Miei Cari,
avevamo da pochi giorni ricordato Don Tonino nel XXV del suo servizio episcopale tra noi, soprattutto quell’8 dicembre quando potemmo stringerci intorno a lui che assumeva i paramenti pontificali per dare inizio al suo ministero tra noi. Quando, il 21 dicembre scorso il Vescovo Don Gino convocava il presbiterio per comunicarci la lieta e tanto attesa notizia che,“avendo ottenuto le necessarie approvazioni richieste dalla normativa vigente, inizierà l’iter per la causa di beatificazione del Servo di Dio Don Tonino Bello, nostro amato Pastore. La commozione ha preso tutti, superando lo stesso spontaneo applauso, esploso al termine dell’annuncio. Mi è venuta subito in mente l’affermazione di Mons. Capovilla: “Il Signore gli ha dato tanto, Don Tonino ha donato tutto” o l’altra dichiarazione del card. Martini: “Don Tonino è stata una persona straordinaria, grande comunicatore, grande poeta e grande credente”. Ma ancora più puntuale quanto ha affermato di lui il vescovo don Gino: “La fama della sua santità si è diffusa e continua a diffondersi. Il suo ministero episcopale ha inciso profondamente con il dono della parola illuminante, con la profezia dei gesti, con l’impegno per la pace, con l’attenzione privilegiata verso i poveri e gli
emarginati. Il suo stile di vita semplice e coinvolgente, rispettoso e amabile, continua ad esercitare un benefico influsso in molti... perfino su persone che non condividono la stessa fede cristiana”. Aveva appreso in pieno e testimoniato con le opere quanto asseriva S. Agostino (tratt. VIII, in Gv. Ep.): “Dilectio dulce verbum est, sed dulcius factum”. L’amore è una dolce parola, ma più dolce è viverla.
Questa lieta notizia, miei Cari, giunge mentre stiamo vivendo il 25 ° anno del nostro camminare insieme nella via della pace. Fu Don Tonino ad avviare la parrocchia Redentore come prima comunità in Diocesi. Possa questa singolare coincidenza diventare profetico annuncio per una revisione del nostro essere Chiesa, del nostro diuturno impegno nella evangelizzazione, soprattutto slancio verso la santità. E prendendo in prestito l’esortazione del vescovo don Gino, “vi invito a ringraziare il Signore, affinché per intercessione del Servo di Dio don Tonino Bello, così come lo possiamo invocare fin da ora, la nostra fede sia alimentata, la nostra speranza rinsaldata, la nostra carità dilatata.
Con l’augurio di buon anno
2008 e buon proseguimento.
Cordialmente, Don Vincenzo
Nella comunione dei santi, don Tonino, io Ti prego come mio fratello maggiore nella fede.
Tu sei già volato là dove pure io - con chi amo - spero un giorno di rivedrti: ognuno di noi con una sola ala, per
volare abbraacciati negli sconfinati spazi dell’amore...
La Pace fu per Te sogno che ora è già realtà nei cieli e per me fonte di certa speranza.
“Molte volte, pensando ad un fiore, l’ho visto nascere”
* * *
(Episcopio di Ruvo: prima foto di don Tonino, scattata due giorni dopo la sua nomina a Vescovo di Ruvo-2 ottobre 1982-ph. D. Vendola)
IL SERVO DI DIO DON TONINO BELLO
È con immensa gioia che ho appreso dell’apertura del processo di canonizzazione del nostro amato Vescovo
Don Tonino Bello, vissuto fra noi con gli stessi sentimenti del Buon Pastore.
Grande cultura, soprattutto grande cultura della pace e dell’amore, poiché pace ed amore procedono di pari passo, illuminati dal faro della giustizia. Grande capacità di trasmettere il messaggio evangelico, non con gli artifici dell’oratore consumato, ma con la forza e l’energia dell’innamorato di Dio, dell’uomo orante, del poeta consumato dall’amore per una donna eccezionale, Maria. Grande capacità di tessere reti larghe di solidarietà
verso gli ultimi, quelli che lui chiamava per nome e ai quali dedicava pagine tenerissime e struggenti, o ai quali si indirizzava col termine di “drop out”, che se dà l’idea di qualcosa di lontano da noi, di esotico, di forestiero, in realtà dà esattamente il polso della situazione reale: noi preferiamo stare lontano dagli emarginati ma vicino ai benestanti o nei loro immediati paraggi. Pur quando ne incontriamo qualcuno di cui conosciamo il nome, poniamo fra noi e lui il separè della condizione economica e dello status sociale o culturale. Lontano dai poveri, prossimi ai ricchi e potenti: è la parabola discendente (e decadente) del cattolicesimo praticante, mentre si fa sfoggio del cattolicesimo teorizzante.
