Miei Cari,
la primavera incipiente mi fa riandare alle viti in fiore che spandono profumo, come afferma il Cantico dei Cantici, ma anche alla stupenda immagine riferita da Gesù: “Io sono la vera vite”. La vite era la pianta che rappresentava simbolicamente il popolo di Israele. Dichiarandosi la vera vite, Gesù inaugura una nuova alleanza da un respiro universale e il suo orizzonte si allarga a tutta l’umanità. Appartenere al popolo di Dio non dipende quindi dalla razza, dalla religione, ma dalla adesione a Gesù. Egli stabilisce molto bene i ruoli specifici: Lui è la vite e il Padre è il Vignaiolo.
“Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”: ogni componente della Comunità di Gesù che partecipa all’Eucarestia, si ciba del pane della vita, ma poi non si fa pane per gli altri, non porta frutto, “questo lo toglie”. Il Signore Gesù ci nutre per nutrire gli altri. Chi non si fa pane per gli altri è un parassita perché, pur ricevendo la linfa non lo traduce in amore per gli altri.
“Ogni tralcio che porta frutto lo purifica perché porti più frutto”. Il Padre non “pota” ma “purifica”. L’unica preoccupazione del credente è nel ricevere linfa vitale, l’amore del Signore per tradurlo in altrettanto amore, in fonte di vita per gli altri.
Quelle impurità, quei difetti, gli elementi negativi, quelle tendenze che crediamo possono impedirci di portare frutti non siamo noi a doverle eliminare e neanche gli altri tralci che devono fare osservare. Ci penserà il Padre perché è interesse del Vignaiolo che il tralcio porti più frutto.
Ciò significa un cambio radicale nella nostra esistenza e nei rapporti con Dio.
Tutti i nostri sforzi per eliminare le imperfezioni hanno portato ad un irrobustimento dei difetti perché l’uomo si “Le viti in fiore spandono profumo” centra su se stesso e non ha la capacità di orientarsi verso gli altri e centrarsi sugli altri. L’unico compito, miei Cari, è il preoccuparsi degli altri. Gesù ci invita a non preoccuparci. Tutti abbiamo imperfezioni, elementi negativi. Il nostro unico impegno è quello di rendere felici gli altri. Se ci sono elementi che possono impedire di portare frutto o di comunicare vita agli altri, sarà il Padre che li eliminerà, non noi. E ci si chiedese il difetto, l’elemento negativo rimane? Si vede che agli occhi del Signore non è di impedimento per portare più frutto. Dice San Giovanni: “anche se il tuo cuore ti rimprovera qualcosa, stai tranquillo, stai in pace perché Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Ecco la buona notizia che una vite in fiore ci regala. Gesù ci dà grande serenità.
Quegli aspetti della nostra vita che reputiamo negativi, lasciamo che pensi Lui ad eliminarli perché è suo interesse eliminare dalla nostra vita tutto quello che ci impedisce di portare più frutto. E se il Padre non lo elimina, si vede che agli occhi suoi questo non è negativo: la religione, la società, come le mode cambiano, ma Dio non cambia mai. Questo ci dà un’enorme serenità.
Dice inoltre Gesù: “Voi siete già puri per la parola che vi ho annunziato”. Egli laverà i piedi agli apostoli non prima della cena, ma durante. È la partecipazione alla cena quella che purifica il discepolo, il partecipante. Non c’è da purificarsi prima di partecipare alla Cena, ma è partecipare alla cena che ci purifica. In fondo non è vero che bisogna essere puri per accogliere il Signore, ma è l’accoglienza del Signore che ci purifica. Mi pare che siano questi i pensieri che devono portarci a meglio vivere la Messa per “rimanere” nell’amore di Gesù perché più amiamo e più Egli ci dona l’energia per dilatare la nostra capacità d’amore. Proviamoci in questa esperienza.
Cordialmente
Don Vincenzo
vostro Parroco
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Mamma, nella tua festa un fiore…
Ogni fiore nasconde parole a centinaia.
La violetta è tenerezza, viene con la primavera a farci compagnia.
L’anemono è il fiore del vento, suggerisce speranza.
L’amarillide è fierezza, si regala alle spose.
La rosa è regina, ma ha dolci sussurri d’amore.
Il giglio è un tocco di candore sull’infanzia in festa.
Il ciclamino, amico delle ombre, dà lezione di modestia.
La Mistica Rosa è “il nome del bel fior” che ispirava Dante sulle
soglie supreme del paradiso.
A Maria, Rosa sempre fiorita, leviamo la preghiera e l’augurio per
te, Mamma, per tutte le Mamme.
La Comunità del Redentore
La Preghiera che ispirò Giovanni Paolo II
Era il 25 marzo il 1987 quando papa Woytjla appose la firma a una delle sue encicliche più care, quella sulla Vergine Maria, la REDEMPTORIS MATER (Madre del Redentore).
