Eucaristia, mistero da credere
Miei Cari,
di proposito desidero soffermarmi sulla esortazione del Papa "Sacramentum Caritatis" in questo mese di giugno, fortemente carico di concetrazione adorazione del mistero eucaristico che da noi Ruvesi viene celebralo e vissuto per la solennità del Corpus Domini e ancor più per la sua Ottava. È solo quale spunto che offro riferendomi alla prima parte della esortazione di Benedetto XVI che affronta il tema dell'Eucarestia come "mistero da credere": lo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore, la fede della Chiesa che si nutre e si realizza nei sacramenti.
Ecco dunque da un lato la sottolineatura di un dono gratuito che la Chiesa può accogliere, celebrare e adorare in fedele obbedienza e dall'altro il ricordo del ruolo esercitato dallo Spirito Santo nello sviluppo delle varie forme liturgiche attuate nel tempo dalla Chiesa.
Il Papa affronta poi l'Eucaristia come "mistero da celebrare" e si concentra sulla liturgia, ad iniziare dalla sua "bellezza".
A tal riguardo viene ricordato che la liturgia eucaristica e quindi il suo fondamento non è a disposizione dei nostro arbitrio e non può subire il ricatto delle mode del momento: dunque, ricorda il Papa, non esiste separazione tra il modo retto adeguato di celebrare la liturgia e la necessità di favorire la partecipazione dei fedeli. Dunque nessuna stravaganza liturgica, ma obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza.
Pertanto, esorta il Papa, occorre evitare la generica improvvisazione o l'introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia perché tutto, nel testo, nella melodia e nell'esecuzione deve corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici. Vale anche risottolineare che il Papa segnala il legame fra celebrazione e adorazione: l'Eucarestia è data per essere adorata e per essere mangiata e raccomanda quindi l'adorazione, anche perpetua; momenti che devono essere promossi sempre più dalle parrocchie e dai gruppi ecclesiali (di qui la necessità di riqualificare i due nostri momenti mensili del 1° giovedì e del 23 di ogni mese).
Circa la terza parte della sua esortazione, desidero sottolineare quanto il Papa afferma circa il sapore dell'Eucarestia che deve espandersi in ogni attimo della quotidianità umana perché il cristiano possa veramente essere figlio dì Dio e ripagare il sacrificio che per lui e stato fatto in nome dell'Amore.
Non secondario poi il richiamo che viene fatto circa la domenica, giorno della
Comunità in cui ogni cristiano si sente parte dello stesso Corpo; così la Chiesa si respira e si vive in ambito diocesano e parrocchiale. Benedetto XVI invita ad abbandonare caratteri individualistici e ad abbracciare invece un senso sano di appartenenza alla comunità parrocchiale: credere, in Cristo va ben oltre insomma l'avere una convinzione privata.
Accompagni il nostro impegno a rivedere il nostro porci dinanzi al mistero Eucaristico quanto il Papa traduce in preghiera conclusiva: "La vera gioia è riconoscere che il Signore rimane tra noi, compagno fedele del nostro cammino".
Don Vincenzo
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ANNO XXI - N.6
L’EUCARESTIA, PER TORNARE A SPERARE E GIOIRE
Eucaristia, Corpo di Cristo, Pane di Vita. Pietra di inciampo per i sapienti secondo il mondo; speranza di risurrezione per gli umili, a cui Dio si rivela. Miracolo di amore, nel senso di a-mors, senza morte, perché Dio è amore. nel senso di carità infinita e quindi di vita senza fìne. Nell'Eucaristia c'è tutto Cristo, il medico delle anime e dei corpi. Chi si nutre del Pane Eucaristico sviluppa dentro di sé !a vita eterna in Dio, alimenta la buona vita, riduce ai minimi termini egoismo e superbia, quei cancri dello spirito che conducono alla "seconda morte", quella temibilissima, irreversibile. Se Dio è a-mors, se cioè in Lui non c'è ombra di morte , la morte defmitiva non ha alcun potere su chi si affida a Lui e si ciba di Lui.
La risurrezione del Cristo è quindi il perno dell'Eucaristia, perché essa è nelio stesso tempo promessa ed alimento di vita eterna. Se Cristo non fosse resuscitato, vana sarebbe la nostra fede e nulla ci autorizzerebbe a parlare di aldilà, di paradiso o di inferi, di vita e di morte. Ma i! Cristo è risuscitato e siede alla destra del Padre, e ciascuno di noi è in attesa della Parusia, della sua seconda venuta, che per ciascuno di noi si attuerà il giorno della nostra ricapitolazione in Lui. Non morte quindi, ma liberazione dello spirito, ricongiungimento al Padre. Ma l'Eucaristia ha bisogno della collaborazione attiva dell'uomo. Perché essa sia fenomeno, manifestazione di vita e di resurrezione, è necessario che l'uomo, attraverso la preghiera e la carità e l'esercizio dell'umiltà cristiana, vi si disponga. Solo allora essa realizzerà appieno ciò che significa. In altri termini, se ci accostiamo all'Eucaristia senza le dovute disposizioni - cosa che talvolta purtroppo si verifica -, essa non produrrà frutto alcuno di vita, anzi il rischio sarà quello di mangiare la nostra condanna. Di qui la necessità assoluta di confessarsi prima di accostarsi al banchetto eucaristico.
Alcuni non lo fanno, sostengono che sia sufficiente il rapporto diretto fra la propria coscienza e Dio. Una idea sbagliata ed equivoca che non poggia sul Vangelo. Cristo stesso ha dato mandato ai suoi discepoli di rimettere i peccati o di non rimetterli, per cui ha costituito i suoi sacerdoti quali mediatori del suo perdono. Questo per alcune semplici ragioni: nessuno è in grado di auto-assolversi; è necessario che qualcuno ci apra gli occhi e le orecchie per vedere ed intendere; dal punto di vista pedagogico ed educativo è bene confrontarsi con chi dispensa la Parola di Dio e può illuminarci con la sua grazia e la luce dello Spirito santo. Certo, l'obiezione che alcuni sacerdoti siano uomini fragili e bisognosi delta grazia di Dio è senz'altro vera. Ma questo, se per un verso li rende comprensivi circa le comuni fragilità che discendono dalla condizione umana, peraltro verso non giustifica affatto la prassi invalsa dell'auto-assoluzione. Essa ci lascia così come ci ha trovati, in realtà, nell'ignoranza e nell'impossibilità di migliorare. La confessione invece, mentre cancella i nostri peccati, ci abilita ad una reale possibilità di conversione del cuore. Ciò accade misteriosamente per grazia di Dio, e l'Eucaristia per l'appunto alimenta tale predisposizione al cambiamento ed irriga la vita dello spirito. L'Eucaristia è quindi il cuore della nostra fede. Ad essa si deve massimo ossequio. La processione eucaristica, che si svolgerà il 17 giugno, è l'unica a cui tutti i credenti dovrebbero partecipare. È l'appuntamento di fede principale della nostra comunità, a cui tutte le altre ricorrenze, tradizioni e feste sono subordinate. Auspichiamo, con un rinnovato approfondimento del mistero eucaristico, una partecipazione devota e sentita della popolazione ruvese, anch'essa bisognosa di rinnovarsi nello spirito e tornare a sperare e gioire.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXI - N.6
La risposa della Segreteria di Stato
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LA CHIESA SOTTO ATTACCO
Il nostro Paese attraversa un momento assai delicato, sia sotto il profilo sociale che economico e politico. La politica è sotto accusa, troppi privilegi e pochi doveri. Sui piano sociale alcune proposte delia Bindi e della Pollastrini hanno messo a subbuglio il concetto di famiglia che, per la verità, non è un concetto astratto ed intercambiabile, come taluni pseudo-sociologi si affannano a dimostrare, ma una realtà vitale ed immodifìcabile, composta da un uomo e una donna uniti in un vincolo stabile e aperto alla procreazione responsabile. La Bindi ha sostenuto che la famiglia può essere altro, cosa non è dato di sapere, salvo correggersi al forum di Firenze. Forzature politiche, pasticci concettuali, stramberie per stare a galla nel mare magnum della politica politicante, quella che attualmente si occupa quasi esclusivamente di Dico, droga, omosessualità, dimenticando lo stato pietoso della sanità italiana, l'impoverimento del ceto medio, i diritti di chi deve campare con stipendi e salari da fame. Mentre si accresce il numero dei senza diritti e di quelli con diritti limitati, la politica si ingrassa di benefici e prebende, e sforna proclami a ripetizione, promesse vuote, fumisterie. Di qui la contestazione montante e giusta di larghi settori della società italiana. In questo scenario confuso e a tratti inquietante, la Chiesa italiana interviene con la sua parola moderatrice e saggia, che guarda lontano. Non è una parola da rottamare, ma che fa perno sul diritto naturale e quindi sulla dignità della persona umana. Tuttavia non può passare sotto silenzio che ogni intervento delle cosiddette gerarchie cattoliche, del Papa e dei Vescovi, sui temi eticamente sensibili e di importanza capitale per il destino dell'uomo e della società viene dipinto da certa stampa schierata, quella di sinistra, come oscurantista, passatista, reazionario. I gay si inalberano e contestano, mentre compaiono sui muri di Genova scritte offensive sull'arcivescovo Bagnasco, che viene minacciato pesantemente e deve girare scortato. Non solo. Si getta fango a piene mani sull'intera Chiesa cattolica a causa di alcuni tragici episodi di cui si sono macchiati taluni preti. Intendiamoci bene: quelle vicende gridano vendetta al cospetto di Dio, sono moralmente deprecabili, e chi ne fu l'artefice non può vestire l'abito talare. Di esse si deve anche discutere pubblicamente, ma quei falli deprecabili non sono la cifra della Chiesa cattolica! Questo non si desume da certi resoconti di stampa e da certi servizi televisivi, anzi! È quindi in atto una clamorosa campagna anti-cattolica in Europa e nel mondo, alimentata qui da noi da certi organi di stampa che, per ragioni ideologiche, hanno tutto l'interesse a fare passare la Chiesa per la Grande Meretrice di dantesca memoria. Certo, anch'essa deve fare pulizia al suo interno, come per altro verso auspicalo dallo stesso Benedetto XVI, ma alcune lezioni di etica provenienti da certi settori della politica e della cultura italiana non valgono e non possono accettarsi. Alla loro base non c'è l'ansia di conoscere la verità, ma, attraverso l'uso smodato o distorto di certi fatti, il perseguimento di un disegno politico e l'emarginazione della verità sull'uomo e la sua intima natura.
S.B.
S.B.
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ANNO XXI - N.6
Non tutto si concede alla modernità
Tagore scrisse a gli Occidentali: "La morte si insinua pezzo per pezzo nel corpo della civiltà!".
Pensiero quanto mai profetico...In nome della civiltà moderna o post-moderna si pensa di poter chiedere tutto e non ci si accorge che quanto la nuova civiltà esige e produce è costituito solamente da schegge di morte!
Anche se la civiltà dell'oggi paraventa le sue smodate richieste come volontà di concedere ad ogni persona i suoi necessari diritti, questa volontà apparentemente solidaristica è una iniezione endovenosa che provoca la morte. Non tutto si deve concedere alla civiltà: essa è galoppante ma non equilibrata, è populista ma non umana, assetata di perbenismo personale ma non di vero amore alla persona. Sta finendo il consumismo delle cose e ci si rivolge alle persone, determinadando un vortice distruttivo completo. A questo gioco, di ceco strapotere non ci si può arrendere.
La famiglia non può essere fagocitata; la sua immagine deve restare incontaminata.
Neanche il mercato della politica può fare della famiglia brandelli di vita sconsacrata: ogni protetto che non rispetta natura e dignità della persona umana e un virus sociale che decompone la struttura originaria della famiglia: alla famiglia non si deve eliminare l'originalià naturale ne la funzionalità educativa. La famiglia è e resta il valore prezioso per una sana retta condizione sistenziale.
Bisogni personali o attestati di riconoscimento vengano affrontati in alvei del tutto diversi da quello della famiglia formata nel matrimonio. Si eviti che nel corpo della civiltà venga inseirito un innesto malasno e malefico.
Raffaele Facciolo
Pensiero quanto mai profetico...In nome della civiltà moderna o post-moderna si pensa di poter chiedere tutto e non ci si accorge che quanto la nuova civiltà esige e produce è costituito solamente da schegge di morte!
Anche se la civiltà dell'oggi paraventa le sue smodate richieste come volontà di concedere ad ogni persona i suoi necessari diritti, questa volontà apparentemente solidaristica è una iniezione endovenosa che provoca la morte. Non tutto si deve concedere alla civiltà: essa è galoppante ma non equilibrata, è populista ma non umana, assetata di perbenismo personale ma non di vero amore alla persona. Sta finendo il consumismo delle cose e ci si rivolge alle persone, determinadando un vortice distruttivo completo. A questo gioco, di ceco strapotere non ci si può arrendere.
La famiglia non può essere fagocitata; la sua immagine deve restare incontaminata.
Neanche il mercato della politica può fare della famiglia brandelli di vita sconsacrata: ogni protetto che non rispetta natura e dignità della persona umana e un virus sociale che decompone la struttura originaria della famiglia: alla famiglia non si deve eliminare l'originalià naturale ne la funzionalità educativa. La famiglia è e resta il valore prezioso per una sana retta condizione sistenziale.
Bisogni personali o attestati di riconoscimento vengano affrontati in alvei del tutto diversi da quello della famiglia formata nel matrimonio. Si eviti che nel corpo della civiltà venga inseirito un innesto malasno e malefico.
Raffaele Facciolo
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Nel Mese
Con rinnovato fervore la Comunità ha accolto il caldo invito del parroco a celebrare il mese mariano che ha avuto alcuni momenti più intensi il giorno 8 e il 16, festa della Madonna delle Grazie al cui santuario ci siamo recati in pellegrinaggio e il parroco ha celebrato il giorno 14.
Incontri di catechesi si sono avuti a tutti i livelli, più particolareggiati con i genitori dei ragazzi che si avvicineranno alla messa di prima Comunione e quelli di cresima; a questi ultimi è stato ricordato che tali scadenze sacramentali diventano motivo di riflessione forte sul modo di essere genitori e trasmettitori della fede. Anche dalle nostre Comunità hanno partecipato in diversi alla Family-day di Roma il 12 maggio, unitamente al parroco. La catechesi mensile ha registrato numerosi riferimenti alla esortazione di Paolo VI "Marialis cultus". Una catechesi riassuntiva e puntuale si è avuta per i bambini che il prossimo 10 giugno riceveranno la prima Comunione. Privilegiati come ogni mese i momenti di adorazione animati dai gruppi eucaristici parrocchiali e tutti gli appuntamenti ad ogni livello sono stati onorati e attuati con la partecipazione cordiale dei parrocchiani. La conclusione del mese ha visto anzitutto la celebrazione della veglia di Pentecoste a livello cittadino animata da don Grazio e poi dalla veglia Mariana che quest'anno si è pensato di vivere in via Rogliosa dove - ha annunziato con sorpresa il parroco - tornerà ad essere venerata la Madonna. Da una sua ricerca fatta, invero, risulta dalla consultazione della Platea del Carmine, che in quella strada era venerata la Vergine col titolo di "S. Maria della Rigliosa" già dal '600.
Ci siamo quindi ritrovati lì per deporre ai piedi delta Madonna i nostri propositi di impegno fattivo nell'opera della evangelizzazione e della costruzione di una Comunità che cresce nell'amore tra noi e con i fratelli.
Luca
Incontri di catechesi si sono avuti a tutti i livelli, più particolareggiati con i genitori dei ragazzi che si avvicineranno alla messa di prima Comunione e quelli di cresima; a questi ultimi è stato ricordato che tali scadenze sacramentali diventano motivo di riflessione forte sul modo di essere genitori e trasmettitori della fede. Anche dalle nostre Comunità hanno partecipato in diversi alla Family-day di Roma il 12 maggio, unitamente al parroco. La catechesi mensile ha registrato numerosi riferimenti alla esortazione di Paolo VI "Marialis cultus". Una catechesi riassuntiva e puntuale si è avuta per i bambini che il prossimo 10 giugno riceveranno la prima Comunione. Privilegiati come ogni mese i momenti di adorazione animati dai gruppi eucaristici parrocchiali e tutti gli appuntamenti ad ogni livello sono stati onorati e attuati con la partecipazione cordiale dei parrocchiani. La conclusione del mese ha visto anzitutto la celebrazione della veglia di Pentecoste a livello cittadino animata da don Grazio e poi dalla veglia Mariana che quest'anno si è pensato di vivere in via Rogliosa dove - ha annunziato con sorpresa il parroco - tornerà ad essere venerata la Madonna. Da una sua ricerca fatta, invero, risulta dalla consultazione della Platea del Carmine, che in quella strada era venerata la Vergine col titolo di "S. Maria della Rigliosa" già dal '600.
Ci siamo quindi ritrovati lì per deporre ai piedi delta Madonna i nostri propositi di impegno fattivo nell'opera della evangelizzazione e della costruzione di una Comunità che cresce nell'amore tra noi e con i fratelli.
Luca
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ANNO XXI - N.6
Consiglio Pastorale
- Presidente: Parroco Mons. Vincenzo Pellegrini
- Vice Presidente: Antonietta Mastrorilli
- Segretario: Simone Salvatorelli
- Responsabile Catechesi: Camilla Lauciello
- Responsabili Liturgia: Anna Romano
- Responsabile Caritas: Michele De Astis
- Presidente A.C.I.: Tecla Di Terlizzi
- Responsabili Cammino Neo-Catecumenale: Rino e Concetta Rutigliani.
- Responsabili Gruppo Famiglia: Valerio e Pasqualina Girasoli
- Responsabile Volontariato Vincenziano: Rosaria Cesareo
- Responsabile Ass. Buon Consiglio: Fiore Raffaella
- Responsabile Riparazione Eucaristica: Rosa Chieco
- Responsabile Apostolato della Preghiera: Rosa De Marco
- Responsabile Gruppo di Preghiera "P. Pio": Maria Mastrorilli
- Responsabile Missioni: Domenichella carlucci
- Responsabile Confraternita "S. Rocco": Priore Cosimo Damiano Caldarola
- Responsabile Stampa Cattolica: Salvatore Bernocco
- Responsabile Consiglio Affari Economici: Tommaso Cascarano
- Ministro Straordinario della Comunione: Maria Caputi
Gruppi Parrocchiali
Tratto da "La Chiesa del SS. Redentore in Ruvo" - "Cento anni di vita pastorale" di Salvatore Bernocco
L'Azione Cattolica
La Gioventù Femminile di Azione Cattolica nasce nel 1918 per iniziativa di Armida Barelli, sostenuta da Benedetto XV prima e da Pio XI poi, all'interno dell'Unione Donne, con il compito di prendersi cura della "formazione religiosa, intellettuale, morale e sociale della giovane".
A Ruvo sorge ad opera della bitontina Maria de Renzio, insegnante elementare. Presso il SS. Redentore nasce intorno agli anni 1925/1926, sotto il parrocato di don Rocco Spadone, vice parroco don Peppino Iurilli. Presidente dei Giovani di A.C. è lo studente Mimi Elicio, mentre degli Aspiranti Giuseppe Di Modugno.
Molto dopo, sostiene Maria Pellegrini - uno dei pilastri della comunità, scomparsa recentemente all'età di 93 anni - da me interpellata nei primi di gennaio del 2003 e che aderisce alla G.F.A.C. (in origine Gioventù Cattolica Italiana) sin dalla prima ora, fungendovi da segretaria, vennero gli Uomini di A.C., anch'essi molto attivi.
Sotto la presidenza diocesana della ruvese Giuseppina Berardi, assistente diocesano di A.C. l'arcidiacono Raffaele Montaruli, si tiene una gara di cultura religiosa fra le socie. La gara si articola nei livelli parrocchiale, diocesano, regionale e nazionale. La stessa Pellegrini supera brillantemente le prime tre selezioni, segno che la formazione religiosa presso il SS. Redentore è particolarmente curata. D'altra parte, la quasi totalità delle giovani di A.C, sono abbonate al giornale "Squilli di Risurrezione", che affronta argomenti di cultura religiosa e che contribuisce alla loro istruzione ed educazione morale.
"Con Don Montaruli l'Azione Cattolica ebbe più forza", sostiene M. Pellegrini, come del resto attestano le riunioni che si tenevano a cadenza quindicinale e di cui si stilava apposito verbale, nonché, per l'impegno profuso dal parroco, l'assegnazione, nel 1958, del Gagliardetto regionale ai Seniores di A.C. a seguito di una gara di cultura religiosa.
L'Associazione parrocchiale della Riparazione Eucaristica
L'Associazione della Riparazione Eucaristica prese le mosse nel 1928 ad opera di P. Agostino da Civitanova Marche, pio sacerdote cappuccino.
Nella chiesa del SS. Redentore è presente dall'ottobre del 1982. Ogni mese gli aderenti all'Associazione si incontrano per "risarcire le offese che vengono fatte al SS.mo Sacramento con sacrilegi, profanazioni, bestemmie, irriverenze e trascuranze".
Il Volontariato Vincenziano
Operante in passato presso le Figlie della Carità, ospitate presso il Convento di S. Angelo, dalla fine del 1990 presta la sua meritoria attività nella comunità del SS, Redentore.
I cent'anni dell'istituzione voluta tenacemente dal vescovo mons. Pasquale Berardi nel 1899, sono ricordati nel settembre del 1999 con una "tre giorni" di preghiera e di riflessione sul ruolo e la missione delle Vincenziane, Da segnalare la presenza della dott.ssa Silvia Viterbo De Jaco, Vice Presidente Nazionale del Volontariato Vincenziano. Le celebrazioni del 1° centenario si concludono la sera del 27 settembre con la solenne celebrazione presieduta da mons. Donato Negro, vescovo diocesano.
Del centenario dà ampio risalto l'Osservatore Romano del 19 ottobre del 1999. La relazione ufficiale viene tenuta dal parroco mons. Pellegrini.
