Miei Cari,
Giugno: mese eucaristico che ci riporta
alla Pasqua. Ce la facciamo raccontare
da Matteo, la guida spirituale di questo
anno liturgico, nel suo Vangelo al
capitolo 26, al versetto 26.
“Mentre mangiavano prese un pane”.
Gesù prende un pane e non il pane,
significa quindi che non prende il pane
azzimo. Il pane tondo significa che non
c’è una parte migliore, come per
l’agnello, ma è uguale per tutti. Il pane è
formato da chicchi di grano che prima
erano sparsi e, una volta macinati,
diventano una cosa sola. È segno di
unità: come il pane è formato da chicchi
di grano che erano sparsi così la
Comunità cristiana nell’Eucarestia tende
a diventare una cosa sola.
“Poi benedì”. Benedire significa che
l’autore del pane è il Signore; ciò significa che non dobbiamo tenerlo
egoisticamente per noi ma condividerlo
con amore con gli altri.
“Lo spezzò e, mentre lo dava ai
discepoli, disse: “Prendete,
mangiate…”. Mangiare significa che il
pane va assimilato, assorbito, fatto
nostro. Mangiare il Corpo di Cristo
significa fare nostro il suo modello di
comportamento e amare come lui ama.
“Questo è il mio corpo”. Spezzare,
distribuire il pane, mangiare il pane: la
Comunità in cui il Pane si spezza, si
distribuisce e si mangia è il Corpo vivo
di Gesù.
“Poi prese il calice, rese grazie e lo
diede loro, dicendo: bevetene tutti”. È
l’immagine della morte di Gesù. Per
vivere il messaggio di Gesù non basta
solo mangiare il Pane, ma occorre essere
fedeli fino ad essere capaci di affrontare
la persecuzione, l’ostilità,
l’incomprensione anche fino alla morte.
Poi disse Gesù presentando il Calice:
“questo è il mio sangue dell’alleanza”.
Nella cultura ebraica il sangue
rappresenta la vita. Per un ebreo non era
assolutamente possibile bere il sangue.
Bere il sangue significa che Gesù
penetra intimamente nell’uomo, lo
trasforma e lo rende come lui figlio di
Dio. La nuova alleanza è un impegno di
amore per gli altri fino alla morte. Con
Gesù il suo stesso sangue, il Vino, viene
bevuto.
Il sangue è quello che è versato per
molti per il perdono dei peccati.
Ciò significa che l’amore di Gesù, che
comunica con il suo calice, è lo Spirito,
la stessa vita di Dio, la sua stessa
capacità di amare. La cancellazione dei
peccati si ha dando adesione a Gesù che
si offre all’uomo per liberarlo dalle
colpe.
Per cancellare i peccati non è più
necessario offrire doni per la penitenza,
andare al tempio e partecipare a un rito
liturgico. Il vino nuovo è l’amore che
Gesù dimostra al momento della croce. Il giorno della morte di Gesù in cui si
manifesterà il suo Spirito. Dal
momento della croce in poi ci sarà
questo vino nuovo che Gesù berrà
nella sua nuova comunità.
Dice S. Matteo che dopo aver cantato
l’inno usciranno verso il monte degli
ulivi.
Nel libro dell’Esodo è scritto che è
proibito uscire la notte di Pasqua. I
discepoli escono e cantano anche gli
inni, che significa lodare Dio. È una
immagine priva di qualsiasi elemento
di tristezza. Gesù libera l’uomo da
ogni legge opprimente perché ha a
cuore solo ed esclusivamente il bene
dell’uomo.
Della cena pasquale non rimane
assolutamente niente. Gesù inaugura
qualcosa di completamente nuovo.
Gesù non uccide una vita ma offre la
sua vita; non toglie il pane ai
discepoli ma si offre lui come pane.
Gesù non chiede, ma dona. Per capire
ancora meglio il significato
dell’Eucarestia, incominciamo, con i
fanciulli, a liberarci da immagini e
parole non propriamente corrette. I
Cristiani celebrano la Cena del
Signore come dice S. Paolo o la
Frazione del Pane come dice San
Luca. Per cui non ci raccogliamo
davanti ad un altare. L’altare
presuppone un sacrificio da offrire a
Dio. Noi ci riuniamo intorno alla
Tavola con il significato di mensa.
