Auguri al Santo Padre!
16 aprile: Al Santo Padre che festeggia i suoi 85 anni l’affetto, il conforto della nostra preghiera, la fedeltà al suo magistero.
La Comunità Parrocchiale
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ANNO XXVI - N.304
Addio a don Paolo Cappellutti
“Il Signore ha un progetto per ognuno di noi.
Sta a noi portarlo a compimento”.
Grazie don Paolo per questo tuo ultimo messaggio.
Arrivederci in Paradiso.
La morte di don Paolo Cappelluti; parroco di S. Angelo: 30 marzo 2012
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ANNO XXVI - N.304
AL SEPOLCRO NON INCONTRERAI IL RISORTO
Miei Cari,
la gioia della Pasqua pervade l’animo di ciascuno di noi, nonostante le difficoltà del momento che stiamo vivendo. Il mai dimenticato ed amato Don Tonino di cui ricorderemo il giorno 20 aprile, l’anniversario del suo pio transito, ci sussurra ancora di guardare le gemme che stanno spuntando più che le foglie morte che in autunno sono ai piedi degli alberi. È Pasqua! Se Maria Maddalena si fosse recata al sepolcro un giorno prima -scrive con arguzia un teologo contemporaneo- avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge, il riposo del sabato.
L’osservanza di essa ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte. L’osservanza del sabato ritarda l’esperienza della nuova creazione inaugurata da Gesù. L’espressione “il primo giorno della settimana” richiama infatti il primo giorno della creazione, quella che non conosce la morte, né la fine. Il recarsi al sepolcro quando era ancora buio: le tenebre sono immagine dell’incomprensione della Comunità che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità. Corre dai discepoli Pietro e l’altro discepolo (che non ci è lecito battezzare col nome di Giovanni, ma colui che ha fatto l’esperienza dell’amore di Gesù, al contrario di Pietro che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore che Gesù ha espresso nel servizio) si recano al sepolcro. L’unico posto dove non dovevano andare. Nel Vangelo di Luca viene espresso chiaramente dagli uomini che frenano le donne che vanno al sepolcro, “perché cercate tra i morti colui che è vivo?” Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove Lui non c’è, nel luogo cioè della morte.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.
I discepoli non avevano compreso la Scrittura, che cioè Egli doveva risorgere dai morti; la preoccupazione dell’evangelista Giovanni è che si possa credere alla risurrezione di Gesù solo vedendo i segni della sua vittoria sulla morte.
Ma, miei Cari, la risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti.
L’accoglienza del Vangelo, la radicalizzazione di questo messaggio nella vita di ciascuno di noi, la nostra trasformazione ci permettono di avere una vita di una qualità tale che ci fa poi sperimentare il Risorto nella nostra esistenza. Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella nostra vita, pur sempre ricordando che la nostra risurrezione non si fonda solo su quella di Gesù, ma anche sulla sua Incarnazione. Perché, con l’eternità entrata nel tempo e l’infinito nello spazio (di Maria), anche il nostro tempo ha aggiunto sapore di eterno e il nostro limite si è rivestito di illimitato.
È il mio auspicio, il mio augurio.
Don Vincenzo
la gioia della Pasqua pervade l’animo di ciascuno di noi, nonostante le difficoltà del momento che stiamo vivendo. Il mai dimenticato ed amato Don Tonino di cui ricorderemo il giorno 20 aprile, l’anniversario del suo pio transito, ci sussurra ancora di guardare le gemme che stanno spuntando più che le foglie morte che in autunno sono ai piedi degli alberi. È Pasqua! Se Maria Maddalena si fosse recata al sepolcro un giorno prima -scrive con arguzia un teologo contemporaneo- avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge, il riposo del sabato.
L’osservanza di essa ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte. L’osservanza del sabato ritarda l’esperienza della nuova creazione inaugurata da Gesù. L’espressione “il primo giorno della settimana” richiama infatti il primo giorno della creazione, quella che non conosce la morte, né la fine. Il recarsi al sepolcro quando era ancora buio: le tenebre sono immagine dell’incomprensione della Comunità che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità. Corre dai discepoli Pietro e l’altro discepolo (che non ci è lecito battezzare col nome di Giovanni, ma colui che ha fatto l’esperienza dell’amore di Gesù, al contrario di Pietro che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore che Gesù ha espresso nel servizio) si recano al sepolcro. L’unico posto dove non dovevano andare. Nel Vangelo di Luca viene espresso chiaramente dagli uomini che frenano le donne che vanno al sepolcro, “perché cercate tra i morti colui che è vivo?” Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove Lui non c’è, nel luogo cioè della morte.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.