Don Tonino rivoluzionò (non senza incomprensioni) taluni schemi, preferendo a certo teologismo ed alle varie cattedre, ai tepori parrocchiali e alle stagnazioni della Parola, quella messa quotidiana che si tramuta miracolosamente in pane e vino, in qualcosa (o in Qualcuno) di tangibile e vivo, e che comincia e si manifesta esattamente nell’attimo stesso in cui si esce dal tempio per andare nelle piazze del mondo, per percorrere le vie del paese, per entrare nelle case e nei luoghi di lavoro dove si fa concreta esperienza dei diuturni sacrifici, delle apprensioni, delle speranze e delle gioie delle persone umane. Chi chiamiamo prossimo nelle nostre chiese, ha in realtà sempre un nome, cognome ed indirizzo. Se vogliamo, possiamo incontrarci con lui, parlargli, fugare i dissidi, amarci, capirci. Don Tonino era consapevole di questo, ed in lui fu profondamente presente ed operante la cultura dell’accoglienza. Accolse i poveri ed i senza tetto nel palazzo vescovile, li ospitò, sottraendoli per qualche tempo agli ospizi della società e della storia umana, luoghi dove spesso si avvertono i morsi della più cocente solitudine ed assenza di speranza, il vero cancro della nostra epoca ammattita. Accolse anche i senza Dio, i non credenti, gli agnostici, o i cercatori di Dio, non imponendo il suo punto di vista ma cercando sempre un dialogo che, nella sua più esatta accezione, è riconoscimento di me nell’altrui esperienza vitale, e dell’altro nella mia personale esperienza di vita. Non c’è una verità da imporre, semmai c’è una verità che si svela progressivamente, che si rende amabile con gli esempi, gli sguardi, le parole. Come ha ben scritto Sua Santità Benedetto XVI nell’ultima enciclica “Spe Salvi” a proposito del Purgatorio e dei suffragi, l’uomo non è una monade, non è un isola, noi tutti siamo legati gli uni agli altri in modo spirituale, quindi in modo semmai più solido e vero. È un legame robusto e duraturo che continua anche dopo la soglia della morte biologica, per cui nessuno è mai solo e nessuno è mai perduto per sempre.
Questa “logica” fu applicata da Don Tonino, del quale avvertiamo ancora oggi, anzi oggi più che mai, la presenza, sperimentandone l’amore e la potente intercessione. Chi lo ha conosciuto era già certo della sua santità. Ben lo sapeva questa Comunità parrocchiale del SS. Redentore, da lui tante volte visitata ed amata,
La Chiesa in cammino verso il Redentore (particolare dell’abside - G. Valerio 2004)
che nel 2002 volle fosse immortalato dall’abile mano del pittore Gaetano Valerio in uno dei due grandi dipinti dell’area absidale, in compagnia della Vergine Maria, di S. Biagio e S. Cleto, di S. Pietro clavifero, dei Santi
Giovanni e Giacomo. Egli vi compare in atteggiamento di profonda umiltà, sorridente, amabile come sempre.
Forse fu facile preveggenza, ma dobbiamo comunque esserne grati a Don Vincenzo, il quale si è “arrischiato”,
ha scommesso sulla santità di Don Tonino anni prima che la Chiesa aprisse l’iter che lo porterà agli onori degli altari, speriamo molto presto. Il SS. Redentore, così, è la prima chiesa che ospita un fedele ritratto del Servo
di Dio Mon. Antonio Bello. Bisogna andarne legittimamente ed umilmente fieri.
Al Servo di Dio, che fu apostolo e testimone dell’amore di Dio per noi, chiediamo la grazia di amare senza misura, senza calcoli, senza egoismo; di essere rinnovati nella fede, nella speranza, nella carità; di intercedere per i nostri bisogni spirituali, morali e materiali, certi di essere da lui ascoltati così come soleva fare quando, ancora in vita, ci incontrava, rivolgendoci parole di conforto e di amore.
Salvatore Bernocco
Don Tonino Bello, vissuto fra noi con gli stessi sentimenti del Buon Pastore.
