’occasione che, ancora una volta, dimostra
ai fedeli di ogni luogo quanto il legame tra
il papa regnante e il papa emerito sia forte,
duraturo, pieno di tenerezza. Ma, nello stesso
tempo, l’abbraccio amicale tra Francesco e
Benedetto ribadisce in modo perentorio che
non esiste un ministero petrino condiviso. Il
papa è uno, e uno solo. Lo ha ribadito lo stesso
Francesco nell’intervista sul volo di ritorno
dall’Armenia: “Benedetto è papa emerito. Lui
ha detto chiaramente, quell’11 febbraio, che
dava le sue dimissioni a partire dal 28 febbraio,
che si sarebbe ritirato per aiutare la chiesa con
la preghiera. E Benedetto è nel monastero,
pregando. Io sono andato a trovarlo tante volte
o al telefono... L’altro giorno mi ha scritto una
letterina, ancora firma con quella firma sua,
dandomi gli auguri per questo viaggio... E una
volta, non una volta: parecchie volte, ho detto
che è una grazia avere a casa il nonno saggio.
Anche di persona gliel’ho detto e lui ride. Ma
lui per me è il papa emerito, è il nonno saggio, è
l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena
con la sua preghiera.
Mai dimentico quel discorso che ci ha fatto, ai
cardinali, il 28 febbraio: “Fra voi sicuro che sarà
il mio successore. Prometto obbedienza” e lo ha
fatto. Poi ho sentito, ma non so se è vero questo,
eh?, sottolineo: ho sentito, forse saranno dicerie,
ma vanno bene con il suo carattere, che alcuni
sono andati li a lamentarsi perché questo nuovo
papa... e li ha cacciati via, eh? Con il migliore
stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via. E
se non è vero, è ben trovato, perché quest’uomo
è così: è un uomo di parola, un uomo retto,
retto, retto, eh?, il papa emerito… Dopodomani
si celebra il 65.mo anniversario della sua
ordinazione sacerdotale. E io dirò qualche cosa
a questo grande uomo di preghiera, di coraggio,
che è il papa emerito, non il secondo papa, che
è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio.
È molto intelligente, e per me è il nonno saggio
a casa”.
E così poi ha fatto il giorno dopo, abbracciando
Ratzinger per il suo 65° . “Proprio vivendo e
testimoniando oggi in modo tanto intenso e
luminoso quest’unica cosa veramente decisiva
- avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio -
lei, santità, continua a servire la chiesa, non
smette di contribuire veramente con vigore e
sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo
monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si
rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di
quegli angolini dimenticati nei quali la cultura
dello scarto di oggi tende a relegare le persone
quando, con l’età, le loro forze vengono meno.
È tutto il contrario – ha continuato Bergoglio - e
questo permetta che lo dica con forza il suo
successore che ha scelto di chiamarsi Francesco!
Perché il cammino spirituàle di san Francesco
iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato,
il cuore pulsante dell’ordine, lì dove lo fondò
e dove infine rese la sua vita a Dio fu la
Porziuncola, la piccola porzione, l’angolino
presso la madre della chiesa; presso Maria che,
per la sua fede così salda e per il suo vivere
così interamente dell’amore e nell’amore con il
Signore, tutte le generazioni chiameranno beata.
Così, la Provvidenza ha voluto che lei, caro
confratello, giungesse in un luogo per così dire
propriamente “francescano” dal quale promana
una tranquillità, una pace, una forza, una
fiducia, una maturità, una fede, una dedizione
e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno
tanta forza a me ed a tutta la chiesa. E di lì, mi
permetto di dire, viene anche un sano e gioioso
senso dell’umorismo”.
Francesco ha concluso il suo discorso con
questo augurio rivolto al predecessore ma
anche a tutta la chiesa: “Che lei, santità,
possa continuare a sentire la mano del Dio
misericordioso che la sorregge, che possa
sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio;
che, con Pietro e Paolo, possa continuare a
esultare di grande gioia mentre cammina verso
la meta della fede”.
Francesco, quindi, continua nella sua opera di
riforma della chiesa. Una parola sacra ma anche
intrisa della “sacralità” della terra. Continua i
suoi viaggi verso nazioni che hanno bisogno del suo sorriso, vedi l’Armenia, sorregge i
passi, a volte un po’ lenti, che stanno portando
a una riforma della curia, cerca di annunciare
il vangelo lungo le strade impervie e difficili
degli uomini. È davvero l’uomo e il papa della
misericordia.