Nella tavola cristiana è il Signore
Gesù che si offre ai suoi come
alimento di vita. Fino al IV secolo i
cristiani celebravano l’Eucarestia
nelle case. Gesù si fa servo perché noi
ci facciamo signori. Così si comporta
Gesù. Ricordiamo, come dice un
teologo che “Dio non è un
sostantivo, Dio è un verbo”. Se non
sperimentiamo queste dimensioni
della divinità siamo destinati a parlare
soltanto e non agire: solo parole e
niente cammino. Diciamo molto bene
quando cantiamo: “Il tuo popolo in
cammino cerca in te la Guida”. Solo
Gesù Eucaristia è la nostra certezza,
l’amore, la Guida.
È il mio augurio a voi fanciulli di
Prima Comunione.
Don Vincenzo
L’UMILTÀ DEI DUE PAPI
Da un’intervista a Mons. Capovilla
E’ vero che dopo la sua elezione a Papa, Francesco le ha telefonato?
Pensavo fosse uno scherzo perché era il primo d’aprile dello scorso anno. Verso sera squilla il telefono, io rispondo e dall'altra parte sento una voce: “Mons. Capovilla, sono papa Francesco”. Aveva fatto lui il numero, senza passare dal centralino, perché Mons. Camastri gli aveva dato un mio dépliant per l’Anno della fede nel quale è scritto: “Con papa Francesco, celebriamo il cinquantesimo di Pacem in terris (11 aprile 2013) e del transito di Giovanni XXIII (3 giugno 2013)”. “Lei mi invita a questo convito di memorie – mi ha detto Francesco – e io la ringrazio. Visto che siamo in conversazione – ha aggiunto – la prego di un favore: preghi papa Giovanni perché io diventi più buono”. Semplice come la preghiera di un bambino.
Sono molte le somiglianze con papa Giovanni XXIII.
Sì, devo confessare che al termine della mia vita tocco con mano che alcune intuizioni di papa Giovanni vengono oggi messe sul tappeto da papa Francesco. Nel discorso agli ambasciatori che hanno presentato le credenziali, lui ha detto che la Chiesa deve preoccuparsi in particolar modo degli ultimi. Ha ripetuto la stessa frase di papa Giovanni nel radiomessaggio un mese prima dell’apertura del Concilio, l’11 settembre: “La Chiesa è di tutti e nessuno è escluso, ma è particolarmente la Chiesa dei poveri”.
Qualcuno ha detto che questa è demagogia, ma dov'è la demagogia se tuo fratello muore di fame?
E’ un grande discorso che quelli che si vogliono chiamare cristiani devono vivificare dentro di loro: non accontentarsi solo di battere le mani al Papa.
I due pontefici sembrano simili anche negli atteggiamenti…
Anche Francesco avvicinando le persone non dà l’impressione di chiedersi se sia cattolico o se vada a Messa tutte le domeniche, ma per prima cosa vede in lui una creatura di Dio, un uomo, una persona che ha dei diritti inalienabili che sono il diritto all'ascolto e al rispetto, in ogni caso al buon rapporto, al tentativo dell’amicizia. Mi hanno colpito le immagini del Papa nel carcere minorile di Casal del Marmo il giovedì santo dello scorso anno: un vecchio prete inginocchiato a lavare i piedi di quei ragazzi, non spruzzando un po’ d’acqua, ma lavandoli davvero, baciandoli e guardando ogni ragazzo in volto. Uno di loro gli ha chiesto: “Cosa sei venuto a fare?”. “Sono venuto perché mi ha mandato l’amore – ha risposto Francesco -, perché mi devo occupare anche di te”. Ma non è questo che aspetta il mondo? Non è questo ciò in cui confidiamo
Insomma, da Papa testimone dell’amore di Dio…
Come dovrebbe essere per tutti noi. Nella mia camera più intima ho appeso le fotografie dei sette monaci di Tibhirine, i trappisti rapiti e trovati sgozzati il 30 maggio 1996, sepolti nel giardino del monastero, là dove avevano piantato semi di fede, di speranza e di amore. Sette martiri, testimoni di amore al Dio dell’alleanza da lui stabilita con l’umanità. Li guardo e penso che si può credere che l’amore è più forte dell’odio, la vita più forte della morte. E penso che ciò che è impossibile agli uomini sia possibile a Dio…
E’ vero che dopo la sua elezione a Papa, Francesco le ha telefonato?
