Ai Fratelli della 3a Comunità
Mentre risuonano nel mio animo le affermazioni di Giovanni Paolo II: “Riconosco il Cammino Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valido per lasocietà e per i tempi odierni” e quella
di Benedetto XVI che afferma: “La
vostra azione apostolica intende
collocarsi nel cuore della Chiesa, in
totale sintonia con le sue direttive e in
comunione con le Chiese particolari in
cui andrete ad operare, valorizzando
appieno la ricchezza di carismi che il
Signore ha suscitato attraverso gli
iniziatori del Cammino”, rivolgo a
tutti il «benvenuto» anche a nome
delle altre due Comunità che ben si sono inserite ormai da un decennio
nella nostra Parrocchia.
E ringrazio il nostro vescovo don Gino
per la fiducia accordata in conformità
all’auspicio formulato da Giovanni
Paolo II: “auspico che i fratelli
nell’Episcopato valorizzino e aiutino -
insieme con i loro Presbiteri -
quest’opera per la nuova
evangelizzazione, perché in essa si
realizzi secondo le linee proposte dagli iniziatori, nello spirito di servizio
all’Ordinario del luogo e di
comunione con lui e nel contesto
dell’unità della Chiesa particolare con
la Chiesa universale”.
Ai nuovi fratelli che vengono ad
aggregarsi alle altre Comunità sento di
ricordare quanto il catechismo della
Chiesa Cattolica puntualizza al n.
1231 : “Per la sua stessa natura il
Battesimo dei bambini richiede un
catecumenato post-battesimale. Non
si tratta soltanto di una istruzione
posteriore al Battesimo, ma del
necessario sviluppo della grazia battesimale nella crescita della
persona”. E nella esortazione di
Giovanni Paolo II Christifideles Laici,
esemplifica affermando che “un aiuto
alla formazione dei cristiani può
essere dato… da una catechesi postbattesimale
a modo di catecumenato,
mediante la riproposizione di alcuni
elementi del Rito dell’iniziazione
cristiana degli adulti, destinati a far
cogliere e vivere le immense e
straordinarie ricchezze e responsabilità
del Battesimo ricevuto”.
Mentre vi accingete quindi ad
intraprendere questo Cammino nella
coincidenza del Natale di Gesù e a
conclusione delle catechesi ricevute,
introdotti nella nostra parrocchia
desidero ricordarvi quanto gli statuti
dello stesso specificano all’articolo
16: “Il Cammino Neo-catecumenale è
offerto come strumento atto ad aiutare
la parrocchia a compiere sempre più la
missione ecclesiale di essere sale, luce
e lievito del mondo e a risplendere
davanti agli uomini come Corpo
visibile di Gesù Cristo risorto,
sacramento universale di salvezza”. È
il mio auspicio che bene si fonde col
clima natalizio che stiamo vivendo.
Cordialmente
Don Vincenzo
Nasce una 3a Comunità Neo - Catecumenale
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ANNO XXVII - N.313
UNA SFIDA DECISIVA
La questione della fede oggi va concepita
come una sfida, come qualcosa
che deve risvegliarci dal sonno
della nostra indolenza e riaccendere la
nostra attenzione e vigilanza.
Nell’Anno della fede siamo chiamati a ripensare e, soprattutto, a rivivere la nostra fede in modo nuovo, senza dare niente per scontato. Nel motu proprio Porta fidei Benedetto XVI ha scritto: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2). La questione della fede oggi va concepita come una sfida, come qualcosa che deve risvegliarci dal sonno della nostra indolenza e riaccendere la nostra attenzione e vigilanza. Si avverte un urgente bisogno di riscoprire la fede come quel «tesoro nascosto», quella «perla preziosa» (cfr. Matteo, 13, 44-46), per i quali vale la pena donare tutto. Riscoprire la fede dovrebbe essere un traguardo per tutti i credenti. Noi cristiani siamo chiamati a riscoprire ogni giorno l’importanza del dono della fede e la sua bellezza. Non pochi battezzati, infatti, ritengono che la fede sia un pesante fardello che impedisce di gustare la vita, oppure credono che l’osservanza dei comandamenti non consenta di essere pienamente liberi e felici. La fede non è né un ostacolo né un peso, ma è un dono prezioso che apre orizzonti nuovi e affascinanti nella nostra esistenza. Occorre riscoprire la fede come incontro vero e profondo con una Persona, la persona di Gesù che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. In varie occasioni il Pontefice ha parlato della drammaticità della situazione della fede nel mondo di oggi. Per l’uomo di tutti i tempi, ma in particolare per l’uomo di oggi, la questione della fede, e cioè la questione di Dio, è una questione centrale e decisiva. Durante la celebrazione d’inizio del suo ministero Papa Benedetto XVI ha parlato dei deserti del mondo e ha spiegato: «Vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi». Il Papa descrive questa situazione della desertificazione del mondo interiore dell’uomo usando termini incisivi. In altre occasioni ha parlato di «una strana dimenticanza di Dio», «rifiuto di Dio», «assenza di Dio», «eclissi del senso di Dio», di «un nuovo paganesimo». Nessun cristiano può considerare la fede come una questione chiusa una volta per tutte nella vita. Siamo davanti a una sfida che continuamente ci interpella, una sorta di provocazione salutare e permanente, un forte richiamo a lasciar prevalere nella nostra esistenza “l’essere” e non “il fare”. A riguardo Papa benedetto XVI ci ammonisce: «Si può fare molto, tanto nel campo ecclesiastico, tutto per Dio…, e in ciò