I discepoli non avevano compreso la Scrittura, che cioè Egli doveva risorgere dai morti; la preoccupazione dell’evangelista Giovanni è che si possa credere alla risurrezione di Gesù solo vedendo i segni della sua vittoria sulla morte.
Ma, miei Cari, la risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti.
L’accoglienza del Vangelo, la radicalizzazione di questo messaggio nella vita di ciascuno di noi, la nostra trasformazione ci permettono di avere una vita di una qualità tale che ci fa poi sperimentare il Risorto nella nostra esistenza. Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella nostra vita, pur sempre ricordando che la nostra risurrezione non si fonda solo su quella di Gesù, ma anche sulla sua Incarnazione. Perché, con l’eternità entrata nel tempo e l’infinito nello spazio (di Maria), anche il nostro tempo ha aggiunto sapore di eterno e il nostro limite si è rivestito di illimitato.
È il mio auspicio, il mio augurio.
Don Vincenzo
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ANNO XXVI - N.304
MAMMA E PAPA’ FATE IL POSSIBILE, NON SEPARATEVI
Quante circostanze abbiamo vissuto e ognuno di noi, certamente, in modo tutto particolare e diverso, a volte con manifestazioni evidenti, altre volte soffocando tutto dentro. I grandi sanno veramente che cosa passa nel cuore di un figlio in questi momenti? Se ne accorgono davvero oppure si fermano semplicemente a facili e retoriche commiserazioni? In quei momenti quanto avremmo voluto che fossero i nostri genitori, per primi a spiegarci cosa stava capitando, a darcene una ragione. Ma forse neanche per loro era ed è facile, così presi dalle loro tensioni, dalle loro sofferenze, dallo scaricarsi l’un sull’altro le colpe e le responsabilità. E noi in mezzo. Lo sappiamo quanto abbiamo patito, soprattutto quando ad un certo punto papà e mamma sono giunti alla rottura e alla decisione della separazione: un dramma per loro certo, che hanno visto crollare i progetti fatti; ma un dramma anche per noi, che abbiamo sentito l’impotenza di fronte a questa scelta.
Quante volte abbiamo pregato da piccoli o da grandi, che non accadesse l’irreparabile, che la nostra famiglia rimanesse unita, che i problemi fossero
superati… e quanto siamo rimasti delusi e smarriti per non essere stati motivo sufficiente per evitare la separazione! c’eravamo noi, perché dividersi? e allora, la domanda tremenda: chi siamo noi per voi? chi siamo noi ora? Perché il Signore ha
permesso questo? Fa male ritornare su questi interrogativi, ma non si possono dimenticare: c’è in gioco la nostra identità, il nostro passato e il nostro presente e il nostro futuro. Le risposte vanno trovate. Non possiamo mai dimenticare di essere stati generati da un uomo e da una donna e di essere amati da entrambi: noi siamo il frutto dell’unione di due persone e questo ci rimarrà sempre dentro, nel profondo di noi; anche quando siamo tentati di schierarci da una parte o dall’altra
anche quando ci viene da odiare uno di loro, anche quando siamo abbandonati da uno di loro. Viene sempre il momento in cui emerge in noi il bisogno o il desiderio di quella parte di padre o di madre che siamo noi e che non potrà mai essere cancellata,
soppressa: vorrebbe dire eliminare una parte di noi stessi. È naturale, in certi momenti, propendere verso il genitore più debole o sofferente, sostenerlo col nostro affetto, volere la sua ripresa. Ma è giusto riconoscere che in queste situazioni entrambi i genitori stanno male. Anche se in modo diverso, entrambi hanno bisogno del nostro affetto, come noi di loro. Spesso si sente dire che un coniuge separato non smette comunque di essere genitore; ma, a maggior ragione un figlio non smette mai di essere figlio e di esserlo nei confronti di entrambi genitori: anche a loro mancherebbe una parte di se stessi senza i propri figli.