Pensavo fosse uno scherzo perché era il primo d’aprile dello scorso anno. Verso sera squilla il telefono, io rispondo e dall'altra parte sento una voce: “Mons. Capovilla, sono papa Francesco”. Aveva fatto lui il numero, senza passare dal centralino, perché Mons. Camastri gli aveva dato un mio dépliant per l’Anno della fede nel quale è scritto: “Con papa Francesco, celebriamo il cinquantesimo di Pacem in terris (11 aprile 2013) e del transito di Giovanni XXIII (3 giugno 2013)”. “Lei mi invita a questo convito di memorie – mi ha detto Francesco – e io la ringrazio. Visto che siamo in conversazione – ha aggiunto – la prego di un favore: preghi papa Giovanni perché io diventi più buono”. Semplice come la preghiera di un bambino.
Sono molte le somiglianze con papa Giovanni XXIII.
Sì, devo confessare che al termine della mia vita tocco con mano che alcune intuizioni di papa Giovanni vengono oggi messe sul tappeto da papa Francesco. Nel discorso agli ambasciatori che hanno presentato le credenziali, lui ha detto che la Chiesa deve preoccuparsi in particolar modo degli ultimi. Ha ripetuto la stessa frase di papa Giovanni nel radiomessaggio un mese prima dell’apertura del Concilio, l’11 settembre: “La Chiesa è di tutti e nessuno è escluso, ma è particolarmente la Chiesa dei poveri”.
Qualcuno ha detto che questa è demagogia, ma dov'è la demagogia se tuo fratello muore di fame?
E’ un grande discorso che quelli che si vogliono chiamare cristiani devono vivificare dentro di loro: non accontentarsi solo di battere le mani al Papa.
I due pontefici sembrano simili anche negli atteggiamenti…
Anche Francesco avvicinando le persone non dà l’impressione di chiedersi se sia cattolico o se vada a Messa tutte le domeniche, ma per prima cosa vede in lui una creatura di Dio, un uomo, una persona che ha dei diritti inalienabili che sono il diritto all'ascolto e al rispetto, in ogni caso al buon rapporto, al tentativo dell’amicizia. Mi hanno colpito le immagini del Papa nel carcere minorile di Casal del Marmo il giovedì santo dello scorso anno: un vecchio prete inginocchiato a lavare i piedi di quei ragazzi, non spruzzando un po’ d’acqua, ma lavandoli davvero, baciandoli e guardando ogni ragazzo in volto. Uno di loro gli ha chiesto: “Cosa sei venuto a fare?”. “Sono venuto perché mi ha mandato l’amore – ha risposto Francesco -, perché mi devo occupare anche di te”. Ma non è questo che aspetta il mondo? Non è questo ciò in cui confidiamo
Insomma, da Papa testimone dell’amore di Dio…
Come dovrebbe essere per tutti noi. Nella mia camera più intima ho appeso le fotografie dei sette monaci di Tibhirine, i trappisti rapiti e trovati sgozzati il 30 maggio 1996, sepolti nel giardino del monastero, là dove avevano piantato semi di fede, di speranza e di amore. Sette martiri, testimoni di amore al Dio dell’alleanza da lui stabilita con l’umanità. Li guardo e penso che si può credere che l’amore è più forte dell’odio, la vita più forte della morte. E penso che ciò che è impossibile agli uomini sia possibile a Dio…
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ANNO XXVIII - N.329
LE EUROPEE DELL’ASTENSIONE
Le cifre, i numeri sono molto più
veritieri delle opinioni. I numeri
non mentono. Nel nostro paese,
Ruvo di Puglia, l’affluenza ai seggi è
stata appena del 46,3%, mentre nel
2009 ascendeva al 68,2%. In cinque
anni l’astensione alle urne per il
rinnovo del Parlamento europeo è
aumentata di circa il 22 %. Un
numero abnorme che dovrebbe
seriamente preoccupare i politici
locali, i quali, invece, preferiscono
tenersi stretti i propri numerini e
sbandierarli come trofei. E c’è chi
esprime pure enorme soddisfazione.
Se non ci fosse materia su cui
piangere, potremmo sorridere, anzi
sganasciarci dalle risate. Il vero dato
da valutare non sono le percentuali
raggiunte dai partiti, ma quel 22% in
più che suona come un ceffone alla
politica, di destra, di sinistra, di centro
o non schierata. Il 54% dei ruvesi
aventi diritto di voto (20.862) non si
sono recati ai seggi. Fatti i conti, si
tratta di ben 11.265 ruvesi che hanno
dato buca, per usare un termine
colorito. Hanno preferito starsene a
casa o andare al mare o in campagna.
