CON MARIA PER UN FELICE CAMMINO QUARESIMALE
Miei Cari,
credo che anche per chi non ha fede, non può sottrarsi all’arcano clima che pervade quell’angolo di cielo che è a Lourdes. 2008: un anno giubilare per ricordare le apparizioni della Vergine che anche a noi ripete:‘“Venite alla fonte e lavatevi”; queste parole risuonano come un invito ad immergerci ancora una volta nel mistero di un luogo che continua a richiamare tantissimi pellegrini da tutto il mondo.
Anche se non costituiscono delle verità da credersi viene da chiederci: “che senso hanno queste apparizioni? Quale il loro significato anche per noi oggi?” Scrive René Laurentin che “per comprenderlo bisogna riferirsi alle parole e ai segni del Vangelo stesso. Un’apparizione, infatti, non è una nuova rivelazione, ma parziale richiamo al Vangelo, la sottolineatura di un punto della buona novella, un grido per farlo intendere ai sordi. Lourdes attualizza gli aspetti fondamentali del Vangelo: il battesimo di penitenza di Giovanni il battista, la conversione, la preghiera, la beatitudine dei poveri. Il messaggio è espresso con segni o ragionamenti in quattro parole: povertà, preghiera, penitenza, grazia”.
Povertà - È quella di Bernardette, la cui esistenza ci ricorda che “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor. 1, 27-28), e che Egli ci ama così come siamo, con le nostre ferite, le nostre fragilità, i nostri limiti.
Preghiera - È la consegna che la Vergine fa a Bernardette, nel segno di quel rosario che accompagna ogni visita alla grotta e che da allora, ininterrottamente, risuona in tutte le lingue, sulla bocca di piccoli e di grandi, come espressione di fiducia, di fede, di affidamento, di invocazione.
Penitenza - Cioè conversione, adesione del cuore a Colui che ci è maestro e Guida nel cammino della vita. La cappella delle confessioni, fa di Lourdes un luogo di purificazione e di ritorno a Dio, una “piscina” le cui origini fanno rinascere continuamente a vita nuova.
Grazia - Donata in abbondanza quale segno della benevolenza di Dio che si china sulle sue creature per svelare loro il suo amore. È quella grazia della quale l’Inviata del cielo è ricolma fin dal momento del Suo concepimento e che fa risplendere dinanzi agli uomini come segno e modello di ciò che Dio desidera per ogni suo figlio. È Lei a ricordarci che tutto è dono, tutto è grazia.
Queste quattro parole vengono consegnate, miei Cari, a ciascuno di noi per entrare nel mistero di quella grotta. Ognuno di noi le faccia sue, modulate nell’esperienza personale, ma sempre tese ad avvicinarle alla Madre la cui presenza in questo luogo è tutta e sempre orientata a Cristo.
Alla Vergine di Lourdes, che quest’anno la nostra comunità ha eletto come celeste Protettrice, affidiamo i nostri passi nel cammino verso Cristo, luce che non tramonta.
Don Vincenzo
Una rigenerante Quaresima?
Lasciati condurre nel deserto, lasciati “sorprendere” dalla vita
Puoi trovare il deserto ovunque. Prima di te è andato Lui, il Cristo dei 40 giorni. L’esperienza del deserto si svolse come tu sai: il digiuno, la fame, la tentazione, la rivincita dello spirito sulle attrattive mondane.
Per te entrare nel deserto, in Quaresima, non vuol dire spostarti dalla casa che abiti, dalla professione che eserciti. Non significa abbandonare famiglia e amici.
Il deserto lo trovi ovunque, anche in città. Il tuo viaggio verso le dune silenziose e le aride steppe è, evidentemente, un andare nella tua interiorità per ritrovare te stesso, la creatura che Dio volle e sognò che tu fossi. Non aver paura di scendere verso te stesso. Il deserto di cui parliamo non significa assenza d’uomini ma presenza di Dio e di tutti i beni.
Esci da te stesso Carlo Carretto fu presidente dell’Azione Cattolica, giornate laboriose, su e giù per la Penisola, le folle, la passione per il Vangelo e tante cose belle.