Il Gruppo di preghiera San Pio da Pietrelcina
Il Gruppo di preghiera di Padre Pio nasce ufficialmente nel 1988, con l'inaugurazione e la benedizione del monumento bronzeo al Santo di Pietrelcina, dono del dott. Giuseppe Tota, realizzato dallo scultore Mario Piergiovanni di Bari. Alla inaugurazione intervengono il vescovo don Tonino Bello, P. Marciano Morra del Convento dei Cappuccini di S. Severo, che celebra l'Eucaristia, mons. Giovanni Caldarola, don Ermete Terzulli, don Del Vecchio, il sen. Busseti, il sindaco Camerino e il prof. Mastrorilli.
Il Guppo si riunisce ogni 23 di mese per pregare secondo gli orientamenti impartiti dal santo di Pietrelcina.
L'Associazione dell'Apostolato della Preghiera e dal 2000 ilCammino Neocatecumenale le cui Comunità hanno come Responsabili Rino con Concetta Rutigliani e Nunzio con Giorgia Di Domizio.
L'Azione Cattolica
La Gioventù Femminile di Azione Cattolica nasce nel 1918 per iniziativa di Armida Barelli, sostenuta da Benedetto XV prima e da Pio XI poi, all'interno dell'Unione Donne, con il compito di prendersi cura della "formazione religiosa, intellettuale, morale e sociale della giovane".
A Ruvo sorge ad opera della bitontina Maria de Renzio, insegnante elementare. Presso il SS. Redentore nasce intorno agli anni 1925/1926, sotto il parrocato di don Rocco Spadone, vice parroco don Peppino Iurilli. Presidente dei Giovani di A.C. è lo studente Mimi Elicio, mentre degli Aspiranti Giuseppe Di Modugno.
Molto dopo, sostiene Maria Pellegrini - uno dei pilastri della comunità, scomparsa recentemente all'età di 93 anni - da me interpellata nei primi di gennaio del 2003 e che aderisce alla G.F.A.C. (in origine Gioventù Cattolica Italiana) sin dalla prima ora, fungendovi da segretaria, vennero gli Uomini di A.C., anch'essi molto attivi.
Sotto la presidenza diocesana della ruvese Giuseppina Berardi, assistente diocesano di A.C. l'arcidiacono Raffaele Montaruli, si tiene una gara di cultura religiosa fra le socie. La gara si articola nei livelli parrocchiale, diocesano, regionale e nazionale. La stessa Pellegrini supera brillantemente le prime tre selezioni, segno che la formazione religiosa presso il SS. Redentore è particolarmente curata. D'altra parte, la quasi totalità delle giovani di A.C, sono abbonate al giornale "Squilli di Risurrezione", che affronta argomenti di cultura religiosa e che contribuisce alla loro istruzione ed educazione morale.
"Con Don Montaruli l'Azione Cattolica ebbe più forza", sostiene M. Pellegrini, come del resto attestano le riunioni che si tenevano a cadenza quindicinale e di cui si stilava apposito verbale, nonché, per l'impegno profuso dal parroco, l'assegnazione, nel 1958, del Gagliardetto regionale ai Seniores di A.C. a seguito di una gara di cultura religiosa.
L'Associazione parrocchiale della Riparazione Eucaristica
L'Associazione della Riparazione Eucaristica prese le mosse nel 1928 ad opera di P. Agostino da Civitanova Marche, pio sacerdote cappuccino.
Nella chiesa del SS. Redentore è presente dall'ottobre del 1982. Ogni mese gli aderenti all'Associazione si incontrano per "risarcire le offese che vengono fatte al SS.mo Sacramento con sacrilegi, profanazioni, bestemmie, irriverenze e trascuranze".
Il Volontariato Vincenziano
Operante in passato presso le Figlie della Carità, ospitate presso il Convento di S. Angelo, dalla fine del 1990 presta la sua meritoria attività nella comunità del SS, Redentore.
I cent'anni dell'istituzione voluta tenacemente dal vescovo mons. Pasquale Berardi nel 1899, sono ricordati nel settembre del 1999 con una "tre giorni" di preghiera e di riflessione sul ruolo e la missione delle Vincenziane, Da segnalare la presenza della dott.ssa Silvia Viterbo De Jaco, Vice Presidente Nazionale del Volontariato Vincenziano. Le celebrazioni del 1° centenario si concludono la sera del 27 settembre con la solenne celebrazione presieduta da mons. Donato Negro, vescovo diocesano.
Del centenario dà ampio risalto l'Osservatore Romano del 19 ottobre del 1999. La relazione ufficiale viene tenuta dal parroco mons. Pellegrini.
Il Gruppo di preghiera San Pio da Pietrelcina
Il Gruppo di preghiera di Padre Pio nasce ufficialmente nel 1988, con l'inaugurazione e la benedizione del monumento bronzeo al Santo di Pietrelcina, dono del dott. Giuseppe Tota, realizzato dallo scultore Mario Piergiovanni di Bari. Alla inaugurazione intervengono il vescovo don Tonino Bello, P. Marciano Morra del Convento dei Cappuccini di S. Severo, che celebra l'Eucaristia, mons. Giovanni Caldarola, don Ermete Terzulli, don Del Vecchio, il sen. Busseti, il sindaco Camerino e il prof. Mastrorilli.
Il Guppo si riunisce ogni 23 di mese per pregare secondo gli orientamenti impartiti dal santo di Pietrelcina.
L'Associazione dell'Apostolato della Preghiera e dal 2000 ilCammino Neocatecumenale le cui Comunità hanno come Responsabili Rino con Concetta Rutigliani e Nunzio con Giorgia Di Domizio.
Il Tempio
Da “La Chiesa del SS. Redentore in Ruvo” – “Il Redentore: aspetti architettonici” di Salvatore Caputi Iambrenghi:
“...Un vescovo lungimirante, riunisce al soldo della Sua fattività ed entusiasmo le non ingenti risorse di una città povera, ma in espansione che si deve aprire, verso il nuovo secolo, uscendo ormai decisamente dalle vecchia mura.
II vescovo Berardi, nei primi mesi dell'anno 1900, individuata nell'area corrispondente ad un vecchio e ormai in disuso lamione dell'antico castello, il sito della nuova chiesa, chiede all'ing. Egidio Boccuzzi "l'opera difficile della trasmutazione, e per la costruzione a nuovo di un maestoso prospetto a colonne".
Trasmutazione quindi, ristrutturazione diremmo oggi, con una precisa richiesta della committenza di un prospetto a colonne.
E allora immedesimiamoci con il progettista, pensiamo come può aver pensato l'ing. Boccuzzi, calandoci con lui nella problematica dei luoghi e degli spazi come allora gli appaiono.
Non facile deve essere stato, pensare e disegnare questa nuova chiesa: sono tanti i problemi di spazialità interna e di inserimento di una nuova facciata in un contesto urbanistico in fase di trasformazione.
IL CONTESTO URBANO
Siamo in uno dei punti più carichi di storia della Città, in una nuova piazza completamente apertasi nelle sue visualità verso ponente, verso l'antica strada che porta al nord.
Con l'abbattimento delle mura avvenuto intorno alla seconda metà dell'800, il crollo della "Torre di Pilato" e lo spostamento della sede della municipalità nell’antico Palazzo Avitaja, è emersa chiaramente l'esigenza di riconfigurare spazialmente e ridefinire dal punto di vista architettonico quello slargo storico, adiacente la antica "Porta Castello".
Il "Largo Castello" si andava trasformando nella nuova "Piazza Regina Margherita", riprendendo pedissequamente la toponomastica riportata sulle prime planimetrie catastali di quegli anni. L'abbattimento delle mura e il tracciato dei nuovi Corsi perimetrali al nucleo antico configurano il luogo e gli affidano un ruolo di nuova centralità nei riguardi di una città in fase di forte espansione urbanistica.
Il confronto tra la prima planimetria catastale ed una immediatamente successiva alla costruzione della Chiesa, mostra chiaramente l'area di sedime dell'antico lamione, (ultima propaggine dell'antico castello), in perfetta posizione visuale sul fondale del nuovo corso Carafa; quanto di meglio per una nuova Chiesa!
Lo spazio, originariamente slargo, retrostante la principale porta della città, viene quindi ad assumere sempre più i connotati di una vera e propria piazza e non già il punto di smistamento di semplici tracciati viari. Le stesse cortine edilizie diventano quinte di delimitazione spaziale e punti di nuove convergenze visuali, abbisognevoli di quei caratteri architettonici conclusi, che uno spazio urbano di tale funzione determina.
Del resto il "nuovo" prospetto del palazzo della Principessa Melodia (voluto da questa intorno al 1850), in virtù di un radicale restauro delle dirute fabbriche del castello, altro non veniva a rappresentare, se non una nuova chiusura spaziale di significativa valenza architettonica fortemente rappresentativa della "proprietà".
La definizione volumetrica della piazza, in quegli anni è comunque ancora tutta da configurare. Dovremmo immaginare questa zona della città prima delle trasformazioni di fine secolo, molto più contenuto spazialmente, fagocitato dalla presenza dell'alta e massiccia torre, con il lato settentrionale chiuso dalla mole dell'antico castello, e i residuali spazi destinati essenzialmente alle sedi viarie in corrispondenza della "porta castello".
L'orografia del sito poneva anche non piccoli problemi, per il raccordo delle quote d'uso dei piani terra del castello (originariamente non accessibili dal lato della piazza) con la quota d'uso della sede viaria all'altezza della porta della città disposta a circa 3,50 metri inferiore alle quote di accesso sul fronte settentrionale.
II brusco dislivello sino ad allora esistente, venne addolcito creando un ampio slargo in falso piano che veniva ad attestarsi sul fronte settentrionale. Gli ambienti sotterranei del castello, sarebbero venuti ad emergere; la soluzione architettonica per risolvere il problema fu la realizzazione dell'ampio terrapieno terrazzato antistante il castello e tutto il fronte nord, con funzione di raccordo e pianerottolo per l'ascesa alle residenze disposte sul lato settentrionale della piazza.
Anche le vie perimetrali confluenti verso la nuova piazza furono risagomate con abbassamento delle sedi stradali verso il raccordo alle nuove quote.
In questa nuova spazialità urbana si inserisce ai primordi del nuovo secolo il progetto di edificazione della nuova Chiesa del Redentore.
La scarna documentazione fotografica di quegli anni ci mostra il lato settentrionale della piazza ripreso da tre differenti punti di vista: la notissima foto della torre di Pilato, quella del fotografo romano Romualdo Moscioni del novembre 1891 o ancora quella del settembre 1900(?), rappresentano di scorcio il sito dell'antico lamione ancora scollegato altimetricamente dal piano d'uso della piazza, ma unitario alla cortina d'ambito del castello.
IL PROGETTO EDILIZIO
Non pochi problemi per il nostro ing.Boccuzzi.
II vecchio lamione o stallone della Principessa Melodia, non si prestava certamente alle richiesto del vescovo. Un lungo, buio e triste lamione, probabilmente in cattivo stato di conservazione; uno spazio ad incastro in una cortina edilizia già in parte configurata, con allineamenti obbligati e sagome edilizie incombenti.
Ai nostri giorni sarebbe stato oggetto di un concorso di idee, argomento di pubblico dibattito, ma... altri tempi. E allora mettiamoci al lavoro.
L'area di sedime è impropria, consiste "nell'ampio fabbricato detto Lamione o stallone sito in abitato di Ruvo nonché il dietroposto contiguo tratto di giardino o suolo edificatorio per la larghezza dello stallone medesimo riesce al corso Jatta, e che confina nell'insieme da scirocco con in Piazza Regina Marglierita, da ponente con i nuovi fabbricati di Mauro Pansini, da nord col Corso Jatta e da levante col giardino e fabbricati della mandante principessa di Tricase;".
E' veramente un'area ad incastro; il rapporto di allungamento in pianta della erigenda chiesa è assurdo: circa 10 metri per 40. E poi è buio, da dove prendere luce?
E ancora, dove poggiare le nuove strutture? L'area di sedime non è delle migliori!
Più metri di materiali di riporto dividono il piano della nuova chiesa dalla roccia di base. E poi le murature longitudinali di confine sono in comune con le altre proprietà e non possono essere modificate.
E qui l'ing.Boccuzzi imposta il suo progetto. Navata unica e cappelle laterali discontinue, con funzione portante per la nuova volta di copertura. Accorciamento visivo e fisico dello sviluppo longitudinale dell'aula tramite la creazione di un vestibolo anteriore, in uno alla chiusura ottica dello spazio con un ampio abside molto ben illuminato che accentri su di se l'attenzione e lo sguardo ammirato del fedele del nuovo secolo. Queste credo siano state le linee guida del progetto.
Del progetto originario sono stati reperiti solo alcuni grafici che ci rappresentano la facciata e due disegni di dettaglio, in pianta e in alzato, del catino absidale.
La ricerca del progetto completo, sicuramente redatto dall'ing. Boccuzzi (e da rintracciare presumibilmente nel suo archivio personale), fornirebbe importanti elementi di conoscenza sul tema in questione, anche in relazione alle preesistenze presenti nel sito per le alte valenze storiche del luogo.
In primis il Boccuzzi azzerò il naturale dislivello esistente tra il vecchio lamione e
il piano della Piazza, rimovendo il tratto di terrapieno terrazzato antistante e abbassando quindi di circa due metri quell'originario piano d'uso.
E poi pensò all'impostazione planimetrica e all'alzato. Per quest'ultimo, stante il contesto, venivano a mancargli precisi riferimenti compositivi quali livelli di marcapiano o coronamenti su cui eventualmente poggiare il nuovo disegno di facciata.
E' da notare come il grafico della facciata del Beccuzzi manchi di qualunque riferimento al contesto circostante.
L'eccessivo rapporto di allungamento della sagoma dell'antico lamione, insieme all'impossibilità di intervenire sulle murature longitudinali di confine, indirizzò il Boccuzzi verso l'impostazione di una navata unica scandita longitudinalmente da quattro cappelle laterali di modesta profondità, alternate da piccole nicchie e paraste gemellate sulle quali concentrare gli scarichi della grande volta a botte di copertura.
In questa maniera il Boccuzzi concentrò anche i punti di scarico principali della costruzione in maniera da non incidere eccessivamente dal punto di vista statico sulle strutture fondali originarie dei vecchi muri d'ambito, incerte nella quota e nella portanza.
Sempre per accorciare funzionalmente e visivamente la nuova chiesa, oltre che per filtrare rispetto allo spazio esterno l'accesso dei fedeli, creò, subito dopo l'ingresso, uno spazio di disimpegno, di minore altezza, ove collocare la scala per la salita al piano di copertura e a mezza quota, quello che poi sarà il piano dell'organo della Chiesa.
Il tema non semplice della funzio-nalizzazione di questa nuova chiesa viene anche brillantemente risolto con la creazione di vani ad uso parrocchiale addossati al retro della facciata, caso non frequente nella impostazione architettonica di una chiesa.
L'altare maggiore è pensato ovviamente sopraelevato rispetto all'aula, in area presbiteriale e disimpegna, tramite due corridoi avvolgenti l'abside, il percorso di accesso al retro.
E' da notare che nel disegno del Boccuzzi non appare ancora l'ambiente sacrestia che sarà poi ricavata successivamente sul suolo sovrapposto del vecchio giardino del castello.
L'impostazione architettonica della facciata è molto semplice, con una netta divisione in due ordini fortemente contrastanti nel rapporto tra i pieni ed i vuoti. Il timpano di coronamento centrale conclude il sobrio progetto con la previsione su! suo asse di un pubblico orologio che non sarà però mai realizzato.
LA COSTRUZIONE
La posa della prima pietra è del 1 aprile 1900, ma in realtà i lavori hanno inizio successivamente alla acquisizione dell'immobile (1.12.1900) attraverso vari e ingenti lavori di svuotamento e adattamento delle fabbriche originarie.
La costruzione, pluridecennale, avverrà in più fasi, a seconda delle disponibilità economiche, con impiego di materiali e maestranze locali. Una realizzazione diremmo ora "in economia", come si evince dalle numerose note di riepilogo delle diverse lavorazioni reperite nell'archivio parrocchiale e delle continue ininterrotte sottoscrizioni finalizzate volta per volta ad un nuovo pezzo di questa grande chiesa.
All'inizio della costruzione, un vero e proprio contratto fu di fatto sottoscritto tra il Vescovo Berardi e il maestro muratore Vincenzo Jurilli per la realizzazione del solo primo ordine della facciata, e questo è sintomatico delle modeste possibilità economiche per la realizzazione del progetto.
I materiali lapidei per la facciata, furono essenzialmente locali, usufruendo della maestria di capaci scalpellini per la lavorazione della pietra; il Boccuzzi non disdegnò, comunque, l'uso dei "nuovi" materiali (il tufo e i solai in putrelles) impiegati prevalentemente nella costruzione delle arcate laterali della Chiesa e nei solai intermedi dei vani addossati alla facciata.
Il giorno di apertura al pubblico, il 10 agosto 1902, il prospetto risultava ancora incompiuto, come anche il catino absidale e la relativa volta che furono realizzate solo tra il 1906 e il 1913 per opera del Vicario curato Raffaele Montaruli, mentre nel 1921 don Salvatore Ciliberti edificava a sue spese la sacrestia.
A questo periodo si fa risalire anche l'impianto di un piccolo campaniletto a vela, in pietra, destinato a reggere una campana proveniente dalla Chiesa del Carmino; in seguito, fu questo sostituito, da un secondo (ancora non definitivo) campanile a cuspide in calcestruzzo, a due ordini antecedente la fase di completamento della facciata.
Solo nel 1953, infatti, con il Vescovo Aurelio Marena, e sotto il parrocato di don Montaruli, si cominciò la costruzione del timpano superiore, e successivamente del terzo e definitivo campanile a tre ordini, anch'esso cuspidato su disegno dell'ing. Armando De Leo.
Il timpano, analogo nelle proporzioni al disegno del Boccuzzi, fu semplificato nella decorazione. Il disegno originario prevedeva anche un orologio nel fastigio centrale sormontante il timpano di coronamento del finestrone di secondo ordine.
Dell'intenzione di installarvi l'orologio, secondo l'idea del Boccuzzi, peraltro vi è traccia in alcune comunicazioni tra il Vescovo Berardi e il Sindaco De Venuto, risalenti al 1914. In queste si discuteva delle modalità di accesso alle coperture, al fine di consentire la regolazione quotidiana e la manutenzione del meccanismo, non essendo più consentito l'accesso al piano di copertura dai fabbricati confinanti; si pensò a tal fine anche di costruire una scala, delimitata da un muretto in mattoni, nell'interno del porticato della Chiesa, ma di quest'idea non si conosce nessun grafico che descrivesse il suo esatto posizionamento rispetto alle arcate del primo ordine che, probabilmente ne sarebbero state in parte tompagnate.
Diversi momenti, in questo secolo di storia della costruzione, vedono arricchimenti dell'apparato decorativo e di completamento dell'edificio religioso, quali la realizzazione degli organi, gli altari laterali e la risistemazione dell'altare maggiore con la circostante area presbiteriale e nuovi finestroni istoriati.
ANALISI DELL'EDIFICIO
L'esterno
E' noto che, in concomitanza all'avvento del Movimento Moderno, nella prima metà del secolo scorso, in fase di post neo classicismo, le caratteristiche dell'architettura stiano, nel panorama internazionale, completamente mutando. In ambito locale sono invece ancora prevalenti espressioni di un linguaggio architettonico legate a forme classicheggianti.
E da queste non si discosta il Boccuzzi:
Il ricorso agli stili è ampio, sia nel disegno che nelle proporzioni.
La ripartizione della facciata è su due ordini sovrapposti, con un semplice timpano conclusivo. Gli ordini presentano un diverso trattamento della sequenzialità delle aperture determinando un differente ordine di lettura: nell'ordine inferiore lo sguardo prosegue e si dilata nella direzione orizzontale mentre, nell'ordine superiore si contrae verso il centro. Completamente smaterializzato, l'ordine inferiore presenta tre arcate per il sagrato della chiesa; arcate che potrebbero essere ripetute all'infinito. Tanto più che i medaglioni scolpiti nei pennacchi, vengono bruscamente interrotti alle estremità dai cantonali bugnati, unici elementi che non rispondono a proporzioni classiche.
Risulta evidente la notevole mole dello pseudo capitello, "stirato" in altezza fino a raggiungere la fascia marcapiano, che sovrasta il fusto della parasta bugnata poggiante su una base di proporzioni più appropriate.
Le arcate invece, più elegantemente proporzionate e di evidente richiamo rinascimentale, sono a tutto sesto e sostenute da colonne binate di ordine fonico che immettono in un piccolo spazio porticato con funzione di filtro verso l'interno: questo piccolo portico è coperto da un solaio piano, privo di una qualunque valenza spaziale.
Maggiormente studiata risulta invece l'impaginazione dell'ordine superiore: le aperture a edicola si addensano verso il centro e sono proporzionate secondo lo schema degli archi di trionfo dove l'imposta dell'arcata centrale è tangente alla chiave delle nicchie laterali.
La schematizzazione della facciata secondo un preciso ordine geometrico è un ulteriore richiamo al gusto compositivo rinascimentale.
Il timpano di coronamento, realizzato solo dopo gli anni 50, ma secondo le linee del progetto originario, semplicemente completa la facciata con la statua del Redentore.
Il disegno complessivo è gradevole, anche se la facciata, risulta quasi schiacciata tra l'edilizia adiacente e la mole dell'incombente campanile. E' da dire che il Boccuzzi non aveva sicuramente previsto la costruzione di un campanile, meno che mai nelle forme e nella mole attuale. Il progetto dell'ing. Armando De Leo lo ideò spostato sul lato sinistro della facciata, nell'unica posizione possibile, in asse comunque alla visuale che della chiesa si ha dal frontistante Corso Carafa. Fu edificato dai maestri Antonio e Domenico Altamura (1955).
L'interno
La scelta planimetrica della chiesa, del tipo ad aula unica con cappelle laterali che ricorda le tipologie gesuitiche, è stata dettata dalla conformazione del lamione preesistente, fortemente sviluppato nella direzione longitudinale secondo un rapporto che supera di tre volte la larghezza della chiesa.