Al di là della retorica del “chi non
partecipa ha sempre torto”, che pure
ha una sua giustificazione, va detto
che l’astensione è anch’essa
l’espressione di un sentimento, di una
distanza, di un dissenso rispetto al
mondo/teatrino della politica, di una
sfiducia verso le caste che tendono a
perpetuare i propri privilegi, semmai
dando l’impressione che vi si vuole
rinunciare. Ed è un elemento che va
democraticamente preso in seria
considerazione perché è comunque
sintomo inequivocabile di un sistema
o regime che non intercetta i bisogni
e le attese di tantissimi cittadine e
cittadini, che non fornisce loro
risposte soddisfacenti in termini di
lavoro, servizi sociali, sanità, scuola,
etc.. Se al dato allarmante
dell’astensione aggiungiamo i dati
delle schede bianche (123) e nulle
(396), il quadro non è affatto idilliaco.
Pertanto, chi usa toni trionfalistici,
sappia che non c’è molto da
festeggiare. Tutt’altro.
Un’altra considerazione: la divisione
non porta a nulla di buono. La
dispersione dei cosiddetti moderati fa
il gioco delle altre parti. Anche in
questo caso facciamo quattro conti.
Forza Italia (1.791), Nuovo Centro
Destra – Unione di Centro (501),
Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale
(444), insieme, avrebbero portato a
casa un risultato meno deludente. Si
sono comportati come quel coratino
che, per fare un dispetto a sua
moglie, se lo tranciò di netto.
Contenti loro, contenti tutti.
Salvatore Bernocco
Salvatore Bernocco
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ANNO XXVIII - N.329
DARIO FO INTERROGATO
Che giudizio ha di Papa Francesco?
E’ un personaggio straordinario.
Perché?
Innanzitutto ha capito che il più scomodo fra tutti i santi era san Francesco.
In che senso?
San Francesco a quarant’anni dalla sua morte è stato censurato e la chiesa cattolica apostolica romana ha inventato un altro santo cancellando e seppellendo l’originale. Addirittura adoperando altri santi per rimpiazzarlo con storie che la chiesa voleva appiccicare a san Francesco.
Scomodo perché?
San Francesco da ragazzo aveva partecipato a una rivolta straordinaria, era stato in galera, aveva combattuto per la libertà del suo paese, era stato fatto prigioniero, ferito. Tutto questo, però, è stato cancellato, la gente non lo sa. E al posto di questa storia hanno messo racconti che non c’entrano niente con lui. San Francesco da ragazzino aveva tradito la famiglia, la classe a cui apparteneva, si era buttato alla distruzione totale delle torri di Assisi e alla cacciata dei nobili e dei potenti della sua città. Si era messo nelle liste per diventare soldato, fu catturato, ferito e portato in galera rimanendoci un anno. Da lì, però, è partita la sua conversione che col tempo lo portò “a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore”…
Ma c’è un papa, maestro, a cui si sente più vicino?
Sicuramente papa Francesco, anche se la parola “vicino” è particolarmente importante… Papa Bergoglio ha capito che per poter vestire i panni e assumere il linguaggio, i significati e soprattutto la politica di san Francesco bisognava fare un salto mortale e rischiare. Non bisogna mai dimenticare che lui è entrato in un momento di grande crisi della chiesa, comprese le dimissioni di papa Ratzinger. Lui, allora, parla come Francesco, ma il Francesco censurato. Ad esempio le cose che dice sull’uso del potere, del denaro, sull’ipocrisia e la calunnia le trae dal Francesco originale… Quando uno ha la grande forza di costringere i politici italiani a levarsi dal letto alle sei del mattino per assistere alla sua messa non può non essere un grande… E in quell’occasione tiene un discorso “violento” dipingendo i politici corrotti come esseri indegni che cancellano ogni diritto e logica di giustizia disinteressandosi della disperazione dei poveri… Formidabile, roba da non crederci.
E’ un personaggio straordinario.
Perché?
Innanzitutto ha capito che il più scomodo fra tutti i santi era san Francesco.
In che senso?
San Francesco a quarant’anni dalla sua morte è stato censurato e la chiesa cattolica apostolica romana ha inventato un altro santo cancellando e seppellendo l’originale. Addirittura adoperando altri santi per rimpiazzarlo con storie che la chiesa voleva appiccicare a san Francesco.
Scomodo perché?