È proprio l’immagine dei nostri genitori che con la separazione può andare in crisi. Quando i nostri genitori hanno vissuto certe situazioni o assunto certi atteggiamenti, a volte non ci sembravano neanche più loro, non li riconoscevamo più: la loro reazione magari ci è sembrata spropositata e ci ha sorpreso... forse proprio nei momenti più critici della loro vita, noi siamo costretti ad accorgerci che sono
si i nostri genitori, ma sono anche uomini e donne con una loro personalità e autonomia, con un loro passato e dei loro progetti, con i loro limiti, le loro debolezze, i loro sbagli.
Più degli altri figli, che crescendo gradualmente acquisiscono una giusta vicinanza e una giusta distanza dai genitori, noi abbiamo dovuto conquistare questa maturazione a seguito di strappi dolorosi e tramite cammini faticosi: ma anche questo fa necessariamente parte della nostra vita di figli, che comunque continua anche dopo la divisione dei genitori. Quanto ci brucia davanti ai compagni riconoscere di essere figli di separati o divorziati. Ma anche questa fatica fa parte del cammino di rielaborazione del proprio futuro. Da soli è difficile accettare tutto questo. A volte vorremmo anche solo sfogarci con qualcuno, ma non è facile trovare le persone giuste. Tra i parenti, c’è chi ti sa capire e consigliare bene, ma altri sono troppo chiusi o schierati, e rischiano di riversare su di noi le loro rabbie e i loro dispiaceri. A volte vorremmo confrontarci, vedere le cose dal nostro punto di vista, o da un punto di vista più neutro, oggettivo e sereno, magari uscendo dalla cerchia dei nostri familiari.
Cerchiamo persone che con molto amore e sapienza ci aiutino in questo percorso di rielaborazione del tutto.
Un altro problema sorge con il nuovo compagno, o la nuova compagna di papà e mamma. Ci appare come un’ulteriore diminuzione di quell’affetto, come un altro allontanamento o abbandono nei nostri confronti. Ci fa male soprattutto, sentire parlare male del genitore assente. È faticoso crescere con queste premesse. Se vissuta bene, questa fatica, ci può dare una forte capacità di discernimento e di orientamento, degli anticorpi più resistenti di fronte ai problemi inevitabili, che la vita ci pone di fronte.
Sorgono comunque degli interrogativi, determinati dalla paura che si insinua nella nostra vita, quando dovremmo organizzare le nostre storie d’amore. Mi posso fidare dell’amore della persona di cui mi innamoro? E se mi abbandona anche lei? Posso pensare a un mio matrimonio felice o non come quello dei miei genitori?
L’esperienza vissuta nelle nostre famiglie ha messo in discussione proprio i punti più intimi e delicati del nostro spirito, ma insieme ci costringe a far appello alle energie nascoste che sono in noi che nonostante tutto ci aiutano a credere in qualcosa, ad affidarci a qualcuno, a donarci interamente a lui. Non è difficile intravedere qui lo spazio e il valore della fede e dell’amore. Dio non ci abbandona mai.
Lui ci permette di far scaturire dal nostro spirito delle energie meravigliose che ci permettono di avere fiducia ancora nella vita e ad avere il coraggio di spenderla
nell’amore.
Quante volte abbiamo pregato da piccoli o da grandi, che non accadesse l’irreparabile, che la nostra famiglia rimanesse unita, che i problemi fossero
superati… e quanto siamo rimasti delusi e smarriti per non essere stati motivo sufficiente per evitare la separazione! c’eravamo noi, perché dividersi? e allora, la domanda tremenda: chi siamo noi per voi? chi siamo noi ora? Perché il Signore ha
permesso questo? Fa male ritornare su questi interrogativi, ma non si possono dimenticare: c’è in gioco la nostra identità, il nostro passato e il nostro presente e il nostro futuro. Le risposte vanno trovate. Non possiamo mai dimenticare di essere stati generati da un uomo e da una donna e di essere amati da entrambi: noi siamo il frutto dell’unione di due persone e questo ci rimarrà sempre dentro, nel profondo di noi; anche quando siamo tentati di schierarci da una parte o dall’altra
anche quando ci viene da odiare uno di loro, anche quando siamo abbandonati da uno di loro. Viene sempre il momento in cui emerge in noi il bisogno o il desiderio di quella parte di padre o di madre che siamo noi e che non potrà mai essere cancellata,
soppressa: vorrebbe dire eliminare una parte di noi stessi. È naturale, in certi momenti, propendere verso il genitore più debole o sofferente, sostenerlo col nostro affetto, volere la sua ripresa. Ma è giusto riconoscere che in queste situazioni entrambi i genitori stanno male. Anche se in modo diverso, entrambi hanno bisogno del nostro affetto, come noi di loro. Spesso si sente dire che un coniuge separato non smette comunque di essere genitore; ma, a maggior ragione un figlio non smette mai di essere figlio e di esserlo nei confronti di entrambi genitori: anche a loro mancherebbe una parte di se stessi senza i propri figli.