Ciò risulta molto più evidente nella lettura in pianta più che nella lettura spaziale, infatti la scansione interna delle paraste secondo una metrica del tipo a/b/a tende leggermente a ridimensionare questa forte sproporzione.
Le paraste inquadrano quattro cappelle laterali a tutto sesto (a), e quattro nicchie (b) su ciascun lato, delle quali la prima sul lato destro accoglie un'antica tela raffigurante San Nicola e nella quarta, sullo stesso lato, è inserito un piccolo pulpito scolpito, accessibile attraverso una scaletta retrostante.
Le paraste di ordine corinzio, poste su un alto basamento in conci di pietra, sono interrotte dalla trabeazione di imposta e corrono per tutta la superficie della volta come nervature piatte che definiscono bianche superfici.
L'attenzione dei fedeli viene così subito rivolta verso l'altare, inserito nel catino absidale riccamente decorato con recenti mosaici (1995-96) su tutte le superfici, in forte risalto cromatico rispetto alla navata. Infatti, l'apparato decorativo della chiesa, scarno sulle superfici murarie della navata, è affidato completamente agli altari e alle immagini sacre inserite nelle cappelle e nelle nicchie.
L'area absidale, sotto il lungo parroccato di Mons. Montaruli, ha subito una notevole variazione rispetto all'impostazione originaria voluta dal Boccuzzi; era previsto, infatti, un ordine principale inquadrato nell'ordine principale, circostante l'altare maggiore, delimitato da semplici parastine trabeate sorreggenti una piccola cornice. Nel 1992 fu risistemata l'area absidale per la sistemazione - secondo la liturgia rinnovata dal Concilio - del nuovo altare bronzeo dello scultore Vite Zaza. Pur alterando il rapporto chiaroscurale dell'impostazione originaria, che prevedeva l'illuminazione diretta dell'altare maggiore in forte contrasto col resto della navata, il parroco Montaruli pensò bene di fare aprire lungo la volta di essa, negli anni 40 due lucernari, mentre nell'87 fu aperto quello in corrispondenza dell'abside essendosi ridotta la luminosità a causa delle tre vetrate istoriate che ornano il catino absidale. Tali ristrutturazioni furono realizzate perché solo nel 1987 vennero alla luce dalla famiglia del Boccuzzi alcuni disegni del predetto e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione.
A distanza di cento anni dalla prima pietra può dirsi conclusa la costruzione del tempio, grazie al sacrificio dell'intera comunità e all'impegno e alla volontà dei parroci fortemente impegnati per il reperimento delle risorse.
Le aspettative ed obiettivi iniziali, si possono ritenere ormai raggiunti. Al Parroco attuale l'onere della conservazione materiale di questa chiesa e dell'arricchimento spirituale che ne deriva, per tutti.
..... "
“...Un vescovo lungimirante, riunisce al soldo della Sua fattività ed entusiasmo le non ingenti risorse di una città povera, ma in espansione che si deve aprire, verso il nuovo secolo, uscendo ormai decisamente dalle vecchia mura.
II vescovo Berardi, nei primi mesi dell'anno 1900, individuata nell'area corrispondente ad un vecchio e ormai in disuso lamione dell'antico castello, il sito della nuova chiesa, chiede all'ing. Egidio Boccuzzi "l'opera difficile della trasmutazione, e per la costruzione a nuovo di un maestoso prospetto a colonne".
Trasmutazione quindi, ristrutturazione diremmo oggi, con una precisa richiesta della committenza di un prospetto a colonne.
E allora immedesimiamoci con il progettista, pensiamo come può aver pensato l'ing. Boccuzzi, calandoci con lui nella problematica dei luoghi e degli spazi come allora gli appaiono.
Non facile deve essere stato, pensare e disegnare questa nuova chiesa: sono tanti i problemi di spazialità interna e di inserimento di una nuova facciata in un contesto urbanistico in fase di trasformazione.
Siamo in uno dei punti più carichi di storia della Città, in una nuova piazza completamente apertasi nelle sue visualità verso ponente, verso l'antica strada che porta al nord.
Con l'abbattimento delle mura avvenuto intorno alla seconda metà dell'800, il crollo della "Torre di Pilato" e lo spostamento della sede della municipalità nell’antico Palazzo Avitaja, è emersa chiaramente l'esigenza di riconfigurare spazialmente e ridefinire dal punto di vista architettonico quello slargo storico, adiacente la antica "Porta Castello".
Il "Largo Castello" si andava trasformando nella nuova "Piazza Regina Margherita", riprendendo pedissequamente la toponomastica riportata sulle prime planimetrie catastali di quegli anni. L'abbattimento delle mura e il tracciato dei nuovi Corsi perimetrali al nucleo antico configurano il luogo e gli affidano un ruolo di nuova centralità nei riguardi di una città in fase di forte espansione urbanistica.
Il confronto tra la prima planimetria catastale ed una immediatamente successiva alla costruzione della Chiesa, mostra chiaramente l'area di sedime dell'antico lamione, (ultima propaggine dell'antico castello), in perfetta posizione visuale sul fondale del nuovo corso Carafa; quanto di meglio per una nuova Chiesa!
Lo spazio, originariamente slargo, retrostante la principale porta della città, viene quindi ad assumere sempre più i connotati di una vera e propria piazza e non già il punto di smistamento di semplici tracciati viari. Le stesse cortine edilizie diventano quinte di delimitazione spaziale e punti di nuove convergenze visuali, abbisognevoli di quei caratteri architettonici conclusi, che uno spazio urbano di tale funzione determina.
Del resto il "nuovo" prospetto del palazzo della Principessa Melodia (voluto da questa intorno al 1850), in virtù di un radicale restauro delle dirute fabbriche del castello, altro non veniva a rappresentare, se non una nuova chiusura spaziale di significativa valenza architettonica fortemente rappresentativa della "proprietà".
La definizione volumetrica della piazza, in quegli anni è comunque ancora tutta da configurare. Dovremmo immaginare questa zona della città prima delle trasformazioni di fine secolo, molto più contenuto spazialmente, fagocitato dalla presenza dell'alta e massiccia torre, con il lato settentrionale chiuso dalla mole dell'antico castello, e i residuali spazi destinati essenzialmente alle sedi viarie in corrispondenza della "porta castello".
L'orografia del sito poneva anche non piccoli problemi, per il raccordo delle quote d'uso dei piani terra del castello (originariamente non accessibili dal lato della piazza) con la quota d'uso della sede viaria all'altezza della porta della città disposta a circa 3,50 metri inferiore alle quote di accesso sul fronte settentrionale.
II brusco dislivello sino ad allora esistente, venne addolcito creando un ampio slargo in falso piano che veniva ad attestarsi sul fronte settentrionale. Gli ambienti sotterranei del castello, sarebbero venuti ad emergere; la soluzione architettonica per risolvere il problema fu la realizzazione dell'ampio terrapieno terrazzato antistante il castello e tutto il fronte nord, con funzione di raccordo e pianerottolo per l'ascesa alle residenze disposte sul lato settentrionale della piazza.
Anche le vie perimetrali confluenti verso la nuova piazza furono risagomate con abbassamento delle sedi stradali verso il raccordo alle nuove quote.
In questa nuova spazialità urbana si inserisce ai primordi del nuovo secolo il progetto di edificazione della nuova Chiesa del Redentore.
La scarna documentazione fotografica di quegli anni ci mostra il lato settentrionale della piazza ripreso da tre differenti punti di vista: la notissima foto della torre di Pilato, quella del fotografo romano Romualdo Moscioni del novembre 1891 o ancora quella del settembre 1900(?), rappresentano di scorcio il sito dell'antico lamione ancora scollegato altimetricamente dal piano d'uso della piazza, ma unitario alla cortina d'ambito del castello.
Non pochi problemi per il nostro ing.Boccuzzi.
II vecchio lamione o stallone della Principessa Melodia, non si prestava certamente alle richiesto del vescovo. Un lungo, buio e triste lamione, probabilmente in cattivo stato di conservazione; uno spazio ad incastro in una cortina edilizia già in parte configurata, con allineamenti obbligati e sagome edilizie incombenti.
Ai nostri giorni sarebbe stato oggetto di un concorso di idee, argomento di pubblico dibattito, ma... altri tempi. E allora mettiamoci al lavoro.
L'area di sedime è impropria, consiste "nell'ampio fabbricato detto Lamione o stallone sito in abitato di Ruvo nonché il dietroposto contiguo tratto di giardino o suolo edificatorio per la larghezza dello stallone medesimo riesce al corso Jatta, e che confina nell'insieme da scirocco con in Piazza Regina Marglierita, da ponente con i nuovi fabbricati di Mauro Pansini, da nord col Corso Jatta e da levante col giardino e fabbricati della mandante principessa di Tricase;".
E' veramente un'area ad incastro; il rapporto di allungamento in pianta della erigenda chiesa è assurdo: circa 10 metri per 40. E poi è buio, da dove prendere luce?
E ancora, dove poggiare le nuove strutture? L'area di sedime non è delle migliori!
Più metri di materiali di riporto dividono il piano della nuova chiesa dalla roccia di base. E poi le murature longitudinali di confine sono in comune con le altre proprietà e non possono essere modificate.
E qui l'ing.Boccuzzi imposta il suo progetto. Navata unica e cappelle laterali discontinue, con funzione portante per la nuova volta di copertura. Accorciamento visivo e fisico dello sviluppo longitudinale dell'aula tramite la creazione di un vestibolo anteriore, in uno alla chiusura ottica dello spazio con un ampio abside molto ben illuminato che accentri su di se l'attenzione e lo sguardo ammirato del fedele del nuovo secolo. Queste credo siano state le linee guida del progetto.
Del progetto originario sono stati reperiti solo alcuni grafici che ci rappresentano la facciata e due disegni di dettaglio, in pianta e in alzato, del catino absidale.
La ricerca del progetto completo, sicuramente redatto dall'ing. Boccuzzi (e da rintracciare presumibilmente nel suo archivio personale), fornirebbe importanti elementi di conoscenza sul tema in questione, anche in relazione alle preesistenze presenti nel sito per le alte valenze storiche del luogo.
In primis il Boccuzzi azzerò il naturale dislivello esistente tra il vecchio lamione e
il piano della Piazza, rimovendo il tratto di terrapieno terrazzato antistante e abbassando quindi di circa due metri quell'originario piano d'uso.
E poi pensò all'impostazione planimetrica e all'alzato. Per quest'ultimo, stante il contesto, venivano a mancargli precisi riferimenti compositivi quali livelli di marcapiano o coronamenti su cui eventualmente poggiare il nuovo disegno di facciata.
E' da notare come il grafico della facciata del Beccuzzi manchi di qualunque riferimento al contesto circostante.
L'eccessivo rapporto di allungamento della sagoma dell'antico lamione, insieme all'impossibilità di intervenire sulle murature longitudinali di confine, indirizzò il Boccuzzi verso l'impostazione di una navata unica scandita longitudinalmente da quattro cappelle laterali di modesta profondità, alternate da piccole nicchie e paraste gemellate sulle quali concentrare gli scarichi della grande volta a botte di copertura.
In questa maniera il Boccuzzi concentrò anche i punti di scarico principali della costruzione in maniera da non incidere eccessivamente dal punto di vista statico sulle strutture fondali originarie dei vecchi muri d'ambito, incerte nella quota e nella portanza.
Sempre per accorciare funzionalmente e visivamente la nuova chiesa, oltre che per filtrare rispetto allo spazio esterno l'accesso dei fedeli, creò, subito dopo l'ingresso, uno spazio di disimpegno, di minore altezza, ove collocare la scala per la salita al piano di copertura e a mezza quota, quello che poi sarà il piano dell'organo della Chiesa.
Il tema non semplice della funzio-nalizzazione di questa nuova chiesa viene anche brillantemente risolto con la creazione di vani ad uso parrocchiale addossati al retro della facciata, caso non frequente nella impostazione architettonica di una chiesa.
L'altare maggiore è pensato ovviamente sopraelevato rispetto all'aula, in area presbiteriale e disimpegna, tramite due corridoi avvolgenti l'abside, il percorso di accesso al retro.
E' da notare che nel disegno del Boccuzzi non appare ancora l'ambiente sacrestia che sarà poi ricavata successivamente sul suolo sovrapposto del vecchio giardino del castello.
L'impostazione architettonica della facciata è molto semplice, con una netta divisione in due ordini fortemente contrastanti nel rapporto tra i pieni ed i vuoti. Il timpano di coronamento centrale conclude il sobrio progetto con la previsione su! suo asse di un pubblico orologio che non sarà però mai realizzato.
La posa della prima pietra è del 1 aprile 1900, ma in realtà i lavori hanno inizio successivamente alla acquisizione dell'immobile (1.12.1900) attraverso vari e ingenti lavori di svuotamento e adattamento delle fabbriche originarie.
La costruzione, pluridecennale, avverrà in più fasi, a seconda delle disponibilità economiche, con impiego di materiali e maestranze locali. Una realizzazione diremmo ora "in economia", come si evince dalle numerose note di riepilogo delle diverse lavorazioni reperite nell'archivio parrocchiale e delle continue ininterrotte sottoscrizioni finalizzate volta per volta ad un nuovo pezzo di questa grande chiesa.
All'inizio della costruzione, un vero e proprio contratto fu di fatto sottoscritto tra il Vescovo Berardi e il maestro muratore Vincenzo Jurilli per la realizzazione del solo primo ordine della facciata, e questo è sintomatico delle modeste possibilità economiche per la realizzazione del progetto.
I materiali lapidei per la facciata, furono essenzialmente locali, usufruendo della maestria di capaci scalpellini per la lavorazione della pietra; il Boccuzzi non disdegnò, comunque, l'uso dei "nuovi" materiali (il tufo e i solai in putrelles) impiegati prevalentemente nella costruzione delle arcate laterali della Chiesa e nei solai intermedi dei vani addossati alla facciata.
Il giorno di apertura al pubblico, il 10 agosto 1902, il prospetto risultava ancora incompiuto, come anche il catino absidale e la relativa volta che furono realizzate solo tra il 1906 e il 1913 per opera del Vicario curato Raffaele Montaruli, mentre nel 1921 don Salvatore Ciliberti edificava a sue spese la sacrestia.
A questo periodo si fa risalire anche l'impianto di un piccolo campaniletto a vela, in pietra, destinato a reggere una campana proveniente dalla Chiesa del Carmino; in seguito, fu questo sostituito, da un secondo (ancora non definitivo) campanile a cuspide in calcestruzzo, a due ordini antecedente la fase di completamento della facciata.
Solo nel 1953, infatti, con il Vescovo Aurelio Marena, e sotto il parrocato di don Montaruli, si cominciò la costruzione del timpano superiore, e successivamente del terzo e definitivo campanile a tre ordini, anch'esso cuspidato su disegno dell'ing. Armando De Leo.
Il timpano, analogo nelle proporzioni al disegno del Boccuzzi, fu semplificato nella decorazione. Il disegno originario prevedeva anche un orologio nel fastigio centrale sormontante il timpano di coronamento del finestrone di secondo ordine.
Dell'intenzione di installarvi l'orologio, secondo l'idea del Boccuzzi, peraltro vi è traccia in alcune comunicazioni tra il Vescovo Berardi e il Sindaco De Venuto, risalenti al 1914. In queste si discuteva delle modalità di accesso alle coperture, al fine di consentire la regolazione quotidiana e la manutenzione del meccanismo, non essendo più consentito l'accesso al piano di copertura dai fabbricati confinanti; si pensò a tal fine anche di costruire una scala, delimitata da un muretto in mattoni, nell'interno del porticato della Chiesa, ma di quest'idea non si conosce nessun grafico che descrivesse il suo esatto posizionamento rispetto alle arcate del primo ordine che, probabilmente ne sarebbero state in parte tompagnate.
Diversi momenti, in questo secolo di storia della costruzione, vedono arricchimenti dell'apparato decorativo e di completamento dell'edificio religioso, quali la realizzazione degli organi, gli altari laterali e la risistemazione dell'altare maggiore con la circostante area presbiteriale e nuovi finestroni istoriati.
L'esterno
E' noto che, in concomitanza all'avvento del Movimento Moderno, nella prima metà del secolo scorso, in fase di post neo classicismo, le caratteristiche dell'architettura stiano, nel panorama internazionale, completamente mutando. In ambito locale sono invece ancora prevalenti espressioni di un linguaggio architettonico legate a forme classicheggianti.
E da queste non si discosta il Boccuzzi:
Il ricorso agli stili è ampio, sia nel disegno che nelle proporzioni.
La ripartizione della facciata è su due ordini sovrapposti, con un semplice timpano conclusivo. Gli ordini presentano un diverso trattamento della sequenzialità delle aperture determinando un differente ordine di lettura: nell'ordine inferiore lo sguardo prosegue e si dilata nella direzione orizzontale mentre, nell'ordine superiore si contrae verso il centro. Completamente smaterializzato, l'ordine inferiore presenta tre arcate per il sagrato della chiesa; arcate che potrebbero essere ripetute all'infinito. Tanto più che i medaglioni scolpiti nei pennacchi, vengono bruscamente interrotti alle estremità dai cantonali bugnati, unici elementi che non rispondono a proporzioni classiche.
Risulta evidente la notevole mole dello pseudo capitello, "stirato" in altezza fino a raggiungere la fascia marcapiano, che sovrasta il fusto della parasta bugnata poggiante su una base di proporzioni più appropriate.
Le arcate invece, più elegantemente proporzionate e di evidente richiamo rinascimentale, sono a tutto sesto e sostenute da colonne binate di ordine fonico che immettono in un piccolo spazio porticato con funzione di filtro verso l'interno: questo piccolo portico è coperto da un solaio piano, privo di una qualunque valenza spaziale.
Maggiormente studiata risulta invece l'impaginazione dell'ordine superiore: le aperture a edicola si addensano verso il centro e sono proporzionate secondo lo schema degli archi di trionfo dove l'imposta dell'arcata centrale è tangente alla chiave delle nicchie laterali.
La schematizzazione della facciata secondo un preciso ordine geometrico è un ulteriore richiamo al gusto compositivo rinascimentale.
Il timpano di coronamento, realizzato solo dopo gli anni 50, ma secondo le linee del progetto originario, semplicemente completa la facciata con la statua del Redentore.
Il disegno complessivo è gradevole, anche se la facciata, risulta quasi schiacciata tra l'edilizia adiacente e la mole dell'incombente campanile. E' da dire che il Boccuzzi non aveva sicuramente previsto la costruzione di un campanile, meno che mai nelle forme e nella mole attuale. Il progetto dell'ing. Armando De Leo lo ideò spostato sul lato sinistro della facciata, nell'unica posizione possibile, in asse comunque alla visuale che della chiesa si ha dal frontistante Corso Carafa. Fu edificato dai maestri Antonio e Domenico Altamura (1955).
La scelta planimetrica della chiesa, del tipo ad aula unica con cappelle laterali che ricorda le tipologie gesuitiche, è stata dettata dalla conformazione del lamione preesistente, fortemente sviluppato nella direzione longitudinale secondo un rapporto che supera di tre volte la larghezza della chiesa.
Ciò risulta molto più evidente nella lettura in pianta più che nella lettura spaziale, infatti la scansione interna delle paraste secondo una metrica del tipo a/b/a tende leggermente a ridimensionare questa forte sproporzione.
Le paraste inquadrano quattro cappelle laterali a tutto sesto (a), e quattro nicchie (b) su ciascun lato, delle quali la prima sul lato destro accoglie un'antica tela raffigurante San Nicola e nella quarta, sullo stesso lato, è inserito un piccolo pulpito scolpito, accessibile attraverso una scaletta retrostante.
Le paraste di ordine corinzio, poste su un alto basamento in conci di pietra, sono interrotte dalla trabeazione di imposta e corrono per tutta la superficie della volta come nervature piatte che definiscono bianche superfici.
L'attenzione dei fedeli viene così subito rivolta verso l'altare, inserito nel catino absidale riccamente decorato con recenti mosaici (1995-96) su tutte le superfici, in forte risalto cromatico rispetto alla navata. Infatti, l'apparato decorativo della chiesa, scarno sulle superfici murarie della navata, è affidato completamente agli altari e alle immagini sacre inserite nelle cappelle e nelle nicchie.
L'area absidale, sotto il lungo parroccato di Mons. Montaruli, ha subito una notevole variazione rispetto all'impostazione originaria voluta dal Boccuzzi; era previsto, infatti, un ordine principale inquadrato nell'ordine principale, circostante l'altare maggiore, delimitato da semplici parastine trabeate sorreggenti una piccola cornice. Nel 1992 fu risistemata l'area absidale per la sistemazione - secondo la liturgia rinnovata dal Concilio - del nuovo altare bronzeo dello scultore Vite Zaza. Pur alterando il rapporto chiaroscurale dell'impostazione originaria, che prevedeva l'illuminazione diretta dell'altare maggiore in forte contrasto col resto della navata, il parroco Montaruli pensò bene di fare aprire lungo la volta di essa, negli anni 40 due lucernari, mentre nell'87 fu aperto quello in corrispondenza dell'abside essendosi ridotta la luminosità a causa delle tre vetrate istoriate che ornano il catino absidale. Tali ristrutturazioni furono realizzate perché solo nel 1987 vennero alla luce dalla famiglia del Boccuzzi alcuni disegni del predetto e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione.
A distanza di cento anni dalla prima pietra può dirsi conclusa la costruzione del tempio, grazie al sacrificio dell'intera comunità e all'impegno e alla volontà dei parroci fortemente impegnati per il reperimento delle risorse.
Le aspettative ed obiettivi iniziali, si possono ritenere ormai raggiunti. Al Parroco attuale l'onere della conservazione materiale di questa chiesa e dell'arricchimento spirituale che ne deriva, per tutti.
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La Nostra Chiesa Oggi |
Il Parroco
Nato nel 1944 a Ruvo di Puglia, Monsignor Vincenzo Pellegrini, Presbitero-Parroco del SS. Redentore nella sua città, ha conseguito il Dottorato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense.