Lui stesso, nella conclusione, afferma di essere stato ispirato dall’invocazione che nella liturgia delle Ore la chiesa rivolge a Maria:
Il Papa si ferma a meditare sui versetti di quest’antifona liturgica, ben nota a chi, sacerdoti a parte, recita la Liturgia delle Ore sullo sfondo degli affanni quotidiani. Come Giovanni Paolo II, il credente è colpito dall’espressione: “nello stupore di tutto il creato!”. Essa esprime “quello stupore della fede, che accompagna, in certo senso, nel cuore della Chiesa”.
L’eterno Dio si è spinto veramente lontano, ha colmato l’infanzia distanza che separa il creatore della creatura. Tale è la rivelazione di sé all’uomo e l’incarnazione del Verbo, che si è fatto uomo mediante la Vergine di Nazareth. Insieme all’uomo, tutto il creato rimane stupito di fronte a questo dono. Nel vivo di questo stupore sta Maria. Alma Madre del Redentore, ella l’ha provato per prima: “Tu che hai generato, nello stupore di tutto il creato, il tuo santo Genitore”!
È questa la svolta della storia umana. Altra non ve ne è al di fuori dell’incarnazione e dell’opera redentrice del Figlio di Dio e di Maria. Eppure, oggi ci lasciamo intimidire dal grido scomposto dei maestri del nulla. Predicano verità, solo Cristo fa luce. Dei falsi maestri siamo avvertiti dalla storia passata e dalle esperienze che facciamo.
L’infinito amore del Padre, che “per riscattare il servo ha sacrificato il Figlio”, lascia all’uomo la libertà delle scelte e la possibilità dell’errore. La preghiera a Maria tocca un punto nevralgico mentre esclama:““Soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur sempre anela a risorgere”!
Cadere e risorgere sono i poli della condizione umana. “L’umanità - osserva il Papa - ha fatto mirabili scoperte e ha raggiunto risultati portentosi nel campo della scienza e della tecnica…, ma tutto il progresso lascia in bilico l’uomo tra il cadere e il risorgere, tra la morte e la vita. Tale condizione diventa una incessante sfida alle coscienze umane…, la sfida a seguire la via del non cadere, legando la propria debolezza all’energia salvifica della grazia e ai modi per ottenerla”.
Da parte sua, la Chiesa e i singoli credenti in essa, “popolo che cade, ma pur anela a risorgere”, volgono lo sguardo a Maria, la Madre che è creatura di grazia, ma pur sempre radicata nel mistero salvifico di Cristo.
Lui stesso, nella conclusione, afferma di essere stato ispirato dall’invocazione che nella liturgia delle Ore la chiesa rivolge a Maria:
O santa Madre del Redentore,
porta dei cieli,
stella del mare,
soccorri il tuo popolo,
che anela a risorgere.
Tu che accogliendo il saluto dell’angelo
Nello stupore di tutto il creato,
hai generato il tuo Creatore,
madre sempre vergine, pietà di noi peccatori.
Il Papa si ferma a meditare sui versetti di quest’antifona liturgica, ben nota a chi, sacerdoti a parte, recita la Liturgia delle Ore sullo sfondo degli affanni quotidiani. Come Giovanni Paolo II, il credente è colpito dall’espressione: “nello stupore di tutto il creato!”. Essa esprime “quello stupore della fede, che accompagna, in certo senso, nel cuore della Chiesa”.
L’eterno Dio si è spinto veramente lontano, ha colmato l’infanzia distanza che separa il creatore della creatura. Tale è la rivelazione di sé all’uomo e l’incarnazione del Verbo, che si è fatto uomo mediante la Vergine di Nazareth. Insieme all’uomo, tutto il creato rimane stupito di fronte a questo dono. Nel vivo di questo stupore sta Maria. Alma Madre del Redentore, ella l’ha provato per prima: “Tu che hai generato, nello stupore di tutto il creato, il tuo santo Genitore”!
È questa la svolta della storia umana. Altra non ve ne è al di fuori dell’incarnazione e dell’opera redentrice del Figlio di Dio e di Maria. Eppure, oggi ci lasciamo intimidire dal grido scomposto dei maestri del nulla. Predicano verità, solo Cristo fa luce. Dei falsi maestri siamo avvertiti dalla storia passata e dalle esperienze che facciamo.
L’infinito amore del Padre, che “per riscattare il servo ha sacrificato il Figlio”, lascia all’uomo la libertà delle scelte e la possibilità dell’errore. La preghiera a Maria tocca un punto nevralgico mentre esclama:““Soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur sempre anela a risorgere”!
Cadere e risorgere sono i poli della condizione umana. “L’umanità - osserva il Papa - ha fatto mirabili scoperte e ha raggiunto risultati portentosi nel campo della scienza e della tecnica…, ma tutto il progresso lascia in bilico l’uomo tra il cadere e il risorgere, tra la morte e la vita. Tale condizione diventa una incessante sfida alle coscienze umane…, la sfida a seguire la via del non cadere, legando la propria debolezza all’energia salvifica della grazia e ai modi per ottenerla”.
