23 Marzo: Pasqua di Resurrezione

Miei Cari,
permettetemi in questo mese di cedere la parola al Servo di Dio Don Tonino Bello. Egli rimane per noi il Maestro che ha saputo guidarci per un decennio, un “attimo di gioia, di luce, di speranza”.
Sia vissuta così la nostra Pasqua di quest’anno. E’ il mio augurio.

Don Vincenzo

“Se Gesù non fosse risorto sarebbe vana la nostra fede.
Se Gesù fosse rimasto nelle tenebre del sepolcro, il cristianesimo non avrebbe più significato.
È la risurrezione il punto centrale, nodale di tutta la nostra vita cristiana, di tutta la nostra vita redenta.
È difficile accettare la risurrezione.
Ci sono tanti galantuomini che di Gesù hanno accettato tutto: la legge, l’impegno morale… Ma la risurrezione no.
Il nostro illustre e grande Gaetano Salvemini, scrive: “Io mi sono fermato, per quanto riguarda il cristianesimo, al venerdì santo. Non sono andato oltre. Mi sono fermato al Calvario. Ho accettato il grande messaggio umano di Gesù, ma non sono andato oltre. La risurrezione, no. Al sepolcro non sono riuscito ad arrivarci”.
Eppure sono venti metri appena.
Un percorso brevissimo.
Però è il più lungo per chi deve fare un itinerario di fede.
Chiediamo al Signore che possiamo veramente abbandonarci a Lui e, soprattutto, possiamo inebriarci dei raggi della luce della risurrezione.
Pasqua è la festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto.
La mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno.
Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria,
della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuna col suo sigillo di morte.
Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi. E se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la risurrezione di Cristo”.

Don Tonino


CICCIO E TORE PAPPALARDI

Ne sentiremo parlare per molto tempo.
L’orribile fine dei due fratellini di Gravina terrà banco nei prossimi mesi, attizzando morbose curiosità o suscitando umana pietà. I giornali ne scriveranno diffusamente; i giornalisti scaveranno nelle pieghe più nascoste di questo esempio di famiglia ampia dentro cui pare si sia consumata la tragedia, sinonimo ormai di famiglia post-tradizionale, designando una unione scaturente dalla fine di matrimoni contratti dinanzi a Dio o alla legge degli uomini. La famiglia larga di Ciccio e Tore non è stata sufficientemente attenta a preservarne l’integrità e la vita. Al di là delle colpe specifiche, di chi abbia ucciso i due ragazzi od anche prescindendo dalla nefasta fatalità, qualora si sia trattato di un incidente senza colpevoli, cosa che tuttavia appare molto improbabile, non possiamo passare sotto silenzio i disastri morali ed educativi che certe concezioni moderne e post-tradizionali di unioni fra uomini e donne stanno generando (per tacere di altri tipi di unione che
vorrebbero introdursi con i Dico o i Pacs). Quando si lacera il tessuto familiare, si determinano tensioni che inevitabilmente si scaricano sui soggetti più deboli ed indifesi, sui figli, costretti a dividersi fra padre e madre, a vivere a stretto gomito con altre persone che devono chiamare mamma o papà a settimane alterne e che a malapena ne tollerano la presenza. Fra madri e padri, genitori naturali e genitori di seconda fascia, famiglie allargate, figli di primo, secondo e terzo letto, si consuma il declino di una società che, bandendo Dio dal proprio orizzonte, si avvia
fatalmente a vivere una caricatura di amore, non soltanto coniugale, scandita dai ritmi balordi di una cultura gaiamente nichilista che discetta d’amore e di modelli d’amore senza sapere niente del modello per eccellenza della famiglia sana, quella di Nazareth, che visse più di duemila anni fa ma che ha molto da dire
ed insegnare alle famiglie di oggi. Quel modello familiare, prototipo della sana
famiglia umana, si reggeva sulla presenza centrale di Dio, sull’umile lavoro di Giuseppe, sui doveri domestici di Maria, sulla preghiera comunitaria.
Gesù cresceva in sapienza ed intelligenza, non soltanto perché era figlio di Dio, ma anche grazie alla sua umanità allevata nel seno di una famiglia sana, trasmettitrice di valori e di senso.
Oggi chi insegna che cosa a chi? Che cosa si insegna ai propri figli? Si è in grado di insegnare qualcosa? Si ha il coraggio di parlare loro di amore indissolubile, di Dio, di vita eterna? Quali esempi si danno ai propri figli? Quale senso di vita e quale concezione dell’amore vengono inoculate ai giovani d’oggi? Sento spesso disprezzare la Chiesa ed i sacerdoti; sento spesso rivolgere pesanti apprezzamenti alla dottrina cattolica, quasi si trattasse di una favola o di una “pista” di cocaina, nel senso che ogni tanto si tira cocaina religiosa per tenere quieta la mente dinanzi ai grandi temi della vita e della morte. Ma senza Dio e senza Chiesa
saremmo condannati all’estinzione nel breve volgere di pochi anni, in modo
gaiamente nichilista. Se è questo ciò che si vuole, lo si dica, ma senza versare lacrime postume sulla amara sorte delle giovani generazioni.

