Annotazioni con altrettanta chiarezza
Sollecitato da più parti e persone interessate all’argomento, trattato per altro nella mia pubblicazione “Ruvo Sacra”(Fasano, 1994, p. 211) torno a riparlarne dal momento che ci si affida molto spesso alle ali della fantasia più che alle fonti storiche sia pure scarne e che non autorizzano a propalare leggende che nulla hanno a che fare con la fede e il progresso di essa. Soprattutto dopo l’evento di eccezionale portata qual è stato il II Concilio Vaticano: se sia da far prevalere l’aspetto pastorale della manifestazione di fede, come tenacemente vollero i vescovi Mons. Antonio Bello e Mons. Donato Negro negli anni successivi all’episcopato di Mons. Aurelio Marena.
Il culto eucaristico in Ruvo
Con certezza andò sviluppandosi nel ‘500 quando sorse la Confraternita del SS. Sacramento presente in Cattedrale. Non si conosce l’anno di fondazione. Essa è comunque già attiva nel 1543 quando fu aggregata all’arciconfraternita romana del Santissimo in Santa Maria sopra Minerva a Roma, al tempo di Paolo III. Nel 1576 l’Arciconfraternita romana estendeva a quella di Ruvo le indulgenze concesse da Papa Gregorio XIII. Originariamente fu costituita da “massari” e pertanto godeva di un certo prestigio economico. A partire dal ‘500 essa è citata, con riferimento al culto e alle attività caritative, in tutte le relationes ad limina, in cui compare sino alla seconda metà del XVIII secolo che segna il suo declino e scomparsa.
Afferma il maestro di liturgia Mario Righetti che “nei luoghi dove specialmente esisteva una confraternita del SS. Sacramento si permetteva anche una breve processione entro o attorno alla chiesa. Tali usanze però erano quasi sconosciute in Spagna e in Italia almeno fino al secolo XVI. Nel concilio provinciale di Colonia (1452) fu emanato un decreto dove l’esposizione del SS. Sacramento era consentita nella festa e durante l’ottava del Corpus Domini”. Praticamente anche nella città di Ruvo ci si attenne a tali disposizioni.
Da nessun documento, da ricerche fatte presso l’archivio Capitolare di Ruvo, si evince la data della Solennità dell’Ottavario del Corpus Domini. Fino agli anni del Vaticano II tale festa avveniva il Giovedì dopo la domenica della Trinità ed era l’arcidiacono del Capitolo a reggere il prezioso ostensorio con quasi certezza realizzato a Napoli sotto l’episcopato di Mons. Bartolomeo Gambadoro nel ‘700, mentre il vescovo lo reggeva il giorno dell’Ottava. Stupendo nella sua finezza il paliotto ricamato in oro nella stessa epoca a devozione della nobile famiglia Caputi di Ruvo.La risonanza all’Ottava era ugualmente data - come si sa - alle solennità del Natale, della Pasqua, di Pentecoste, del Corpus Domini e a Ruvo anche di S. Antonio e altre feste principali.
Poiché la parola “ottava” significa “otto” vuol dire che la festa continua otto giorni. Tale pratica originariamente giudaica, fu adottata anche dalla Chiesa, essendo un mezzo per rendere più solenni le feste e per incidere più profondamente nella vita dei cristiani. La massima solennità potè originarsi dall’instare di Ruvo nel Regno di Napoli: famosa era in Napoli la festa dell’Ottava del Corpus Domini detta anche “festa dei quattro altari”. La processione eucaristica attraversava le principali vie della città e sostava, appunto, ai quattro altari, grandi templi effimeri e sfarzosamente addobbati con figure e allegorie che esaltavano il mistero eucaristico, costruiti in altrettante piazze dove l’arcivescovo impartiva la solenne benedizione. Il più sfarzoso era l’altare costruito nei pressi del Teatro San Carlo. Al passaggio della processione il re, con famiglie e seguito, si affacciava sul balcone del Palazzo Reale, addobbato con luci e drappi, e si inginocchiava per adorare il SS. Sacramento.
Ancora ai giorni nostri la “festa dei quattro altari” o “dell’Ottavario” si svolge a Torre del Greco, proprio il giorno dell’Ottava del Corpus Domini.
Particolare solennità assumevano nella Roma papale le processioni del Corpus Domini e dell’Ottavario. Nei giorni dell’Ottavario, la processione era riproposta, con grande partecipazione popolare in diverse chiese della città, dove si snodava un corteo di religiosi e militari con insegne e stendardi.