Grande cultura, soprattutto grande cultura della pace e dell’amore, poiché pace ed amore procedono di pari passo, illuminati dal faro della giustizia. Grande capacità di trasmettere il messaggio evangelico, non con gli artifici dell’oratore consumato, ma con la forza e l’energia dell’innamorato di Dio, dell’uomo orante, del poeta consumato dall’amore per una donna eccezionale, Maria. Grande capacità di tessere reti larghe di solidarietà
verso gli ultimi, quelli che lui chiamava per nome e ai quali dedicava pagine tenerissime e struggenti, o ai quali si indirizzava col termine di “drop out”, che se dà l’idea di qualcosa di lontano da noi, di esotico, di forestiero, in realtà dà esattamente il polso della situazione reale: noi preferiamo stare lontano dagli emarginati ma vicino ai benestanti o nei loro immediati paraggi. Pur quando ne incontriamo qualcuno di cui conosciamo il nome, poniamo fra noi e lui il separè della condizione economica e dello status sociale o culturale. Lontano dai poveri, prossimi ai ricchi e potenti: è la parabola discendente (e decadente) del cattolicesimo praticante, mentre si fa sfoggio del cattolicesimo teorizzante.
Don Tonino rivoluzionò (non senza incomprensioni) taluni schemi, preferendo a certo teologismo ed alle varie cattedre, ai tepori parrocchiali e alle stagnazioni della Parola, quella messa quotidiana che si tramuta miracolosamente in pane e vino, in qualcosa (o in Qualcuno) di tangibile e vivo, e che comincia e si manifesta esattamente nell’attimo stesso in cui si esce dal tempio per andare nelle piazze del mondo, per percorrere le vie del paese, per entrare nelle case e nei luoghi di lavoro dove si fa concreta esperienza dei diuturni sacrifici, delle apprensioni, delle speranze e delle gioie delle persone umane. Chi chiamiamo prossimo nelle nostre chiese, ha in realtà sempre un nome, cognome ed indirizzo. Se vogliamo, possiamo incontrarci con lui, parlargli, fugare i dissidi, amarci, capirci. Don Tonino era consapevole di questo, ed in lui fu profondamente presente ed operante la cultura dell’accoglienza. Accolse i poveri ed i senza tetto nel palazzo vescovile, li ospitò, sottraendoli per qualche tempo agli ospizi della società e della storia umana, luoghi dove spesso si avvertono i morsi della più cocente solitudine ed assenza di speranza, il vero cancro della nostra epoca ammattita. Accolse anche i senza Dio, i non credenti, gli agnostici, o i cercatori di Dio, non imponendo il suo punto di vista ma cercando sempre un dialogo che, nella sua più esatta accezione, è riconoscimento di me nell’altrui esperienza vitale, e dell’altro nella mia personale esperienza di vita. Non c’è una verità da imporre, semmai c’è una verità che si svela progressivamente, che si rende amabile con gli esempi, gli sguardi, le parole. Come ha ben scritto Sua Santità Benedetto XVI nell’ultima enciclica “Spe Salvi” a proposito del Purgatorio e dei suffragi, l’uomo non è una monade, non è un isola, noi tutti siamo legati gli uni agli altri in modo spirituale, quindi in modo semmai più solido e vero. È un legame robusto e duraturo che continua anche dopo la soglia della morte biologica, per cui nessuno è mai solo e nessuno è mai perduto per sempre.
Questa “logica” fu applicata da Don Tonino, del quale avvertiamo ancora oggi, anzi oggi più che mai, la presenza, sperimentandone l’amore e la potente intercessione. Chi lo ha conosciuto era già certo della sua santità. Ben lo sapeva questa Comunità parrocchiale del SS. Redentore, da lui tante volte visitata ed amata,
La Chiesa in cammino verso il Redentore (particolare dell’abside - G. Valerio 2004)
che nel 2002 volle fosse immortalato dall’abile mano del pittore Gaetano Valerio in uno dei due grandi dipinti dell’area absidale, in compagnia della Vergine Maria, di S. Biagio e S. Cleto, di S. Pietro clavifero, dei Santi
Giovanni e Giacomo. Egli vi compare in atteggiamento di profonda umiltà, sorridente, amabile come sempre.