Salvatore Bernocco

LA PASQUA: FESTA DELLA GIOIA INTERIORE

Pasqua come festa della liberazione dal peccato del mondo, come scatenamento di gioia per la prospettiva di un mondo interiore riscattato dall’assenza d’amore, dall’egoismo, quell’autentico cancro dello spirito che nelle sue molteplici forme e manifestazioni conduce sempre e comunque in un’unica direzione, ad un solo esito, la
morte dell’anima, la seconda morte, quella definitiva. Il peccato del mondo consiste nell’esiliare lo Spirito, che è amore, nel non rispondere con generosità e senso di responsabilità, con attenzione e delicatezza, alle sue sollecitazioni, che tutte tendono a realizzare già qui ed ora, dentro e fuori di noi, il regno di Dio. Dire di no allo Spirito è scegliere il suicidio, anche se non si è pienamente consapevoli degli effetti nefasti che l’egoismo produce nel medio e lungo termine. I suoi frutti si misurano nel corso degli anni, e quel senso di soddisfazione, quasi di autocompiacimento che il badare a se stessi provoca, con l’andare del tempo si converte in una sorta di avvilimento.
Sovrabbondando di se stessi, si chiudono gli occhi dell’anima alle necessità del nostro prossimo, che viene ignorato, escluso, a mala pena sopportato. Qualche domenica fa ero a Trani con una mia amica e mi sono recato a messa. Fuori del tempio c’era una ragazza macedone con bambina a seguito che chiedeva l’elemosina.
Noi la chiameremmo una “zingara”. Mi sono avvicinato a lei e abbiamo cominciato a parlare. L’impressione che ne ho tratto è che le abbia fatto più piacere scambiare quattro chiacchiere con noi che ricevere quei pochi spiccioli che le porgemmo. Il punto è che possiamo sentirci superiori agli altri, essere più educati di loro, meglio vestiti, guardarli dall’alto in basso, ma tutto ciò non ci autorizza a sentirci migliori di loro. Non lo siamo. Siamo semplicemente stati più fortunati, ed è finanche discutibile che tale fortuna sia per noi motivo di felicità. Probabilmente, malgrado tutto ciò che possediamo e che siamo, non siamo capaci di
provare gioia, felicità, attaccamento alla vita. La povertà paradossalmente rende tutto più semplice e puro. La povertà, non la miseria, che grida vendetta al cospetto di Dio. La povertà come scelta di vita, distacco dalle molte cose inutili del mondo, dal trentesimo abito, dal quarto paio di scarpe, dalla ventesima borsetta. Che cosa ci tiene tanto legati alle cose inutili? Nulla, solo l’errata convinzione che si è di più se si possiede di più, se si ha tanto. Lo Spirito soffoca sotto la massa di cose e pensieri inutili e vacui. Ci sovrasta un cielo plumbeo; non è dato scorgere l’orizzonte; la vastità spirituale si raggrinzisce a
causa dell’abbandono della logica dell’amore che spinge ad essere generosi in parole ed opere, aperti, sensibili, attenti come il buon Samaritano. Fare Pasqua significa
fare pace, porgere la mano, aprire il cuore, evitare di inasprire i rapporti, compiere uno sforzo per liberarsi dalle miserie che ci appesantiscono. Essere cristiani è sinonimo di libertà, e non c’è nessuno più libero di chi ha fatto una scelta di amore nel senso dello Spirito di Cristo.
Questa società che quasi osanna i guru dell’aborto e dell’eutanasia, che si inchina agli scettici ed agli agnostici, che si converte alle filosofie del niente assoluto per moda e conformismo, ha estrema necessità, attraverso un cammino penitenziale fatto di amore, riflessione e rinunce, di ritrovare il senso ultimo e vero della vita. La Pasqua è la festa della vita eterna. Sarebbe bello poterla festeggiare indossando gli abiti della gioia interiore, messi a nuovo dalla grazia di Dio e dalla sua misericordia, perché laddove abbondò il peccato, sovrabbondò il suo amore.

S.B.