rimanere totalmente presso sé stessi, senza incontrare Dio. L’impegno sostituisce la fede, ma poi si vuota dall’interno». Il Papa afferma che «la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede». Di recente ai Vescovi della Conferenza episcopale italiana riuniti in assemblea ha detto che è necessario ripartire da Dio e ha spiegato: «La prima condizione per parlare di Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e plasmati dalla sua grazia. (…) Vorrei dire a ciascuno lasciamoci trovare e afferrare da Dio, per aiutare ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla Verità. (…) La missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino». Davanti a tale non facile sfida, la Chiesa guarda con grande speranza ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità, che sono veri e propri “laboratori della fede”, “scuole della fede”, luoghi dove giovani, adulti, coppie di sposi vengono iniziati alla fede e cioè all’incontro con Dio in Gesù Cristo. Naturalmente l’opportunità di percorrere uno specifico itinerario di fede all’interno dei movimenti e delle nuove comunità non è un metodo di garantita efficacia. È sempre chiamata in causa la libertà umana e per questo è necessario rimanere svegli e vigilare. Ecco, dunque, l’Anno della fede si presenta non come una celebrazione che si aggiunge alle altre, ma come un “Anno di grazia del Signore”, un dono da accogliere con gratitudine e senso di responsabilità da parte di tutti.
G.S.
Nell’Anno della fede siamo chiamati a ripensare e, soprattutto, a rivivere la nostra fede in modo nuovo, senza dare niente per scontato. Nel motu proprio Porta fidei Benedetto XVI ha scritto: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2). La questione della fede oggi va concepita come una sfida, come qualcosa che deve risvegliarci dal sonno della nostra indolenza e riaccendere la nostra attenzione e vigilanza. Si avverte un urgente bisogno di riscoprire la fede come quel «tesoro nascosto», quella «perla preziosa» (cfr. Matteo, 13, 44-46), per i quali vale la pena donare tutto. Riscoprire la fede dovrebbe essere un traguardo per tutti i credenti. Noi cristiani siamo chiamati a riscoprire ogni giorno l’importanza del dono della fede e la sua bellezza. Non pochi battezzati, infatti, ritengono che la fede sia un pesante fardello che impedisce di gustare la vita, oppure credono che l’osservanza dei comandamenti non consenta di essere pienamente liberi e felici. La fede non è né un ostacolo né un peso, ma è un dono prezioso che apre orizzonti nuovi e affascinanti nella nostra esistenza. Occorre riscoprire la fede come incontro vero e profondo con una Persona, la persona di Gesù che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. In varie occasioni il Pontefice ha parlato della drammaticità della situazione della fede nel mondo di oggi. Per l’uomo di tutti i tempi, ma in particolare per l’uomo di oggi, la questione della fede, e cioè la questione di Dio, è una questione centrale e decisiva. Durante la celebrazione d’inizio del suo ministero Papa Benedetto XVI ha parlato dei deserti del mondo e ha spiegato: «Vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi». Il Papa descrive questa situazione della desertificazione del mondo interiore dell’uomo usando termini incisivi. In altre occasioni ha parlato di «una strana dimenticanza di Dio», «rifiuto di Dio», «assenza di Dio», «eclissi del senso di Dio», di «un nuovo paganesimo». Nessun cristiano può considerare la fede come una questione chiusa una volta per tutte nella vita. Siamo davanti a una sfida che continuamente ci interpella, una sorta di provocazione salutare e permanente, un forte richiamo a lasciar prevalere nella nostra esistenza “l’essere” e non “il fare”. A riguardo Papa benedetto XVI ci ammonisce: «Si può fare molto, tanto nel campo ecclesiastico, tutto per Dio…, e in ciò rimanere totalmente presso sé stessi, senza incontrare Dio. L’impegno sostituisce la fede, ma poi si vuota dall’interno». Il Papa afferma che «la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede». Di recente ai Vescovi della Conferenza episcopale italiana riuniti in assemblea ha detto che è necessario ripartire da Dio e ha spiegato: «La prima condizione per parlare di Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e plasmati dalla sua grazia. (…) Vorrei dire a ciascuno lasciamoci trovare e afferrare da Dio, per aiutare ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla Verità. (…) La missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino». Davanti a tale non facile sfida, la Chiesa guarda con grande speranza ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità, che sono veri e propri “laboratori della fede”, “scuole della fede”, luoghi dove giovani, adulti, coppie di sposi vengono iniziati alla fede e cioè all’incontro con Dio in Gesù Cristo. Naturalmente l’opportunità di percorrere uno specifico itinerario di fede all’interno dei movimenti e delle nuove comunità non è un metodo di garantita efficacia. È sempre chiamata in causa la libertà umana e per questo è necessario rimanere svegli e vigilare. Ecco, dunque, l’Anno della fede si presenta non come una celebrazione che si aggiunge alle altre, ma come un “Anno di grazia del Signore”, un dono da accogliere con gratitudine e senso di responsabilità da parte di tutti.