A Marineo, in Sicilia, per l’Ottavario, detto “l’ottavario di lu Signuri” si allestiscono straordinari tappeti di fiori. A Casape, in provincia di Roma, la festa del Corpus domini, con relativa infiorata, viene ripetuta nell’ottavario. Così a Genzano di Roma. Per quanto attiene Ruvo, fino ai tempi del Vaticano II, ogni terza domenica di mese, dopo la messa conventuale, in cattedrale si faceva la processione eucaristica e al termine, alla presenza dei due Primiceri si elevavano preghiere per la Repubblica e il suo Capo (Domine salvam fac rempublicam et praesidem eius). Le norme poi circa la processione del Corpus (Rituale Romanun, Cerimoniale dei Vescovi, II, 33, 15, S.R.C. 1232 e 4062 ad 2) avvertono che la processione deve sempre farsi dopo la messa solenne il giorno dell’Ottava (Roberto Lesage, dizionario di liturgia romana).
Come nasce la leggenda dell’ Ottavario
Nel 1936 moriva ultranonagenario Mons. Luigi Elicio, Protonotario Apostolico e Penitenziere del Capitolo Cattedrale. Eccelleva per la sua spiritualità e devozione, ma anche amava l’arte. Fu l’ispiratore e guida dell’architetto Ettore Bernik nel riportare la cattedrale di Ruvo allo splendore originario eliminando stucchevoli superfetazioni che la deturpavano nell’epoca barocca. Egli curò con lo stesso Bernik una breve monografia sulla cattedrale. Si distingueva il citato Mons. Elicio per la sua pietà e devozione, componendo preghiere e rinfocolando devozione all’Eucarestia, a Gesù al Calvario venerato nel Carmine o a Santi come S. Lucia, venerata preso la chiesa dei Padri Cappuccini. A tali prerogative si aggiungeva uno spiccato senso di predicazione molto terra terra per la popolazione ruvese, in quell’epoca contraddistinta da una grande povertà ma soprattutto da gente illetterata e povera, fatta di contadini e gente molto devota. Fu lui, secondo la testimonianza del sacerdote arciprete don Francesco Caldarola senior, parroco di S. Giacomo al Corso dal 1937 al 1967 a mettere su la leggenda della istituzione dell’Ottavario del Corpus Domini. Consultando documenti, carte e platee del Capitolo e Confraternite - sino ad oggi - nulla è emerso in ordine a tale istituzione. Emergono comunque inaspriti rapporti tra il vescovo e il conte di Ruvo. Solo col vescovo Mons. Orazio de Mirto, secondo le conclusioni Capitolari del 6- 12 1578, vol. II, F. 66, si desume che i canonici di Ruvo si adoperarono per la pacificazione tra l’autorità ecclesiastica e quella civile. Dovette di qui prendere le mosse Mons. Elicio per impastire la leggenda? Sembra tuttavia molto inverosimile se si pensa che i tre vescovi De Mirto - napoletani - che ressero la diocesi di Ruvo nel ‘500 non erano facilmente di stanza in Ruvo. Ma soprattutto in ordine alla presunta profanazione avvenuta del corteo eucaristico, poteva un membro della famiglia Carafa macchiarsi con simile gesto, provenendo dai Carafa, papi, cardinali e vescovi? Sembra alquanto assurdo il contenuto della leggenda di Mons. Elicio. Annota comunque la relazione ad elimina del vescovo di Ruvo Giuseppe Caro del 13 aprile 1668 che i rapporti tra le parti dovettero migliorare in seguito.