Ha ricoperto gli uffici di Assistente Ecclesiastico Regionale dell’Azione Cattolica dei Ragazzi e di Segretario della Commissione Presbiterale Pugliese; è stato inoltre Membro della Commissione Presbiteriale Italiana e dell’Istituto Pastorale Pugliese.
Nominato Cappellano di Sua Santità e Cappellano Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta, da oltre un trentennio ha pubblicato vari saggi sull’antichissima Diocesi di Ruvo, delineandone l’aspetto storico-artistico-religioso della Sede Episcopale e le vestigia della sua antica storia il cui emblema si ravvisa nella famosa cattedrale romantica.
Curriculum Vitae
- Nato a Ruvo di Puglia (BA) il 01/01/1944
- Ordinato Sacerdote il 07/12/1969
- Dottore in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense il 27/10/1987
- Assistente Diocesano dell'Azione Cattolica Ragazzi (1971-1982)
- Rettore del Santuario Diocesano della Madonna delle Grazie in Ruvo di Puglia (1971-1983)
- Assistente Ecclesiastico Regionale dell'Azione Cattolica Ragazzi (1971-1976)
- Segretario della Consulta regionale dell'Apostolato dei Laici (1973-1980)
- Segretario della Commissione Presbiterale Regionale Pugliese dalla sua costituzione 1973 al 1999
- Dal 1980 membro dell'Istituto Pastorale Pugliese
- Dal 1983 Parroco del SS. Redentore in Ruvo di Puglia
- Dal 1988 membro della Commissione Presbiterale Italiana fino al 2003
- Dal 21/05/1999 Cappellano di Sua Santità
- Dal 02/03/2005 Cappellano Magistrale del Sovrano Ordine Militare di Malta
- Assistente Spirituale del Volontariato Vincenziano cittadino
- Autore di numerose pubblicazioni sugli aspetti storico-artistico-religiosi dell'antica Diocesi di Ruvo di Puglia
Ricordiamo:
Ha ricoperto gli uffici di Assistente Ecclesiastico Regionale dell’Azione Cattolica dei Ragazzi e di Segretario della Commissione Presbiterale Pugliese; è stato inoltre Membro della Commissione Presbiteriale Italiana e dell’Istituto Pastorale Pugliese.
Nominato Cappellano di Sua Santità e Cappellano Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta, da oltre un trentennio ha pubblicato vari saggi sull’antichissima Diocesi di Ruvo, delineandone l’aspetto storico-artistico-religioso della Sede Episcopale e le vestigia della sua antica storia il cui emblema si ravvisa nella famosa cattedrale romantica.
Curriculum Vitae
- Nato a Ruvo di Puglia (BA) il 01/01/1944
- Ordinato Sacerdote il 07/12/1969
- Dottore in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense il 27/10/1987
- Assistente Diocesano dell'Azione Cattolica Ragazzi (1971-1982)
- Rettore del Santuario Diocesano della Madonna delle Grazie in Ruvo di Puglia (1971-1983)
- Assistente Ecclesiastico Regionale dell'Azione Cattolica Ragazzi (1971-1976)
- Segretario della Consulta regionale dell'Apostolato dei Laici (1973-1980)
- Segretario della Commissione Presbiterale Regionale Pugliese dalla sua costituzione 1973 al 1999
- Dal 1980 membro dell'Istituto Pastorale Pugliese
- Dal 1983 Parroco del SS. Redentore in Ruvo di Puglia
- Dal 1988 membro della Commissione Presbiterale Italiana fino al 2003
- Dal 21/05/1999 Cappellano di Sua Santità
- Dal 02/03/2005 Cappellano Magistrale del Sovrano Ordine Militare di Malta
- Assistente Spirituale del Volontariato Vincenziano cittadino
- Autore di numerose pubblicazioni sugli aspetti storico-artistico-religiosi dell'antica Diocesi di Ruvo di Puglia
Ricordiamo:
Contatti
La Storia
Tratto da "La Chiesa del SS.Redentore in Ruvo" - "Cento anni di vita pastorale" di Salvatore Bernocco.
Flashback: gli anni dal 1902 al 1935
Il 10 agosto del 1902 la chiesa del SS. Redentore fu aperta al culto da mons. Pasquale Berardi.
Il 20 maggio di quello stesso anno, don Giuseppe Pellegrini venne immesso nel reale possesso di vicario curato della nuova parrocchia, e il 7 giugno il vescovo Berardi consacrò tre altari nelle cappelle laterali, dedicati a S. Anna, S. Antonio e S. Nicola, dono della signora Teresina Spada, Il 1° luglio del 1904 don G. Pellegrini dotò la parrocchia di un artistico fonte battesimale in pietra locale. Il 16 novembre P. Pio da Novoli, Superiore dei P. Passionisti, compì la S. Visita in qualità di Visitatore Apostolico straordinario.
Il 18 febbraio del 1906, dopo le dimissioni rassegnate da Pellegrini, fu nominato vicario curato Raffaele Montaruli, Vice curato, Rocco Spadone.
Nel 1911, l'11 febbraio, mons. Berardi nominò vìcario curato Salvatore Ciliberti.
Il 6 maggio del 1923 ci fu un sorteggio di maritaggio concesso da mons. Placido Ferniani, vescovo di Ruvo, a beneficio delle orfane della parrocchia. L'11 ottobre la chiesa venne dotata di un artistico altare maggiore in marmo, offerto dalle signorine Antonietta e Angelina Di Virgilio, consacrato dal vescovo Ferniani.
Il 26 aprile del 1925 fu nominato vicario curato Rocco Spadone, che restò in carica fino al giugno del 1932. Divenne poi Penitenziere del Capitolo Cattedrale. L'8 dicembre del 1925, su una libera versione dell'inno liturgico "Creator Alme Siderum" del curato Spadone, il m° Antonio Amenduni terminava di comporre un "Inno a Gesù Redentore", eseguito nel Natale di quello stesso anno. Il 31 luglio del 1926 si redisse un Regolamento di Convivenza fra la parrocchia e la Confraternita di S. Rocco, ospitata nel SS. Redentore.
Il 13 luglio del 1932 mons. Andrea Taccone nominò vicario curato Salvatore Ruta, dottore in S. Teologia e autore di numerose pubblicazioni sacre e di pedagogia. Il 26 luglio del 1933, su sua iniziativa, una schiera di giovani neo-comunicati portò in processione la statua di S. Anna per le vie della città.
Dal 6 febbraio del 1935 si alternarono alla guida della parrocchia diversi sacerdoti. Tra questi don Francesco Caldarola, don Ermete Terzulli, don Michele Montaruli, il quale fu immesso poi nel reale possesso il 13 luglio del 1936(5). Ricoprì in diocesi per molti anni gli incarichi di Assistente della G.F. di A.C.I. e Direttore dell'Ufficio Missionario Diocesano.
Il 1° Congresso Eucaristico Parrocchiale e la statua della Madonna del Rosario
II 1° Congresso Eucaristico Parrocchiale fu celebrato dal 25 al 27 ottobre del 1935, a cura di don Caldarola e don Montaruli.
Dal manifesto col programma del Congresso apprendiamo che il giorno d'apertura, alle ore 7, la messa fu celebrata da don Pasquale De Biase, "con fervorino e Comunione generale delle sezioni di G.F. e delle Figlie di Maria". Alle 16,30 adunanza generale dell'A.C., con "parole d'apertura" del vescovo mons. Taccone, a cui fecero seguito tre relazioni tenute dall'Aspirante Maria Lovino ("La bontà che scaturisce dall'Eucaristia"), dall'avv. dott. D. Michele de Capua ("L'Eucaristia fonte di bene individuale e sociale"), e da Anna de Renzio, presidente diocesano delle DD. CC. di Bitonto e propagandista regionale ("L'Eucaristia e l'educazione"). Quindi, dopo l'esposizione del SS. Sacramento, l'ora di adorazione predicata da don Giuseppe Pellegrini e la benedizione impartita da don Michele Angarano.
Il 26 ottobre, stessa scansione del giorno precedente. La messa mattutina fu celebrata da don Girolamo Stragapede "con fervorino e Comunione generale delle sezioni delle alunne dell'Oratorio di Don Bosco e delle DD. CC. e dei fanciulli Cattolici". Alle 16,30 adunanza generale di Azione Cattolica, con tre relazioni svolte dal fanciullo cattolico Pellegrini, dalla signorina Melania D'Elia e da don Raffaele Montaruli. Più tardi, l'esposizione del SS. Sacramento e l'ora di adorazione animata da don Salvatore Ruta. La benedizione fu impartita dal parroco D. Giuseppe Iurilli.
La giornata conclusiva ebbe inizio con la messa prelatizia celebrata da mons. D. Rocco Gramegna, "con Comunione generale del gruppo degli Uomini Cattolici e della Parrocchia". Alle 10 solenne pontificale di mons. Taccone, con l'assistenza del Capitolo, esposizione del Venerabile e adorazione continua. Alle 17, la solenne processione eucaristica guidata dal vescovo e la benedizione finale.
Alla mezzanotte del sabato e della domenica si tenne l'adorazione notturna "con Messa e Comunione generale per g!i uomini".
"Ottimi i risultati spirituali ottenuti", si legge nelle memorie raccolte dal parroco don Pellegrini dalla vìva voce del suo predecessore alla guida del SS. Redentore, e riportate, con estrema sinteticità, in un quaderno di quell'epoca custodito nell'Archivio parrocchiale.
La splendida immagine della Madonna di Pompei, opera dello scultore leccese Carmelo Bruno a devozione della famiglia Rutigliani, fu benedetta da mons. Andrea Taccone e rimpiazzò quella della Deposizione o Otto Santi attualmente allocata in S. Rocco, per dodici anni venerata nel SS. Redentore.
La benedizione delle campane del 1940
La parrocchia del SS. Redentore nacque priva di campane "che potessero squillare nella nostra Ruvo". Tale lacuna fu colmata dal parroco don Montaruli e dal can. D. Josca, ai quali si affiancarono molti "benefattori insigni".
Della consacrazione delle tre campane si occupò anche la stampa dell'epoca. In una corrispondenza da Ruvo di Puglia, il giornalista evidenzia che "i parroci che, a mano a mano, si succedettero, provvidero a tanti bisogni della nuova Parrocchia; mancava un ultima sforzo, quello cioè di dare alla Chiesa, che è situata nel punto più centrale di Ruvo, un bel campanile e delle armoniose campane".
Così, il 6 aprile del 1940 (la corrispondenza da Ruvo è datata 16), mons. Andrea Taccone le consacrò.
"La prima campana grande", con le effigi del SS. Redentore, di S. Michele e di S. Andrea, ebbe per padrino Michele Ficco e per madrina la signora Anna Lamonarca. La seconda campana, con incise le effigi della Vergine del Rosario e di S. Antonio, ebbe per padrino Giuseppe Testini e per madrina Antonietta Cotugno. Padrino e madrina della terza campana, infine, con le effigi dei Santi Pietro e Paolo, furono il signor Lorenzo Ventura e la signora Porzia Ficco.
Ma proseguiamo il racconto di quel giorno così particolare per la comunità parrocchiale e per quella ruvese attingendo integralmente dal resoconto giornalistico:
"Terminata la suggestiva cerimonia, S.E. impartì la Benedizione Eucaristica e dopo rivolse al popolo belle parole con l'augurio più sincero che cioè le nuove campane possano, fra non molto, squillare, annunziando ai quattro venti quella tanto sospirata pace che è nel desiderio dei Regnanti e dei popoli di tutto il mondo. Dopo la cerimonia nella sala della Azione Cattolica fu servito un rinfresco. Fra gli intervenuti, oltre S.E. mons. vescovo, notammo il Podestà dott. Barile, il segretario politico Dottor Boccuzzi, i monsignori arcidiacono Montaruli, Penitenziere Gramegna, Teologo Mozzone, i canonici Testini, De Palo, Ciliberti nonchè altri sacerdoti e i padrini e le madrine delle campane.
Il Congresso Mariano del 1947
Nei giorni 29, 30, 31 ottobre e 1° novembre del 1947, a chiusura del mese in onore della SS.ma Vergine del Rosario, si tenne il 1° Congresso Mariano.
Le relazioni furono svolte, si legge nella succitata fonte, dal P. Enrico Soliani O.P. e dal prof. Franco Catalano. Grande fu la partecipazione ai due incontri nonché la veglia notturna, svoltasi presumibilmente la notte del 31 ottobre, incentrata sull'Ora Santa e la comunione generale.
Il 1° novembre il vescovo Andrea Taccone celebrò la Messa Pontificale, mentre nel pomeriggio l'arcidiacono mons. Rocco Gramegna portò processionalmente per le vie della parrocchia il SS. Sacramento.
L'accompagnamento corale e musicale fu assicurato dalla Schola Cantorum del m° Michele Cantatore, nominato organista della parrocchia da don Montaruli nel gennaio del 1946.
Fu proprio il m° Cantatore ad adoperarsi alacremente per la formazione di un gruppo corale parrocchiale "che per molti anni contribuì efficacemente ad elevare lo spirito nella celebrazione dei sacri riti" (per la cronaca, l'11 febbraio del 1976, in un trafiletto apparso in occasione della festa in onore di don Bosco, la Gazzetta del Mezzogiorno parla di Schola Cantorum, ma "dell'Azione Cattolica", diretta dal vice parroco don Pellegrini).
Per la circostanza del Congresso Mariano, il m° Cantatore compose anche un inno "musicato con tutte le esigenze artistiche".
Gli Esercizi spirituali del 1949 e la Peregrinatio Mariae del 1950
Le memorie raccolte da don Pellegrini narrano che "nell'ottobre del 1949 fu predicato dal Rev.mo P. Piacente dei Salesiani un corso di esercizi spirituali per il popolo". Evidentemente a don Montaruli, che ne riferisce a don Pellegrini, l'avvenimento parve di particolare significato per la numerosissima partecipazione popolare.
Ma si fa memoria anche dell'arrivo presso la chiesa del SS. Redentore della riproduzione fedele dell'immagine della Madonna delle Grazie, custodita nell'omonimo santuario ruvese, nell'ambito di una peregrinatio.
Il 26 marzo del 1950 - anno giubilare, ed è agevole intuire che la peregrinatio si inserì nel clima e nel contesto delle celebrazioni e degli eventi giubilari - una copia dell'affresco medioevale tanto caro ai ruvesi giunse nella nostra cittadina (il santuario sorge ad un chilometro circa dal centro del paese) per sostare in ogni parrocchia per tre giorni.
Nel SS. Redentore vi giunse dopo aver sostato nella chiesa di San Giacomo, ad essa contermine. La sera dell'ingresso dell'icona nel SS. Redentore "parlò in Piazza Castello S.E. Rev.ma mons. Marcello Mimmi, Arcivescovo di Bari(7). Ogni sera la Madonna fu portata in processione nelle vie della parrocchia, e tanto bene fecero le relazioni e la calda parola del rev.mo P. Vincenzo M. Caprio, barnabita, e deìl'avv. Guido Maffucini da Trani".
La consacrazione della chiesa
Se il tempio fu eretto nel 1902 e aperto al culto, fu consacrato solo nel 1950.
Difatti il 6 dicembre di quell'anno mons. Aurelio Marena procedeva alla sua consacrazione, dedicandolo al SS. Redentore.
Una lapide, posta a destra dell'ingresso, ricorda il fausto avvenimento.
I grandiosi presepi degli anni '50
Il presepio rappresenta una delle maggiori attrattive natalizie. Il 'culto' del presepe contagiò anche la comunità del SS. Redentore, dove negli anni 1952, 1953, 1955, 1956 e 1957 Silvestre Catalano realizzò ed allestì un grandioso ed artistico presepe.
Il presepe, che occupava una superficie di circa 150 metri quadrati, fu allestito in venti giorni ed ornato da statuette in creta, opera dell'artigiano Salvatore Bruno e dell'altezza di un metro.
"L'opera costituì l'attrattiva, non solo di tutta la nostra città, ma anche delle città viciniori, dalle quali vennero molti ammiratori", apprendiamo dagli appunti custoditi nell'Archivio parrocchiale. Del presepe del 1955 diede notizia il Giornale d'Italia del 30 dicembre di quello stesso anno, con corrispondenza da Ruvo di Tommaso Tambone.
La vicenda della statua del Redentore sulla facciata della chiesa
Commissionata dal parroco con lettera del 17 ottobre del 1952 alla casa veneta "Plinio Frigo" di Vicenza, la statua del Redentore giunse a Ruvo presumibilmente a fine luglio, primi d'agosto del 1953.
Ma ripercorriamone ordinatamente la vicenda, rifacendoci alla corrispondenza intercorsa fra don Montaruli e la casa d'arte sacra vicentina, che copre un arco temporale che va dall'ottobre del 1952 all'agosto del 1953.
In riscontro alla nota del 17 ottobre del 1952, la predetta ditta risponde a don Montaruli con nota del 23 ottobre dello stesso anno, chiedendo chiarimenti in ordine all'altezza della statua del Redentore (220 o 250 centimetri?). Vi compiega una fotografia di "un bel modello artistico ed espressivo che crediamo sarà di Suo gradimento. La statua sarà eseguita molto bene e finita levigata con tempo di non meno di due mesi per la consegna dalla conferma". Segue l'indicazione del prezzo, che varia a seconda dell'altezza della statua. Si va da Lire 65.000 per una statua dell'altezza di cm. 200, a Lire 100.500 per una di cm. 250, "più l'imballaggio in ragione del 15% sul prezzo della statua".
Il 5 febbraio del 1953 la ditta vicentina riscontra una nota del parroco del 28 gennaio. Vi si legge che "alla Sua lettera del 9 Gennaio non abbiamo dato risposta perché, avendoci detto che per ragioni finanziarie i lavori erano sospesi, aspettavamo una Sua nuova richiesta". La ripresa dei contatti testimonia che gli ostacoli, eminentemente di ordine finanziario, che si frapponevano alla realizzazione del progetto erano stati intanto superati, almeno in parte o comunque in misura tale da destare minori preoccupazioni, tant'è che la ditta Frigo ribadisce che la statua del Redentore, del peso intorno ai 18/20 quintali, alta m. 2,50, e scolpita in pietra di Vicenza, costerà Lire 110.500, più imballaggio pari a L. 11.000, per un totale di Lire 121.500. In ogni caso, lo scrivente chiede il pagamento anticipato di almeno la metà dell'importo, mentre la parte restante dovrà essere versata al ricevimento della statua. "Consegna in circa 60/80 giorni di tempo dalla conferma".
La lettera della casa vicentina del 20 marzo del 1953 ha ancora carattere interlocutorio. Dal tenore della medesima si intuisce che don Montaruli, con cartolina postale del 17 marzo, aveva pregato la ditta di praticargli una riduzione del prezzo, reputato eccessivo o comunque non sostenibile dalla parrocchia. La ditta vicentina gli risponde che, dopo aver consultato i suoi artisti, calcolato il lavoro, le giornate lavorative, ecc., è giunta alla conclusione di ridurre il prezzo "a nettissime Lire 115.000 imballaggio compreso, porto ferroviario a Suo carico. Questa è !a nostra ultima decisione per accontentarLa e per avere anche la ordinazione delle altre due statue". La 'palla' ritorna quindi nel campo di don Montaruli, che aveva allettato la ditta con la promessa di commissionarle altri due lavori. Tuttavia, la ditta Frigo insiste nel rammentargli che è necessario anticipare almeno la metà del prezzo convenuto, "perché noi glii artisti dobbiamo pagarli per contanti", e ne sollecita la risposta "per poter fare la consegna o meglio la spedizione a fine Maggio p.v. ".
Vicenza, 22 maggio del 1953, La ditta di Vicenza scrive a don Montaruli che per una statua di metri 2 il prezzo è di Lire 75.000, imballaggio Lire 7.500. Il prezzo è irriducibile, è l'ultimissimo prezzo, ed attende conferma. È quindi una lettera ancora interlocutoria, che la dice lunga sulle condizioni finanziarie in cui versa la chiesa del SS. Redentore, rimarcate dal contenuto della successiva missiva del 29 maggio del 1953.
Difatti il 29 maggio la ditta Frigo dà riscontro del ricevimento di un acconto di Lire 40.000, ma non corrispondente alle condizioni stabilite, "perché essendo l'importo convenuto di Lire 115.000, l'acconta doveva essere di almeno Lire 60.000 circa!". La casa vicentina chiede, oltre all'inoltro immediato della parte d'acconto non versata, quindi di Lire 20.000, che le si fornisca precise indicazioni sui tempi e modi del pagamento del saldo, non potendo accettare dilazioni molto lunghe. Perciò, probabilmente per precauzione, conclude che il lavoro "non possiamo subito iniziarlo essendo impegnati con altri precedenti ordini, ma lo faremo quanto prima".
A don Montaruli evidentemente non riescono graditi sia la richiesta che i toni usati dalla casa veneta. Tanto si desume dalla lettera di riscontro della citata ditta del 5 giugno del 1953 che, nel ringraziare il parroco per l'invio della quota d'acconto mancante, sottolinea di aver rintracciato in quanto scrittole dal sacerdote il 2 giugno motivi di risentimento, "ma a torto, perché le condizioni di vendita sono chiare e studiate in modo da favorire la clientela, ma anche tenendo conto delle nostre esigenze commerciali che non sono poche!". Assicura in conclusione che "ora inizieremo il lavoro e lo faremo in modo lo possa avere per l'epoca desiderata e di Sua soddisfazione ".
Il 6 luglio del 1953 la casa veneta comunica, con toni più distesi e concilianti, segno che finalmente i contrasti sono stati definitivamente appianati, che "la statua del Redentore trovasi a buon punto di lavorazione e contiamo di spedirla entro la seconda metà de! corrente mese. Calcoli che sarà spedita verso il 20 corrente e la potrà ricevere entro i! mese oppure ai primi del prossimo". Seguono alcune misure della statua: lato davanti cm. 80 di larghezza; lato di fianco cm. 75 di larghezza.