G.S.
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ANNO XXVII - N.313
“BEATI GLI OPERATORI DI PACE”
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 46a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2013)
Andiamo al nocciolo del messaggio di Benedetto XVI per la 46a Giornata mondiale della Pace, che cade il 1° gennaio, e che certi organi di stampa e certe personalità del mondo della politica e della cultura hanno pesantemente frainteso o hanno costretto nel recinto delle cosiddette “unioni omosessuali”. Il messaggio‘è molto più ampio e tocca numerosi aspetti dell’attualità economica, sociale ed etica. È un “ammonimento” rivolto in primis ai cattolici, i quali devono riscoprire il legame col Signore che non schiavizza ma che rende beati già qui ed ora. La beatitudine non è solo una raccomandazione morale la cui osservanza prevede una ricompensa nell’altra vita; è, piuttosto, “l’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore”. Chi pratica la giustizia e la verità, che è anche verità sull’uomo, è figlio di Dio e fratello del Cristo, quindi portatore sano di pace e costruttore di ponti di pace con le altre fedi, le altre culture, tutti gli uomini di buona volontà. Non c’è, nel messaggio papale, traccia di una discriminazione nei confronti degli omosessuali, che sono nostri fratelli e sorelle, ma, nel solco della millenaria tradizione cristiana, la sottolineatura che una unione omosessuale non è la stessa cosa del matrimonio eterosessuale e, pertanto, non può essere riconosciuta dalla Chiesa in virtù di una supposta adesione ai tempi ed alle mode. I tempi cambiano, i costumi mutano (talvolta in peggio), l’idea di libertà si fa talmente ampia da apparire indefinita ed inconsistente, ma i valori cattolici restano stabiliti in eterno, non per volontà del Santo Padre. La Buona Novella, benché vada soggetta essa stessa ad interpretazioni ed approfondimenti, non può discostarsi dai principi cardine. Se lo facesse, non saremmo in presenza di una fede, ma di una serie di opinioni mutevoli e cangianti. Mi ripeto: nessuna condanna verso gli omosessuali, ma la obiettiva affermazione di una diversità di certe unioni rispetto al matrimonio fra un uomo ed una donna, aperto alla procreazione libera e responsabile. Quando si parla di “matrimonio omosessuale” si commette un errore grave non solo sul piano concettuale ma anche su quello “naturale”. La dimensione umana viene in qualche modo alterata, specie se, come è facile prevedere, il preteso riconoscimento dei matrimoni omosessuali venisse equiparato al matrimonio tradizionalmente inteso, facendo da battistrada alla possibilità di adottare dei bambini. Le situazioni non sono uguali né identiche. E gli effetti, di conseguenza, non possono essere uguali né identici. L’unione di un uomo con una donna va nella direzione della diversità naturale di cui il bambino ha necessità per l’armonioso sviluppo della propria personalità. Affermare il contrario equivarrebbe a porre sullo stesso piano fenomeni e modelli profondamente diversi e distanti. Ciò non significa che non possano esserci delle norme a tutela delle unioni altre, purché sia fatto salvo il principio della non omologazione. Il Papa ci invita, in sintesi e sul piano della fede e delle opere, a farci sempre più prossimi al Cristo, a vivere la fede non in maniera occasionale o distratta o frammentaria ma con maggiore consapevolezza ed amore. Questa adesione totale al Cristo è caparra di beatitudine ed è nutrimento della pace, sottoposta a tensioni quotidiane che tutti conosciamo. I giornali e la televisione pullulano di episodi di guerra, piccoli o grandi. Né contribuisce alla pace l’accaparramento di denaro pubblico da parte di taluni politici, ai quali va ricordato il comandamento “non rubare”. Il malaffare, il ladrocinio, l’affamare interi popoli, come accade in certe parti del mondo, non è secondo Dio, ma secondo l’Anticristo. Il 2013 sia quindi un anno dedicato alla rimozione delle opere del male e al ripristino delle condizioni per una pace vera e duratura.