Saluto del parroco don Vincenzo Pellegrini agli Amici milanesi di Ruvo


Permettete, carissimi amici di Ruvo residenti in Milano che rivolga a voi un cordiale saluto e una stretta di mano, a tutti e a ciascuno di voi, che sento appartenenti all’unica comunità ruvese.
Presento il mio saluto rispettoso a nome del nostro vescovo mons. Luigi Martella, impedito per la visita pastorale in corso nella nostra diocesi e vi dirò che quando ci venne richiesto di trasferire il gruppo degli Otto Santi per l’esposizione milanese, pensai che l’evento avrebbe ricollegato negli affetti, nell’unica fede cristiana, tutti quanti noi che tanto abbiamo beneficiato della autentica pietà popolare trasmessaci e che non tralasceremo di purificare sempre più e trasmettere alle generazioni future.
Vi confido anche che, insieme a tali riflessioni e alla “esaltazione” che oggi si fa della “scultura povera” in cartapesta, mi è tornato in mente il disprezzo e l’ostracismo avvenuto negli anni ’50 da parte di un vescovo del Salento, proveniente dal Trentino.
“Un’arte aberrante e indecorosa -si disse-“.
Un’arte povera. Ma cosa v’è di più povero di un po’ di farina che diventa pane e che da pane diventa “segno” e presenza vera di Cristo stesso nella sua Comunità? Sono “segni della fede”. Anche quei poveri segni possono aiutarci, come tanti altri, a risollevarci dalle nostre miserie e riorientare la nostra vita a volte sconquassata dal turbinio della società in cui siamo chiamati a vivere.
Se mi si consente peraltro, desidererei aggiungere che insieme allo scultore Raffaele
Caretta che nel 1920 realizzò il gruppo degli Otto Santi, altri valenti maestri della
cartapesta, fra cui Giuseppe Manzo, De Pascalis e Carmelo bruno impreziosirono le
nostre chiese di Ruvo; la Pietà e il S. Espedito del Purgatorio, La Madonna di Pompei in S.Domenico e anche quella di Carmelo Bruno nel Redentore insieme al S. Giuseppe, S.Anna e l’Addolorata del Manzo e così tante altre.
L’iniziativa alla quale il sodalizio di S. Rocco, presieduto dal Priore Cosimo Damiano Caldarola ha aderito molto volentieri, risponde all’esigenza di rinsaldare vincoli e reticolati di amicizia -come soleva ricordare il mai dimenticato Don Tonino Bello- a promuovere la comunione, a sintonizzarci tutti sulle onde dello spirito, perché ci sentiamo figli di un’unica Madre che è la Chiesa.
Ringrazio il Direttore del Museo Diocesano Dr. Biscottini con l’Avv. Agostino Picicco,responsabile culturale Associazione Regionale Pugliese, insieme agli altri valenti studiosi qui convenuti e che hanno dato l’opportunità di questo superlativo scambio culturale e spirituale insieme.
Grazie per avermi dato la parola, mentre saluto e invito gli Amici presenti e non a reincontrarci a Ruvo per la prossima Settimana Santa e rivivere insieme nella fede quanto è stato detto, quanto è stato vissuto in questa indimenticabile giornata milanese.