Dio lo sorprese. Perché, saprai certo che Dio è novità, è creatività. Un bel giorno Carlo lasciò Roma. Lui, il viaggio lo fece davvero. Ma dovette anzitutto uscire da se stesso, liberarsi anche del bene. Quando Dio ti fa vedere “il meglio”, tu devi
lasciare “il bene” che fai. L’uomo è sempre proiettato verso l’ulteriore, mai sazio delle mete raggiunte. Carlo Carretto se ne andò a pregare, meditare, digiunare nel deserto del Sahara, che è nell’Africa. Ci stette molti anni e, quando tornò, salì a Castelgandolfo da Giovanni XXIII. Il Papa gli chiese se quella vocazione del deserto era maturata lentamente. Carlo rispose che no: “Fu di sorpresa che Dio mi ha chiamato. Non avevo mai pensato al deserto africano”. Il Papa sorrise e confidò: “Capita…. E si va a finire là dove non s’era mai pensato… Anche a me è capitato…, non ci avevo mai pensato”. E il Papa continuò a sorridere, guardando lontano da una finestra che dava sul lago di Castelgandolfo.
Carlo Carretto ha raccontato la sua esperienza nel libro “Il deserto nella città”. L’esperienza del deserto, per te, in questa Quaresima, richiede due o tre mosse, senza doverti scomodare o cercare agenzie di viaggio per il biglietto last
minute. Tu devi semplicemente chinare il capo, e meglio farai se ti porrai in ginocchio: il te stesso che cerchi è lì, e alla stessa altezza c’è Dio. Lo sai, tu ti abbassi e Dio si abbassa: lì, Dio e gli umili di cuore si intendono a meraviglia.
L’esperienza dell’ascolto
Ricorderai, in questa Quaresima-deserto, l’uscita degli ebrei schiavi dall’Egitto per divenire popolo di Dio. Entrarono nel deserto. Qualcuno si voltò indietro, qualche altro si ribellò contro Mosé, obiettandogli che le rive del Nilo ricche di frumenti erano meglio delle aride dune.
E non immaginavano che il cammino del deserto era l’incubazione per un’esistenza nuova, una ri-nascita nel segno dell’era messianica. Nel tuo piccolo, nella tua persona, si è già verificata la nuova creazione. Pensa al battesimo, meraviglia della grazia. Immaginati anche senza battesimo, senza fede, senza quel Dio che ti ama. La tua vita
è un miracolo. Come fai a non gioirne?
Ora, cosa vuol dire fare l’esperienza del deserto nella Quaresima? Ti ho suggerito poche mosse, un po’ scherzosamente. Ti ci vuole l’esperienza di ascolto. La preghiera sia ascolto, un abbandonarsi nel Signore come un bimbo nelle braccia della mamma. Non tematizzare tutto, non dare corpo alle ombre. Dio semplifica, non complica. Conosci “Il cammino semplice?”. Fu la spiritualità di Madre Teresa di Calcutta.
Semplice con Dio, semplice con la gente. Il deserto l’aveva sbozzata tutta fede e preghiera. Diceva: “Io sono una che prega”. Stop. Ma pregava con l’anima.
Tu non piegherai le ginocchia tanto per sbucciartele. Parlerai con Dio, ma attivandoti nel contempo per chi soffre, piange, ha fame. Il tuo deserto sia ad alta densità demografica!
D.C.
Puoi trovare il deserto ovunque. Prima di te è andato Lui, il Cristo dei 40 giorni. L’esperienza del deserto si svolse come tu sai: il digiuno, la fame, la tentazione, la rivincita dello spirito sulle attrattive mondane.
Per te entrare nel deserto, in Quaresima, non vuol dire spostarti dalla casa che abiti, dalla professione che eserciti. Non significa abbandonare famiglia e amici.
Il deserto lo trovi ovunque, anche in città. Il tuo viaggio verso le dune silenziose e le aride steppe è, evidentemente, un andare nella tua interiorità per ritrovare te stesso, la creatura che Dio volle e sognò che tu fossi. Non aver paura di scendere verso te stesso. Il deserto di cui parliamo non significa assenza d’uomini ma presenza di Dio e di tutti i beni.
Esci da te stesso Carlo Carretto fu presidente dell’Azione Cattolica, giornate laboriose, su e giù per la Penisola, le folle, la passione per il Vangelo e tante cose belle.