Il 20 luglio del 1953 la casa Frigo spedisce la statua del Redentore: "La statua dei peso di quintali 13,80, imballata in solida gabbia di legno, è stata da noi collocata sul carro ferroviario, per cui confidiamo che arriverà in perfetto ordine alla stazione di Moffetta. Da qui dovrà provvedere Lei, con personale esperto e pratico, allo scarico e all'inoltro con proprio mezzo a Ruvo di Puglia. Alla base della statua e stata fatta l'iscrizione desiderata, ma non abbiamo potuto praticare il foro sulla testa per l'aureola, essendo la Sua cartolina giunta soltanto oggi, quando la statua si trovava già imballata e pronta per la spedizione". La nota di spedizione indica il saldo da versare, pari a Lire 55.000.
L'impegno fu totalmente onorato, tant’è che il 29 agosto del 1953 la ditta Frigo accusa ricevuta del saldo e auspica ulteriori relazioni (il riferimento esplicito è alla "lavorazione delle altre due statue che ci dovrà ordinar”).
Ma di questa ordinazione non v'è traccia. E le due nicchie della facciata sono tuttora vuote.
La Peregrinatio Mariae del 1954, Anno Mariano
"Nel centenario della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione (1854-1954), una statuetta della Madonna di Lourdes girò per varie famiglie della parrocchia. La peregrinatio iniziò il 27 maggio, festa dell'Ascensione, e si concluse 1'8 dicembre, festa dell'Immacolata".
Il passaggio, che avveniva processionalmentc, da una famiglia ospitante all'altra cadeva il giovedì e la domenica.
La famiglia Carlucci, abitante in Via Gravinelle, fu la prima famiglia ad ospitare la statua della Madonna. L'ultima, invece, fu la famiglia Mongelli, residente in Corso Giovanni Jatta.
La benedizione delle nuove campane, del campanile e dell'Oratorio Don Bosco
Il 5 dicembre del 1955, la chiesa del SS. Redentore è dotata di un nuovo complesso di campane, realizzate dalla ditta Giustozzi d i Trani.
Anche di questo avvenimento esiste una cronaca giornalistica apparsa il successivo 12 dicembre. In essa si fa riferimento tanto alle "tre grosse campane di bronzo" quanto alla solenne consacrazione del nuovo campanile neo-romanico ed all'inaugurazione dell'Oratorio Don Bosco.
Vescovo consacratore è Mons. Aurelio Marena.
La prima campana, del peso di 9 quintali, è dedicata al Redentore con la seguente epigrafe in latino: “Sanctissimi Cordis Jesu - Audite gentes me sonantem vocem - Ad vitam vos revocat vita"(8). Sulla campana si notano, oltre all'effige del Cristo, quelle di S. Biagio e di S. Anna, nonché lo stemma del vescovo Marena. Padrino è il Comm. Pietro Curione, Commissario Prefettizio al Comune, e madrina Olga Testini.
La seconda campana, di 7 quintali, è dedicata alla Vergine del Rosario con la seguente epigrafe: "Deipara Virgine propitia, fugentur tenebrae - Salus illucescat"(9). Padrino della seconda campana e il comm. R. Marchio, direttore della Banca di Andria, e madrina la signora Vincenza Gattulli. Sulla campana sono incise anche le effigi di S. Vincenzo Ferreri e di S. Francesca Romana.
Infine la terza campana, del peso di 3 quintali, è dedicata a S. Giuseppe. L'epigrafe è la seguente: " Sancto Joseph auspice - Dum ad opus curvantur corpora - Sursum ferantur mentes"(10). Vi è di certo anche l'effige di S. Antonio. Padrino è l'avv. Vitantonio Di Cagno, vicepresidente della Cassa del Mezzogiorno, e madrina la signora Matilde Ippedico.
"Successivamente -si legge nell'articolo- il Vescovo, seguito dai suoi assistenti, si è portato in fondo alla chiesa per la consacrazione del campanile. Il taglio del rituale nastro è stato effettuato dal Comm. Vincenzo La Gioia, presidente della Camera dì Commercio di Bari, e sul limitare dell'ingresso, S.E. il Vescovo ha ripetuto la cerimonia della consacrazione dell'alto campanile che dalla chiesa si eleva per trentacinque metri e dalla strada per circa altrettanti metri".
La folla si porta poi su Corso Jatta per la consacrazione dell'Oratorio don Bosco, annesso alla parrocchia, e successivamente ampliato da don Pellegrini con la sala dedicata a don Tonino Bello ed un altro spazioso locale adibito a biblioteca, entrambi adiacenti alla chiesa.
Dall'articolista, che aveva interpellato don Montaruli, apprendiamo inoltre che il costo delle opere realizzate ammontò ad oltre nove milioni di quel tempo.
Interessante la descrizione della consacrazione delle tre campane fatta dall'anonimo corrispondente, le quali sono sospese ad appositi sostegni in attesa di essere collocate sul campanile, opera dell'ingegnere ruvese Armando De Leo: "Dopo la recita dei Salmi, la benedizione dell'acaua lustrale, il lavaggio delle campane, poi asciugate dal Ministro di Dio, il Vescovo ha proceduto all'ap-posi-zione deìl'olio sacro e del crisma sotto forma di sette croci all'esterno (in corrispondenza dei sette Sacramenti) e di quattro internamente (in corrispondenza dei quattro punti cardinali)".
Il dono di Pio XII
Siamo nell'anno 1957. Il televisore è ancora appannaggio di pochi, è un bene di lusso. Le famiglie si portano presso qualche bar o qualche famiglia benestante per assistere alle poche trasmissioni serali in bianco e nero.
Mons. Aurelio Marena ottiene da Papa Pio XII il dono di un televisore per gli uomini di Azione Cattolica del SS. Redentore. Invero costoro si sarebbero accontentati di un più modesto apparecchio radiofonico, ma il Papa volle fare di più.
Del dono particolare, sicuramente molto gradito, dà notizia il quotidiano Tempi Nostri il 22 settembre del 1957, secondo cui "la sera de! 15 settembre S.E. Monsignor Vescovo dopo aver benedetto il Televisore nella Sede dell'Unione Uomini, ha dato lettura del telegramma del Santo Padre. Il comm. ing. Michele Iatta ha tagliato il rituale nastro dai colori pontifici nel quale era avvolto il Televisore".
L'organo
Corre l'anno I960: don Montaruli si adopera per dotare la parrocchia di un nuovo organo con oltre 1100 canne, progettato dal m° Michele Cantatore e costruito dalla ditta Strozzi di Ferrara, la cui totale ristrutturazione è stata da poco ultimata.
Su Il Quotidiano del 6 novembre, il giornalista Tommaso Tambone scrive che l'organo, inaugurato il 31 ottobre in vista della fausta ricorrenza e benedetto dal vescovo Marena, ebbe per padrino il sig. Ettore Cascione e per madrina la consorte di questi, la signora Giovina.
Inoltre, "degno di ogni elogio è stato il concerto eseguito da! valente organista Maestro Amedeo Boccardo, titolare della cattedra di organo presso il Liceo musicale di Padova. Sono stati eseguiti brani scelti del Frescobaldi, Vivaldi, Bach, Vierne, Dubois, Yon, Bossi, ecc. ". Ma anche il quotidiano barese, in una corrispondenza dell'8 novembre, dà risalto all'avvenimento, sottolineando che fu particolarmente apprezzata dall'uditorio l'esecuzione, da parte del m° Boccardo, della famosa "Toccata e fuga in re minore" di Bach.
Alla messa solenne, celebrata da mons. Marena, presenziarono, fra gli altri, il sen. avv. Onofrio Jannuzzi, il dott. Cimadomo, Commissario Prefettizio al Comune, l'arcidiacono mons. Testini con i canonici del Capitolo Cattedrale e diversi parroci, i presidi del Liceo Scientifico "Orazio Tedone", prof. Lorusso, e della Scuola Media, prof. Vangi, il dott. Michele Cassano.
Le celebrazioni giubilari furono precedute da tre incontri animati dal prof. don Vincenzo Amenduni.
* * *
Il 6 dicembre 1973 don Montaruli viene nominato Cappellano d'Onore di Sua Santità Paolo VI . E' il vescovo Marena a consegnare la Bolla di nomina.
Don Tonino Bello muove dalla chiesa del Redentore per il suo ingresso in Diocesi
L'8 dicembre del 1982, solennità liturgica dell'Immacolata Concezione, la città dì Ruvo accoglie il suo 72° vescovo, mons. Antonio Bello.
Nella sua corrispondenza da Ruvo, pubblicata su La Gazzetta del Mezzogiorno
dell'11 dicembre, T. Tambone scrive che "la cerimonia si è svolta, per la prima volta nella storia della Chiesa locale, sugli spalti dello storico palazzo Melodia, a fianco della chiesa parrocchiale del Redentore", dove il nuovo vescovo indossa i paramenti sacri e da cui prende le mosse il corteo che raggiunge la Cattedrale snodandosi per Piazza Cavallotti, Corso Jatta e Via Purgatorio.
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Il 28 agosto del 1983 mons. Montaruli lascia, dopo quarantotto anni, la parrocchia. Gli succede don Pellegrini, nominato parroco da mons. Bello il 18 maggio del 1983. Nel 1991 don Tonino lo nomina Padre spirituale della confraternita di S. Rocco e Rettore della stessa chiesa. Lo diventa anche della chiesa dell'Annunziata e per dodici anni del Santuario della Madonna delle Grazie. Per aver ricoperto per oltre venticinque anni gli incarichi di Assistente Ecclesiastico Regionale dell'Azione Cattolica dei Ragazzi, Membro e Segretario della Commissione Presbiterale Regionale e di quella Italiana, Segretario della Consulta dell'Apostolato dei Laici e Membro dell'Istituto Pastorale Pugliese, la Conferenza Episcopale Regionale presieduta dall'arcivescovo di Taranto mons. Benigno Papa chiede ed ottiene da Giovanni Paolo II l'Onorificenza Pontificia per don Pellegrini. La Bolla di nomina gli viene consegnata dal vescovo mons. Donato Negro.
Nasce la voce della parrocchia: "Fermento"
Fermento, mensile per la comunione e la partecipazione nella nostra Comunità, nasce nel gennaio del 1986.
Il manifesto programmatico del foglio, stampato in mille copie e diffuso anche fuori dell'ambito parrocchiale, compare nel primo numero, a cura di don Pellegrini, ideatore del progetto e suo direttore responsabile.
Molto suggestive e stimolanti le parole di augurio che don Tonino Bello rivolge alla Comunità e che appaiono nel numero d'esordio: "Sia "Fermento" di comunione. Anzitutto all'interno della Comunità parrochiale. Promuova la pace, rigeneri l'entusiasmo, stimoli l'iniziativa, accresca l'impegno, tenga desta l'attenzione al bisogno dei poveri, colleghi le espressioni più significative del lavoro pastorale, in modo che non ci sia chi tira a destra e chi tira a sinistra, chi spinge e chi blocca, chi accelera e chi frena. In secondo luogo sia "Fermento" di comunione con le altre parrocchie di Ruvo e con tutta la Chiesa locale".
Fermento, che ha da poco tagliato il traguardo dei diciotto anni di vita, si avvale in particolare della mia collaborazione, in qualità di capo redattore. Fra i collaboratori più attivi ricordiamo Margherita Miraglino, redattrice del mensile per diversi anni.
Nel novembre del 1994, in occasione dei venticinque anni di sacerdozio di don Pellegrini, l'Associazione della Riparazione Eucaristica della parrocchia dà alle stampe "Miei Cari...", una raccolta delle lettere scritte dal parroco alla sua Comunità dal gennaio 1986 all'ottobre 1994.
La prefazione al testo è di mons. Loris Francesco Capovilla, arcivescovo di Me-sembria, il quale fu segretario particolare di Papa Giovarmi XXIII. Segue una riflessione del dott. Renato Brucolì, che fu stretto collaboratore di mons. Bello.
L'artistica Via Crucis e la Spina Santa
Mentre il 19 dicembre del 1986 il Ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro, con suo decreto, conferisce alla parrocchia la qualifica di Ente Ecclesiastico civilmente riconosciuto, (un precedente riconoscimento era venuto sotto il parrocato di don Montaruli), su Fermento del mese di gennaio del 1987 si da notizia che "tra qualche mese la nostra chiesa si abbellirà dì quadri a pittura, riproducenti le scene della Passione di Gesù", a cura del rinomato artista Gaetano Valerio.
La Via Crucis, la cui realizzazione è resa possibile dall'intervento finanziario di
numerosi benefattori, viene benedetta ed inaugurata il 5 aprile del 1987 da mons. Antonio Bello.
Il giorno precedente, invece, sosta in parrocchia la Santa Spina che si custodisce nella cattedrale di Andria, "donata da Carlo D'Angiò a sua figlia Beatrice, sposa in seconde nozze a Bertrando del Balzo, Conte di Andria". La solenne celebrazione eucaristica è presieduta dal vescovo di Andria, Mons. Giuseppe Lanave.
La Settimana Mariana Missionaria,l'esortazione apostolica Christifideles Laici ed il 2 ° Congresso Eucaristico Parrocchiale
Dal 1° al 7 maggio del 1989, animata dai Missionari della Società Missioni Africane e da suor Bruna delle Suore Mariste, si tiene la Settimana Mariana Missionaria.
Aderendo con sollecitudine all'orientamento del vescovo mons. Bello di fare dell'esortazione papale Christifideles Laici il "breviario che accompagnerà i passi dell'intera comunità diocesana, guiderà le riflessioni, e ne ispirerà le scelte", la comunità del SS. Redentore organizza nel mese di ottobre del 1989 ben cinque giornate "per un approfondimento speciale e straordinario" del testo del Pontefice. Domenica 1° ottobre introduce la riflessione comunitaria mons. Michele Mincuzzi, arcivescovo di Lecce. Il giorno 7 è la volta dell'ins. Marco Vacca, laico impegnato nella chiesa di Bitonto, mentre il 14 ottobre parla la prof.ssa Teresa Labellarte, responsabile del Pontificio Istituto dei Sacri Cuori. Il prof. Vincenzo Caricati, presidente dell'A.C. di Andria, interviene sabato 21 ottobre. Domenica 29 ottobre mons. Loris F. Capovilla chiude il ciclo dedicato alla riflessione sull'esortazione di Giovanni Paolo II.
Dopo quello del 1935, si celebra dal 1° al 7 dicembre del 1989 il 2° Congresso Eucaristico. Il motto scelto da don Pellegrini è "Comunità eucaristica per evangelizzare la carità". Nel numero di novembre del mensile parrocchiale, il parroco annuncia l'evento e ne spiega le finalità: "Dovrà il nostro Congresso metterci in grado di testimoniare una carità che non sia solo fatta della virtù del buon cuore". Mons. Bello, in un'intervista rilasciata il 1° dicembre, sostiene che "più che un "Congresso", questo è un "Convegno", cioè un momento in cui la gente viene insieme. [Il termine] è formato da due parole latine «cum-venire». "Congresso" invece significa uscire insieme: «cum-gredior». Convenire insieme è una cosa facile. Adesso il difficile viene dopo domenica, quando terminerà; termineranno le canzoni splendide, i grandi raduni, e si tratterà di uscire insieme. Verso dove? Verso il deserto? No. Verso la città, innamorandosi della città, dei suoi problemi, innamorandosi dei suoi poveri, innamorandosi dei suoi giovani, innamorandosi soprattutto dei programmi di solidarietà. Ecco perché questa comunità parrocchiale viene chiamata ad un fortissimo momento dì concentrazione, perché poi possa saper esprimere non tanto nei perimetri del tempio, quanto nelle larghezze delle piazze e delle strade. il messaggio di Gesù Cristo, che è un messaggio di solidarietà.
Il Congresso è aperto ufficialmente da mons. Giuseppe Carata, arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie. La seconda giornata vede la presenza di P. Leonardo Di Pinto, Guardiano della Madonna dei Martiri in Molfetta. Il 3 dicembre la comunità incontra S.E. mons. Tarcisio Pisani, o.m., vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, mentre il giorno successivo il momento centrale è rappresentato dall'intervento di P. Antonio Francesconi, Superiore del Santuario della Madonna del Buon Cammino di Altamura. La quinta giornata del Congresso registra la presenza di mons. Antonio Bello, e in serata quelle di don Giuseppe Colavero, delegato regionale della Caritas, e del prof. Ottavio Leccese. Il 6 dicembre, anniversario della consacrazione e dedicazione della parrocchia, interviene mons. Raffaele Calabro, vescovo di Andria. Nella giornata conclusiva, la Comunità incontra mons. Martino Scarafìle, vescovo di Castellaneta e Presidente della Commissione Presbiterale Regionale.
Nel numero di dicembre del citato foglio parrocchiale, don Pellegrini aggancia poi idealmente il 2° Congresso all'ormai imminente Natale, che simboleggia l'esplosione della carità di Dio nei riguardi dell'uomo. Vi è un breve quanto significativo cenno all'intervento del vescovo mons. Antonio Bello, il quale esorta la Comunità a vivere concretamente le istanze ed i contenuti emersi durante la settimana eucaristica, a spezzare il pane piuttosto che a moltiplicarlo, «Tutti poi hanno consumato in chiesa un pezzetto di pane distribuito dal Vescovo, dal parroco e dai collaboratori, "novelli discepoli sul prato verde"», scrive Angelo Mazzone nel suo resoconto del Congresso, riportando fra virgolette una splendida espressione del vescovo.
Componenti del Comitato per il 2° Congresso Eucaristico furono, oltre ai membri del Consiglio pastorale dell'epoca, Michele Tedone, Laura Caputi, Titina Tedone. Segretario il già menzionato Angelo Mazzone, che diventerà presbitero nel giugno del 2000.
Il 1° Sinodo parrocchiale
Un Sinodo tutto diverso
"Noi faremo un Sinodo tutto diverso, completamente nuovo da quelli grandi, riconosciuti come tali dalla Chiesa e dalla storia, perché a presiederlo non ci sarà il Vescovo, unico ad avere il diritto di indire, partecipare, rendere valido un Sinodo della Chiesa. Lo faremo sotto i! suo consiglio e con la sua benedizione".
Con questi auspici don Pellegrini annuncia alla Comunità del SS. Redentore l'indizione del 1° Sinodo parrocchiale, inaugurato dal vescovo mons. Donato Negro il 13 marzo del 1994, e concluso da mons. Felice di Molletta il 4 giugno del 1995.
Il Sinodo è indetto in occasione di una circostanza particolare, il 90° anniversario dell'istituzione della parrocchia. Un evento sicuramente eccezionale, che il dott. Renato Brucoli, definisce una "esperienza più unica che rara".
Difatti il Sinodo ha rappresentato un approccio per molti versi inedito ed originale alle problematiche inerenti al rapporto tra parrocchia, intesa come istituzione, e popolo di Dio, e ciò sia per il carattere ed il rilievo prettamente locali (un Sinodo diocesano fu indetto nel 1889 dal vescovo di Ruvo mons. Luigi Bruno), sia per lo spessore degli approfondimenti offerti dal prof. Vincenzo Robles, dal dott. Aldo Lobello e dal prof. Fedele D'Atteo.
Utili spunti di analisi vengono anche da mons. Giuseppe Lanave, il quale invita la Chiesa "a capire e ad attuare quanto necessita il momento", non lasciandosi irretire dalla considerazione degli aspetti negativi, di decadenza o di involuzione(19), e dal prof. Michele Giorgio, che offre alcune validissime indicazioni di massima sulla funzione della parrocchia, dirette a rivalutarne tanto la dimensione storica quanto quella escatologica, entrambe poste fecondamente a servizio dell'uomo: "La parrocchia dovrà essere laboratorio pastorale; luogo di incontro, di comunione e soprattutto di ascolto; luogo di mediazione, di progettazione, di carità; osservatorio suìla città; spazio dello spirito".
Trovai particolarmente pertinente e stimolante l'impostazione del prof. Giorgio, giacché un pericolo per l'anima, subdolamente agente, sta proprio nella separazione dell'umano dal divino, in un devozionismo che restringe il cristianesimo a sacralità senza umanità, ad accensione di ceri senza opere. All'altro capo agisce, ugualmente dannosa, la desacralizzazione del divino, quasi che tutto si risolva nella storia, sia la storia, e Cristo non il Figlio di Dio ma il primo socialista o il primo rivoluzionario o un grande filantropo. L'idea del congiungimento, dell'osmosi fra città e parrocchia, dice invece della necessità di spiritualizzare le opere ovvero di concretizzare lo spirito, perché il cristiano, il fedele laico, sia testimone autentico del Salvatore.
Senza tale prospero incontro dominano, con la durezza e l'implacabilità dei rispettivi assunti, le contrapposte eresie del totus angelicus e del totus humanus.
Le due eresie alienano la persona umana. La prima col fargli credere che il mondo, la storia, il tempo sono impregnati di male e peccato, per cui sarebbe bene rifugiarsi nelle nicchie del sacro e fuggire la città e le sue contraddizioni. La seconda scippandola del cielo, declassando la Gerusalemme celeste a mera invenzione o utopia umana, immergendola totalmente nelle faccende mondane, infilandola senza scampo in un limite che si fa sgradevole e dolorosa sensazione di eterna finitezza. La verità è che l'uomo è terra e cielo, che non v'è strada che non conduca ad una chiesa ed una chiesa che non si affacci su una strada, e che solo dalla felice combinazione degli apparenti opposti si ha il cristiano autentico, cioè l'uomo che non rinnega la creazione, di cui è il prosecutore con le proprie opere ed attività intrise di spirito e di bene, né tanto meno la redenzione operata dal Padre per mezzo del Cristo.