Milano: manifestazione per gli “Otto Santi” di Ruvo

Mai avrei pensato di veder luccicare tanti occhi mentre veniva proiettato un dvd sulle processioni della settimana santa di Ruvo. L’occasione è stata offerta dalla richiesta della Direzione del Museo Diocesano di Milano a voler prestare l’ormai famoso gruppo della Deposizione, conosciuto come “Otto Santi” da esporre tra le sculture in cartapesta dal ‘500 al ‘900. L’esperienza è stata oltremodo carica di emozioni per il convenire di tantissimi emigrati ruvesi che si son dati appuntamento presso la Basilica di Sant’Eustorgio in Milano.
Con il super impegno dell’Amministrazione della Confraternita di S. Rocco con a capo il Priore Cosimo Damiano Caldarola, gli “Otto Santi” che erano arrivati nella capitale del nord l’11 genniao scorso, hanno fatto bella mostra tra una cinquantina di opere esposte. Non è per nulla questione di campanile, né saremmo veritieri se non affermassimo che il “pezzo più gettonato” a dire delle guide, dei responsabili del museo e di chi ha vissuto fortemente l’evento, è stato proprio la scultura ruvese. Sabato 23 febbraio infatti, ruvesi provenienti da ogni dove(anche da Novara, Torino, Venezia, oltre che da l’intherland milanese) si sono incontrati per un vero e proprio convegno culturale-spirituale, dati i temi trattati e gli studiosi che li hanno affrontati.
Primo fra tutti il prof. Biscottini, direttore del Museo milanese; ma anche gli interventi dell’avv.Agostino Picicco e del cav. Dino Abbascià responsabile e presidente dell’Associazione regionale Pugliesi, del dott. Domenico Montalto critico d’arte e giornalista del quotidiano “Avvenire”, del prof. Carlo Previtali, del dott. Antonio Cassiano direttore del Museo Provinciale “Castomediano” di Lecce, dell’arch. Giuseppe Caldarola e dell’ass. Salvatore Lovino in rappresentanza del sindaco di Ruvo.
Un intervento accorato è stato quello di mons.Vincenzo Pellegrini parroco del Redentore e rettore della Chiesa di S. Rocco. Dopo aver portato il saluto del vescovo diocesano mons. Martella impedito per la visita pastorale in corso, ha esordito affermando che – riferendo il pensiero del compianto mons.Tonino Bello – reticolati di comunione come questi vanno sempre più consolidati e rinsaldati; che questi “segni della fede” come una rappresentazione scultorea della passione del Redentore, sia pur definiti “arte povera” non sono afffatto da espungere come negli anni ’50 aveva ordinato l’allora arcivecovo di Otranto mons. Cuccarollo proveniente
dal nord, per far spazio alla fredda arte lignea di Ortisei.
Anche un po’ di farina e un po’ di pane - ha aggiunto – mons. Pellegrini sono stati assunti da Cristo per rinnovare e attuare la sua presenza nella comunità ecclesiale. Ha fatto poi riferimento alla numerosa produzione di manufatti leccesi e di maestri, forse superiore allo stesso Raffaele Caretta, scultore degli “Otto Santi” nel 1920. E ha citato Giuseppe Manzo, il De Pascalis, Guacci o Carmelo Bruno le cui statue abbelliscono e comunque alimentano beneficamente la pietà popolare ruvese. Momento culminante del convenire dei tantissimi ruvesi presenti è stata l’offerta di pubblicazioni e prodotti tipici di Ruvo, ma soprattutto la proiezione del dvd sulla settimana santa ruvese presentata dal vescovo mons. Martella e prodotto da Biagio Stragapede.
L’incedere mesto e orante dei fedeli e portatori dei vari gruppi statuari, la scena del Cristo condotto al sepolcro hanno commosso gli astanti che hanno ricordato gli anni lontani di quando con le valigie stracariche più di tristezza che di oggetti personali, salivano verso il nord alla ricerca di lavoro. Lo scambio poi di ricordi e i momenti di convivialità, l’incontro tra parenti, hanno rinsaldato non poco i vincoli della comune appartenenza alle radici di fede che, di certo, non si è affievolita anche nella vita convulsa della metropoli lombarda. Alla prossima, si è detto; mentre il parroco mons. Pellegrini si è detto lieto di poter accogliere tutti tra breve in Ruvo per i riti della settimana santa ormai vicini.

S.B.

Foto: Momenti di incontro con alcuni ruvesi residenti in Milano (23 Febbario 2008)


Nel Mese

La comunità si incontrò il giorno 2 per la celebrazione della Presentazione del Signore, durante la quale furono benedette le candele e il parroco dettò alcune riflessioni sui temi liturgici della festa. Ci unimmo poi alla solenne concelebrazione del Vescovo don Gino per la festa di San Biagio.
Tra i vari incontri con i giovani, i genitori dei ragazzi della catechesi, ci fu anche quello dell’A.C.I. parrocchiale che ha designato la prof. Tecla Di Terlizzi quale nuovo presidente della stessa.
Proseguì poi il percorso di fede per i fidanzati, mentre l’ultimo incontro è stato
dedicato ai genitori degli stessi, iniziativa che da diversi anni ormai si attua in
parrocchia e che riscuote consensi per la sua utilità. Il 6 si diede inizio al tempo
quaresimale. Durante il rito delle Ceneri, al quale parteciparono tantissimi fedeli -
come ogni anno- il parroco ci invitò a far festa per partire col piede giusto: ossia la lacerazione del cuore dovrà consistere nell’arrenderci all’amore liberante di Dio
che vuol trarci fuori dalla mediocrità, dall’invidia, dalla gelosia e altre meschinità per camminare più speditamente verso la Pasqua. Iniziò anche la catechesi quaresimale con ogni domenica l’esercizio della Via Crucis animata dal Gruppo Famiglia e dai fratelli del Cammino Neo-Catecumenale.
Due momenti particolari si ebbero per la venerazione della Croce da parte delle
quattro Confraternite della città.
L’adorazione mensile divenne momento privilegiato per meglio programmare il Cammino penitenziale.
Parecchi di noi partecipò alla settimana biblica diocesana e all’Incontro culturale tenutosi il 23 a Milano, per la per la presenza del gruppo degli Otto Santi alla
Mostra allestita e promossa presso il Museo Diocesano di Milano.

Luca