Forse fu facile preveggenza, ma dobbiamo comunque esserne grati a Don Vincenzo, il quale si è “arrischiato”,
ha scommesso sulla santità di Don Tonino anni prima che la Chiesa aprisse l’iter che lo porterà agli onori degli altari, speriamo molto presto. Il SS. Redentore, così, è la prima chiesa che ospita un fedele ritratto del Servo
di Dio Mon. Antonio Bello. Bisogna andarne legittimamente ed umilmente fieri.
Al Servo di Dio, che fu apostolo e testimone dell’amore di Dio per noi, chiediamo la grazia di amare senza misura, senza calcoli, senza egoismo; di essere rinnovati nella fede, nella speranza, nella carità; di intercedere per i nostri bisogni spirituali, morali e materiali, certi di essere da lui ascoltati così come soleva fare quando, ancora in vita, ci incontrava, rivolgendoci parole di conforto e di amore.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXII - N.1
Carlo Carretto: “FAMIGLIA, PICCOLA CHIESA”, NON POLLAIO O SALOTTO
La ristampa del libro “Famiglia, piccola chiesa”, che Carlo Carretto scrisse nel 1949, dà lo spunto per alcune attualissime riflessioni su un istituto soggetto a forti tensioni
Carlo Carretto, per chi non lo conoscesse, fu un uomo ed sacerdote eccezionale. Nel 1949 diede alle stampe un libro intitolato “Famiglia, piccola chiesa”, oggi ripubblicato dall’editrice AVE, che è di estrema attualità. Del resto, poiché fondato su solide basi – quali sono i principi dell’amore e della relazione fra le persone secondo il disegno di Dio –, esso accenna ad alcuni aspetti che marcano la netta differenza fra una visione “borghese” della famiglia e la concezione cristiana di essa, che ne fa una “piccola chiesa domestica”, esaltandone il senso ed il ruolo nella società. Cosa sia oggi la famiglia, sottoposta a continue tensioni e a tentativi di snaturarne il valore, è sotto gli occhi di tutti. Essa è divenuta un luogo di accumulo di tensioni, una sorta di albergo a ore, dove ci si sta solo per mangiare e dormire; un luogo dove le frustrazioni non trovano la bella compensazione dell’amore e della vicendevole comprensione; un ambito in cui i figli non dialogano con i genitori ed i genitori fra di loro, causando quei cortocircuiti che spengono interi quartieri interiori; un avamposto privato, insomma, della società caotica in cui viviamo, dove l’esteriorità, l’apparire, l’avere hanno il primato sulla sostanza dell’essere. La famiglia, in poche parole, non riesce più a dare contenuti vitali nella società dei consumi e del consumo delle relazioni, che appaiono superficiali, volgari, aride. Se un quadro desolante della famiglia cosiddetta borghese fu dipinto dallo scrittore Alberto Moravia nel suo libro “Gli indifferenti” del 1929, Carlo Carretto venti anni dopo ne recupera appieno il significato ponendosi in
un’ottica umana e cristiana, segnata dalla presenza redentrice del Cristo. Mettere su famiglia non è una scelta facile, anzi, come egli scrive, l’amore coniugale è “un camminare in alta montagna, sulla cresta di un ghiacciaio lucente: basta un nulla e c’è l’abisso”. È una scelta di vita che comporta il sacrificio di sé nelle forme della pazienza, del dialogo, della comprensione, del perdono, che va concesso a profusione (settanta volte sette, cioè un numero infinito di volte). La famiglia postula l’autonomia, che non è anarchia ma indipendenza responsabile, il che significa una presa di distanza (che non vuol dire lontananza) dalle inconsce seduzioni della famiglia di origine, per crescere e prosperare nel crogiolo delle scelte e degli impegni quotidiani, divenendo artefici e signori del proprio destino e della propria felicità. Già, perché, al di là di ciò che si dice e si vuole far credere, la famiglia può rendere felici grazie all’esercizio dell’intimità e dell’amore, con la donazione totale di sé. Ma Carlo Carretto suggerisce anche, anzi soprattutto, il ricorso alla preghiera.
Fu colpito dal trovare un inginocchiatoio a due posti in una camera nuziale. Senza ricorrere a tanto, possiamo senz’altro
condividere che la preghiera è un rimedio potentissimo alla dissipazione interiore, è il recinto eretto intorno all’anima per preservare l’integrità del gregge interiore dagli assalti dei lupi e dei briganti. Un libro da leggere e da meditare.
S.B.
