Le solenni Quarantore del 2008:

L’Eucarestia, scuola dei discepoli di Gesù

Miei Cari,
Mentre si avvicinano i giorni della solenne esposizione annuale del SS Sacramento in preparazione alla festa dell’Immacolata, avverto la necessità di soffermarmi con voi sull’Eucarestia che edifica la Comunità, convinti come siamo che “l’Eucarestia fa la Chiesa”. Gesù è il Signore! Lo sguardo del cuore e della fede sul crocefisso risorto è ciò che da duemila anni fonda e alimenta la speranza del popolo cristiano. È questo il cuore della nostra vita e il centro della nostra comunità. Non sono le nostre opere a sostenerci, ma l’amore gratuito con cui Dio ci ha rigenerati in Cristo e con cui attraverso lo Spirito, continua a darci vita.
L’esperienza viva del Risorto è costituita dall’Eucarestia, centro propulsore che immette nel nostro tempo la gratuità di Dio che si dona a noi per tutti, per un servizio ai poveri perché un’Eucarestia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Non si può essere Chiesa senza l’Eucarestia; un’autentica Comunità ecclesiale che voglia vivere la comunione, pone al centro l’Eucarestia, e da essa assume forma, criterio e stile di vita: l’Eucarestia è la vita, ed è la scuola dei discepoli di Gesù.
L’Eucarestia è un memoriale attraverso il quale Cristo stesso si rende presente. “Memoriale” equivale a ricordare, celebrare, comunicare quanto Dio ha fatto per il suo popolo in un determinato momento della sua storia e si fa presente anche oggi come allora per dargli forza e sostegno. Il “Memoriale” è il punto d’incontro tra il ricordo di Dio e il ricordo dell’uomo. Quando la Chiesa fa memoria celebrando l’Eucarestia, scopre che Dio è il più puntuale a quell’appuntamento: si sta già ricordando di lei, cioè sta già intervenendo per i bisogni concreti di quella comunità. Attraverso il memoriale che va dal passaggio dalla pasqua ebraica a quella cristiana, Gesù, che desidera ardentemente mangiare la Pasqua con i suoi, si offre al Padre, concretizza la sua lode e il suo rendimento di grazie. Quindi dà da mangiare il suo corpo e da bere il suo sangue, perché siamo in comunione con il suo sacrificio. Egli comanda che d’ora in poi ciò lo facciano in memoria di lui. Vivremo profondamente e fruttuosamente l’eucarestia solo se risponderemo a questo invito di Gesù, non accontentandoci di una ripetizione rituale, ma attraverso celebrazioni che siano piene della nostra vita. Allora le nostre eucarestie potranno diventare spazio e tempo dentro cui il nostro Dio che viene potrà continuare a far nuove tutte le cose. Siano questi i pensieri sui quali dobbiamo tornare durante i prossimi giorni delle Quarantore perché la nostra Comunità diventi sempre più discepola del Signore. A cominciare dal nuovo Anno Liturgico che si apre dinanzi a noi.


Cordialmente
Don Vincenzo




Al Vescovo don Gino e agli Amici
della Comunità Parrocchiale
l’augurio cordiale di un S. Natale
e un Sereno Anno 2009


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Lunedì, 22 dicembre 2008 - ore 19,30
Narrazione della nascita del Redentore, recitata da un cantastorie errante, a cura del Gruppo Animazione “Lapecheronza” e della “Pro Loco”.

Vero uomo, senza sconti

“Però rispondimi da uomo, non da prete”. Chi m’interpellava così era al massimo della prostrazione per la morte di un caro giovane amico, il quarto in pochi mesi! “Ma io sono uno, sai, uno solo…” mi è venuto istintivo rispondere, alludendo al fatto che mi sento insieme uomo, cristiano e prete, senza cesure e saparatezze: quando parlo con gli amici, predico dall’ambone o sto al tavolo di lavoro. Al di là di limiti e sbagli che non voglio certo beatificare, un traguardo importante perseguito - grazie anche a numerosi stimoli formativi della mia chiesa diocesana - è
l’unificazione della persona, a partire dal dono della vita, del battesimo, della vocazione al ministero. “Sono uno solo”: non a fette, no a part-time. Il fondamento di tutto questo lo trovo guardando a Gesù, che in sé unifica - per un “miracolo” grande, un mistero sorprendente - la vita del Figlio di Dio e la carne umana. Intendendo la realtà della nostra concretezza, fatta anche di debolezza e quotidianità “normale”: “Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” insegna la Gaudium et Spes in un passo semplice e meraviglioso. Gesù, l’uomo nuovo, è il prototipo del cristiano che cresce affidandosi al Padre, cercando la sua volontà, amando i fratelli, donandosi totalmente per il Regno.
Guardando al Natale ormai in vista chiediamo al Padre di prendere sul serio l’incarnazione del Figlio, guardando - al di là della “magia” della festa - proprio alla sua carne reale, alla vita quotidiana fatta di relazioni, lavoro, progetti… E domandiamo il dono di vivere e crescere anche noi il più possibile “unificati”, in modo tale che la vita si possa effettivamente richiamare alla fede, senza sconti né zone franche: cristiani nella gioia e nel dolore, in chiesa e al lavoro, in famiglia e nel divertimento…
Lo sguardo materno di Maria ci accompagni e incoraggi, vigili su di noi e guidi il nostro cammino verso un’altra Betlemme di festa e di pace.


