Cristo Re: “Il Campione dell’amore”

Miei Cari, 
la contemplazione della meravigliosa intuizione riprodotta nella Crocifissione sulla facciata del duomo di Larino in provincia di Campobasso, mi riporta al tema della “regalità” di Cristo che celebreremo nella solennità di Cristo Re, titolare della nostra comunità parrocchiale. Personalmente non mi era mai stato dato di ammirare il Cristo crocefisso con un angelo che gli sorvola sul capo e che rimuove la corona di spine, riponendola ai suoi piedi, mentre poi si appresta a porre un diadema nel capo di Gesù. Ho pensato a quanto dovrebbe fare ognuno di noi attraverso un impegno più ardimentoso di vita cristiana: porre sul capo del Cristo un diadema che dica amore, impegno costante solidarietà con i fratelli. Tale contemplazione mi ha riportato a quanto l’evangelista S. Giovanni descrive nel 4° Vangelo a cominciare dal capitolo 18. E poi ci mette in chiaro che il suo non è un racconto teso a commuovere il lettore vedendo quanto ha sofferto il povero Gesù per l’umanità, ma nella passione viene a manifestarsi il vero volto di Dio; per quanto Gesù non viene mai presentato come una vittima condotta al patibolo, ma come il Campione dell’amore. Durante la passione si nota in un crescendo che, pur essendo il momento delle tenebre, la luce che brilla in Gesù, brillerà sempre di più fino a squarciarle e annullarle. Gesù non è una vittima, ma è Lui il padrone della situazione per cui dirà: “chi cercate?” Lui non scappa via. Un Dio veramente strano, miei Cari. Gesù, il Dio a servizio degli uomini, è venuto ad inaugurare un regno dove il re non domina, ma si mette a servizio dei suoi; quanto dovrebbero fare vescovi, preti e Popolo di Dio, secondo il forte insegnamento di Papa Francesco, ecco perché Gesù non ha servitori che combattono per Lui, perché non ha bisogno di guardie, perché Lui si mette a servizio di tutti. Il mondo del potere è il regno della tenebra e della menzogna. Il potere non dice mai la verità, non può dirla, perché dal momento che la dice, si sgretola. Si trova forse un politico che dice la verità? Impossibile. Non può dire la verità perché se la dicesse, nessuno lo eleggerebbe e ottenuto il potere dovrà continuare nella menzogna. La regalità di Gesù consiste nel mettersi al servizio degli altri, nel manifestare la verità riguardo a Dio, in quanto ne manifesta l’amore. Quel Crocifisso di Larino mi ha ripresentato Pilato che proferisce solennemente: Ecco l’uomo! Ecco il vostro Re! Quindi Gesù, pienamente spogliato da ogni distintivo di gloria umana, manifesta la vera gloria che è quella dell’amore che si presenta in una maniera indefettibile: “Ecco l’uomo”, cioè ecco il modello dell’uomo voluto da Dio. Rattrista purtroppo il pensiero che l’istituzione religiosa, pur di non perdere a volte i propri privilegi e i prestigi, sposa il potente di turno: non è nata forse in quest’ottica la festa di Cristo Re? C’è voluto il Concilio Vaticano II per riposizionare al posto giusto tale festa e mettere in risalto, secondo il Vangelo di Giovanni un Gesù che prende da se stesso la croce: non gli viene caricata. È Lui che la prende quasi fosse un trofeo, perché si manifesti l’immensità dell’amore di Dio. Nel rimirare il Cristo di Larino viene quindi di pensare: Ecco l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio; ecco l’uomo che era il progetto di Dio sull’umanità, un uomo che come Dio è capace soltanto di una risposta di amore. Ci guidino, miei Cari, questi poveri pensieri a celebrare la festa del nostro Titolare, Gesù Redentore e a farci onore nell’accogliere il Suo amore che non è un “premio”, ma un “regalo” che egli continuamente ci fa.
Cordialmente
Don Vincenzo

NÉ NANI, NÉ GIGANTI. SOLO SERVI.