San Francesco da ragazzo aveva partecipato a una rivolta straordinaria, era stato in galera, aveva combattuto per la libertà del suo paese, era stato fatto prigioniero, ferito. Tutto questo, però, è stato cancellato, la gente non lo sa. E al posto di questa storia hanno messo racconti che non c’entrano niente con lui. San Francesco da ragazzino aveva tradito la famiglia, la classe a cui apparteneva, si era buttato alla distruzione totale delle torri di Assisi e alla cacciata dei nobili e dei potenti della sua città. Si era messo nelle liste per diventare soldato, fu catturato, ferito e portato in galera rimanendoci un anno. Da lì, però, è partita la sua conversione che col tempo lo portò “a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore”…
Ma c’è un papa, maestro, a cui si sente più vicino?
Sicuramente papa Francesco, anche se la parola “vicino” è particolarmente importante… Papa Bergoglio ha capito che per poter vestire i panni e assumere il linguaggio, i significati e soprattutto la politica di san Francesco bisognava fare un salto mortale e rischiare. Non bisogna mai dimenticare che lui è entrato in un momento di grande crisi della chiesa, comprese le dimissioni di papa Ratzinger. Lui, allora, parla come Francesco, ma il Francesco censurato. Ad esempio le cose che dice sull’uso del potere, del denaro, sull’ipocrisia e la calunnia le trae dal Francesco originale… Quando uno ha la grande forza di costringere i politici italiani a levarsi dal letto alle sei del mattino per assistere alla sua messa non può non essere un grande… E in quell’occasione tiene un discorso “violento” dipingendo i politici corrotti come esseri indegni che cancellano ogni diritto e logica di giustizia disinteressandosi della disperazione dei poveri… Formidabile, roba da non crederci.
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ANNO XXVIII - N.329
SCOMPARSO L’ARTISTA VITO ZAZA
Il 5 maggio si è
spento a seguito di
una grave malattia lo
scultore molfettese
Vito Zaza nato nel
1939, uno degli artisti
contemporanei più
apprezzati dalla critica.
“Un’arte - la sua - ove
è possibile pescare
tensioni differenti sotto
cifre passate e
presenti, ma tuttora
velata dalla sacralità
che ad essa si accosta con una
dose di devozione che prescinde
dai tempi, con la contemplazione –
cioè – di chi si trova di fronte ad un
mistero profondo,
intessuto delle
imperturbabili
problematiche che
l’umana esistenza non
ha risolto, dacchè i
tempi furono
dall’uomo organizzati
per essere tradotti in
“presente”,
“documento” e
“STORIA” (Gaetano
Mongelli). E’ suo
l’altare nel presbiterio
della nostra chiesa, ultimo ad
essere consacrato dal nostro
Vescovo Don Tonino il 5 Aprile
1992.
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ANNO XXVIII - N.329
Nel tempo e nello spazio di Dio
Portati felicemente a termine
alcune scadenze in
ordine ai
Sacramenti: è avvenuto
per la Prima Confessione
dei fanciulli di 3^
elementare e i ragazzi di 2^
media che hanno ricevuto la
Cresima. I primi e i secondi
si sono ritrovati a Calentano
per il ritiro spirituale e il
giorno 24 il vescovo don Gino
ha amministrato la Cresima.
Buona la partecipazione di
genitori e padrini ai sacri riti.
Si sono svolti regolarmente gli
incontri preparatori e la catechesi a tutti i
livelli: dai genitori alle Associate alla
Madonna del Buon Consiglio.
Partecipata come non mai la novena a S.
Rita che è culminata con il giorno della
festa il 22 maggio e la partecipazione è
stata così numerosa da dover procedere
alla benedizione delle rose per gli
ammalati, fuori della chiesa in
Piazza Castello. Puntualmente
si sono tenuti gli incontri per i
giovani e per alcune iniziative
a carattere ricreativo.
I momenti dell’Adorazione
eucaristica sono stati portati
a compimento dai vari
aderenti al Gruppo
Eucaristico e a quello di P.
Pio. La conclusione del
mese di maggio si è avuta
in Via Pio XII, un quartiere
dove ci sono più anziani
e ammalati. Anche con i
catechisti si sono avuti incontri per
la conclusione dell’anno. Come ogni
mese e le domeniche dopo Pasqua si
sono tenute celebrazioni della Parola,
eucaristiche, penitenziali, convivenza ed
evangelizzazione in Piazza nelle
domeniche dopo Pasqua dalle tre
Comunità neo-catecumenali.
LUCA
LUCA
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