A qualcuno continua a non piacere. I
tradizionalisti non lo sopportano, i curiali lo
temono, in genere lo “status ecclesiale” è quello
messo a dura prova dalla parola misericordiosa
di Francesco. Ad esempio, i lefebvriani sono
i più arrabbiati. Con un comunicato del 29
giugno 2016, scrivono a chiare lettere che “la
fraternità non è alla ricerca innanzitutto di un
riconoscimento canonico”. E poi incalzano:
“Nella grande e dolorosa confusione attuale
nella chiesa, la proclamazione della dottrina
cattolica richiede la segnalazione di errori che
sono penetrati all’interno di essa, purtroppo
incoraggiati da molti pastori, fino a al papa
stesso”. La fraternità “ha un solo desiderio:
portare fedelmente la luce della tradizione
antica di 2000 anni che mostra l’unica strada
percorribile in questo momento di oscurità dove
il culto dell’uomo sostituisce il culto di Dio
nella società e nella chiesa”.
Infme, la fraternità “prega e fa penitenza
perché il papa abbia la forza di proclamare
integralmente la fede e la morale. Così sarà
accelerato il trionfo del cuore immacolato di
Maria che noi chiediamo, mentre ci avviciniamo
al centenario delle apparizioni di Fatima”.
Insomma, si preannuncia un autunno ecclesiale
“caldo”. I terni non mancano. Ma papa
Francesco non arretra di un millimetro.
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ANNO XXX - 355
Il Giubileo nella Storia -1900
I MONUMENTI AL REDENTORE
Quando si era svolto l’ultimo Giubileo solenne, nel 1825, l’allora Gioacchino Pecci aveva solo quattordici anni. Una volta divenuto Papa con il nome di Leone XIII raccontò di conservarlo nella memoria «e ci sembra quasi di vedere ancora l’afflusso dei pellegrini, la moltitudine che si aggira in ordinata schiera attorno ai templi più augusti, i luoghi più celebri che risuonano di lodi divine, il Pontefice, con grande accompagnamento di cardinali, che offre agli occhi di tutti esempi di pietà e di carità». Perciò, affinché «dovunque sulla terra si comprenda in quel tempo di passaggio la venerazione che deve avere Gesù Cristo salvatore», 1’11 maggio 1899 indisse il Giubileo con la bolla Properante ad exitum e, il successivo 25 maggio, promulgò l’enciclica Annum sacrum con la quale consacrava l’umanità al sacro Cuore di Gesù in preparazione all’Anno santo del 1900. L’organizzazione del Giubileo venne affidata a un Comitato internazionale, presieduto dal conte Giovanni Acquaderni (il cofondatore dell’Azione cattolica), che da alcuni anni stava già promuovendo la devozione a Cristo Redentore. La Porta santa di San Pietro venne aperta il 24 dicembre 1899, con una solenne cerimonia allietata dal coro della Basilica vaticana, diretto da Lorenzo Perosi. Ancor più significative furono le Messe di mezzanotte fra il 31 dicembre e il 1° gennaio sia del 1899 sia del 1900, che per disposizione del Papa vennero celebrate in tutte le chiese del mondo con l’adorazione eucaristica. La cerimonia di chiusura della Porta santa in San Pietro, il 24 dicembre 1900, vide per la prima volta inserite nella muratura venti pietre provenienti da altrettante montagne italiane sulle quali nel 1900 era stato innalzato un monumento al Redentore. Il giorno seguente, Leone XIII estese a tutte le diocesi la possibilità di celebrare il Giubileo a livello locale.