Servi inutili. Ma non è inutile il servizio L’aggettivo usato da Luca dice nel suo significato originario: siamo servi senza pretese, senza esigenze, senza rivendicazioni, che di nulla hanno bisogno se non d’essere se stessi. Appello alla più grande semplificazione: io non sono né il gigante dei miei sogni, né il nano delle mie paure. Sono un granellino che contiene un albero. Non sono inutile, ma sono senza pretese. Non ho bisogno d’applausi, di consenso, di gratificazioni, di successo. E neppure, ed è ciò che più mi costa, di un Dio che mi metta a tavola e passi a servirmi. Io ho solo bisogno di essere me stesso, e servitore, con la mia parte di umanità, con la gioia e la fatica di credere, con i miei granelli di fede, con la mia parte di doni e la mia porzione di fuoco, con un cuore che di tanto in tanto si accende per Dio, e spero che sia sempre più spesso. Non ho bisogno di nient’altro. Anzi, ho bisogno di un’altra cosa: di grandi campi da arare, e della spettacolare pazienza di Dio che tanto ha seminato in me, per tirar su quasi niente. Il segreto di una vita riuscita non risiede nei premi conquistati: è il servizio che è vero, non la ricompensa. Io servo perché servire è la cosa più vera. Io servo perché Dio è il servitore della vita. Io servo perché questo è il solo modo per creare una storia che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare. Io servo, non per premio o per castigo, come i bambini; non per sanzioni o per ricompense, come i paurosi, ma per necessità vitale. Mi bastano grandi campi, un granellino di fede, e gli occhi di un profeta per vedere il sogno di Dio come una goccia di luce impigliata nel cuore vivo di tutte le cose.

P. Ermes M. Ronchi

La lettera pastorale del vescovo don Gino per l’anno 2014-2015

«E SI PRESE CURA DI LUI - EDUCARE ALLA CARITÀ» 

Mons. Luigi Martella ha dato alle stampe e consegnato alla riflessione comunitaria la lettera pastorale per l’anno 2014-2015, dal titolo «E si prese cura di lui –Educare alla carità». L’espressione «e si prese cura di lui» rimanda alla parabola del Buon Samaritano, il quale si prese cura dell’uomo che era stato spogliato dei suoi beni da dei furfanti, ridotto in fin di vita e abbandonato sulla strada che da Gerusalemme conduce a Gerico. Gesù risponde con la parabola di cui stiamo trattando ad un dottore della legge che gli chiese chi fosse il suo prossimo. E non va per il sottile, mettendo sotto accusa certe figure che avrebbero dovuto prendersi cura dell’uomo e che invece lo videro ma passarono oltre: il sacerdote ed il levita. Invece uno scomunicato, ««un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno»» (Lc 10, 33-35). Il dottore della legge è quindi costretto ad ammettere che il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti è il Samaritano, cioè chi ha avuto compassione di quel pover’uomo. Gesù lo invita a fare come fece il Samaritano, cioè ad essere concreto nella carità, semmai a parlare meno di Dio, a teologizzare di meno, a mettere in pratica il comandamento dell’amore, quel comandamento che supera e contiene tutti gli altri. Oggi potremmo dire che l’invito che ci rivolge Gesù è a non dirci cristiani, ma ad esserlo con i fatti, nella realtà di ogni giorno, che spesso ci fa incontrare persone in difficoltà e alle quali non dedichiamo nemmeno un minuto del nostro tempo. Anzi. Ci mettiamo sulla difensiva. Tagliamo corto. È come se avessimo timore che possano interpellarci, che possano chiederci qualcosa. Perché questo? La risposta è semplice: perché siamo un concentrato di meschinità e di piccoli egoismi. È come se temessimo che il povero possa contribuire ad impoverirci invece che contribuire ad arricchirci. La cosa sconcertante è che non abbiamo ancora capito nulla o molto poco delle parole del Signore, il quale afferma, in sintesi, che la strada che conduce alla Vita non è lastricata di pie intenzioni, di interminabili preghiere, di riti, ma del bene fatto al nostro prossimo, a prescindere dalle sue qualità positive o negative. Il Samaritano, quando si accostò al pover’uomo, non si accertò prima di intervenire se quel tale fosse degno del suo aiuto, se fosse omosessuale o no, se fosse divorziato o separato o risposato, se fosse un poco di buono o un angelo. Egli si occupò di lui perché era un uomo in difficoltà, bisognoso di soccorso. Punto. Cosa facciamo invece noi, buoni cristiani che andiamo a messa tutte le domeniche (o quasi) senza interiorizzare un bel niente? Appena mettiamo i piedi fuori del luogo sacro, ci desacralizziamo in un attimo, rimuoviamo il messaggio evangelico. Dopo esserci battuti il petto e recitato il mea culpa, battiamo le teste del nostro prossimo, comportandoci alla stessa stregua dei briganti o come il levita ed il sacerdote. Diamo le spalle o guardiamo altrove. Non siamo capaci di perdono. Critichiamo senza cognizione di causa. Giudichiamo senza tatto e misericordia. Siamo cellule impazzite della società, seminatori di zizzania, amanti del denaro, del potere. Riteniamo di esserci messi a posto con la coscienza in virtù dell’assolvimento di un obbligo, quello di andare a messa, mentre la Parola non ha niente a che fare con i doveri, le prescrizioni, i cerimoniali, la deontologia, il perbenismo. La Parola ha a che vedere con l’amore e con nient’altro. Non facciamoci illusioni, quindi. Non ci salveremo per la quantità di concelebrazioni eucaristiche ascoltate, ma solo se avremo reso gli altri, chi ci accosta, più felice o meno infelice. Il resto sono suggestioni diaboliche.