Salvatore Bernocco
Andiamo al nocciolo del messaggio di Benedetto XVI per la 46a Giornata mondiale della Pace, che cade il 1° gennaio, e che certi organi di stampa e certe personalità del mondo della politica e della cultura hanno pesantemente frainteso o hanno costretto nel recinto delle cosiddette “unioni omosessuali”. Il messaggio‘è molto più ampio e tocca numerosi aspetti dell’attualità economica, sociale ed etica. È un “ammonimento” rivolto in primis ai cattolici, i quali devono riscoprire il legame col Signore che non schiavizza ma che rende beati già qui ed ora. La beatitudine non è solo una raccomandazione morale la cui osservanza prevede una ricompensa nell’altra vita; è, piuttosto, “l’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore”. Chi pratica la giustizia e la verità, che è anche verità sull’uomo, è figlio di Dio e fratello del Cristo, quindi portatore sano di pace e costruttore di ponti di pace con le altre fedi, le altre culture, tutti gli uomini di buona volontà. Non c’è, nel messaggio papale, traccia di una discriminazione nei confronti degli omosessuali, che sono nostri fratelli e sorelle, ma, nel solco della millenaria tradizione cristiana, la sottolineatura che una unione omosessuale non è la stessa cosa del matrimonio eterosessuale e, pertanto, non può essere riconosciuta dalla Chiesa in virtù di una supposta adesione ai tempi ed alle mode. I tempi cambiano, i costumi mutano (talvolta in peggio), l’idea di libertà si fa talmente ampia da apparire indefinita ed inconsistente, ma i valori cattolici restano stabiliti in eterno, non per volontà del Santo Padre. La Buona Novella, benché vada soggetta essa stessa ad interpretazioni ed approfondimenti, non può discostarsi dai principi cardine. Se lo facesse, non saremmo in presenza di una fede, ma di una serie di opinioni mutevoli e cangianti. Mi ripeto: nessuna condanna verso gli omosessuali, ma la obiettiva affermazione di una diversità di certe unioni rispetto al matrimonio fra un uomo ed una donna, aperto alla procreazione libera e responsabile. Quando si parla di “matrimonio omosessuale” si commette un errore grave non solo sul piano concettuale ma anche su quello “naturale”. La dimensione umana viene in qualche modo alterata, specie se, come è facile prevedere, il preteso riconoscimento dei matrimoni omosessuali venisse equiparato al matrimonio tradizionalmente inteso, facendo da battistrada alla possibilità di adottare dei bambini. Le situazioni non sono uguali né identiche. E gli effetti, di conseguenza, non possono essere uguali né identici. L’unione di un uomo con una donna va nella direzione della diversità naturale di cui il bambino ha necessità per l’armonioso sviluppo della propria personalità. Affermare il contrario equivarrebbe a porre sullo stesso piano fenomeni e modelli profondamente diversi e distanti. Ciò non significa che non possano esserci delle norme a tutela delle unioni altre, purché sia fatto salvo il principio della non omologazione. Il Papa ci invita, in sintesi e sul piano della fede e delle opere, a farci sempre più prossimi al Cristo, a vivere la fede non in maniera occasionale o distratta o frammentaria ma con maggiore consapevolezza ed amore. Questa adesione totale al Cristo è caparra di beatitudine ed è nutrimento della pace, sottoposta a tensioni quotidiane che tutti conosciamo. I giornali e la televisione pullulano di episodi di guerra, piccoli o grandi. Né contribuisce alla pace l’accaparramento di denaro pubblico da parte di taluni politici, ai quali va ricordato il comandamento “non rubare”. Il malaffare, il ladrocinio, l’affamare interi popoli, come accade in certe parti del mondo, non è secondo Dio, ma secondo l’Anticristo. Il 2013 sia quindi un anno dedicato alla rimozione delle opere del male e al ripristino delle condizioni per una pace vera e duratura.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXVII - N.313
CONDIVIDIAMO IL NATALE NEL SEGNO DI DON TONINO
Il vescovo don Tonino Bello, prossimo agli onori degli altari, era solito augurare un «Natale scomodo» in controtendenza con la concezione edonistica legata ad uno sfarzoso e sfrenato consumismo. Il suo era un forte richiamo a vivere la Festa più bella della cristianità secondo uno stile sobrio e, soprattutto, in stretta condivisione con i poveri ed i meno garantiti. Quel richiamo oggi rimane ancora attuale perché la difficile congiuntura economica sta incidendo fortemente nel tessuto medio della società impoverendolo sempre più e condannando i già poveri a condizioni di vita impossibili.