Dio lo sorprese. Perché, saprai certo che Dio è novità, è creatività. Un bel giorno Carlo lasciò Roma. Lui, il viaggio lo fece davvero. Ma dovette anzitutto uscire da se stesso, liberarsi anche del bene. Quando Dio ti fa vedere “il meglio”, tu devi
lasciare “il bene” che fai. L’uomo è sempre proiettato verso l’ulteriore, mai sazio delle mete raggiunte. Carlo Carretto se ne andò a pregare, meditare, digiunare nel deserto del Sahara, che è nell’Africa. Ci stette molti anni e, quando tornò, salì a Castelgandolfo da Giovanni XXIII. Il Papa gli chiese se quella vocazione del deserto era maturata lentamente. Carlo rispose che no: “Fu di sorpresa che Dio mi ha chiamato. Non avevo mai pensato al deserto africano”. Il Papa sorrise e confidò: “Capita…. E si va a finire là dove non s’era mai pensato… Anche a me è capitato…, non ci avevo mai pensato”. E il Papa continuò a sorridere, guardando lontano da una finestra che dava sul lago di Castelgandolfo.
Carlo Carretto ha raccontato la sua esperienza nel libro “Il deserto nella città”. L’esperienza del deserto, per te, in questa Quaresima, richiede due o tre mosse, senza doverti scomodare o cercare agenzie di viaggio per il biglietto last
minute. Tu devi semplicemente chinare il capo, e meglio farai se ti porrai in ginocchio: il te stesso che cerchi è lì, e alla stessa altezza c’è Dio. Lo sai, tu ti abbassi e Dio si abbassa: lì, Dio e gli umili di cuore si intendono a meraviglia.
L’esperienza dell’ascolto
Ricorderai, in questa Quaresima-deserto, l’uscita degli ebrei schiavi dall’Egitto per divenire popolo di Dio. Entrarono nel deserto. Qualcuno si voltò indietro, qualche altro si ribellò contro Mosé, obiettandogli che le rive del Nilo ricche di frumenti erano meglio delle aride dune.
E non immaginavano che il cammino del deserto era l’incubazione per un’esistenza nuova, una ri-nascita nel segno dell’era messianica. Nel tuo piccolo, nella tua persona, si è già verificata la nuova creazione. Pensa al battesimo, meraviglia della grazia. Immaginati anche senza battesimo, senza fede, senza quel Dio che ti ama. La tua vita
è un miracolo. Come fai a non gioirne?
Ora, cosa vuol dire fare l’esperienza del deserto nella Quaresima? Ti ho suggerito poche mosse, un po’ scherzosamente. Ti ci vuole l’esperienza di ascolto. La preghiera sia ascolto, un abbandonarsi nel Signore come un bimbo nelle braccia della mamma. Non tematizzare tutto, non dare corpo alle ombre. Dio semplifica, non complica. Conosci “Il cammino semplice?”. Fu la spiritualità di Madre Teresa di Calcutta.
Semplice con Dio, semplice con la gente. Il deserto l’aveva sbozzata tutta fede e preghiera. Diceva: “Io sono una che prega”. Stop. Ma pregava con l’anima.
Tu non piegherai le ginocchia tanto per sbucciartele. Parlerai con Dio, ma attivandoti nel contempo per chi soffre, piange, ha fame. Il tuo deserto sia ad alta densità demografica!
D.C.
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ANNO XXII - N.2
LE CENERI
Iniziando la quaresima, questo tempo di Dio e degli uomini, Gesù conferma e rilancia tre atteggiamenti della vita cristiana, già presenti presso gli ebrei: la necessità della preghiera, l’esigenza del digiuno e la bontà della condivisione dei beni con i poveri.
Gesù non le chiama propriamente opere buone, ma “giustizia”. Ciò che è giusto fare per vivere bene con Dio e i fratelli. Ora anche questi atteggiamenti possono essere vissuti in vari modi: per amore, per abitudine, per piacere a Dio, per dovere, per sensi di colpa, per farsi veder dagli altri. Gesù va proprio al centro della questione: come e perché preghiamo, digiuniamo e condividiamo i nostri beni con i poveri? Punta all’essenziale, che poi è vitale: qual è la motivazione che ci spinge a vivere questi
atteggiamenti?