C. C.

IL NATALE, VITTORIA DELLA VITA


Diciamo la verità: un po’ ci siamo assuefatti alle ricorrenze. Le diamo per scontate. O le desensibilizziamo: il sentimentalismo non si addice agli adulti, c’è la cruda realtà con cui fare i conti un giorno dopo l’altro. O le odiamo perché ci rivelano il livello di aridità a cui siamo giunti per non avere coltivato lo spirito, la mente, il cuore in modo adeguato. È uno dei paradossi a cui assistiamo: diete, sport, fitness, centri estetici, tutto per il corpo e niente per la parte interiore, là dove si sperimenta la vita o la morte. Siamo nel vortice di una cultura narcisistica di massa che ottunde le menti, rende ciechi e sordi, egoisti e cinici. Ed ecco affacciarsi quella penosa sensazione di vuoto, che si tenta di riempire con droghe, alcol, sesso, eccetera. Senza valori spirituali niente ha più valore. La vita spirituale, così, è più reale delle realtà che viviamo, dà loro un senso, un fondamento, radici profonde.
La preghiera – sento dire - è romanticismo; la novena del Natale e la nenia a Gesù Bambino sono espressioni patetiche di un mondo che non ci appartiene più, lacere tradizioni appartenute ai nostri nonni. Manifestazioni lontane di un popolo di sempliciotti. Eppure l’aridità ci assedia da vicino, anzi da dentro, ed il progresso non può arrestarla. Neppure un pingue conto in banca o l’ennesimo viaggio di piacere o l’ennesimo tradimento può fare molto. La felicità non sa che farsene di tanto denaro, è allergica al molto (qualcuno ha scritto che il diavolo è amico di ogni esagerazione). Lo spirito viene sollevato dai viaggi, fare nuove esperienze è utile e buono, la mente si apre e riceve nuovi stimoli, ma i chilometri percorsi ed i luoghi visitati leniscono il dolore dell’anima senza guarirne le ferite profonde. Soltanto lo Spirito Santo, che è l’amore del Padre e del Figlio, può far sgorgare fiumi di acqua viva, sanare le ferite, sottrarre terreno al deserto interiore, dissetare.
Per lo Spirito, infatti, viviamo e siamo. Ma c’è una condizione da soddisfare: che crediamo che quel bambino che è nato da Maria in una capanna, fuori città, al freddo e al gelo, è il Figlio di Dio, l’Atteso, il Messia.
Da quella nascita apprendiamo una lezione: l’umiltà e la povertà sono gli indicatori della salute dello spirito. Sono le virtù prime. Un cristiano non può che essere umile e riconoscersi povero, bisognoso di ricevere tutto, cioè la vita ed il suo senso, dal suo Creatore. Se le ricchezze materiali fossero state il lasciapassare per la vita eterna, di certo Gesù sarebbe nato in una magione lussuosa, vezzeggiato da stuoli di servitori, e ci avrebbe invitato ad accumulare e ad infischiarcene degli altri. Proprio la novità che i poveri sono la preoccupazione di Dio, in un mondo monopolizzato dai potenti e dai ricchi, ci fa comprendere che egli è veramente Dio. Non una invenzione umana, giacché nessun uomo avrebbe potuto inventarsi una religione per i poveri in un mondo dominato dai ricchi.
C’è ancora una speranza di festa, di letizia, per chi è adulto? O deve rassegnarsi a tirare la vita alla men peggio, a barcamenarsi fra il lavoro e la famiglia, la salute che vacilla e le preoccupazioni quotidiane? Può il Natale essere ancora santo? Direi di sì, purché si accolga lo Spirito di Dio. È come una brezza leggera; è la grazia che purifica; è l’acqua che irriga e disseta; è il fuoco che arde il peccato del mondo. È il sangue di Cristo che, trasfuso in noi con l’Eucaristia, ci libera dall’anemia dell’egoismo, restituendoci ad una vita piena, eterna per la sua qualità.