Le ultime statistiche riportano i dati allarmanti di una spaventosa divaricazione tra il 10% di ricchi sempre più ricchi e il 50% di impoveriti, alcuni dei quali anche indebitati e insolventi. E fa stridore l’altra notizia apparsa sui quotidiani più noti secondo cui, dei cento milioni assorbiti, la pubblica amministrazione ne sperpera sessanta in corruzione e ne perde quaranta tra sprechi ed inefficienze.
Per non parlare, poi, dei privilegi persistenti di direttori generali, di managers aziendali, di presidenti di Enti, di politici altolocati, che godono di stipendi e pensioni d’oro in barba ai sacrifici a cui sono sottoposti gli ipertartassati contribuenti medi e piccoli i cui conti sono controllati alla fonte. Dunque il marcio si sa dove è, ma ci si attarda ad estirparlo alla radice. Di fronte a questo progressivo imbarbarimento della società e al crescente numero di poveri senza garanzie la domanda di chi vuole guardare al futuro con un buon margine di ottimismo è la stessa che la folla fece a Giovanni Battista quando annunciava l’imminente venuta di Cristo; «che cosa dobbiamo fare»? La sua risposta fu riferita a tre principi: essere onesti, condividere con chi ha bisogno, non essere violenti. Papa Benedetto XVI, attualizzando la stessa domanda, ha voluto dare anche la sua risposta indicando all’uomo di oggi una direttrice di marcia che richiede una «conversione» radicale lungo un percorso contro-corrente che porta ad un sostanziale cambiamento di stile di vita: «la conversione comincia dall’onestà e dal rispetto degli altri». Dio non richiede impegni straordinari, ma che sia ordinaria una condotta di vita vissuta secondo i criteri di solidarietà e di giustizia. Fare questo significa rispondere all’invito di Dio a meritare di vivere il Natale migliorando ogni giorno e non limitandosi alle opere buone soltanto in coincidenza con la solennità religiosa. Il Natale, infatti, non può essere confinato ad un episodico momento celebrativo,; ma deve coincidere con una condizione di vita che giornalmente ci richiede lo stesso «amore» che il Gesù di Betlemme ha voluto regalarci scegliendo di vivere tra noi.
È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano. È Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro. È Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società. È Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale. È Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza. È Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri. Madre Teresa di Calcutta
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ANNO XXVII - N.313
Nel tempo e nello spazio di Dio
Potrebbe sembrare retorico affermare che il mese di dicembre è il più intenso come impegno pastorale in comunità. Ma tale è stato. Dai primi giorni già nella novena dell’Immacolata a quella del Natale.
Particolarmente sentite e partecipate le solenni Quarantore nei giorni 5-6-7 che si sono concluse col canto del Te Deum in ringraziamento per l’anniversario sacerdotale del parroco don Vincenzo. Incontri a tutti i livelli fino a quello delle coppie del Gruppo Famiglia nella ricorrenza della S. Famiglia di Nazareth. La sera dell’Immacolata poi ci fu la presenza di Mons. Luca Murato che ci parlò della Madonna con fine tatto e competenza pastorale. Insieme trascorremmo la mattina della vigilia del Natale con la celebrazione delle 5,30 cui pure quella di mezzanotte di Natale, preceduta dalla processione del Bambino Gesù.
Il 13 dicembre poi fu benedetto dal parroco il presepe allestito in Piazza Castello.
Interessanti i presepi allestiti dai giovani presso la sede dell’oratorio e nella nostra chiesa parrocchiale, tanto ammirato per la dovizia di particolari e realizzato dai nostri parrocchiani Angela e Vincenzo Cantatore a cui va il grazie sentito di tutti noi.
L’anno si è concluso con la partecipazione di tutta la comunità e con la nascita di una 3^ Comunità Neo-catecumenale mentre si è celebrato il 10° anniversario della sua presenza in parrocchia.
Luca
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