Il lungo lavoro di approfondimento delle relazioni di Robles, Lobello e D'Atteo, l'elaborazione in chiave sociologica dei risultati di una indagine conoscitiva condotta con metodologia statistica (il sociologo salesiano don Vito Orlando analizzò 172 questionari), le letture dei riscontri statistici operate da Renato Brucoli, don Pio Zuppa, don Felice di Molfetta, sfociarono nelle quattro proposizioni conclusive del Sinodo che furono sottoposte all'approvazione del Consiglio Pastorale Parrocchiale e quindi pubblicate nel mensile parrocchiale Fermento, nel foglio diocesano Luce e Vita, ne L'Osservatore Romano del 13 agosto del 1995.
Le proposizioni designavano non generiche quanto inefficaci aspirazioni, ma obiettivi a cui accingersi, tracce di lavoro, percorsi dello spirito continuamente sottoposti al vaglio ed al travaglio delle coscienze individuali ed alla riflessione - anche critica - dell'intera comunità.
Tra memoria e profezia
Il Sinodo parrocchiale si è rivelato un'esperienza utile per riprendere consapevolezza del ruolo attivo che una comunità di credenti deve svolgere nella storia: contribuire a costruire una città meglio modulata sull'idea che Dio ha dell'uomo e delle relazioni fra uomo ed uomo; avere a cuore le sorti d'ognuno; uscire dalla asfittica dimensione campanilistica, che è psicologica prima che pratica, per fare Chiesa, cioè comunità fondata sull'amore vicendevole; "camminare insieme tra memoria e profezia, guardando avanti, in attesa della celebrazione del grande Sinodo".
Se la memoria concerne il passato e la profezia attiene alle cose future, per il cristiano vivere il presente significa coniugare, in una sintesi euritmica di pensiero ed azione, la tradizione fruibile con i motivi isaitici, lavorare alacremente perché affiorino in quest'ora segnata da gravi lace-razio-ni le fondamenta della Città di Dio, evento che si manifesta tutte le volte che si preferisce la luce alle tenebre,
Una sintesi che non sembra eccessivo definire santità, l'aspirazione che, sotto traccia, ha attraversato tutto il Sinodo e che in fondo, come scrisse il francese Leon Bloy (1846-1917), è il desiderio intimo ed inappagato di ogni uomo.
Un artistico busto di Giovanni XXIII ed il 3 ° Congresso Eucaristico Parrocchiale
Il 28 ottobre del 2000, nell'anniversario della elezione al soglio pontificio di Angelo Roncalli (28 ottobre del 1958), il parroco Pellegrini benedice una scultura del Papa buono, posta nel portico della chiesa, opera dello scultore ruvese Giuseppe Cili-berti. In una lettera indirizzata alla Comunità del SS. Redentore, mons. Loris Capovilla si congratula con lo scultore, il quale "ha tracciato un apprezzabile profilo del B. Papa Giovanni. Da esso traspare il "proprium" del Papa della bontà: innocenza, sapienza, bontà, sollecitudine pastorale".
Dal 3 al 7 dicembre del 2000, in occasione del 50° anniversario della dedicazione della chiesa ed al termine del Grande Giubileo, definito da Giovanni Paolo II come il Giubileo dell'Incarnazione, la Comunità torna a contemplare il mistero eucaristico con la celebrazione del 3° Congresso Eucaristico Parrocchiale. La riflessione teologica e pastorale è affidata a mons. Benigno Papa, arcivescovo di Taranto, don Antonio Di Lorenzo, parroco in Lanciano, don Antonio Mattia, parroco in Bitonto, mons. Vincenzo Franco, arcivescovo emerito di Otranto, e don Battista Borsato, direttore dell'Ufficio per la pastorale familiare della diocesi di Vicenza.
Rettorie esistenti nel territorio della Parrocchia
S. Maria Annunziata: edificata nel 1377 dai maestri Giobbe da Giovinazzo e Andrea da Ruvo, a devozione di una certa Romata, moglie di Nicola Guida, sepolto nella stessa chiesa.
È aperta al culto in ricorrenza della festa annuale.
S. Rocco: edificata nel 1503 e benedetta dal vescovo di Ruvo mons. Spaluzio. È sede della omonima Confraternita.
S. Caterina d'Alessandria: antica chiesa beneficiale sorta sotto la dominazione dei Carafa (1512-1806).
S. Giacomo al Corso: riedificata nel 1869. Attualmente è luogo dell'Adorazione Eucaristica perpetua.
I primi sacramenti celebrati nella Parrocchia
22 Maggio 1904: viene battezzata Maria Carmela Tambone da Giovanni e Maria Mazzone; padrino Giovanni Mastrorilli.
28 Maggio 1904: riceve il sacramento della cresima Vincenzo Pellicani per le mani di mons. Berardi.
20 Agosto 1904: il parroco don Giuseppe Pellegrini unisce in matrimonio Michele Paparella da Vincenzo e Filomena Ciliberti con Domenica Fiore da Vincenzo e Maria Catalano, alla presenza dei testimoni Pasquale Minafra e Nicola Volpe.
24 Maggio 1904: alle 4,20 muore e si celebrano le esequie per Marino Leone fu Gennaro e Carolina Ficco, consorte di Margherita Cesareo; anni 83.
Sacerdoti battezzati nella comunità del SS. Redentore
1 - Mons. Michele Montaruli da Vito Felice e Di Terlizzi Maria Domenica, battezzato il 17/9/1911 dal Teol. D. Salvatore Ruta; ordinato presbitero il 28 luglio 1935. Già parroco del SS. Redentore; Arciprete del Capitolo Cattedrale; Cappellano d'Onore di Sua Santità. Deceduto il 29/8/1987.
2 - Mons. Francesco Lorusso da Pasquale e Maria Gattullo, battezzato il 2 novembre 1913 dal parroco Ciliberti; ordinato presbitero il 16/VII/1939. Parroco di S. Domenico; Prelato d'Onore di Sua Santità. Deceduto il 18/2/1979.
3 - Mons. Michele Jurilli da Michele e Francesca Cabrio; battezzato dal Parroco Ciliberti il 20/X/1917; ordinato presbitero il 23/VI/1940. Prelato d'Onore di Sua Santità. Padre Spirituale nel Pont. Seminario Regionale di Molfetta; Rettore del Seminario di Potenza e di Taranto. Vicario Episcopale per le Religiose in Bari. Deceduto nel 1989.
4 - Sac. Francesco Lorusso da Biagio e Angelica Gattulli; battezzato da D. Pasquale De Biase il 1° maggio 1918; ordinato presbitero il 12 luglio 1942. Rettore della Chiesa dell'Annunziata; deceduto il 24/ 11/1979.
5 - Sac, Vincenzo Amenduni da Francesco e Porzia Gramegna; battezzato il 23/ X/1930 da mons. Rocco Gramegna. Ordinato presbitero il 29 giugno 1954; Rettore del Purgatorio; deceduto il 10 maggio 1983.
6 - Sac. Salvatore Summo da Tommaso e Tricarico Lorenza, battezzato dal parroco Montaruli il 18/2/1947. Parroco della Cattedrale.
7 - Sac. Di Modugno - Iurilli Diego da Pasquale e Lucia Tambone nato il 4 Giugno 1949. Ordinato presbitero il 21 settembre 1974. Missionario a Portorico.
8 - Sac. Ferdinando Berardi da Vincenzo e Pavia Leonarda, battezzato dal parroco Montaruli il 18 settembre 1950; ordinato presbitero il 5/11/1977; Vice Cancelliere della Curia Arcivescovile di New York.
9 - Mons. Nicoìa Girasoli da Michele e Angela Elicio; battezzato dal don Montaruli il 16/VIII/57. Attualmente Segretario della Rappresentanza Diplomatica della S. Sede in Argentina.
30 - Sac. Angelo Mazzone da Antonio e Vittoria Speranza; battezzato il 9/VI/1974.Ordinato presbitero il 17 giugno 2000. Già segretario vescovile. Vicario cooperatore.
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Il 1 Gennaio 1936, unico ad essere ordinato presbitero nella chiesa del Redentore, fu il sac. don Antonio Terzulli, parroco di San Michele Arcangelo, penitenziere del Capitolo Cattedrale; deceduto nel 1971.
Minimalia
Desidero concludere questo capitolo con alcune vicende che si inseriscono in quella storia minima, in quel complesso documentato di episodi, attività pastorali e comunitarie che, valutati ingiustamente come ordinari e spesso misconosciuti o negletti, hanno invece rivestito grande significato per la crescita umana e spirituale sia degli appartenenti alla parrocchia sia di coloro che, pur non essendovi collegati per relazione territoriale, l'hanno frequentata per ragioni le più disparate, non ultime il suo fervore ed attivismo.
Questo complesso variegato di vicende ed episodi è documentato, credo solo in parte ma sufficientemente e almeno dall'aprile del 1957 e fino al 1982, da diversi ritagli di giornali dell'epoca, spillati alle pagine di un quaderno gelosamente custodito nell'Archivio parrocchiale, che si succedono in ordine scrupolosamente cronologico. È d'uopo inoltre menzionare, anche per le vicende precedenti, il testo del parroco mons. Pellegrini Ruvo: Redentore, dedicato nel 1985 al suo predecessore mons. Montaruli in cui si rinvengono altre preziose notizie che attengono alla vita della chiesa. Dal 1986 le molteplici attività ed iniziative della parrocchia del SS. Redentore sono invece puntualmente riportate nel mensile parrocchiale Fermento, nato per l'appunto nel gennaio di quell'anno.
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Nel dicembre del 1960 proviene dalla chiesa del Purgatorio, chiusa per lavori di restauro, la statua della Pietà, che è ospitata nel SS. Redentore per qualche mese. Idem per la Madonna del Carmine ed i Misteri, in modo particolare per la miracolosa immagine di Gesù Calvario. Provenienti dalla chiesa del Carmine, chiusa a seguito del sisma che il 23 novembre del 1980 devastò l'Irpinia, vi restano dal 25 marzo del 1981 al 31 gennaio del 1984.
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Andiamo alle feste di S. Giuseppe e di Don Bosco. La parrocchia ogni anno celebra solennemente e in spirito di letizia a livello cittadino le feste liturgiche dei due Santi, facendole spesso precedere da momenti di riflessione animati, ad esempio, da don Pasquale Pierro di Bitonto (1957 e 1958), dal salesiano don Pietro Pasquariello (1958), da don Francesco Lorusso (1959), dal salesiano don Recchia e da mons. Pasquale De Venuto (1960), dal salesiano don Antonio Granozio e, per la festività di S. Giuseppe, da don Vincenzo Mundo di Bitonto (1961), dal padre salesiano Mario Donadeo, delegato ispettoriale delle scuole salesiane di Puglia e Lucania, e da don Vincenzo Amenduni (1962). Mons. Montaruli era cooperatore salesiano, e questo spiega l'assidua presenza dei padri salesiani e la solenne celebrazione della memoria liturgica di Don Bosco con la presenza del vescovo.
Il 22 maggio del 1953 la parrocchia fu dotata anche di una statua di S. Rita, a devozione di Antonietta Cotugno-Testini, che in aggiunta offrì Lire 10.000.
"L'associazione delle donne cattoliche aggiunse Lire 15.000 e si comperò la lumiera", si legge in un foglietto ritrovato in Archivio che riporta in modo succinto queste notizie.
"Madrina fu la signora Concetta Barile, padrino il direttore di quei tempo del Banco di Napoli". Vi si parla pure di un confessionale realizzato a spese dell'Azione Cattolica, e benedetto la sera del 29 settembre del 1953. Madrina fu Ciuseppina Lotito.
Va fatta menzione degli incontri con personalità del mondo culturale e politico, e ciò in relazione a particolari tematiche d'ordine sociale e religioso, o anche a scopi filantropici.
L'on. Caccuri, democristiano, il 2 giugno del 1957 tiene nell'Oratorio Don Bosco una conversazione agli Uomini di A.C., "mettendo tra ì'altro in risalto le provvidenze che il Governo, in collaborazione col Parlamento, ha realizzato a favore delle categorie meno abbienti" (La Gazzetta del Mezzogiorno), mentre il 5 aprile dello stesso anno, sempre nell'Oratorio, il prof. Demetrio Marin, docente della Facoltà di Lettere e Filosofia all'Università di Bari, tiene una conferenza sul tema "Il lavoro e il dolore, mezzi di redenzione", di cui scrive La Gazzetta del Mezzogiorno.
Il 30 giugno del 1957, a chiusura dell'anno sociale, gli Uomini di Azione Cattolica ospitano una conferenza sulla missione apostolica del Papa del prof. Pasquale Massaro. L'on. prof. Michele Troisi, Sottosegretario di Stato alle Finanze, nel febbraio del 1961 parla in chiesa sul tema "San Giovanni Bosco, pioniere degli apprendisti", mentre la prof.ssa Meluta Marin, Ordinaria di Storia dell'Arte presso l'Università di Bari, anima nel giugno del 1962 una tre sere sulla figura del Santo Padre.
Il 6 gennaio del 1963 il sen. Onofrio Jannuzzi distribuisce doni ai bambini dell'Oratorio, e mons. Aurelio Marena, nella festa liturgica di San Giovanni Bosco del 1973, alla presenza, fra gli altri, del sindaco pro tempore prof. Giovanni Bernocco, del presidente dell'Ospedale avv. Romano, del preside prof, Lorusso, del presidente diocesano di Azione Cattolica avv. Mastrorilli, del segretario politico della D.C. ins. Francesco Anselmi, del ins. Bruni e dell'ins. Summo, tiene una conferenza sulla vita e sull'attualità dell'opera educativa di Don Bosco.
Risalta il Corso di Ceramica, voluto dal parroco e diretto dal ceramista e decoratore Raffele Cantatore, a cui, nel marzo del 1959, partecipano gratuitamente molti giovani. Il quotidiano Il Messaggero del 20 giugno del 1959 dà notizia dell'allestimento nell'Oratorio Don Bosco di una mostra di ceramica "con lavori eseguiti dai parrocchiani", vasi, modelli, piatti ed altro, visitata da molta gente ed inaugurata dal vescovo Marena.
Il 10 agosto del 1902 la chiesa del SS. Redentore fu aperta al culto da mons. Pasquale Berardi.
Il 20 maggio di quello stesso anno, don Giuseppe Pellegrini venne immesso nel reale possesso di vicario curato della nuova parrocchia, e il 7 giugno il vescovo Berardi consacrò tre altari nelle cappelle laterali, dedicati a S. Anna, S. Antonio e S. Nicola, dono della signora Teresina Spada, Il 1° luglio del 1904 don G. Pellegrini dotò la parrocchia di un artistico fonte battesimale in pietra locale. Il 16 novembre P. Pio da Novoli, Superiore dei P. Passionisti, compì la S. Visita in qualità di Visitatore Apostolico straordinario.
Il 18 febbraio del 1906, dopo le dimissioni rassegnate da Pellegrini, fu nominato vicario curato Raffaele Montaruli, Vice curato, Rocco Spadone.
Nel 1911, l'11 febbraio, mons. Berardi nominò vìcario curato Salvatore Ciliberti.
Il 6 maggio del 1923 ci fu un sorteggio di maritaggio concesso da mons. Placido Ferniani, vescovo di Ruvo, a beneficio delle orfane della parrocchia. L'11 ottobre la chiesa venne dotata di un artistico altare maggiore in marmo, offerto dalle signorine Antonietta e Angelina Di Virgilio, consacrato dal vescovo Ferniani.
Il 26 aprile del 1925 fu nominato vicario curato Rocco Spadone, che restò in carica fino al giugno del 1932. Divenne poi Penitenziere del Capitolo Cattedrale. L'8 dicembre del 1925, su una libera versione dell'inno liturgico "Creator Alme Siderum" del curato Spadone, il m° Antonio Amenduni terminava di comporre un "Inno a Gesù Redentore", eseguito nel Natale di quello stesso anno. Il 31 luglio del 1926 si redisse un Regolamento di Convivenza fra la parrocchia e la Confraternita di S. Rocco, ospitata nel SS. Redentore.
Il 13 luglio del 1932 mons. Andrea Taccone nominò vicario curato Salvatore Ruta, dottore in S. Teologia e autore di numerose pubblicazioni sacre e di pedagogia. Il 26 luglio del 1933, su sua iniziativa, una schiera di giovani neo-comunicati portò in processione la statua di S. Anna per le vie della città.
Dal 6 febbraio del 1935 si alternarono alla guida della parrocchia diversi sacerdoti. Tra questi don Francesco Caldarola, don Ermete Terzulli, don Michele Montaruli, il quale fu immesso poi nel reale possesso il 13 luglio del 1936(5). Ricoprì in diocesi per molti anni gli incarichi di Assistente della G.F. di A.C.I. e Direttore dell'Ufficio Missionario Diocesano.
II 1° Congresso Eucaristico Parrocchiale fu celebrato dal 25 al 27 ottobre del 1935, a cura di don Caldarola e don Montaruli.
Dal manifesto col programma del Congresso apprendiamo che il giorno d'apertura, alle ore 7, la messa fu celebrata da don Pasquale De Biase, "con fervorino e Comunione generale delle sezioni di G.F. e delle Figlie di Maria". Alle 16,30 adunanza generale dell'A.C., con "parole d'apertura" del vescovo mons. Taccone, a cui fecero seguito tre relazioni tenute dall'Aspirante Maria Lovino ("La bontà che scaturisce dall'Eucaristia"), dall'avv. dott. D. Michele de Capua ("L'Eucaristia fonte di bene individuale e sociale"), e da Anna de Renzio, presidente diocesano delle DD. CC. di Bitonto e propagandista regionale ("L'Eucaristia e l'educazione"). Quindi, dopo l'esposizione del SS. Sacramento, l'ora di adorazione predicata da don Giuseppe Pellegrini e la benedizione impartita da don Michele Angarano.
Il 26 ottobre, stessa scansione del giorno precedente. La messa mattutina fu celebrata da don Girolamo Stragapede "con fervorino e Comunione generale delle sezioni delle alunne dell'Oratorio di Don Bosco e delle DD. CC. e dei fanciulli Cattolici". Alle 16,30 adunanza generale di Azione Cattolica, con tre relazioni svolte dal fanciullo cattolico Pellegrini, dalla signorina Melania D'Elia e da don Raffaele Montaruli. Più tardi, l'esposizione del SS. Sacramento e l'ora di adorazione animata da don Salvatore Ruta. La benedizione fu impartita dal parroco D. Giuseppe Iurilli.
La giornata conclusiva ebbe inizio con la messa prelatizia celebrata da mons. D. Rocco Gramegna, "con Comunione generale del gruppo degli Uomini Cattolici e della Parrocchia". Alle 10 solenne pontificale di mons. Taccone, con l'assistenza del Capitolo, esposizione del Venerabile e adorazione continua. Alle 17, la solenne processione eucaristica guidata dal vescovo e la benedizione finale.
Alla mezzanotte del sabato e della domenica si tenne l'adorazione notturna "con Messa e Comunione generale per g!i uomini".
"Ottimi i risultati spirituali ottenuti", si legge nelle memorie raccolte dal parroco don Pellegrini dalla vìva voce del suo predecessore alla guida del SS. Redentore, e riportate, con estrema sinteticità, in un quaderno di quell'epoca custodito nell'Archivio parrocchiale.
La splendida immagine della Madonna di Pompei, opera dello scultore leccese Carmelo Bruno a devozione della famiglia Rutigliani, fu benedetta da mons. Andrea Taccone e rimpiazzò quella della Deposizione o Otto Santi attualmente allocata in S. Rocco, per dodici anni venerata nel SS. Redentore.
La parrocchia del SS. Redentore nacque priva di campane "che potessero squillare nella nostra Ruvo". Tale lacuna fu colmata dal parroco don Montaruli e dal can. D. Josca, ai quali si affiancarono molti "benefattori insigni".
Della consacrazione delle tre campane si occupò anche la stampa dell'epoca. In una corrispondenza da Ruvo di Puglia, il giornalista evidenzia che "i parroci che, a mano a mano, si succedettero, provvidero a tanti bisogni della nuova Parrocchia; mancava un ultima sforzo, quello cioè di dare alla Chiesa, che è situata nel punto più centrale di Ruvo, un bel campanile e delle armoniose campane".
Così, il 6 aprile del 1940 (la corrispondenza da Ruvo è datata 16), mons. Andrea Taccone le consacrò.
"La prima campana grande", con le effigi del SS. Redentore, di S. Michele e di S. Andrea, ebbe per padrino Michele Ficco e per madrina la signora Anna Lamonarca. La seconda campana, con incise le effigi della Vergine del Rosario e di S. Antonio, ebbe per padrino Giuseppe Testini e per madrina Antonietta Cotugno. Padrino e madrina della terza campana, infine, con le effigi dei Santi Pietro e Paolo, furono il signor Lorenzo Ventura e la signora Porzia Ficco.
Ma proseguiamo il racconto di quel giorno così particolare per la comunità parrocchiale e per quella ruvese attingendo integralmente dal resoconto giornalistico:
"Terminata la suggestiva cerimonia, S.E. impartì la Benedizione Eucaristica e dopo rivolse al popolo belle parole con l'augurio più sincero che cioè le nuove campane possano, fra non molto, squillare, annunziando ai quattro venti quella tanto sospirata pace che è nel desiderio dei Regnanti e dei popoli di tutto il mondo. Dopo la cerimonia nella sala della Azione Cattolica fu servito un rinfresco. Fra gli intervenuti, oltre S.E. mons. vescovo, notammo il Podestà dott. Barile, il segretario politico Dottor Boccuzzi, i monsignori arcidiacono Montaruli, Penitenziere Gramegna, Teologo Mozzone, i canonici Testini, De Palo, Ciliberti nonchè altri sacerdoti e i padrini e le madrine delle campane.
Nei giorni 29, 30, 31 ottobre e 1° novembre del 1947, a chiusura del mese in onore della SS.ma Vergine del Rosario, si tenne il 1° Congresso Mariano.
Le relazioni furono svolte, si legge nella succitata fonte, dal P. Enrico Soliani O.P. e dal prof. Franco Catalano. Grande fu la partecipazione ai due incontri nonché la veglia notturna, svoltasi presumibilmente la notte del 31 ottobre, incentrata sull'Ora Santa e la comunione generale.