S. B.

LA RIVOLUZIONE OLANDESE

Alcuni sostenevano che il consumo delle droghe sarebbe diminuito se fosse stato liberalizzato, quindi depenalizzato. Altro risultato che si sarebbe raggiunto, sempre secondo questi autorevoli teorici (che oggi tacciano): sottrarre alla malavita organizzata il traffico e lo spaccio. Ma le cose sono andate diversamente, com’era logico attendersi. La strategia dei cartelli della droga è consistita e consiste nel vendere minidosi di cocaina a 8, 10 euro. Il mercato si è allargato a dismisura, anche i ragazzi possono accedervi facilmente con le loro “paghette”, e l’Italia è fra le prime nazioni in Europa per consumo di cocaina. Altra castroneria: hashish e marijuana non sono droghe, è erba che fa bene al corpo e alla mente. Lo spinello è un toccasana per il cervello. L’ho sentito ripetere da un giovane ruvese dell’età di circa trent’anni, che diceva di amare a dismisura gli animali, la natura e S. Francesco d’Assisi, ma non la Chiesa ed i preti. Amando la natura, quindi, non poteva esimersi dall’amare anche i prodotti della terra, fra cui la marijuana. Ironie a parte, è noto che il paradiso dei drogati e dei sessuomani è l’Olanda, dove però le cose stanno cambiando radicalmente. In senso positivo. In direzione della tutela della vita e del suo valore. È di qualche giorno fa la notizia, che certa stampa di sinistra ha dato con malcelato disappunto, che il governo olandese “progetta di mettere al bando hashish e marijuana e, con esse, i locali più celebri dei Paesi Bassi”. Chiudono, insomma, i cosiddetti coffee shop (ma il caffé non c’entrava niente) mentre sono stati “drasticamente” ridimensionati i quartieri a luci rosse. “Olanda 2008, lo spirito della nazione più liberale d’Europa pian piano sta svanendo”, sostiene sempre la stampa di sinistra. Spirito liberale? O spirito letale? L’Olanda viene invasa da frotte di giovani “fumatori” di spinelli. E il commercio di droghe è nelle mani della mafia marocchina, che fattura miliardi di euro sulla pelle dei giovani. Una misura, quella adottata dall’Olanda, che sconfessa apertamente i fautori di una politica “liberale” che, come tutto dimostra, più che emancipare rende schiavi e foraggia il crimine.


Salvatore Bernocco

Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce


Non la luce d’un giorno, su cui incombe la notte. Non la luce che fumiga incerta e il
primo vento spegne. Isaia vide, 700 e più anni prima, “una Gran Luce”, l’epifania del Verbo di Dio fatto uomo. “Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene al mondo”, dirà Giovanni evangelista, ponendo un nuovo sigillo alla profezia di Isaia.
Se vogliamo completare il quadro del Natale ed entrare nel suo mistero, aggiungeremo che il Bambino di Betlemme entra nella nostra storia per redimerla dall’antico peccato.
Era un peccato che pesava, lo avvertivano non solo i figli d’Israele che attendevano la salvezza dal Messia promesso, ma era una sensazione presente anche nell’anima pagana dei latini, dei greci, nelle altre civiltà gravitanti intorno al Mediterraneo e oltre.
Non a caso, Luca evangelista pone la nascita di Gesù “nella pienezza dei tempi”, quando era al top l’attesa, la speranza, la voglia di salvezza. Era tempo favorevole anche sul piano storico. Augusto imperatore, dopo la battaglia di Munda del 30 a.C., aveva inaugurato la “Pax Romana”, tacevano le armi e le popolazioni, comprese quelle della Palestina, godevano giorni tranquilli.
Potremmo sottolineare altri elementi che danno le coordinate storiche della nascita di Gesù, come il viaggio di Giuseppe e Maria a Betlemme in obbedienza all’editto sul censimento della popolazione.
Non erano poi tanti all’epoca sulla faccia della terra: 250 milioni in tutto, stando alle più accreditate stime moderne. Ma erano nelle tenebre. Alle tenebre ci si può anche abituare, perfino preferirle alla Luce. E tuttavia, senza Gesù, Dio tra noi, quale mondo sarebbe il nostro oggi? Il peccato ce l’abbiamo, ma abbiamo la grazia della redenzione per vincerlo. Luce sta per grazia, e grazia sta per salvezza: salvezza interiore, che rinnova la nostra umanità peccatrice e la fa santa.
Il Natale torna sempre più come festa di luce. Anzi come orgia di luci. Scintillano le vetrine, traboccano le cose di cui possiamo fare a meno. Il consumismo celebra nel
Natale il suo trionfo.
Cosa dire? Ripeteremo l’esortazione solita? Certo. Esorteremo ad andare contromano verso il Bambin Gesù. Ci muoveremo controcorrente, sgomitando con l’andazzo festaiolo e le sciatte pastorellerie. È inevitabile farlo, per giungere alla Luce,
quella vera che duemila anni fa ha rischiarato gli orizzonti e resta il solo rimedio al buio del cammino.

Auguri, Don Vincenzo!