È proprio l’immagine dei nostri genitori che con la separazione può andare in crisi. Quando i nostri genitori hanno vissuto certe situazioni o assunto certi atteggiamenti, a volte non ci sembravano neanche più loro, non li riconoscevamo più: la loro reazione magari ci è sembrata spropositata e ci ha sorpreso... forse proprio nei momenti più critici della loro vita, noi siamo costretti ad accorgerci che sono
si i nostri genitori, ma sono anche uomini e donne con una loro personalità e autonomia, con un loro passato e dei loro progetti, con i loro limiti, le loro debolezze, i loro sbagli.
Più degli altri figli, che crescendo gradualmente acquisiscono una giusta vicinanza e una giusta distanza dai genitori, noi abbiamo dovuto conquistare questa maturazione a seguito di strappi dolorosi e tramite cammini faticosi: ma anche questo fa necessariamente parte della nostra vita di figli, che comunque continua anche dopo la divisione dei genitori. Quanto ci brucia davanti ai compagni riconoscere di essere figli di separati o divorziati. Ma anche questa fatica fa parte del cammino di rielaborazione del proprio futuro. Da soli è difficile accettare tutto questo. A volte vorremmo anche solo sfogarci con qualcuno, ma non è facile trovare le persone giuste. Tra i parenti, c’è chi ti sa capire e consigliare bene, ma altri sono troppo chiusi o schierati, e rischiano di riversare su di noi le loro rabbie e i loro dispiaceri. A volte vorremmo confrontarci, vedere le cose dal nostro punto di vista, o da un punto di vista più neutro, oggettivo e sereno, magari uscendo dalla cerchia dei nostri familiari.
Cerchiamo persone che con molto amore e sapienza ci aiutino in questo percorso di rielaborazione del tutto.
Un altro problema sorge con il nuovo compagno, o la nuova compagna di papà e mamma. Ci appare come un’ulteriore diminuzione di quell’affetto, come un altro allontanamento o abbandono nei nostri confronti. Ci fa male soprattutto, sentire parlare male del genitore assente. È faticoso crescere con queste premesse. Se vissuta bene, questa fatica, ci può dare una forte capacità di discernimento e di orientamento, degli anticorpi più resistenti di fronte ai problemi inevitabili, che la vita ci pone di fronte.
Sorgono comunque degli interrogativi, determinati dalla paura che si insinua nella nostra vita, quando dovremmo organizzare le nostre storie d’amore. Mi posso fidare dell’amore della persona di cui mi innamoro? E se mi abbandona anche lei? Posso pensare a un mio matrimonio felice o non come quello dei miei genitori?
L’esperienza vissuta nelle nostre famiglie ha messo in discussione proprio i punti più intimi e delicati del nostro spirito, ma insieme ci costringe a far appello alle energie nascoste che sono in noi che nonostante tutto ci aiutano a credere in qualcosa, ad affidarci a qualcuno, a donarci interamente a lui. Non è difficile intravedere qui lo spazio e il valore della fede e dell’amore. Dio non ci abbandona mai.
Lui ci permette di far scaturire dal nostro spirito delle energie meravigliose che ci permettono di avere fiducia ancora nella vita e ad avere il coraggio di spenderla
nell’amore.