Quando si era svolto l’ultimo Giubileo solenne, nel 1825, l’allora Gioacchino Pecci aveva solo quattordici anni. Una volta divenuto Papa con il nome di Leone XIII raccontò di conservarlo nella memoria «e ci sembra quasi di vedere ancora l’afflusso dei pellegrini, la moltitudine che si aggira in ordinata schiera attorno ai templi più augusti, i luoghi più celebri che risuonano di lodi divine, il Pontefice, con grande accompagnamento di cardinali, che offre agli occhi di tutti esempi di pietà e di carità». Perciò, affinché «dovunque sulla terra si comprenda in quel tempo di passaggio la venerazione che deve avere Gesù Cristo salvatore», 1’11 maggio 1899 indisse il Giubileo con la bolla Properante ad exitum e, il successivo 25 maggio, promulgò l’enciclica Annum sacrum con la quale consacrava l’umanità al sacro Cuore di Gesù in preparazione all’Anno santo del 1900. L’organizzazione del Giubileo venne affidata a un Comitato internazionale, presieduto dal conte Giovanni Acquaderni (il cofondatore dell’Azione cattolica), che da alcuni anni stava già promuovendo la devozione a Cristo Redentore. La Porta santa di San Pietro venne aperta il 24 dicembre 1899, con una solenne cerimonia allietata dal coro della Basilica vaticana, diretto da Lorenzo Perosi. Ancor più significative furono le Messe di mezzanotte fra il 31 dicembre e il 1° gennaio sia del 1899 sia del 1900, che per disposizione del Papa vennero celebrate in tutte le chiese del mondo con l’adorazione eucaristica. La cerimonia di chiusura della Porta santa in San Pietro, il 24 dicembre 1900, vide per la prima volta inserite nella muratura venti pietre provenienti da altrettante montagne italiane sulle quali nel 1900 era stato innalzato un monumento al Redentore. Il giorno seguente, Leone XIII estese a tutte le diocesi la possibilità di celebrare il Giubileo a livello locale.
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ANNO XXX - 355
RUVO: PER UN FUTURO MIGLIORE
Premettiamo che siamo convinti che non vi
sia classe politica, amministratore pubblico, sindaco o assessore, che non voglia il
progresso della comunità in cui opera. Lo diamo
per scontato, sebbene (ma non riguarda il nostro
paese) ci siano episodi, ormai quotidiani, di malaffare, di arresti, di avvisi di garanzia indirizzati a
politici ed amministratori locali. Roma è un esempio eclatante dello sfascio cui sono giunte molte
amministrazioni a causa di fenomeni corruttivi e
di pessima amministrazione della cosa pubblica.
Anche non saper amministrare con competenza
una città costituisce un fatto assai grave. La nostra
Ruvo per fortuna non ha vissuto situazioni come
quelle appena descritte, ma fa fatica a rimettersi
in sesto a causa di un debito abnorme relativo al
mancato incasso delle somme dovute dalle cooperative edilizie. Pare che non vi siano soldi pubblici da destinare ad altre opere pubbliche e che sia
divenuto complicato persino sostituire una lampadina (a proposito di illuminazione pubblica, come
mai è così fioca in Corso Cavour?). Esigere quelle
somme sarà estremamente complesso. Probabilmente ci vorranno anni e si andrà ben oltre l’attuale amministrazione, da qualcuno definita di “salute
Pubblica” o intesa come commissariamento di un
partito e di una città che pure aveva espresso nel
2011 un sindaco, Vito Ottombrini, che suscitò molte speranze ed aspettative ma che poi, alla resa dei
conti, è stato praticamente spazzato via dal suo
stesso partito di appartenenza, pensionato, esonerato. È assai raro che un sindaco uscente non
sia ricandidato neppure dal suo partito, il quale,
evidentemente, gli ha addebitato peccati, omissioni, negligenze di cui, in ogni caso, non sarebbe
l’unico responsabile. Abbiamo l’impressione che
l’attuale amministrazione voglia far dimenticare
quella amministrazione. Senza riuscirci. Il sindaco
appare un po’ “blindato” nel suo ruolo, decisionista e scarsamente propenso al dialogo con la sua
stessa maggioranza consiliare. Qualche mal di
pancia si avverte, e proviene proprio dalle fila della
maggioranza. Questo - se ci è permesso esprimere un parere disinteressato – è il risultato inevitabile
dell’affidamento di una amministrazione ad una figura tecnica, la quale è stata “pregata” di scendere
in campo per salvare un partito in difficoltà, scosso
da turbolenze interne, e sull’orlo della esplosione.
Vogliamo credere nelle capacità di questa amministrazione di risolvere almeno qualche problema
atavico. Gli assessori sono tutti tecnici, non politici, per cui dovrebbero conoscere a menadito le
questioni e lumeggiare le soluzioni, sebbene sia
importante, democratico e responsabile non rinchiudersi nel “fortino tecnico” (anche Monti e Fornero erano tecnici) ma dialogare con i consiglieri
comunali, di maggioranza ed opposizione, al fine
di condividere le scelte ed individuare le strade più
agevoli, legittime e lecite, per portare a casa qualche risultato, per il bene comune.