Salvatore Bernocco


Tra le “gocce di miele” ...da TWITTER

Vivere come veri figlio di Dio, significa amare il prossimo e avvicinarsi a chi è solo e in difficoltà.

Possa lo SPORT, favorire sempre la cultura dell’incontro. Non temete di gettarvi nelle braccia di Dio, qualunque cosa vi chieda, vi ridonerà il centuplo.

La Chiesa è per sua natura missionaria: esiste perché ogni uomo e donna possa incontrare Gesù.

Quando si vive attaccati al denaro, all'orgoglio o al potere, è impossibile essere felici.

Il grande rischio del mondo attuale è la tristezza individualista che scaturisce dal cuore avaro.

Dio ama chi dona con gioia. Impariamo a dare con generosità, distaccati dai beni materiali.

Con Dio nulla si perde, ma senza di Lui tutto è perduto.

Non sparliamo degli altri alle spalle, ma diciamo loro apertamente ciò che pensiamo.

La pace è un dono di Dio, ma richiede il nostro impegno.

Cerchiamo di essere gente di pace nelle preghiere e nei fatti.

Nei momenti difficili della vita, il cristiano trova rifugio sotto il manto della Madre di Dio.

Ogni cristiano, nel posto di lavoro, può dare testimonianza, con le parole e prima ancora con una vita onesta.

Entriamo in profonda amicizia con Gesù, così potremo seguirlo da vicino e vivere con Lui e per Lui.

Vivere con fede vuole dire mettere tutta la nostra vita nelle mani di Dio, specialmente nei momenti difficili.

Se accumuli le ricchezze come un tesoro, esse ti rubano l’anima.

Quando non si adora Dio, si diventa adoratori di altro. Soldi e potere sono idoli che spesso prendono il posto di Dio.

Auguro ad ogni famiglia di riscoprire la preghiera domestica: questo aiuta anche a capirsi e perdonarsi.

Apprezziamo di più il lavoro dei collaboratori domestici e dei badanti: è un servizio prezioso.

Continuate a chinarvi su chi ha bisogno per tendergli la mano. Senza calcoli, senza timore, con tenerezza e compassione.

La cultura del benessere, che ci porta a pensare di noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle, che sono belle, ma che non sono nulla.

La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma dall'aver incontrato una persona: Gesù.