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ANNO XXVI - N.304
VIVERE DA RISORTI
La Pasqua è alle nostre spalle o è l’orizzonte che si apre dinanzi a noi? Si è concluso un cammino con un lauto pranzo in famiglia ed il lunedì dell’Angelo fuori porta con gli amici, o se ne è aperto uno nuovo, con vista sull’eterno? Come abbiamo vissuto il tempo della Quaresima? È stato un tempo di grazia, quindi straordinario, o abbiamo vissuto in funzione dei nostri bisogni materiali, senza fare molto caso alle necessità dello spirito? Ci siamo soffermati ad approfondire qualche testo di spiritualità o ci siamo tuffati nella cronaca quotidiana, nutrendoci di sciocchezze?
Il discrimine fra il credente ed il non credente, seppure formalmente battezzato, sta tutto qui: nell’affiancare al giornale il Vangelo, anzi nel leggere i fatti, nell’interpretarli alla luce della Buona Notizia. Se senza la luce dello Spirito Santo essi saranno forieri di ansietà ed angoscia, cronache del buio e della disperazione, in Sua presenza assumeranno i connotati di indicatori di tendenze da cui prendere decisamente le distanze, a pena di morire pur respirando ancora.
L’agonia dello spirito è il vero cancro di questi tempi scanditi dai ritmi sfibranti delle preoccupazioni per l’andamento dell’economia, degli scandali della politica, di una liberalizzazione che storna l’attenzione dal festivo al feriale, dalla domenica al mercato ed ai consumi. La domenica non è più il giorno del Signore, della messa, dell’incontro con il Datore della Vita, del riposo dello spirito, ma del ripasso delle abitudini feriali, con l’aggiunta di un pizzico di svago che non guasta mai. La testa non sta alle parabole evangeliche, ma alla parabola di Sky, al decoder, ai telefonini, al Grande Fratello, all’Isola dei Famosi.
Nei quaranta giorni che precedono la Pasqua abbiamo quindi digiunato dagli idoli? Ci siamo sforzati di eliminare qualche cattiva inclinazione? Abbiamo lavorato su noi stessi, evitando di scorgere la pagliuzza nell’occhio dell’altro? Siamo giunti alla consapevolezza che siamo di transito su questa terra e che è nostro compito di uomini e donne e di cristiani impegnarci per diffondere il messaggio evangelico della risurrezione, che vivere da risorti si può? La risurrezione non è un evento che accadrà, ma è un evento attuale, che cioè si dà tutte le volte che ci sintonizziamo sulla lunghezza d’onda della Parola che salva. Assaporiamo la risurrezione definitiva attraverso la risurrezione dello spirito che si dona e crede.
Perché le cose vanno male? Per la semplice ragione che la mente non è illuminata dallo Spirito Santo ma dalle luci fioche di una ragione che ha smarrito se stessa. Viviamo quindi la Pasqua quale evento contemporaneo di risurrezione, rivolgendoci alla Terza Persona della SS.ma Trinità, che è l’amore del Padre e del Figlio. E di quanto vero amore ci sia bisogno oggi, è sotto gli occhi di tutti.
Salvatore Bernocco
Il discrimine fra il credente ed il non credente, seppure formalmente battezzato, sta tutto qui: nell’affiancare al giornale il Vangelo, anzi nel leggere i fatti, nell’interpretarli alla luce della Buona Notizia. Se senza la luce dello Spirito Santo essi saranno forieri di ansietà ed angoscia, cronache del buio e della disperazione, in Sua presenza assumeranno i connotati di indicatori di tendenze da cui prendere decisamente le distanze, a pena di morire pur respirando ancora.
L’agonia dello spirito è il vero cancro di questi tempi scanditi dai ritmi sfibranti delle preoccupazioni per l’andamento dell’economia, degli scandali della politica, di una liberalizzazione che storna l’attenzione dal festivo al feriale, dalla domenica al mercato ed ai consumi. La domenica non è più il giorno del Signore, della messa, dell’incontro con il Datore della Vita, del riposo dello spirito, ma del ripasso delle abitudini feriali, con l’aggiunta di un pizzico di svago che non guasta mai. La testa non sta alle parabole evangeliche, ma alla parabola di Sky, al decoder, ai telefonini, al Grande Fratello, all’Isola dei Famosi.