La leggenda di mons. Elicio mette radici
Chi ereditò lo spirito di Mons. Elicio, fu il giovane sacerdote don Francesco Caldarola senior, ordinato presbitero nel 1934. Divenuto parroco di S. Giacomo al Corso nel 1937, ereditando il terz’Ordine Francescano proveniente dalla chiesa dei Cappuccini che avevano abbandonato il convento e l’annesso tempio, egli si prodigò ad abbellire la chiesa che era stata ricostruita nel 1869 su una precedente commenda dell’Ordine Gerosolimitano. Don Caldarola si prodigò a fare abbellire la chiesa con dipinti a tempera fatti eseguire dal maestro torinese di affermazione veneziana Mario Prajer di stanza a Bari (la cappella dell’ospedale militare, ma anche altri luoghi baresi furono da lui affrescati). L’unica navata della chiesa si allarga con una cappella per la reposizione del SS. Sacramento. La fantasia e la devozione eucaristica di don Caldarola lo orientarono a far realizzare due medaglioni di S. Chiara e S. Pasquale Bailon, legati a fatti eucaristici e nell’alto due lunette: la prima raffigurante la scena della Istituzione da parte del Conte di Ruvo e duca di Andria, della Festa dell’Ottavario del Corpus Domini (chi fosse tale Conte non si dà il nome ma solo che fosse un “Carafa” proprio perché avvolto nella leggenda). Di fronte alla prima lunetta - poiché si trattava di dare una risonanza eucaristica - veniva raffigurata la scena di un miracolo (?) eucaristico avvenuto durante la vita di S. Antonio di Padova, quindi molto tempo prima della fantomatica istituzione dell’Ottavario. Si raccontava infatti che, dopo diversi giorni in cui fu tenuta digiuna, una giumenta giunta alla fine stremata nelle forze si sarebbe inginocchiata dinanzi all’ostensorio eucaristico, retto da S. Antonio. E di qui, apriti cielo! La confusione e lo stravolgimento di due episodi che nulla hanno in comune. Castronerie e stupidaggini che affatto non contribuiscono ad una veritiera e autentica pietà eucaristica. Si è confuso - e lo si ripete ancora oggi - tra la cavalcatura del presunto Conte Carafa (chi era?) in ginocchio davanti al SS. Sacramento.
Trasformazioni ulteriori della festa dell’Ottavario del Corpus Domini
Fin sotto l’episcopato di Mons. Marena (1978) la processione avveniva il giovedì dopo la conventuale delle 11,00. Essa si snodava per via Cattedrale, via V. Veneto, piazza Menotti Garibaldi o dell’Orologio (dove veniva impartita la benedizione) si proseguiva di ritorno in cattedrale da via De Gasperi, via N. Boccuzzi, via S. Caterina, via Annunziata e rientro in chiesa. La domenica successiva la processione del SS.mo, retto dall’Arciprete questa volta, aveva il giro inverso: da via Annunziata a via Cattedrale. La medesima processione si ripeteva ogni Vespro tra la festa del Corpus e l’Ottava in cattedrale. Alla processione del giovedì e della domenica erano tenuti soltanto i Canonici Capitolari. Il giorno dell’Ottavario era il vescovo a reggere l’ostensorio e impartire le benedizioni presso gli altari allestiti in corrispondenza delle quattro porte della città: Porta de Sarra (verso S. Angelo), Porta de Noja (S. Domenico), del Buccettolo (presso S. Giacomo) e Piazza Castello (chiesa del Redentore); la prima veniva impartita nella storica piazza dell’Orologio. L’itinerario era il seguente: via Cattedrale, via Modesti, piazza Castello, via De Gasperi, piazza dell’Orologio, via V. Veneto, piazza Bovio, corso Carafa, corso Gramsci, piazza Castello, piazza Cavallotti, corso G. Jatta, via Purgatorio e rientro in cattedrale. La benedizione veniva impartita presso i cinque altari “solo” nel giorno dell’Ottavario dal vescovo nella processione solenne. Fu Mons. Bello che tenacemente volle la processione nelle ore pomeridiane. Un particolare per la storia: proprio il primo anno del cambiamento cadde una pioggia a dirotto che costrinse l’assemblea liturgica a rimanere in cattedrale e girare intorno alle navate per la processione. Per la prima volta si ascoltò una lunga ma bellissima preghiera lì per lì composta e pronunciata dal compianto Servo di Dio Don Tonino. E ancor più tenacemente il suo successore Mons. Donato Negro volle l’unica benedizione in Piazza Castello perché - affermò - sarebbe stata sufficiente una sola benedizione per l’intera città. Cambiano i tempi, cambiano le tradizioni? Le coordinate per una vera, centrale e autentica impostazione eucaristica per la comunità ruvese ci sono. Si tratta di verificarle perché la tradizione (la cornice, l’involucro) non abbiano il sopravvento e depauperare i ruvesi nella pietà eucaristica che - come afferma il Concilio Vaticano II - è fonte e culmine della vita dei cristiani. Ma una processione così solenne che deve farsi largo tra le bancarelle che sono sul corso principale della città e non sui marciapiedi ma sulla strada, la dice lunga se l’Eucarestia può veramente diventare il punto centrale di riferimento della vita cristiana...
Mons. Vincenzo Pellegrini