Il cristiano è uno che sa abbassarsi perché il Signore cresca, nel proprio cuore e nel cuore degli altri. Papa

Francesco a cura di p. Vincenzo De Rosa


TANTO TUONÒ CHE PIOVVE

La sana insistenza, caparbietà e dedizione del parroco Don Vincenzo hanno ottenuto lo scopo prefissato. Finalmente il campanile del Redentore ha avuto il Restyling che meritava. Le innumerevoli telefonate e marcature strette di don Vincenzo hanno vinto. Il primo sopralluogo fatto al campanile, in collaborazione dell’ingegnere Viviana Miscioscia, si mostrò talmente negativo da buttare la spugna. Il quadro igienico, fessurativo ed umido del campanile erano in uno stato di degrado eccessivo. Non si sapeva da dove cominciare. Inizialmente fu eseguita la disinfestazione di tutto l’ambiente, successivamente furono eseguiti rilievi e monitoraggi strutturali. Con l’uso di speciali attrezzature e con l’intervento del laboratorio ufficiale tecnologico di Matera fu verificato lo stato di salute del campanile. Il convincimento fu quello che il campanile non stava proprio male ma andava preservato e consolidato. Con la encomiabile collaborazione del maestro Rocco Brucoli, utilizzando malte rinforzanti speciali, furono consolidati pilastri, travi e solai; successivamente furono individuate e risolte tutte le disfunzioni di tenuta all’acqua delle varie componenti del campanile. I materiali utilizzati per la protezione dall’umidità furono scelti in funzione di specifiche caratteristiche contro l’invecchiamento e contro i raggi ultravioletti tutti di ultima generazione. Anche la cuspide del campanile fu trattata con materiali di alta tecnologia eliminando altresì la sensazione di sporco e nel contempo consentendole un rapido displuvio. Con questi sistemi si è data una iniezione di vitalità ad una struttura ormai sessantenne con la prospettiva di una ulteriore conservazione nel tempo. Ultimo tassello è stato quello di eliminare per sempre la piaga dei volatili e la risoluzione, non eccessivamente invasiva, è stata quella di apporre robuste reti di acciaio saldamente tassellate alle strutture e a prova di forti raffiche di vento. Si poteva fare di più? Forse, ma l’esiguo finanziamento regionale ci ha consentito perlomeno di togliere le cause del degrado del campanile conservandolo nel tempo. Grazie a don Vincenzo ho acquisito una esperienza unica su una struttura pubblica in umiltà e senza clamore, ma con la prospettiva di consegnare ai ruvesi il campanile del Redentore che svetta sulla piazza principale della città.

 ingegnere Francesco Ruta


Nel tempo e nello spazio di Dio

Ottobre segnò l’inizio dei lavori in ordine della ripresa dell’evangelizzazione con il Mandato ai catechisti dei fanciulli e a quelli che porteranno innanzi le catechesi del Cammino Neocatecumenale e che ebbero inizio il 27 ottobre. La pratica del mese in onore della Madonna di Pompei fu molto partecipata e sentita ed ebbe la conclusione con il pellegrinaggio della Comunità al Santuario mariano. Puntualmente si ebbero gli incontri di programmazione per i catechisti e i genitori, come pure per i giovani. Furono poi fissate le date per la ricezione dei sacramenti che avranno luogo in quest’anno pastorale e il parroco presentò al Consiglio pastorale la lettera programmatica che il vescovo ha consegnato alla comunità diocesana. Come ogni mese si ebbero poi i momenti dell’adorazione Eucaristica animata dai gruppi parrocchiali e da quello di P. Pio il 23 ottobre. Il parroco stimolò i vari gruppi ad andare all’essenziale in ordine al lavoro non lasciandosi irretire dalla volontà di perdersi in manifestazioni che nulla hanno a che vedere con l’evangelizzazione e che sfociano il più delle volte in baraonde che appartengono a ben altro tipo di movimenti o gruppi. Anche l’Associazione della Madonna del Buon Consiglio e la Confraternita di S. Rocco ebbero i loro momenti di spiritualità e di verifica e quest’ultima si è impegnata e ha dato già inizio ai lavori per la sesta edizione del presepe vivente. Non ha mancato anche qui il parroco a raccomandare che tali iniziative portino ad un maggiore impegno nella fede nella testimonianza cristiana. Si ebbero poi in questo mese le visite agli ammalati cui viene portata l’Eucarestia nei primi venerdì al S. Cuore che iniziano appunto in ottobre. La solenne celebrazione del 31 concluse solennemente il mese del Rosario che fu anche recitato ogni sera dalle famiglie alle 20,30, mentre la sera di giovedì 30 ebbe inizio la convivenza di inizio corso per la prima Comunità neo-catecumenale e che avrà termine domenica 2 novembre.

Luca