Il 1° novembre il vescovo Andrea Taccone celebrò la Messa Pontificale, mentre nel pomeriggio l'arcidiacono mons. Rocco Gramegna portò processionalmente per le vie della parrocchia il SS. Sacramento.
L'accompagnamento corale e musicale fu assicurato dalla Schola Cantorum del m° Michele Cantatore, nominato organista della parrocchia da don Montaruli nel gennaio del 1946.
Fu proprio il m° Cantatore ad adoperarsi alacremente per la formazione di un gruppo corale parrocchiale "che per molti anni contribuì efficacemente ad elevare lo spirito nella celebrazione dei sacri riti" (per la cronaca, l'11 febbraio del 1976, in un trafiletto apparso in occasione della festa in onore di don Bosco, la Gazzetta del Mezzogiorno parla di Schola Cantorum, ma "dell'Azione Cattolica", diretta dal vice parroco don Pellegrini).
Per la circostanza del Congresso Mariano, il m° Cantatore compose anche un inno "musicato con tutte le esigenze artistiche".
Le memorie raccolte da don Pellegrini narrano che "nell'ottobre del 1949 fu predicato dal Rev.mo P. Piacente dei Salesiani un corso di esercizi spirituali per il popolo". Evidentemente a don Montaruli, che ne riferisce a don Pellegrini, l'avvenimento parve di particolare significato per la numerosissima partecipazione popolare.
Ma si fa memoria anche dell'arrivo presso la chiesa del SS. Redentore della riproduzione fedele dell'immagine della Madonna delle Grazie, custodita nell'omonimo santuario ruvese, nell'ambito di una peregrinatio.
Il 26 marzo del 1950 - anno giubilare, ed è agevole intuire che la peregrinatio si inserì nel clima e nel contesto delle celebrazioni e degli eventi giubilari - una copia dell'affresco medioevale tanto caro ai ruvesi giunse nella nostra cittadina (il santuario sorge ad un chilometro circa dal centro del paese) per sostare in ogni parrocchia per tre giorni.
Nel SS. Redentore vi giunse dopo aver sostato nella chiesa di San Giacomo, ad essa contermine. La sera dell'ingresso dell'icona nel SS. Redentore "parlò in Piazza Castello S.E. Rev.ma mons. Marcello Mimmi, Arcivescovo di Bari(7). Ogni sera la Madonna fu portata in processione nelle vie della parrocchia, e tanto bene fecero le relazioni e la calda parola del rev.mo P. Vincenzo M. Caprio, barnabita, e deìl'avv. Guido Maffucini da Trani".
Se il tempio fu eretto nel 1902 e aperto al culto, fu consacrato solo nel 1950.
Difatti il 6 dicembre di quell'anno mons. Aurelio Marena procedeva alla sua consacrazione, dedicandolo al SS. Redentore.
Una lapide, posta a destra dell'ingresso, ricorda il fausto avvenimento.
Il presepio rappresenta una delle maggiori attrattive natalizie. Il 'culto' del presepe contagiò anche la comunità del SS. Redentore, dove negli anni 1952, 1953, 1955, 1956 e 1957 Silvestre Catalano realizzò ed allestì un grandioso ed artistico presepe.
Il presepe, che occupava una superficie di circa 150 metri quadrati, fu allestito in venti giorni ed ornato da statuette in creta, opera dell'artigiano Salvatore Bruno e dell'altezza di un metro.
"L'opera costituì l'attrattiva, non solo di tutta la nostra città, ma anche delle città viciniori, dalle quali vennero molti ammiratori", apprendiamo dagli appunti custoditi nell'Archivio parrocchiale. Del presepe del 1955 diede notizia il Giornale d'Italia del 30 dicembre di quello stesso anno, con corrispondenza da Ruvo di Tommaso Tambone.
Commissionata dal parroco con lettera del 17 ottobre del 1952 alla casa veneta "Plinio Frigo" di Vicenza, la statua del Redentore giunse a Ruvo presumibilmente a fine luglio, primi d'agosto del 1953.
Ma ripercorriamone ordinatamente la vicenda, rifacendoci alla corrispondenza intercorsa fra don Montaruli e la casa d'arte sacra vicentina, che copre un arco temporale che va dall'ottobre del 1952 all'agosto del 1953.
In riscontro alla nota del 17 ottobre del 1952, la predetta ditta risponde a don Montaruli con nota del 23 ottobre dello stesso anno, chiedendo chiarimenti in ordine all'altezza della statua del Redentore (220 o 250 centimetri?). Vi compiega una fotografia di "un bel modello artistico ed espressivo che crediamo sarà di Suo gradimento. La statua sarà eseguita molto bene e finita levigata con tempo di non meno di due mesi per la consegna dalla conferma". Segue l'indicazione del prezzo, che varia a seconda dell'altezza della statua. Si va da Lire 65.000 per una statua dell'altezza di cm. 200, a Lire 100.500 per una di cm. 250, "più l'imballaggio in ragione del 15% sul prezzo della statua".
Il 5 febbraio del 1953 la ditta vicentina riscontra una nota del parroco del 28 gennaio. Vi si legge che "alla Sua lettera del 9 Gennaio non abbiamo dato risposta perché, avendoci detto che per ragioni finanziarie i lavori erano sospesi, aspettavamo una Sua nuova richiesta". La ripresa dei contatti testimonia che gli ostacoli, eminentemente di ordine finanziario, che si frapponevano alla realizzazione del progetto erano stati intanto superati, almeno in parte o comunque in misura tale da destare minori preoccupazioni, tant'è che la ditta Frigo ribadisce che la statua del Redentore, del peso intorno ai 18/20 quintali, alta m. 2,50, e scolpita in pietra di Vicenza, costerà Lire 110.500, più imballaggio pari a L. 11.000, per un totale di Lire 121.500. In ogni caso, lo scrivente chiede il pagamento anticipato di almeno la metà dell'importo, mentre la parte restante dovrà essere versata al ricevimento della statua. "Consegna in circa 60/80 giorni di tempo dalla conferma".
La lettera della casa vicentina del 20 marzo del 1953 ha ancora carattere interlocutorio. Dal tenore della medesima si intuisce che don Montaruli, con cartolina postale del 17 marzo, aveva pregato la ditta di praticargli una riduzione del prezzo, reputato eccessivo o comunque non sostenibile dalla parrocchia. La ditta vicentina gli risponde che, dopo aver consultato i suoi artisti, calcolato il lavoro, le giornate lavorative, ecc., è giunta alla conclusione di ridurre il prezzo "a nettissime Lire 115.000 imballaggio compreso, porto ferroviario a Suo carico. Questa è !a nostra ultima decisione per accontentarLa e per avere anche la ordinazione delle altre due statue". La 'palla' ritorna quindi nel campo di don Montaruli, che aveva allettato la ditta con la promessa di commissionarle altri due lavori. Tuttavia, la ditta Frigo insiste nel rammentargli che è necessario anticipare almeno la metà del prezzo convenuto, "perché noi glii artisti dobbiamo pagarli per contanti", e ne sollecita la risposta "per poter fare la consegna o meglio la spedizione a fine Maggio p.v. ".
Vicenza, 22 maggio del 1953, La ditta di Vicenza scrive a don Montaruli che per una statua di metri 2 il prezzo è di Lire 75.000, imballaggio Lire 7.500. Il prezzo è irriducibile, è l'ultimissimo prezzo, ed attende conferma. È quindi una lettera ancora interlocutoria, che la dice lunga sulle condizioni finanziarie in cui versa la chiesa del SS. Redentore, rimarcate dal contenuto della successiva missiva del 29 maggio del 1953.
Difatti il 29 maggio la ditta Frigo dà riscontro del ricevimento di un acconto di Lire 40.000, ma non corrispondente alle condizioni stabilite, "perché essendo l'importo convenuto di Lire 115.000, l'acconta doveva essere di almeno Lire 60.000 circa!". La casa vicentina chiede, oltre all'inoltro immediato della parte d'acconto non versata, quindi di Lire 20.000, che le si fornisca precise indicazioni sui tempi e modi del pagamento del saldo, non potendo accettare dilazioni molto lunghe. Perciò, probabilmente per precauzione, conclude che il lavoro "non possiamo subito iniziarlo essendo impegnati con altri precedenti ordini, ma lo faremo quanto prima".
A don Montaruli evidentemente non riescono graditi sia la richiesta che i toni usati dalla casa veneta. Tanto si desume dalla lettera di riscontro della citata ditta del 5 giugno del 1953 che, nel ringraziare il parroco per l'invio della quota d'acconto mancante, sottolinea di aver rintracciato in quanto scrittole dal sacerdote il 2 giugno motivi di risentimento, "ma a torto, perché le condizioni di vendita sono chiare e studiate in modo da favorire la clientela, ma anche tenendo conto delle nostre esigenze commerciali che non sono poche!". Assicura in conclusione che "ora inizieremo il lavoro e lo faremo in modo lo possa avere per l'epoca desiderata e di Sua soddisfazione ".
Il 6 luglio del 1953 la casa veneta comunica, con toni più distesi e concilianti, segno che finalmente i contrasti sono stati definitivamente appianati, che "la statua del Redentore trovasi a buon punto di lavorazione e contiamo di spedirla entro la seconda metà de! corrente mese. Calcoli che sarà spedita verso il 20 corrente e la potrà ricevere entro i! mese oppure ai primi del prossimo". Seguono alcune misure della statua: lato davanti cm. 80 di larghezza; lato di fianco cm. 75 di larghezza.
Il 20 luglio del 1953 la casa Frigo spedisce la statua del Redentore: "La statua dei peso di quintali 13,80, imballata in solida gabbia di legno, è stata da noi collocata sul carro ferroviario, per cui confidiamo che arriverà in perfetto ordine alla stazione di Moffetta. Da qui dovrà provvedere Lei, con personale esperto e pratico, allo scarico e all'inoltro con proprio mezzo a Ruvo di Puglia. Alla base della statua e stata fatta l'iscrizione desiderata, ma non abbiamo potuto praticare il foro sulla testa per l'aureola, essendo la Sua cartolina giunta soltanto oggi, quando la statua si trovava già imballata e pronta per la spedizione". La nota di spedizione indica il saldo da versare, pari a Lire 55.000.
L'impegno fu totalmente onorato, tant’è che il 29 agosto del 1953 la ditta Frigo accusa ricevuta del saldo e auspica ulteriori relazioni (il riferimento esplicito è alla "lavorazione delle altre due statue che ci dovrà ordinar”).
Ma di questa ordinazione non v'è traccia. E le due nicchie della facciata sono tuttora vuote.
"Nel centenario della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione (1854-1954), una statuetta della Madonna di Lourdes girò per varie famiglie della parrocchia. La peregrinatio iniziò il 27 maggio, festa dell'Ascensione, e si concluse 1'8 dicembre, festa dell'Immacolata".
Il passaggio, che avveniva processionalmentc, da una famiglia ospitante all'altra cadeva il giovedì e la domenica.
La famiglia Carlucci, abitante in Via Gravinelle, fu la prima famiglia ad ospitare la statua della Madonna. L'ultima, invece, fu la famiglia Mongelli, residente in Corso Giovanni Jatta.
Il 5 dicembre del 1955, la chiesa del SS. Redentore è dotata di un nuovo complesso di campane, realizzate dalla ditta Giustozzi d i Trani.
Anche di questo avvenimento esiste una cronaca giornalistica apparsa il successivo 12 dicembre. In essa si fa riferimento tanto alle "tre grosse campane di bronzo" quanto alla solenne consacrazione del nuovo campanile neo-romanico ed all'inaugurazione dell'Oratorio Don Bosco.
Vescovo consacratore è Mons. Aurelio Marena.
La prima campana, del peso di 9 quintali, è dedicata al Redentore con la seguente epigrafe in latino: “Sanctissimi Cordis Jesu - Audite gentes me sonantem vocem - Ad vitam vos revocat vita"(8). Sulla campana si notano, oltre all'effige del Cristo, quelle di S. Biagio e di S. Anna, nonché lo stemma del vescovo Marena. Padrino è il Comm. Pietro Curione, Commissario Prefettizio al Comune, e madrina Olga Testini.
La seconda campana, di 7 quintali, è dedicata alla Vergine del Rosario con la seguente epigrafe: "Deipara Virgine propitia, fugentur tenebrae - Salus illucescat"(9). Padrino della seconda campana e il comm. R. Marchio, direttore della Banca di Andria, e madrina la signora Vincenza Gattulli. Sulla campana sono incise anche le effigi di S. Vincenzo Ferreri e di S. Francesca Romana.
Infine la terza campana, del peso di 3 quintali, è dedicata a S. Giuseppe. L'epigrafe è la seguente: " Sancto Joseph auspice - Dum ad opus curvantur corpora - Sursum ferantur mentes"(10). Vi è di certo anche l'effige di S. Antonio. Padrino è l'avv. Vitantonio Di Cagno, vicepresidente della Cassa del Mezzogiorno, e madrina la signora Matilde Ippedico.
"Successivamente -si legge nell'articolo- il Vescovo, seguito dai suoi assistenti, si è portato in fondo alla chiesa per la consacrazione del campanile. Il taglio del rituale nastro è stato effettuato dal Comm. Vincenzo La Gioia, presidente della Camera dì Commercio di Bari, e sul limitare dell'ingresso, S.E. il Vescovo ha ripetuto la cerimonia della consacrazione dell'alto campanile che dalla chiesa si eleva per trentacinque metri e dalla strada per circa altrettanti metri".
La folla si porta poi su Corso Jatta per la consacrazione dell'Oratorio don Bosco, annesso alla parrocchia, e successivamente ampliato da don Pellegrini con la sala dedicata a don Tonino Bello ed un altro spazioso locale adibito a biblioteca, entrambi adiacenti alla chiesa.
Dall'articolista, che aveva interpellato don Montaruli, apprendiamo inoltre che il costo delle opere realizzate ammontò ad oltre nove milioni di quel tempo.
Interessante la descrizione della consacrazione delle tre campane fatta dall'anonimo corrispondente, le quali sono sospese ad appositi sostegni in attesa di essere collocate sul campanile, opera dell'ingegnere ruvese Armando De Leo: "Dopo la recita dei Salmi, la benedizione dell'acaua lustrale, il lavaggio delle campane, poi asciugate dal Ministro di Dio, il Vescovo ha proceduto all'ap-posi-zione deìl'olio sacro e del crisma sotto forma di sette croci all'esterno (in corrispondenza dei sette Sacramenti) e di quattro internamente (in corrispondenza dei quattro punti cardinali)".
Siamo nell'anno 1957. Il televisore è ancora appannaggio di pochi, è un bene di lusso. Le famiglie si portano presso qualche bar o qualche famiglia benestante per assistere alle poche trasmissioni serali in bianco e nero.
Mons. Aurelio Marena ottiene da Papa Pio XII il dono di un televisore per gli uomini di Azione Cattolica del SS. Redentore. Invero costoro si sarebbero accontentati di un più modesto apparecchio radiofonico, ma il Papa volle fare di più.
Del dono particolare, sicuramente molto gradito, dà notizia il quotidiano Tempi Nostri il 22 settembre del 1957, secondo cui "la sera de! 15 settembre S.E. Monsignor Vescovo dopo aver benedetto il Televisore nella Sede dell'Unione Uomini, ha dato lettura del telegramma del Santo Padre. Il comm. ing. Michele Iatta ha tagliato il rituale nastro dai colori pontifici nel quale era avvolto il Televisore".
Corre l'anno I960: don Montaruli si adopera per dotare la parrocchia di un nuovo organo con oltre 1100 canne, progettato dal m° Michele Cantatore e costruito dalla ditta Strozzi di Ferrara, la cui totale ristrutturazione è stata da poco ultimata.
Su Il Quotidiano del 6 novembre, il giornalista Tommaso Tambone scrive che l'organo, inaugurato il 31 ottobre in vista della fausta ricorrenza e benedetto dal vescovo Marena, ebbe per padrino il sig. Ettore Cascione e per madrina la consorte di questi, la signora Giovina.
Inoltre, "degno di ogni elogio è stato il concerto eseguito da! valente organista Maestro Amedeo Boccardo, titolare della cattedra di organo presso il Liceo musicale di Padova. Sono stati eseguiti brani scelti del Frescobaldi, Vivaldi, Bach, Vierne, Dubois, Yon, Bossi, ecc. ". Ma anche il quotidiano barese, in una corrispondenza dell'8 novembre, dà risalto all'avvenimento, sottolineando che fu particolarmente apprezzata dall'uditorio l'esecuzione, da parte del m° Boccardo, della famosa "Toccata e fuga in re minore" di Bach.
Alla messa solenne, celebrata da mons. Marena, presenziarono, fra gli altri, il sen. avv. Onofrio Jannuzzi, il dott. Cimadomo, Commissario Prefettizio al Comune, l'arcidiacono mons. Testini con i canonici del Capitolo Cattedrale e diversi parroci, i presidi del Liceo Scientifico "Orazio Tedone", prof. Lorusso, e della Scuola Media, prof. Vangi, il dott. Michele Cassano.
Le celebrazioni giubilari furono precedute da tre incontri animati dal prof. don Vincenzo Amenduni.
Il 6 dicembre 1973 don Montaruli viene nominato Cappellano d'Onore di Sua Santità Paolo VI . E' il vescovo Marena a consegnare la Bolla di nomina.
L'8 dicembre del 1982, solennità liturgica dell'Immacolata Concezione, la città dì Ruvo accoglie il suo 72° vescovo, mons. Antonio Bello.
Nella sua corrispondenza da Ruvo, pubblicata su La Gazzetta del Mezzogiorno
dell'11 dicembre, T. Tambone scrive che "la cerimonia si è svolta, per la prima volta nella storia della Chiesa locale, sugli spalti dello storico palazzo Melodia, a fianco della chiesa parrocchiale del Redentore", dove il nuovo vescovo indossa i paramenti sacri e da cui prende le mosse il corteo che raggiunge la Cattedrale snodandosi per Piazza Cavallotti, Corso Jatta e Via Purgatorio.
Il 28 agosto del 1983 mons. Montaruli lascia, dopo quarantotto anni, la parrocchia. Gli succede don Pellegrini, nominato parroco da mons. Bello il 18 maggio del 1983. Nel 1991 don Tonino lo nomina Padre spirituale della confraternita di S. Rocco e Rettore della stessa chiesa. Lo diventa anche della chiesa dell'Annunziata e per dodici anni del Santuario della Madonna delle Grazie. Per aver ricoperto per oltre venticinque anni gli incarichi di Assistente Ecclesiastico Regionale dell'Azione Cattolica dei Ragazzi, Membro e Segretario della Commissione Presbiterale Regionale e di quella Italiana, Segretario della Consulta dell'Apostolato dei Laici e Membro dell'Istituto Pastorale Pugliese, la Conferenza Episcopale Regionale presieduta dall'arcivescovo di Taranto mons. Benigno Papa chiede ed ottiene da Giovanni Paolo II l'Onorificenza Pontificia per don Pellegrini. La Bolla di nomina gli viene consegnata dal vescovo mons. Donato Negro.
Fermento, mensile per la comunione e la partecipazione nella nostra Comunità, nasce nel gennaio del 1986.
Il manifesto programmatico del foglio, stampato in mille copie e diffuso anche fuori dell'ambito parrocchiale, compare nel primo numero, a cura di don Pellegrini, ideatore del progetto e suo direttore responsabile.
Molto suggestive e stimolanti le parole di augurio che don Tonino Bello rivolge alla Comunità e che appaiono nel numero d'esordio: "Sia "Fermento" di comunione. Anzitutto all'interno della Comunità parrochiale. Promuova la pace, rigeneri l'entusiasmo, stimoli l'iniziativa, accresca l'impegno, tenga desta l'attenzione al bisogno dei poveri, colleghi le espressioni più significative del lavoro pastorale, in modo che non ci sia chi tira a destra e chi tira a sinistra, chi spinge e chi blocca, chi accelera e chi frena. In secondo luogo sia "Fermento" di comunione con le altre parrocchie di Ruvo e con tutta la Chiesa locale".
Fermento, che ha da poco tagliato il traguardo dei diciotto anni di vita, si avvale in particolare della mia collaborazione, in qualità di capo redattore. Fra i collaboratori più attivi ricordiamo Margherita Miraglino, redattrice del mensile per diversi anni.
Nel novembre del 1994, in occasione dei venticinque anni di sacerdozio di don Pellegrini, l'Associazione della Riparazione Eucaristica della parrocchia dà alle stampe "Miei Cari...", una raccolta delle lettere scritte dal parroco alla sua Comunità dal gennaio 1986 all'ottobre 1994.
La prefazione al testo è di mons. Loris Francesco Capovilla, arcivescovo di Me-sembria, il quale fu segretario particolare di Papa Giovarmi XXIII. Segue una riflessione del dott. Renato Brucolì, che fu stretto collaboratore di mons. Bello.
Mentre il 19 dicembre del 1986 il Ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro, con suo decreto, conferisce alla parrocchia la qualifica di Ente Ecclesiastico civilmente riconosciuto, (un precedente riconoscimento era venuto sotto il parrocato di don Montaruli), su Fermento del mese di gennaio del 1987 si da notizia che "tra qualche mese la nostra chiesa si abbellirà dì quadri a pittura, riproducenti le scene della Passione di Gesù", a cura del rinomato artista Gaetano Valerio.
La Via Crucis, la cui realizzazione è resa possibile dall'intervento finanziario di
numerosi benefattori, viene benedetta ed inaugurata il 5 aprile del 1987 da mons. Antonio Bello.
Il giorno precedente, invece, sosta in parrocchia la Santa Spina che si custodisce nella cattedrale di Andria, "donata da Carlo D'Angiò a sua figlia Beatrice, sposa in seconde nozze a Bertrando del Balzo, Conte di Andria". La solenne celebrazione eucaristica è presieduta dal vescovo di Andria, Mons. Giuseppe Lanave.
Dal 1° al 7 maggio del 1989, animata dai Missionari della Società Missioni Africane e da suor Bruna delle Suore Mariste, si tiene la Settimana Mariana Missionaria.