Per iniziare bene e vivere la quaresima, è importante che ciascuno di noi si prenda un po’ di tempo per chiarire la motivazione che sta alla base della scelta di pregare un po’ di più e meglio, di praticare sinceramente il digiuno e di solidarizzare con i poveri in modo più vero e giusto.
L’invito di Gesù è di pregare nella stanza del proprio cuore, perché Dio si incontra là. Una stanza che ha le porte aperte perché altri possano entrare con le loro storie e vicende.
Una stanza che ha le finestre spalancate perché si possa vedere lontano, la vita e i drammi di chi soffre ed è calpestato nei suoi diritti.
Una stanza bella e luminosa, perché accogliente verso Dio e ogni uomo.
Infine Gesù ci mette in guardia da una patologia dello spirito che può prendere tutti: l’ipocrisia. Questo tempo di quaresima sia per tutti noi tempo di verità si noi stessi e sul nostro quotidiano farci discepoli del Signore Gesù.
Valentino Sguotti
Gesù non le chiama propriamente opere buone, ma “giustizia”. Ciò che è giusto fare per vivere bene con Dio e i fratelli. Ora anche questi atteggiamenti possono essere vissuti in vari modi: per amore, per abitudine, per piacere a Dio, per dovere, per sensi di colpa, per farsi veder dagli altri. Gesù va proprio al centro della questione: come e perché preghiamo, digiuniamo e condividiamo i nostri beni con i poveri? Punta all’essenziale, che poi è vitale: qual è la motivazione che ci spinge a vivere questi
atteggiamenti?
Per iniziare bene e vivere la quaresima, è importante che ciascuno di noi si prenda un po’ di tempo per chiarire la motivazione che sta alla base della scelta di pregare un po’ di più e meglio, di praticare sinceramente il digiuno e di solidarizzare con i poveri in modo più vero e giusto.
L’invito di Gesù è di pregare nella stanza del proprio cuore, perché Dio si incontra là. Una stanza che ha le porte aperte perché altri possano entrare con le loro storie e vicende.
Una stanza che ha le finestre spalancate perché si possa vedere lontano, la vita e i drammi di chi soffre ed è calpestato nei suoi diritti.
Una stanza bella e luminosa, perché accogliente verso Dio e ogni uomo.
Infine Gesù ci mette in guardia da una patologia dello spirito che può prendere tutti: l’ipocrisia. Questo tempo di quaresima sia per tutti noi tempo di verità si noi stessi e sul nostro quotidiano farci discepoli del Signore Gesù.
Valentino Sguotti
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ANNO XXII - N.2
CATTIVI MAESTRI E ZUCCHE VUOTE
“Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro”.
Con queste parole estremamente laiche e rispettose termina l’allocuzione che Benedetto XVI non ha potuto pronunciare all’Università La Sapienza di Roma, a causa delle insulse proteste di un manipolo di professori e studenti dei cosiddetti “collettivi”. Cosa sono i “collettivi”? Sentite come si definiscono i collettivi di quella Università: ”Vogliamo un’università libera e critica, in cui muoverci da persone e non da utenti, che produca saperi di pace e non di guerra, senza crediti, né frenesie ad essi riconducibili, senza numeri chiusi né lobbies accademiche, senza centri d’eccellenza, ma dove il fiore all’occhiello sia la contaminazione culturale e la possibilità di costruire una propria consapevolezza di Sapere”. Il grassetto è mio, perché mi preme evidenziare l’abisso fra i pronunciamenti e la prassi. I fatti parlano chiaro: si è creato ad arte - per giunta tirando in ballo in modo capzioso la vicenda di Galilei -, un clima di intolleranza verso il capo della Chiesa cattolica, un uomo che parla di pace, che produce “saperi di pace e non di guerra”. Quel clima assurdo e torbido che ha scosso le coscienze libere di tutto il mondo, ha indotto il Papa a declinare l’invito che pure gli era stato rivolto dal Senato Accademico. Il Papa è realmente un uomo di pace che promuove la cultura della pace e dell’amore universale. È fuori di ogni logica e del buon senso, della laicità e della razionalità, aver intorbidato le acque fino al punto di esporre l’Italia ad un ennesima pessima figura sul piano mondiale.
Dopo la triste vicenda dei rifiuti di Napoli, la protesta di Roma, anch’essa una sorta di rifiuto. Il rifiuto dell’ascolto, dell’accoglienza, della buona creanza, della tolleranza, della cultura. Ce n’è abbastanza per annoverare quei docenti fra i “cattivi maestri”, e quegli studenti fra le “zucche vuote”.