Filoteo
Filoteo
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ANNO XXX - 355
“ANNUNCIARE LA GIOIA DEL VANGELO IN FAMIGLIA”
Lettera pastorale per l’anno 2016-2017 del nostro Vescovo don Mimmo
La prima lettera pastorale del nostro nuovo Vescovo, Mons. Cornacchia, è dedicata alla gioia dell’amore sponsale, anzi familiare. Egli ci induce a riflettere su alcuni temi che sono di stretta attualità, relativi alla condizione delle famiglie (e delle famiglie cristiane) e ai percorsi educativi che possono immaginarsi affinché l’amore in famiglia possa poggiarsi non sulla sabbia, ma sulle solide fondamenta della Parola di Dio, che dona gioia e stabilità. La famiglia è al centro di un vortice di spinte e controspinte. Tutelata finanche dalla Costituzione della Repubblica, non sembra granché al centro delle attenzioni del legislatore. Al di là dell’aspetto spirituale, dobbiamo affermare con forza che la famiglia tradizionale è stata accantonata a vantaggio di forme di unioni cosiddette “civili”, cioè di coabitazioni che, pur avendo le stesse caratteristiche della famiglia, non ne possiedono requisiti di stabilità e l’obbligo di fedeltà, indice di responsabilità, pazienza, coraggio. Non solo. Com’è noto, le unioni civili o di fatto contemplano anche i connubi omosessuali, mentre altre leggi hanno reso più spedito l’iter della separazione e del divorzio. Stabiliamo un punto fermo: una cosa sono le famiglie tradizionali, altra cosa sono le unioni civili, ed altra cosa ancora sono le unioni omosessuali. Per comprendere bisogna saper distinguere e non comportarsi come quei tanti ideologi che parificano i fenomeni, affermando che pur sempre di amore si tratta. È una semplificazione che rende l’idea del clima relativista culturale ed ideologico che si è impossessato delle nostre comunità. Le nostre esistenze sono bombardate di continuo da messaggi di omologazione dei fenomeni affettivi, per cui non c’è nessuna differenza fra chi si sposa in chiesa e chi si sposa civilmente, fra chi, unendosi al proprio partner, può generare, e chi non potrà mai farlo senza ricorrere ad espedienti quali l’utero in affitto (la vicenda di Vendola docet!). Il passaggio ulteriore a cui guardano le lobby omosessuali è l’adozione, con che il processo omologativo e distruttivo della famiglia tradizionale sarà concluso. Già Amintore Fanfani, nel lontano 1974, ebbe a dire che dopo il divorzio sarebbe stata l’ora delle unioni gay. Fu profetico. La gioia della famiglia che si regge sul Vangelo, letto e praticato, è tuttavia l’obiettivo cui dobbiamo tendere in quest’anno pastorale, attraverso incontri formativi, letture appropriate, esami di coscienza, onde poter verificare il grado di adesione dei componenti delle famiglie al messaggio evangelico. Si tratta sempre e comunque di operare in vista di una rievangelizzazione delle nostre comunità, e poi di allargare il cerchio a chi vive situazioni familiari difficili e di disagio, alle famiglie ferite che, come quell’uomo tramortito dai malviventi sulla strada che da Gerusalemme conduceva a Gerico, aspettano forse qualcuno che si prenda cura di loro, che sia in grado di stimolare ad una riflessione appropriata che rilanci il progetto familiare, fondandolo su nuovi presupposti e condizioni, in ciò sorretti dalla preghiera, dalla carità e dall’azione dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Il mandato del nostro Vescovo alle comunità della Diocesi è quindi molto impegnativo, ma necessario ed ineludibile. Per mutare lo spirito comunitario, oggi sfregiato da subculture nichiliste e relativiste, non v’è altro modo che comunicare la gioia che sgorga continuamente dal costato di Cristo, morto e risorto per noi affinché possiamo avere la vita, avere più vita, e, in ultimo, accedere alla gioia della vita eterna.