Nei quaranta giorni che precedono la Pasqua abbiamo quindi digiunato dagli idoli? Ci siamo sforzati di eliminare qualche cattiva inclinazione? Abbiamo lavorato su noi stessi, evitando di scorgere la pagliuzza nell’occhio dell’altro? Siamo giunti alla consapevolezza che siamo di transito su questa terra e che è nostro compito di uomini e donne e di cristiani impegnarci per diffondere il messaggio evangelico della risurrezione, che vivere da risorti si può? La risurrezione non è un evento che accadrà, ma è un evento attuale, che cioè si dà tutte le volte che ci sintonizziamo sulla lunghezza d’onda della Parola che salva. Assaporiamo la risurrezione definitiva attraverso la risurrezione dello spirito che si dona e crede.
Perché le cose vanno male? Per la semplice ragione che la mente non è illuminata dallo Spirito Santo ma dalle luci fioche di una ragione che ha smarrito se stessa. Viviamo quindi la Pasqua quale evento contemporaneo di risurrezione, rivolgendoci alla Terza Persona della SS.ma Trinità, che è l’amore del Padre e del Figlio. E di quanto vero amore ci sia bisogno oggi, è sotto gli occhi di tutti.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXVI - N.304
LE APPARIZIONI DI GESU’
La cosiddetta critica storica, già nell’ottocento, faceva una lettura riduttiva della Rivelazione, stravolgendola per negarla. È quel che fa la tua rivista, per dimostrare che le “apparizioni” del Risorto si spiegherebbero sulla base del paranormale o di illusioni dei discepoli.
Eppure, i vangeli usano un termine semplicissimo e concretissimo: “vedere”.
Gesù risorto fu visto in tre incontri privati e cinque volte dalla comunità dei discepoli. Sullo sfondo ci sono luoghi reali: Gerusalemme, la Galilea e altri siti cari e noti a Gesù e ai discepoli.
In questi incontri colpisce il fatto che Gesù intende farsi riconoscere. Sono “apparizioni di riconoscimento”. C’è una spiegazione. I discepoli erano spauriti, convinti che tutto si fosse concluso con la crocifissione. Essi sono lontani dal pensare all’evento della risurrezione.
Clamorosi i casi dei due discepoli di Emmaus e di Maria Maddalena che scambia il Risorto con l’ortolano a guardia del giardino. Cristo deve dunque farsi “riconoscere” e questo accade perché l’evento pasquale ha in sé una dimensione ulteriore, trascendente.
Poiché era un evento “trascendente”, la risurrezione e il Cristo risorto non potevano essere capiti con la sola vista degli occhi. Lì ci voleva una comprensione superiore, quella della fede. Egli è vivo, vero e tuttavia non è un altro. Da notare che gli incontri col Risorto non avvengono nei sogni, ma in pieno giorno. Davanti ai discepoli in totale consapevolezza, egli si introduce con la sua vigorosa corporeità. Cristo si fa vedere come presenza fisica, controllabile e verificabile. Si spiega così il rilievo dato alle piaghe della passione: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi, un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho” (cf Lc 24,39).
Quando l’apostolo Tommaso chiede “la prova”, Gesù lo prende in parola.
Sembra un concedersi quasi a un gioco poco confacente alla sublimità del momento, eppure il Risorto non si nega.
E ha una sottile dolcezza che rimbalza anche a noi, l’ammonizione: “Non essere più incredulo ma credente” (Gv 20,27).
Come si vede, Gesù che non si sottrae alla prova della sua fisicità mette in rilievo l’oggettività dell’esperienza pasquale degli apostoli. L’incontro col Risorto non nasce da una sensazione soggettiva, ma è indotta da una presenza esterna, trascendente eppure reale.
Con tutto ciò i Vangeli, mentre marcano la realtà verificabile (Gesù mangia il pesce arrostito sulle rive del lago), mettono in risalto anche il mistero della sua Persona. Passa attraverso le porte chiuse, si sposta in un baleno da un luogo all’altro. San Paolo ci aiuta a capire, quando parla della risurrezione dei cristiani e scrive che nella risurrezione finale la creatura intera è rinnovata, ricondotta a un nuovo progetto di persona non più limitata dal tempo e dallo spazio e quindi dalla finitezza e dalla morte. “Si semina corruttibile e risorge incorruttibile, si semina ignobile e risorge glorioso…” (ICor 15,42-44).Auguro a te, caro amico, e agli altri lettori di vedere con occhi di fede Gesù e di riconoscerlo per averlo compagno di vita e testimoniarlo.
Eppure, i vangeli usano un termine semplicissimo e concretissimo: “vedere”.