Carlo Carretto, per chi non lo conoscesse, fu un uomo ed sacerdote eccezionale. Nel 1949 diede alle stampe un libro intitolato “Famiglia, piccola chiesa”, oggi ripubblicato dall’editrice AVE, che è di estrema attualità. Del resto, poiché fondato su solide basi – quali sono i principi dell’amore e della relazione fra le persone secondo il disegno di Dio –, esso accenna ad alcuni aspetti che marcano la netta differenza fra una visione “borghese” della famiglia e la concezione cristiana di essa, che ne fa una “piccola chiesa domestica”, esaltandone il senso ed il ruolo nella società. Cosa sia oggi la famiglia, sottoposta a continue tensioni e a tentativi di snaturarne il valore, è sotto gli occhi di tutti. Essa è divenuta un luogo di accumulo di tensioni, una sorta di albergo a ore, dove ci si sta solo per mangiare e dormire; un luogo dove le frustrazioni non trovano la bella compensazione dell’amore e della vicendevole comprensione; un ambito in cui i figli non dialogano con i genitori ed i genitori fra di loro, causando quei cortocircuiti che spengono interi quartieri interiori; un avamposto privato, insomma, della società caotica in cui viviamo, dove l’esteriorità, l’apparire, l’avere hanno il primato sulla sostanza dell’essere. La famiglia, in poche parole, non riesce più a dare contenuti vitali nella società dei consumi e del consumo delle relazioni, che appaiono superficiali, volgari, aride. Se un quadro desolante della famiglia cosiddetta borghese fu dipinto dallo scrittore Alberto Moravia nel suo libro “Gli indifferenti” del 1929, Carlo Carretto venti anni dopo ne recupera appieno il significato ponendosi in
un’ottica umana e cristiana, segnata dalla presenza redentrice del Cristo. Mettere su famiglia non è una scelta facile, anzi, come egli scrive, l’amore coniugale è “un camminare in alta montagna, sulla cresta di un ghiacciaio lucente: basta un nulla e c’è l’abisso”. È una scelta di vita che comporta il sacrificio di sé nelle forme della pazienza, del dialogo, della comprensione, del perdono, che va concesso a profusione (settanta volte sette, cioè un numero infinito di volte). La famiglia postula l’autonomia, che non è anarchia ma indipendenza responsabile, il che significa una presa di distanza (che non vuol dire lontananza) dalle inconsce seduzioni della famiglia di origine, per crescere e prosperare nel crogiolo delle scelte e degli impegni quotidiani, divenendo artefici e signori del proprio destino e della propria felicità. Già, perché, al di là di ciò che si dice e si vuole far credere, la famiglia può rendere felici grazie all’esercizio dell’intimità e dell’amore, con la donazione totale di sé. Ma Carlo Carretto suggerisce anche, anzi soprattutto, il ricorso alla preghiera.
Fu colpito dal trovare un inginocchiatoio a due posti in una camera nuziale. Senza ricorrere a tanto, possiamo senz’altro
condividere che la preghiera è un rimedio potentissimo alla dissipazione interiore, è il recinto eretto intorno all’anima per preservare l’integrità del gregge interiore dagli assalti dei lupi e dei briganti. Un libro da leggere e da meditare.
S.B.
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ANNO XXII - N.1
Gesù ha battezzato?
La maggior parte dei cristiani, anche quelli culturalmente preparati, sarebbero certo in imbarazzo a rispondere a questa domanda, se fosse loro posta. I testi evangelici che parlano di un battesimo amministrato da Gesù durante la sua missione terrena sono pochi e mal conosciuti.
Esistono tuttavia due passi, che si trovano entrambi nel vangelo di Giovanni. Il primo descrive la scena dell’ultima testimonianza che Giovanni Battista rende a Gesù e comincia così: “Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea; e là si trattenne con loro e battezzava. Anche Giovanni battezzava a Ennon, vicino a Salim, perché là le acque erano abbondanti…” (Gv 3,22-23). Il secondo è l’introduzione del dialogo tra Gesù e la Samaritana: “Quando Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire che egli faceva più discepoli e battezzava più di Giovanni - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria…” (Gv 4,1-4). I due passaggi descrivono, per Gesù e Giovanni Battista, attività battesimali analoghe: è evidente che non si tratta ancora del battesimo cristiano, ma del rito celebrato dai gruppi giudaici battisti ai quali apparteneva Giovanni il Precursore. Secondo la testimonianza del quarto Vangelo, sembra che Gesù abbia frequentato questi gruppi all’inizio della sua missione e abbia fondato la sua predicazione sul medesimo rito.