Salvatore Bernocco
La prima lettera pastorale del nostro nuovo Vescovo, Mons. Cornacchia, è dedicata alla gioia dell’amore sponsale, anzi familiare. Egli ci induce a riflettere su alcuni temi che sono di stretta attualità, relativi alla condizione delle famiglie (e delle famiglie cristiane) e ai percorsi educativi che possono immaginarsi affinché l’amore in famiglia possa poggiarsi non sulla sabbia, ma sulle solide fondamenta della Parola di Dio, che dona gioia e stabilità. La famiglia è al centro di un vortice di spinte e controspinte. Tutelata finanche dalla Costituzione della Repubblica, non sembra granché al centro delle attenzioni del legislatore. Al di là dell’aspetto spirituale, dobbiamo affermare con forza che la famiglia tradizionale è stata accantonata a vantaggio di forme di unioni cosiddette “civili”, cioè di coabitazioni che, pur avendo le stesse caratteristiche della famiglia, non ne possiedono requisiti di stabilità e l’obbligo di fedeltà, indice di responsabilità, pazienza, coraggio. Non solo. Com’è noto, le unioni civili o di fatto contemplano anche i connubi omosessuali, mentre altre leggi hanno reso più spedito l’iter della separazione e del divorzio. Stabiliamo un punto fermo: una cosa sono le famiglie tradizionali, altra cosa sono le unioni civili, ed altra cosa ancora sono le unioni omosessuali. Per comprendere bisogna saper distinguere e non comportarsi come quei tanti ideologi che parificano i fenomeni, affermando che pur sempre di amore si tratta. È una semplificazione che rende l’idea del clima relativista culturale ed ideologico che si è impossessato delle nostre comunità. Le nostre esistenze sono bombardate di continuo da messaggi di omologazione dei fenomeni affettivi, per cui non c’è nessuna differenza fra chi si sposa in chiesa e chi si sposa civilmente, fra chi, unendosi al proprio partner, può generare, e chi non potrà mai farlo senza ricorrere ad espedienti quali l’utero in affitto (la vicenda di Vendola docet!). Il passaggio ulteriore a cui guardano le lobby omosessuali è l’adozione, con che il processo omologativo e distruttivo della famiglia tradizionale sarà concluso. Già Amintore Fanfani, nel lontano 1974, ebbe a dire che dopo il divorzio sarebbe stata l’ora delle unioni gay. Fu profetico. La gioia della famiglia che si regge sul Vangelo, letto e praticato, è tuttavia l’obiettivo cui dobbiamo tendere in quest’anno pastorale, attraverso incontri formativi, letture appropriate, esami di coscienza, onde poter verificare il grado di adesione dei componenti delle famiglie al messaggio evangelico. Si tratta sempre e comunque di operare in vista di una rievangelizzazione delle nostre comunità, e poi di allargare il cerchio a chi vive situazioni familiari difficili e di disagio, alle famiglie ferite che, come quell’uomo tramortito dai malviventi sulla strada che da Gerusalemme conduceva a Gerico, aspettano forse qualcuno che si prenda cura di loro, che sia in grado di stimolare ad una riflessione appropriata che rilanci il progetto familiare, fondandolo su nuovi presupposti e condizioni, in ciò sorretti dalla preghiera, dalla carità e dall’azione dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Il mandato del nostro Vescovo alle comunità della Diocesi è quindi molto impegnativo, ma necessario ed ineludibile. Per mutare lo spirito comunitario, oggi sfregiato da subculture nichiliste e relativiste, non v’è altro modo che comunicare la gioia che sgorga continuamente dal costato di Cristo, morto e risorto per noi affinché possiamo avere la vita, avere più vita, e, in ultimo, accedere alla gioia della vita eterna.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXX - 355
Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo straordinario della Misericordia
Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e
ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo
pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla
schiavitù del denaro; l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa’
che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la
parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio! Tu sei il volto visibile
del Padre invisibile, del Dio che manifesta la
sua onnipotenza soprattutto con il perdono e
la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e
nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono
nell’ignoranza e nell’errore: fa’ che chiunque
si accosti a uno di loro si senta atteso, amato
e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e
consacraci tutti con la sua unzione perché
il Giubileo della Misericordia sia un anno di
grazia del Signore e la tua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri
il lieto messaggio proclamare ai prigionieri e
agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la
vista. Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a te che vivi e
regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i
secoli dei secoli. Amen
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ANNO XXX - 355
OTTOBRE: MARIA, REGINA DEL SANTO ROSARIO
È questo l’invito chiaro della Vergine
affinché i credenti rafforzino la propria
fede e preghino, sì da fermare la diffusione
del male e ottenere la conversione degli atei.