Gesù risorto fu visto in tre incontri privati e cinque volte dalla comunità dei discepoli. Sullo sfondo ci sono luoghi reali: Gerusalemme, la Galilea e altri siti cari e noti a Gesù e ai discepoli.
In questi incontri colpisce il fatto che Gesù intende farsi riconoscere. Sono “apparizioni di riconoscimento”. C’è una spiegazione. I discepoli erano spauriti, convinti che tutto si fosse concluso con la crocifissione. Essi sono lontani dal pensare all’evento della risurrezione.
Clamorosi i casi dei due discepoli di Emmaus e di Maria Maddalena che scambia il Risorto con l’ortolano a guardia del giardino. Cristo deve dunque farsi “riconoscere” e questo accade perché l’evento pasquale ha in sé una dimensione ulteriore, trascendente.
Poiché era un evento “trascendente”, la risurrezione e il Cristo risorto non potevano essere capiti con la sola vista degli occhi. Lì ci voleva una comprensione superiore, quella della fede. Egli è vivo, vero e tuttavia non è un altro. Da notare che gli incontri col Risorto non avvengono nei sogni, ma in pieno giorno. Davanti ai discepoli in totale consapevolezza, egli si introduce con la sua vigorosa corporeità. Cristo si fa vedere come presenza fisica, controllabile e verificabile. Si spiega così il rilievo dato alle piaghe della passione: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi, un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho” (cf Lc 24,39).
Quando l’apostolo Tommaso chiede “la prova”, Gesù lo prende in parola.
Sembra un concedersi quasi a un gioco poco confacente alla sublimità del momento, eppure il Risorto non si nega.
E ha una sottile dolcezza che rimbalza anche a noi, l’ammonizione: “Non essere più incredulo ma credente” (Gv 20,27).
Come si vede, Gesù che non si sottrae alla prova della sua fisicità mette in rilievo l’oggettività dell’esperienza pasquale degli apostoli. L’incontro col Risorto non nasce da una sensazione soggettiva, ma è indotta da una presenza esterna, trascendente eppure reale.
Con tutto ciò i Vangeli, mentre marcano la realtà verificabile (Gesù mangia il pesce arrostito sulle rive del lago), mettono in risalto anche il mistero della sua Persona. Passa attraverso le porte chiuse, si sposta in un baleno da un luogo all’altro. San Paolo ci aiuta a capire, quando parla della risurrezione dei cristiani e scrive che nella risurrezione finale la creatura intera è rinnovata, ricondotta a un nuovo progetto di persona non più limitata dal tempo e dallo spazio e quindi dalla finitezza e dalla morte. “Si semina corruttibile e risorge incorruttibile, si semina ignobile e risorge glorioso…” (ICor 15,42-44).Auguro a te, caro amico, e agli altri lettori di vedere con occhi di fede Gesù e di riconoscerlo per averlo compagno di vita e testimoniarlo.
Pasqua
Con le donne
Vorremmo sapere se vale la pena lottare:
Vorremmo sapere se vale la pena vivere
E se qualcosa vinca l’assurdo del morire.
Per questo veniamo anche noi al mattino presto
E le domande si concentrano in una sola.
Credere o non credere che tu ce l’hai fatta,
lì sta tutta la differenza.
T.C.
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ANNO XXVI - N.304
L’angolo dei bambini
Ai miei amici di Prima Comunione
Cari Amici,
anche io, due anni fa, come voi ho intrapreso questo meraviglioso cammino verso l’incontro con Gesù.
In questo periodo di grande preparazione, sicuramente starete organizzando la festa, il vestito e ogni piccolo particolare per rendere questo evento indimenticabile.
Ma soprattutto, dovete preparare il vostro cuore a ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo. E questo non deve avvenire solo il giorno della Prima Comunione ma in tutte le domeniche dell’anno liturgico. Sì. Perché è importante ringraziare Gesù per i doni che ci regala!
Per me la Prima Comunione, insieme a molti altri, è stato il momento più emozionante e bello perché anch’io ho potuto “entrare” a far parte della mensa domenicale, compreso il pane Eucaristico.