Salvatore Bernocco
Con queste parole estremamente laiche e rispettose termina l’allocuzione che Benedetto XVI non ha potuto pronunciare all’Università La Sapienza di Roma, a causa delle insulse proteste di un manipolo di professori e studenti dei cosiddetti “collettivi”. Cosa sono i “collettivi”? Sentite come si definiscono i collettivi di quella Università: ”Vogliamo un’università libera e critica, in cui muoverci da persone e non da utenti, che produca saperi di pace e non di guerra, senza crediti, né frenesie ad essi riconducibili, senza numeri chiusi né lobbies accademiche, senza centri d’eccellenza, ma dove il fiore all’occhiello sia la contaminazione culturale e la possibilità di costruire una propria consapevolezza di Sapere”. Il grassetto è mio, perché mi preme evidenziare l’abisso fra i pronunciamenti e la prassi. I fatti parlano chiaro: si è creato ad arte - per giunta tirando in ballo in modo capzioso la vicenda di Galilei -, un clima di intolleranza verso il capo della Chiesa cattolica, un uomo che parla di pace, che produce “saperi di pace e non di guerra”. Quel clima assurdo e torbido che ha scosso le coscienze libere di tutto il mondo, ha indotto il Papa a declinare l’invito che pure gli era stato rivolto dal Senato Accademico. Il Papa è realmente un uomo di pace che promuove la cultura della pace e dell’amore universale. È fuori di ogni logica e del buon senso, della laicità e della razionalità, aver intorbidato le acque fino al punto di esporre l’Italia ad un ennesima pessima figura sul piano mondiale.
Dopo la triste vicenda dei rifiuti di Napoli, la protesta di Roma, anch’essa una sorta di rifiuto. Il rifiuto dell’ascolto, dell’accoglienza, della buona creanza, della tolleranza, della cultura. Ce n’è abbastanza per annoverare quei docenti fra i “cattivi maestri”, e quegli studenti fra le “zucche vuote”.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXII - N.2
Lourdes: un invito alla conversione del cuore
L’11 febbraio 1858 la Vergine Maria apparve a Bernadette Soubirous nella grotta di Massabielle, nei pressi della città di Lourdes. Sono trascorsi 150 anni da allora, ma l’invito della Vergine alla penitenza è attuale, intendendo per penitenza l’imbocco di un cammino di conversione del cuore. Quando sentiamo parlare di penitenza, ci irrigidiamo e ci facciamo anche un po’ tristi. Associamo infatti la penitenza a qualche sacrificio, ai fioretti di una volta, al cilicio, nei casi estremi. Il colore che inconsciamente colleghiamo alla penitenza è il nero o il grigio, mai il bianco o l’azzurro.
Nella penitenza si annida qualcosa di tetro. Il volto si fa mesto, mentre dovrebbe risplendere di nuova luce perché la mèta è la gioia. Dio non vuole sacrifici, vuole che ci si occupi delle vedove e degli orfani, cioè di tutti coloro che vivono in una condizione di disagio. L’unico sacrificio richiesto è quello di occuparsi degli altri, il che dà gioia.
Delle preghiere non sa che farsene: «“Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?” dice il Signore.”
Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri?
Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli.
Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”» (Is 1, 11-17).
Si tratta quindi di diventare immacolati come lei nel senso della carità, dell’amore, mettendo in pratica le beatitudini evangeliche, nella scia di quanto scrive Paolo nella lettera agli Efesini: “Benedetto sia Dio, Padre del
Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità”. Immacolati nella carità, testimoni dell’amore, nemici del peccato dell’uomo, non dell’uomo che pecca. Pentirsi significa abbandonare gli idoli ed abbracciare l’unico Dio che può salvare. Un abbraccio d’amore, per niente soffocante: Cristo è stato nemico acerrimo della religione intesa come involucro, insieme di regole e prescrizioni che non liberano ed affossano gli uomini. Del resto, come si legge in un sito web dedicato a Lourdes, “le Apparizioni non
aggiungono nulla al Credo né al Vangelo: ne sono però un richiamo in un’epoca che ha tendenza a dimenticarli, come se si trattasse di una Visita profetica al nostro mondo.