Senza dubbio il Rosario, in seguito alle tante
sollecitazioni di Maria, è una delle più efficaci
preghiere cristiane e, nella storia, non solo i
santi, ma tutte le persone di fede hanno amato
tale preghiera e ne hanno promosso la pratica
quotidiana, per rendere grazie alla Madre della
Misericordia. Nella realtà contemporanea la
recita del Rosario è una supplica corale per
superare tutte le perversioni del nostro tempo
e salvare la società dove, purtroppo, regnano
criminalità, edonismo, indifferenza... Ma Maria
è mediatrice di tutte le grazie e, in risposta
alla pia pratica della recita del Santo Rosario,
chiede al Suo Figlio diletto di aiutare e salvare
gli uomini, anche quelli indifferenti e ingrati
del Suo sacrificio. Chi crede, attraverso la
preghiera, compie un atto di totale affidamento
alla Madonna e nello stesso tempo si lascia
guidare dalla Sua costante e premurosa
presenza. La preghiera del Santo Rosario è
il pane che alimenta e sostiene i credenti nel
loro cammino sulla terra, perciò, là dove si fa
unanime il grido da parte di tutti gli uomini,
Maria placa gli “spiriti” bollenti e guerrafondai,
ferma le logiche della vendetta, genera armonia
e pace. L’uomo ha, dunque, bisogno di recitare
il Santo Rosario: un bisogno del corpo e
dell’anima, per riparare alle offese e cibarsi
della gloria di Dio. Maria, Madre del Figlio di Dio
e di tutti gli uomini, desidera che ogni creatura
diventi il santuario della vita e dell’amore. “…
dal Rosario si può ottenere tutto. È una lunga catena che lega il cielo e la terra. Una delle
estremità è nelle nostre mani, l’altra in quelle
della Madonna. Finché il Rosario sarà recitato,
Dio non potrà abbandonare il mondo, perché
questa preghiera è onnipotente al Suo Cuore’’.
(S. Teresa del Bambin Gesù). Recitare il Rosario
è una vera dichiarazione d’amore e di fede a
Maria, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo:
è una forma di dialogo intimo e profondo con
chi ama in modo infinito ed eterno e il continuo
ripetere l’invocazione “Ave Maria” diventa un
colloquio filiale che avvicina a Dio, consente
di vivere secondo la Sua volontà, dà il senso
del vivere la propria missione sulla terra. Ma,
a quale missione è chiamato l’uomo? Sotto
gli occhi di tutti ci sono i conflitti in varie parti
del mondo: si inneggia alla guerra, si sevizia,
si perseguita, si uccide senza pietà, ritenendo
sia l’unica strada per risolvere i problemi
di convivenza, rimuovendo il principio e il
significato dell’essere creature dello stesso
universo. L’invito di Maria è dunque disatteso
dai più, accecati come sono dall'odio,
dall'esaltazione di sé, dall'egoismo sfrenato
e dall'indifferenza fredda. È facile prendere le
distanze dalle amare realtà che affliggono i
fratelli meno fortunati, figli dello stesso Padre.
L’.uomo di oggi è sordo al richiamo accorato
della Vergine e con il suo considerarsi estraneo
ai fatti mette in atto la perfida strategia del
fratello che dice al proprio fratello: - Andiamo
ai campi!
Come non accogliere con zelo e amore filiale
l’invito di Maria? Corale dovrebbe essere
la risposta, sciogliendo labbra e cuore
all'invocazione dolce: “Ave Maria!”.
A.B.
A.B.
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ANNO XXX - 355
Nel tempo e nello spazio di Dio
Verso la fine delle vacanze, ma col
pensiero al prossimo anno pastorale e
quindi alla riorganizzazione delle varie
iniziative che serviranno
a bene impostare
quest’anno, mentre termina
l’anno giubilare e, con
novembre, saremo alla fine
e alla verifica del ventennio
della esperienza bellissima
del Sinodo parrocchiale
1994/95 e a quella della
realizzazione del mosaico
absidale della nostra chiesa
parrocchiale. Ci ritrovammo
intanto per il settenario in
onore della Addolorata e per
l’adorazione mensile animata dal
gruppo eucaristico e in quella
di P. Pio che festeggiammo
preparandoci con un triduo solenne e la breve processione del Santo la sera del 23
settembre. Ci siamo poi portati a Molfetta
per il Convegno diocesano sul
tema “Annunciare la Gioia del
Vangelo in famiglia”. Molto utili
le riflessioni del Vescovo don
Mimmo e quella di d. Paolo
Gentili della CEI. Un momento
molto bello e fruttuoso quello
della festa di S. Vincenzo de’
Paoli, animato dal Volontariato
Vincenziano; il parroco non
ha mancato di sottolineare
la vocazione caritativa di
questo Santo che ha mirato
ad andare all’essenziale del
Vangelo: la carità. Si è poi
tenuta a Riva del Sole la
convivenza della prima Comunità
neocatecumenale.
Luca
Luca
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ANNO XXX - 355
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