E ogni volta che riceviamo il Corpo del Signore, dobbiamo pensare intensamente al gesto che stiamo compiendo. Vi sollecito poi a non stare agli ultimi banchi ma più vicino alla mensa, per guardare tutti i passaggi che si compiono durante la messa e per cantare insieme all’assemblea.
Noi ragazzi poi, non veniamo in chiesa solo per pregare e raccoglierci con Gesù, ma anche per fraternizzare con altri ragazzi. Per fare tutto ciò abbiamo tante occasioni! Infatti si può entrare a far parte dei gruppi dei ministranti, del “Coro del Redentore” e del‘“Gruppo Giovani”. Qui c’è la possibilità di conoscere nuova gente e soprattutto gioire insieme.
Perciò vi invito vivamente a partecipare alla Messa Domenicale in cui Gesù risorto viene a stare con noi e alle occasioni che la nostra parrocchia vi offre, perché un vero cristiano si forma non soltanto fisicamente ma soprattutto spiritualmente per la vita di domani.
Francesca de Astis
Cari Amici,
anche io, due anni fa, come voi ho intrapreso questo meraviglioso cammino verso l’incontro con Gesù.
In questo periodo di grande preparazione, sicuramente starete organizzando la festa, il vestito e ogni piccolo particolare per rendere questo evento indimenticabile.
Ma soprattutto, dovete preparare il vostro cuore a ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo. E questo non deve avvenire solo il giorno della Prima Comunione ma in tutte le domeniche dell’anno liturgico. Sì. Perché è importante ringraziare Gesù per i doni che ci regala!
Per me la Prima Comunione, insieme a molti altri, è stato il momento più emozionante e bello perché anch’io ho potuto “entrare” a far parte della mensa domenicale, compreso il pane Eucaristico.
E ogni volta che riceviamo il Corpo del Signore, dobbiamo pensare intensamente al gesto che stiamo compiendo. Vi sollecito poi a non stare agli ultimi banchi ma più vicino alla mensa, per guardare tutti i passaggi che si compiono durante la messa e per cantare insieme all’assemblea.
Noi ragazzi poi, non veniamo in chiesa solo per pregare e raccoglierci con Gesù, ma anche per fraternizzare con altri ragazzi. Per fare tutto ciò abbiamo tante occasioni! Infatti si può entrare a far parte dei gruppi dei ministranti, del “Coro del Redentore” e del‘“Gruppo Giovani”. Qui c’è la possibilità di conoscere nuova gente e soprattutto gioire insieme.
Perciò vi invito vivamente a partecipare alla Messa Domenicale in cui Gesù risorto viene a stare con noi e alle occasioni che la nostra parrocchia vi offre, perché un vero cristiano si forma non soltanto fisicamente ma soprattutto spiritualmente per la vita di domani.
Francesca de Astis
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ANNO XXVI - N.304
Nel tempo e nello spazio di Dio
Si intensificò molto l’approfondimento dei temi quaresimali e il parroco portò a termine le lezioni sui Vangeli dell’Infanzia col Gruppo degli Amici della Parola. Si ebbero poi gli incontri formativi per i genitori dei ragazzi di catechismo soprattutto quelli in vista dei sacramenti che riceveranno: il 4 maggio la Prima Confessione, il 19 maggio la Cresima e il 10 giugno la Prima Comunione. Ci preparammo poi alla festa di S. Giuseppe che culminò con l’Eucarestia celebrata dal Vescovo don Gino e la festa esterna in Piazza Castello. Anche il Triduo dell’Annunziata fu partecipato e venerammo in parrocchia il prezioso dipinto della Madonna.
Avvenne poi la celebrazione della Professione di fede dei fratelli della 1^ Comunità neocatecumenale alla presenza di molti amici e parenti degli stessi e il giorno delle Palme fu lo stesso parroco a consegnare ad essi la palma che è stata portata processionalmente in chiesa. Tutti ci si mobilitò poi per la preparazione alla settimana santa per la migliore incisività della vita personale dei membri della comunità.
Luca
Avvenne poi la celebrazione della Professione di fede dei fratelli della 1^ Comunità neocatecumenale alla presenza di molti amici e parenti degli stessi e il giorno delle Palme fu lo stesso parroco a consegnare ad essi la palma che è stata portata processionalmente in chiesa. Tutti ci si mobilitò poi per la preparazione alla settimana santa per la migliore incisività della vita personale dei membri della comunità.
Luca
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