Si pone tuttavia la questione della storicità di questa testimonianza, essendo solamente l’evangelista Giovanni a portarla. L’imbarazzo stesso che l’autore del quarto Vangelo prova all’inizio del brano dedicato al dialogo con la Samaritana aiuta a rispondere. Egli scrive: “Sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli”. I critici chiamano questo un pentimento. I battesimi amministrati da Gesù in dipendenza dalle correnti battiste hanno evidentemente fatto difficoltà alle chiese primitive; Gesù appare qui dipendente da Giovanni, mentre tutto ciò che segue lo mostra come superiore al precursore. L’autore del quarto Vangelo ritorna allora su quanto ha appena affermato, e trasferisce l’appartenenza battista di Gesù ai suoi discepoli; è meno compromettente per lui. Forse per ragioni simili, gli altri autori del Nuovo Testamento passano sotto completo silenzio questa attività di Gesù o del suo gruppo. In altre parole, nessun autore cristiano del I secolo aveva interesse a dire che il Signore aveva battezzato. Ma se uno di loro ne parla, vuol dire che Gesù lo aveva realmente fatto.
Michel Quesnel
dalla rivista: “Il mondo della Bibbia”
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ANNO XXII - N.1
Come sempre, da anni, Mons. Capovilla, già segretario del Beato Giovanni XXIII, invia in anticipo gli auguri natalizi alla nostra comunità.
Noi li ricambiamo con pari affetto.
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ANNO XXII - N.1
Nel Mese
Come per gli anni scorsi, il mese di dicembre ha visto la comunità impegnata con il novenario all’Immacolata, conclusero con le Quarantore durante le quali ha celebrato e tenuto l’omelia il nostro Vicario Generale Mons. Tridente che ringraziamo da questa pagina. Si è voluto così ricordare il 25° di istituzione del gruppo parrocchiale della Riparazione Eucaristica. Ci siamo stretti poi il giorno 7 intorno al nostro Parroco per assicurargli collaborazione piena e il sostegno della preghiera nell’anniversario della sua Ordinazione Presbiterale. A tutti i livelli si è intensificata la catechesi sui temi dell’Avvento non omettendo di tutto comparare con le linee pastorali affidateci dal Vescovo nello scorso settembre.
I giovani, e non soltanto essi, hanno approntato la magnifica grotta del presepe e riveduto il repertorio dei canti natalizi non ultima la Messa pastorale del M° Michele Cantatore. La messa mattutina della Vigilia e quella di mezzanotte di Natale hanno registrato la presenza notevole soprattutto di famiglie ed elementi giovanili; ha concelebrato col parroco don G. Ricchiuto, parroco di S. Caterina in Bitonto Molto interessante la conferenza sul Natale che il parroco ha tenuto al Rotary Club Mediterraneo di Bari la sera del 19 dicembre. E anche le serate natalizie sono state vivacizzate dai ragazzi. Particolare rilievo si è dato alla celebrazione partecipata dalle famiglie nella festa della Santa Famiglia nonché ai concerti natalizi del 12 e 27 dicembre, mentre la sera del 31 ci siamo ritrovati per un corale ringraziamento al Signore e il Te Deum per i doni ricevuti in
nell’anno 2007. E intanto iniziano i lavori per il campanile e la risistemazione delle tre campane con un nuovo suono.
Luca
I giovani, e non soltanto essi, hanno approntato la magnifica grotta del presepe e riveduto il repertorio dei canti natalizi non ultima la Messa pastorale del M° Michele Cantatore. La messa mattutina della Vigilia e quella di mezzanotte di Natale hanno registrato la presenza notevole soprattutto di famiglie ed elementi giovanili; ha concelebrato col parroco don G. Ricchiuto, parroco di S. Caterina in Bitonto Molto interessante la conferenza sul Natale che il parroco ha tenuto al Rotary Club Mediterraneo di Bari la sera del 19 dicembre. E anche le serate natalizie sono state vivacizzate dai ragazzi. Particolare rilievo si è dato alla celebrazione partecipata dalle famiglie nella festa della Santa Famiglia nonché ai concerti natalizi del 12 e 27 dicembre, mentre la sera del 31 ci siamo ritrovati per un corale ringraziamento al Signore e il Te Deum per i doni ricevuti in
nell’anno 2007. E intanto iniziano i lavori per il campanile e la risistemazione delle tre campane con un nuovo suono.
Luca
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