1969 - 7 Dicembre - 2008

“Se andaste a confessarvi alla santa Vergine o a un angelo, vi assolverebbero? No. Vi darebbero il Corpo e il Sangue di Gesù? No. La santa Vergine non può far scendere il suo divin Figlio nella santa ostia. Anche duecento angeli non vi potrebbero assolvere. Un sacerdote, per quanto semplice sia, lo può fare, egli può dirvi: “Va in pace, ti perdono”. Che cosa grande è il sacerdote!”. Sono parole di san Giovanni Maria Vianney, meglio conosciuto come il santo Curato d’Ars, che nel 1929 fu proclamato da Pio XI patrono di tutti i parroci di Roma e del mondo (nel 1959 Papa Giovanni XXIII, nel centenario della sua morte, promulgherà l’enciclica “Sacerdotii nostri primordia”). Nella felice ricorrenza del 39° anniversario di sacerdozio del nostro amato Don Vincenzo, che cade il 7 dicembre, gli vogliamo dedicare questo pensiero del Curato d’Ars sulla importanza della figura del sacerdote, spesse volte misconosciuta, con l’augurio di proseguire, con l’amabilità che lo contraddistingue, a dare il Cristo, il Suo amore ed il Suo perdono alla Comunità per molti anni ancora.


Il Consiglio Pastorale Parrocchiale

“RICORDANDO MONS. LUIGI ERRIQUEZ”



Mons. Luigi Erriquez, Vicario Generale della Arcidiocesi di Otranto e quindi Vicario emerito, parroco per ben 58 anni della parrocchia di Depressa, paese natale del nostro Vescovo don Gino, spirato alla bella età di 95 anni, il 7 dicembre 1997. Saranno in molti a domandarsi chi fosse costui, riecheggiando il rovello di Don Abbondio, di manzoniana memoria, a proposito di Carneade. Chi era quindi costui? Un Carneade qualsiasi? Un illustre sconosciuto? Un uomo, un parroco come tanti altri? Assolutamente no. Già qualche tempo addietro Don Vincenzo mi aveva parlato della fulgida ed esemplare figura di questo parroco, tratteggiata in un volume omaggiatogli
da mons. Paolo Ricciardi, cosicché, quando mi ha porto il testo “Ricordando Mons. Luigi Erriquez”, curato dal nostro Vescovo Mons. Martella, la memoria non mi ha tratto in inganno.
Mons. Martella gli è devoto, se così può dirsi; si è formato alla scuola di questo sacerdote, che egli descrive come un “allenatore” di parroci, un “bonificatore” spirituale, un uomo “che aveva l’abitudine di trattenersi per lunghe ore della giornata in chiesa, seduto all’ultimo banco, con il breviario e la corona del rosario”. Pastore attento e zelante, maestro illuminato, punto di riferimento e guida sicura, Mons. Erriquez rappresenta la figura ideale del sacerdote e del parroco, che deve essere autorevole e paterno, un educatore capace di richiamare ciascuno alle proprie responsabilità di cristiano. La toccante testimonianza di Mons. Martella, a cui si aggiungono, fra le altre, quelle degli Arcivescovi Cacucci e Musarò, del regista salentino Edoardo Winspeare, ci induce a riflettere sulla penuria di uomini così, di uomini di carattere, austeri e dolci nel contempo, che trafficano i loro talenti ed operano per il bene delle anime.


S. B.

Nel Mese

Una porzione significativa della nostra Comunità si ritrovò il 1° novembre all’altare della Madonna in Pompei per la conclusione del mese del rosario a Lei
dedicato. Ci portammo poi a Scafati per ammirare un originalissimo presepe allestito in quella città. Facemmo poi memoria dei Defunti e ci portammo al Cimitero per celebrare l’Eucarestia presso la Cappella di S. Rocco. Proseguì la catechesi per i ragazzi e la verifica sulla programmazione che prevede ora i momenti forti della novena dell’Immacolata e del Natale inseriti nel tempo liturgico di Avvento. I sussidi audiovisivi, intanto, si sono arricchiti di altri DVD sul Natale e alcune parabole di Gesù. Anche nei giorni di assenza del parroco, ad Assisi per gli Esercizi
Spirituali, si sono tenuti incontri e riunioni a vari livelli mentre la riunione dei genitori avverrà nel mese di dicembre, come pure l’incontro di catechesi per il Gruppo Famiglia viene sostituito da quello col Vescovo don Gino il 30 novembre. Molto
sentito e partecipato il triduo in onore di Cristo Re che abbiamo festeggiato la domenica 23 con l’adorazione comunitaria cui è seguito l’atto di Consacrazione al S. Cuore e la solenne Benedizione Eucaristica. Il giorno 29, con la partecipazione dei fanciulli e della Comunità al completo si è dato inizio alla novena dell’Immacolata.



Luca