Aderendo con sollecitudine all'orientamento del vescovo mons. Bello di fare dell'esortazione papale Christifideles Laici il "breviario che accompagnerà i passi dell'intera comunità diocesana, guiderà le riflessioni, e ne ispirerà le scelte", la comunità del SS. Redentore organizza nel mese di ottobre del 1989 ben cinque giornate "per un approfondimento speciale e straordinario" del testo del Pontefice. Domenica 1° ottobre introduce la riflessione comunitaria mons. Michele Mincuzzi, arcivescovo di Lecce. Il giorno 7 è la volta dell'ins. Marco Vacca, laico impegnato nella chiesa di Bitonto, mentre il 14 ottobre parla la prof.ssa Teresa Labellarte, responsabile del Pontificio Istituto dei Sacri Cuori. Il prof. Vincenzo Caricati, presidente dell'A.C. di Andria, interviene sabato 21 ottobre. Domenica 29 ottobre mons. Loris F. Capovilla chiude il ciclo dedicato alla riflessione sull'esortazione di Giovanni Paolo II.
Dopo quello del 1935, si celebra dal 1° al 7 dicembre del 1989 il 2° Congresso Eucaristico. Il motto scelto da don Pellegrini è "Comunità eucaristica per evangelizzare la carità". Nel numero di novembre del mensile parrocchiale, il parroco annuncia l'evento e ne spiega le finalità: "Dovrà il nostro Congresso metterci in grado di testimoniare una carità che non sia solo fatta della virtù del buon cuore". Mons. Bello, in un'intervista rilasciata il 1° dicembre, sostiene che "più che un "Congresso", questo è un "Convegno", cioè un momento in cui la gente viene insieme. [Il termine] è formato da due parole latine «cum-venire». "Congresso" invece significa uscire insieme: «cum-gredior». Convenire insieme è una cosa facile. Adesso il difficile viene dopo domenica, quando terminerà; termineranno le canzoni splendide, i grandi raduni, e si tratterà di uscire insieme. Verso dove? Verso il deserto? No. Verso la città, innamorandosi della città, dei suoi problemi, innamorandosi dei suoi poveri, innamorandosi dei suoi giovani, innamorandosi soprattutto dei programmi di solidarietà. Ecco perché questa comunità parrocchiale viene chiamata ad un fortissimo momento dì concentrazione, perché poi possa saper esprimere non tanto nei perimetri del tempio, quanto nelle larghezze delle piazze e delle strade. il messaggio di Gesù Cristo, che è un messaggio di solidarietà.
Il Congresso è aperto ufficialmente da mons. Giuseppe Carata, arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie. La seconda giornata vede la presenza di P. Leonardo Di Pinto, Guardiano della Madonna dei Martiri in Molfetta. Il 3 dicembre la comunità incontra S.E. mons. Tarcisio Pisani, o.m., vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, mentre il giorno successivo il momento centrale è rappresentato dall'intervento di P. Antonio Francesconi, Superiore del Santuario della Madonna del Buon Cammino di Altamura. La quinta giornata del Congresso registra la presenza di mons. Antonio Bello, e in serata quelle di don Giuseppe Colavero, delegato regionale della Caritas, e del prof. Ottavio Leccese. Il 6 dicembre, anniversario della consacrazione e dedicazione della parrocchia, interviene mons. Raffaele Calabro, vescovo di Andria. Nella giornata conclusiva, la Comunità incontra mons. Martino Scarafìle, vescovo di Castellaneta e Presidente della Commissione Presbiterale Regionale.
Nel numero di dicembre del citato foglio parrocchiale, don Pellegrini aggancia poi idealmente il 2° Congresso all'ormai imminente Natale, che simboleggia l'esplosione della carità di Dio nei riguardi dell'uomo. Vi è un breve quanto significativo cenno all'intervento del vescovo mons. Antonio Bello, il quale esorta la Comunità a vivere concretamente le istanze ed i contenuti emersi durante la settimana eucaristica, a spezzare il pane piuttosto che a moltiplicarlo, «Tutti poi hanno consumato in chiesa un pezzetto di pane distribuito dal Vescovo, dal parroco e dai collaboratori, "novelli discepoli sul prato verde"», scrive Angelo Mazzone nel suo resoconto del Congresso, riportando fra virgolette una splendida espressione del vescovo.
Componenti del Comitato per il 2° Congresso Eucaristico furono, oltre ai membri del Consiglio pastorale dell'epoca, Michele Tedone, Laura Caputi, Titina Tedone. Segretario il già menzionato Angelo Mazzone, che diventerà presbitero nel giugno del 2000.
"Noi faremo un Sinodo tutto diverso, completamente nuovo da quelli grandi, riconosciuti come tali dalla Chiesa e dalla storia, perché a presiederlo non ci sarà il Vescovo, unico ad avere il diritto di indire, partecipare, rendere valido un Sinodo della Chiesa. Lo faremo sotto i! suo consiglio e con la sua benedizione".
Con questi auspici don Pellegrini annuncia alla Comunità del SS. Redentore l'indizione del 1° Sinodo parrocchiale, inaugurato dal vescovo mons. Donato Negro il 13 marzo del 1994, e concluso da mons. Felice di Molletta il 4 giugno del 1995.
Il Sinodo è indetto in occasione di una circostanza particolare, il 90° anniversario dell'istituzione della parrocchia. Un evento sicuramente eccezionale, che il dott. Renato Brucoli, definisce una "esperienza più unica che rara".
Difatti il Sinodo ha rappresentato un approccio per molti versi inedito ed originale alle problematiche inerenti al rapporto tra parrocchia, intesa come istituzione, e popolo di Dio, e ciò sia per il carattere ed il rilievo prettamente locali (un Sinodo diocesano fu indetto nel 1889 dal vescovo di Ruvo mons. Luigi Bruno), sia per lo spessore degli approfondimenti offerti dal prof. Vincenzo Robles, dal dott. Aldo Lobello e dal prof. Fedele D'Atteo.
Utili spunti di analisi vengono anche da mons. Giuseppe Lanave, il quale invita la Chiesa "a capire e ad attuare quanto necessita il momento", non lasciandosi irretire dalla considerazione degli aspetti negativi, di decadenza o di involuzione(19), e dal prof. Michele Giorgio, che offre alcune validissime indicazioni di massima sulla funzione della parrocchia, dirette a rivalutarne tanto la dimensione storica quanto quella escatologica, entrambe poste fecondamente a servizio dell'uomo: "La parrocchia dovrà essere laboratorio pastorale; luogo di incontro, di comunione e soprattutto di ascolto; luogo di mediazione, di progettazione, di carità; osservatorio suìla città; spazio dello spirito".
Trovai particolarmente pertinente e stimolante l'impostazione del prof. Giorgio, giacché un pericolo per l'anima, subdolamente agente, sta proprio nella separazione dell'umano dal divino, in un devozionismo che restringe il cristianesimo a sacralità senza umanità, ad accensione di ceri senza opere. All'altro capo agisce, ugualmente dannosa, la desacralizzazione del divino, quasi che tutto si risolva nella storia, sia la storia, e Cristo non il Figlio di Dio ma il primo socialista o il primo rivoluzionario o un grande filantropo. L'idea del congiungimento, dell'osmosi fra città e parrocchia, dice invece della necessità di spiritualizzare le opere ovvero di concretizzare lo spirito, perché il cristiano, il fedele laico, sia testimone autentico del Salvatore.
Senza tale prospero incontro dominano, con la durezza e l'implacabilità dei rispettivi assunti, le contrapposte eresie del totus angelicus e del totus humanus.
Le due eresie alienano la persona umana. La prima col fargli credere che il mondo, la storia, il tempo sono impregnati di male e peccato, per cui sarebbe bene rifugiarsi nelle nicchie del sacro e fuggire la città e le sue contraddizioni. La seconda scippandola del cielo, declassando la Gerusalemme celeste a mera invenzione o utopia umana, immergendola totalmente nelle faccende mondane, infilandola senza scampo in un limite che si fa sgradevole e dolorosa sensazione di eterna finitezza. La verità è che l'uomo è terra e cielo, che non v'è strada che non conduca ad una chiesa ed una chiesa che non si affacci su una strada, e che solo dalla felice combinazione degli apparenti opposti si ha il cristiano autentico, cioè l'uomo che non rinnega la creazione, di cui è il prosecutore con le proprie opere ed attività intrise di spirito e di bene, né tanto meno la redenzione operata dal Padre per mezzo del Cristo.
Il lungo lavoro di approfondimento delle relazioni di Robles, Lobello e D'Atteo, l'elaborazione in chiave sociologica dei risultati di una indagine conoscitiva condotta con metodologia statistica (il sociologo salesiano don Vito Orlando analizzò 172 questionari), le letture dei riscontri statistici operate da Renato Brucoli, don Pio Zuppa, don Felice di Molfetta, sfociarono nelle quattro proposizioni conclusive del Sinodo che furono sottoposte all'approvazione del Consiglio Pastorale Parrocchiale e quindi pubblicate nel mensile parrocchiale Fermento, nel foglio diocesano Luce e Vita, ne L'Osservatore Romano del 13 agosto del 1995.
Le proposizioni designavano non generiche quanto inefficaci aspirazioni, ma obiettivi a cui accingersi, tracce di lavoro, percorsi dello spirito continuamente sottoposti al vaglio ed al travaglio delle coscienze individuali ed alla riflessione - anche critica - dell'intera comunità.
Il Sinodo parrocchiale si è rivelato un'esperienza utile per riprendere consapevolezza del ruolo attivo che una comunità di credenti deve svolgere nella storia: contribuire a costruire una città meglio modulata sull'idea che Dio ha dell'uomo e delle relazioni fra uomo ed uomo; avere a cuore le sorti d'ognuno; uscire dalla asfittica dimensione campanilistica, che è psicologica prima che pratica, per fare Chiesa, cioè comunità fondata sull'amore vicendevole; "camminare insieme tra memoria e profezia, guardando avanti, in attesa della celebrazione del grande Sinodo".
Se la memoria concerne il passato e la profezia attiene alle cose future, per il cristiano vivere il presente significa coniugare, in una sintesi euritmica di pensiero ed azione, la tradizione fruibile con i motivi isaitici, lavorare alacremente perché affiorino in quest'ora segnata da gravi lace-razio-ni le fondamenta della Città di Dio, evento che si manifesta tutte le volte che si preferisce la luce alle tenebre,
Una sintesi che non sembra eccessivo definire santità, l'aspirazione che, sotto traccia, ha attraversato tutto il Sinodo e che in fondo, come scrisse il francese Leon Bloy (1846-1917), è il desiderio intimo ed inappagato di ogni uomo.
Il 28 ottobre del 2000, nell'anniversario della elezione al soglio pontificio di Angelo Roncalli (28 ottobre del 1958), il parroco Pellegrini benedice una scultura del Papa buono, posta nel portico della chiesa, opera dello scultore ruvese Giuseppe Cili-berti. In una lettera indirizzata alla Comunità del SS. Redentore, mons. Loris Capovilla si congratula con lo scultore, il quale "ha tracciato un apprezzabile profilo del B. Papa Giovanni. Da esso traspare il "proprium" del Papa della bontà: innocenza, sapienza, bontà, sollecitudine pastorale".
Dal 3 al 7 dicembre del 2000, in occasione del 50° anniversario della dedicazione della chiesa ed al termine del Grande Giubileo, definito da Giovanni Paolo II come il Giubileo dell'Incarnazione, la Comunità torna a contemplare il mistero eucaristico con la celebrazione del 3° Congresso Eucaristico Parrocchiale. La riflessione teologica e pastorale è affidata a mons. Benigno Papa, arcivescovo di Taranto, don Antonio Di Lorenzo, parroco in Lanciano, don Antonio Mattia, parroco in Bitonto, mons. Vincenzo Franco, arcivescovo emerito di Otranto, e don Battista Borsato, direttore dell'Ufficio per la pastorale familiare della diocesi di Vicenza.
S. Maria Annunziata: edificata nel 1377 dai maestri Giobbe da Giovinazzo e Andrea da Ruvo, a devozione di una certa Romata, moglie di Nicola Guida, sepolto nella stessa chiesa.
È aperta al culto in ricorrenza della festa annuale.
S. Rocco: edificata nel 1503 e benedetta dal vescovo di Ruvo mons. Spaluzio. È sede della omonima Confraternita.
S. Caterina d'Alessandria: antica chiesa beneficiale sorta sotto la dominazione dei Carafa (1512-1806).
S. Giacomo al Corso: riedificata nel 1869. Attualmente è luogo dell'Adorazione Eucaristica perpetua.
22 Maggio 1904: viene battezzata Maria Carmela Tambone da Giovanni e Maria Mazzone; padrino Giovanni Mastrorilli.
28 Maggio 1904: riceve il sacramento della cresima Vincenzo Pellicani per le mani di mons. Berardi.
20 Agosto 1904: il parroco don Giuseppe Pellegrini unisce in matrimonio Michele Paparella da Vincenzo e Filomena Ciliberti con Domenica Fiore da Vincenzo e Maria Catalano, alla presenza dei testimoni Pasquale Minafra e Nicola Volpe.
24 Maggio 1904: alle 4,20 muore e si celebrano le esequie per Marino Leone fu Gennaro e Carolina Ficco, consorte di Margherita Cesareo; anni 83.
1 - Mons. Michele Montaruli da Vito Felice e Di Terlizzi Maria Domenica, battezzato il 17/9/1911 dal Teol. D. Salvatore Ruta; ordinato presbitero il 28 luglio 1935. Già parroco del SS. Redentore; Arciprete del Capitolo Cattedrale; Cappellano d'Onore di Sua Santità. Deceduto il 29/8/1987.
2 - Mons. Francesco Lorusso da Pasquale e Maria Gattullo, battezzato il 2 novembre 1913 dal parroco Ciliberti; ordinato presbitero il 16/VII/1939. Parroco di S. Domenico; Prelato d'Onore di Sua Santità. Deceduto il 18/2/1979.
3 - Mons. Michele Jurilli da Michele e Francesca Cabrio; battezzato dal Parroco Ciliberti il 20/X/1917; ordinato presbitero il 23/VI/1940. Prelato d'Onore di Sua Santità. Padre Spirituale nel Pont. Seminario Regionale di Molfetta; Rettore del Seminario di Potenza e di Taranto. Vicario Episcopale per le Religiose in Bari. Deceduto nel 1989.
4 - Sac. Francesco Lorusso da Biagio e Angelica Gattulli; battezzato da D. Pasquale De Biase il 1° maggio 1918; ordinato presbitero il 12 luglio 1942. Rettore della Chiesa dell'Annunziata; deceduto il 24/ 11/1979.
5 - Sac, Vincenzo Amenduni da Francesco e Porzia Gramegna; battezzato il 23/ X/1930 da mons. Rocco Gramegna. Ordinato presbitero il 29 giugno 1954; Rettore del Purgatorio; deceduto il 10 maggio 1983.
6 - Sac. Salvatore Summo da Tommaso e Tricarico Lorenza, battezzato dal parroco Montaruli il 18/2/1947. Parroco della Cattedrale.
7 - Sac. Di Modugno - Iurilli Diego da Pasquale e Lucia Tambone nato il 4 Giugno 1949. Ordinato presbitero il 21 settembre 1974. Missionario a Portorico.
8 - Sac. Ferdinando Berardi da Vincenzo e Pavia Leonarda, battezzato dal parroco Montaruli il 18 settembre 1950; ordinato presbitero il 5/11/1977; Vice Cancelliere della Curia Arcivescovile di New York.
9 - Mons. Nicoìa Girasoli da Michele e Angela Elicio; battezzato dal don Montaruli il 16/VIII/57. Attualmente Segretario della Rappresentanza Diplomatica della S. Sede in Argentina.
30 - Sac. Angelo Mazzone da Antonio e Vittoria Speranza; battezzato il 9/VI/1974.Ordinato presbitero il 17 giugno 2000. Già segretario vescovile. Vicario cooperatore.
Il 1 Gennaio 1936, unico ad essere ordinato presbitero nella chiesa del Redentore, fu il sac. don Antonio Terzulli, parroco di San Michele Arcangelo, penitenziere del Capitolo Cattedrale; deceduto nel 1971.
Desidero concludere questo capitolo con alcune vicende che si inseriscono in quella storia minima, in quel complesso documentato di episodi, attività pastorali e comunitarie che, valutati ingiustamente come ordinari e spesso misconosciuti o negletti, hanno invece rivestito grande significato per la crescita umana e spirituale sia degli appartenenti alla parrocchia sia di coloro che, pur non essendovi collegati per relazione territoriale, l'hanno frequentata per ragioni le più disparate, non ultime il suo fervore ed attivismo.
Questo complesso variegato di vicende ed episodi è documentato, credo solo in parte ma sufficientemente e almeno dall'aprile del 1957 e fino al 1982, da diversi ritagli di giornali dell'epoca, spillati alle pagine di un quaderno gelosamente custodito nell'Archivio parrocchiale, che si succedono in ordine scrupolosamente cronologico. È d'uopo inoltre menzionare, anche per le vicende precedenti, il testo del parroco mons. Pellegrini Ruvo: Redentore, dedicato nel 1985 al suo predecessore mons. Montaruli in cui si rinvengono altre preziose notizie che attengono alla vita della chiesa. Dal 1986 le molteplici attività ed iniziative della parrocchia del SS. Redentore sono invece puntualmente riportate nel mensile parrocchiale Fermento, nato per l'appunto nel gennaio di quell'anno.
Nel dicembre del 1960 proviene dalla chiesa del Purgatorio, chiusa per lavori di restauro, la statua della Pietà, che è ospitata nel SS. Redentore per qualche mese. Idem per la Madonna del Carmine ed i Misteri, in modo particolare per la miracolosa immagine di Gesù Calvario. Provenienti dalla chiesa del Carmine, chiusa a seguito del sisma che il 23 novembre del 1980 devastò l'Irpinia, vi restano dal 25 marzo del 1981 al 31 gennaio del 1984.
Andiamo alle feste di S. Giuseppe e di Don Bosco. La parrocchia ogni anno celebra solennemente e in spirito di letizia a livello cittadino le feste liturgiche dei due Santi, facendole spesso precedere da momenti di riflessione animati, ad esempio, da don Pasquale Pierro di Bitonto (1957 e 1958), dal salesiano don Pietro Pasquariello (1958), da don Francesco Lorusso (1959), dal salesiano don Recchia e da mons. Pasquale De Venuto (1960), dal salesiano don Antonio Granozio e, per la festività di S. Giuseppe, da don Vincenzo Mundo di Bitonto (1961), dal padre salesiano Mario Donadeo, delegato ispettoriale delle scuole salesiane di Puglia e Lucania, e da don Vincenzo Amenduni (1962). Mons. Montaruli era cooperatore salesiano, e questo spiega l'assidua presenza dei padri salesiani e la solenne celebrazione della memoria liturgica di Don Bosco con la presenza del vescovo.
Il 22 maggio del 1953 la parrocchia fu dotata anche di una statua di S. Rita, a devozione di Antonietta Cotugno-Testini, che in aggiunta offrì Lire 10.000.
"L'associazione delle donne cattoliche aggiunse Lire 15.000 e si comperò la lumiera", si legge in un foglietto ritrovato in Archivio che riporta in modo succinto queste notizie.
"Madrina fu la signora Concetta Barile, padrino il direttore di quei tempo del Banco di Napoli". Vi si parla pure di un confessionale realizzato a spese dell'Azione Cattolica, e benedetto la sera del 29 settembre del 1953. Madrina fu Ciuseppina Lotito.
Va fatta menzione degli incontri con personalità del mondo culturale e politico, e ciò in relazione a particolari tematiche d'ordine sociale e religioso, o anche a scopi filantropici.
L'on. Caccuri, democristiano, il 2 giugno del 1957 tiene nell'Oratorio Don Bosco una conversazione agli Uomini di A.C., "mettendo tra ì'altro in risalto le provvidenze che il Governo, in collaborazione col Parlamento, ha realizzato a favore delle categorie meno abbienti" (La Gazzetta del Mezzogiorno), mentre il 5 aprile dello stesso anno, sempre nell'Oratorio, il prof. Demetrio Marin, docente della Facoltà di Lettere e Filosofia all'Università di Bari, tiene una conferenza sul tema "Il lavoro e il dolore, mezzi di redenzione", di cui scrive La Gazzetta del Mezzogiorno.
Il 30 giugno del 1957, a chiusura dell'anno sociale, gli Uomini di Azione Cattolica ospitano una conferenza sulla missione apostolica del Papa del prof. Pasquale Massaro. L'on. prof. Michele Troisi, Sottosegretario di Stato alle Finanze, nel febbraio del 1961 parla in chiesa sul tema "San Giovanni Bosco, pioniere degli apprendisti", mentre la prof.ssa Meluta Marin, Ordinaria di Storia dell'Arte presso l'Università di Bari, anima nel giugno del 1962 una tre sere sulla figura del Santo Padre.
Il 6 gennaio del 1963 il sen. Onofrio Jannuzzi distribuisce doni ai bambini dell'Oratorio, e mons. Aurelio Marena, nella festa liturgica di San Giovanni Bosco del 1973, alla presenza, fra gli altri, del sindaco pro tempore prof. Giovanni Bernocco, del presidente dell'Ospedale avv. Romano, del preside prof, Lorusso, del presidente diocesano di Azione Cattolica avv. Mastrorilli, del segretario politico della D.C. ins. Francesco Anselmi, del ins. Bruni e dell'ins. Summo, tiene una conferenza sulla vita e sull'attualità dell'opera educativa di Don Bosco.
Risalta il Corso di Ceramica, voluto dal parroco e diretto dal ceramista e decoratore Raffele Cantatore, a cui, nel marzo del 1959, partecipano gratuitamente molti giovani. Il quotidiano Il Messaggero del 20 giugno del 1959 dà notizia dell'allestimento nell'Oratorio Don Bosco di una mostra di ceramica "con lavori eseguiti dai parrocchiani", vasi, modelli, piatti ed altro, visitata da molta gente ed inaugurata dal vescovo Marena.
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