Dio non ci fa convergere su ciò che è meraviglioso o straordinario: con le Apparizioni ci indica semplicemente di ritornare al Vangelo che è la parola di suo Figlio, la Parola di vita”.
S.B.
Nella penitenza si annida qualcosa di tetro. Il volto si fa mesto, mentre dovrebbe risplendere di nuova luce perché la mèta è la gioia. Dio non vuole sacrifici, vuole che ci si occupi delle vedove e degli orfani, cioè di tutti coloro che vivono in una condizione di disagio. L’unico sacrificio richiesto è quello di occuparsi degli altri, il che dà gioia.
Delle preghiere non sa che farsene: «“Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?” dice il Signore.”
Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri?
Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli.
Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”» (Is 1, 11-17).
Si tratta quindi di diventare immacolati come lei nel senso della carità, dell’amore, mettendo in pratica le beatitudini evangeliche, nella scia di quanto scrive Paolo nella lettera agli Efesini: “Benedetto sia Dio, Padre del
Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità”. Immacolati nella carità, testimoni dell’amore, nemici del peccato dell’uomo, non dell’uomo che pecca. Pentirsi significa abbandonare gli idoli ed abbracciare l’unico Dio che può salvare. Un abbraccio d’amore, per niente soffocante: Cristo è stato nemico acerrimo della religione intesa come involucro, insieme di regole e prescrizioni che non liberano ed affossano gli uomini. Del resto, come si legge in un sito web dedicato a Lourdes, “le Apparizioni non
aggiungono nulla al Credo né al Vangelo: ne sono però un richiamo in un’epoca che ha tendenza a dimenticarli, come se si trattasse di una Visita profetica al nostro mondo.
Dio non ci fa convergere su ciò che è meraviglioso o straordinario: con le Apparizioni ci indica semplicemente di ritornare al Vangelo che è la parola di suo Figlio, la Parola di vita”.
S.B.
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ANNO XXII - N.2
Nel Mese
Con gioia demmo inizio al nuovo anno con l’invocazione allo Spirito Santo e la proclamazione della Vergine di Lourdes a particolare protettrice del 2008. Vivemmo delle serate molto belle di fraternità durante le vacanze natalizie e la processione del Bambino Gesù e i doni della Befana diedero felice conclusione al periodo di Natale.
Ripreso il lavoro ordinario della catechesi e degli incontri formativi a tutti i livelli, mentre si diede anche l’avvio alle catechesi promosse dal Cammino Neo-Catecumenale; un numero rilevante sta partecipando con molto interesse e proseguiranno fino alla Pasqua. Fu regolarmente iniziato il percorso di fede per i fidanzati che quest’anno celebreranno il sacramento del matrimonio. Il parroco poi si allontanò per gli esercizi Spirituali che si tennero a Loreto. L’adorazione mensile fu animata come sempre dalle associazioni eucaristiche, mentre non mancò la preghiera per l’unità dei cristiani nell’ottavario che si concluse il 25. La sera del 31 infine la comunità si ritrovò come ogni anno per una solenne celebrazione in onore di S. Ciro.
Luca
Ripreso il lavoro ordinario della catechesi e degli incontri formativi a tutti i livelli, mentre si diede anche l’avvio alle catechesi promosse dal Cammino Neo-Catecumenale; un numero rilevante sta partecipando con molto interesse e proseguiranno fino alla Pasqua. Fu regolarmente iniziato il percorso di fede per i fidanzati che quest’anno celebreranno il sacramento del matrimonio. Il parroco poi si allontanò per gli esercizi Spirituali che si tennero a Loreto. L’adorazione mensile fu animata come sempre dalle associazioni eucaristiche, mentre non mancò la preghiera per l’unità dei cristiani nell’ottavario che si concluse il 25. La sera del 31 infine la comunità si ritrovò come ogni anno per una solenne celebrazione in onore di S. Ciro.
Luca
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ANNO XXII - N.2
23 Febbraio: nell’ambito del cammino Quaresimale ci ritroveremo nella Basilica di S. Eustorgio in Milano per una solenne celebrazione Eucaristica con i ruvesi e i nostri concittadini residenti nell’interland milanese in occasione della esposizione delle sculture in cartapesta dal ‘500 al ‘900.
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ANNO XXII - N.2
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