Da parte sua, la Chiesa e i singoli credenti in essa, “popolo che cade, ma pur anela a risorgere”, volgono lo sguardo a Maria, la Madre che è creatura di grazia, ma pur sempre radicata nel mistero salvifico di Cristo.
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ANNO XXIV - N.5
Mentre si avvicina la festa di Prima Comunione
La Prima Comunione e il dopo: domande a d. Tonino Lasconi
Carissimo don Tonino, siamo un gruppo di bambini di…. Non abbiamo nessuna domanda da farti. Però, visto che le nostre catechiste molto spesso ci leggono i tuoi racconti, ti vogliamo raccontare una cosa anche noi: nel maggio scorso abbiamo ricevuto Gesù Eucarestia. Per noi è stata una grande gioia che abbiamo voluto condividere con i nostri amici, e quindi anche con te. Adesso, insieme alle catechiste, stiamo cercando di vivere il sacramento che abbiamo celebrato. Visitiamo gli anziani e passiamo con loro dei momenti di preghiera. Andiamo in una Casa famiglia e portiamo doni ai bambini meno fortunati di noi.
E’ un’esperienza bellissima, perché ci fa sentire grandi. Questo è quello che volevamo dirti. Fai gli auguri da parte nostra a tutti i bambini che ancora devono ricevere la Prima Comunione. Marco (e altri 19 bambini… se ho contato bene).
Marco
Don Tonino, siamo un gruppo di ragazzi di… che l’anno scorso ha fatto la Prima Comunione. I nostri catechisti ci hanno detto che adesso possiamo partecipare in modo completo alla messa. A noi però la messa non piace molto, non ci capiamo tanto e abbiamo tante domande da farti: Perché solo i bambini sono obbligati ad andarci? Perché le letture sono difficili da capire? Perché facciamo fatica a stare zitti e non riusciamo a pregare? Perché la messa è così lunga?
Gruppo di ragazzi di…
Carissimi Marco e gli altri, vi ringrazio per avermi fatto partecipare alla vostra gioia. Faccio volentieri gli auguri a tutti i bambini che si preparano a ricevere la Prima Comunione. E non solo! Li faccio anche a tutti coloro che l’hanno già fatta, come a quelli di… ai quali auguro che i catechisti riescano a fare amare la messa. Carissimi ragazzi di…, la messa non è una imposizione. Per nessuno. Tanto meno per i bambini.
È un dono che Gesù fa ai suoi discepoli per aiutarli a vivere come lui è vissuto: facendo del bene a tutti.
Capisco che la messa vi sembra lunga e difficile. Così come viene celebrata, essa non è per i bambini, ma per i grandi. Voi non lo ricordate, ma quando siete passati dal seggiolone alla tavola dei genitori, per voi e per i genitori non è stato facile. Rovesciavate i bicchieri, schizzavate la minestra dappertutto, maneggiavate la forchetta in modo pericoloso, vi dovevano mettere il bavaglino per non farvi inzaccherare tutti. Poi, pian piano….
Così è per la messa. Abbiate pazienza! Intanto vi auguro che i catechisti vi aiutano a fare esperienze di carità, come stanno facendo quelli di…, per sentire il bisogno della forza che Gesù ci dà nell’eucarestia. Vi auguro anche che la vostra comunità parrocchiale organizzi la celebrazione della messa in modo da farvi sentire accolti e partecipi.
Proprio come fanno i genitori quando accolgono i bambini alla loro tavola: la preparano in modo da farli trovare a logo agio, e da non far loro combinare troppo macello.
Carissimo don Tonino, siamo un gruppo di bambini di…. Non abbiamo nessuna domanda da farti. Però, visto che le nostre catechiste molto spesso ci leggono i tuoi racconti, ti vogliamo raccontare una cosa anche noi: nel maggio scorso abbiamo ricevuto Gesù Eucarestia. Per noi è stata una grande gioia che abbiamo voluto condividere con i nostri amici, e quindi anche con te. Adesso, insieme alle catechiste, stiamo cercando di vivere il sacramento che abbiamo celebrato. Visitiamo gli anziani e passiamo con loro dei momenti di preghiera. Andiamo in una Casa famiglia e portiamo doni ai bambini meno fortunati di noi.
E’ un’esperienza bellissima, perché ci fa sentire grandi. Questo è quello che volevamo dirti. Fai gli auguri da parte nostra a tutti i bambini che ancora devono ricevere la Prima Comunione. Marco (e altri 19 bambini… se ho contato bene).
Marco
Don Tonino, siamo un gruppo di ragazzi di… che l’anno scorso ha fatto la Prima Comunione. I nostri catechisti ci hanno detto che adesso possiamo partecipare in modo completo alla messa. A noi però la messa non piace molto, non ci capiamo tanto e abbiamo tante domande da farti: Perché solo i bambini sono obbligati ad andarci? Perché le letture sono difficili da capire? Perché facciamo fatica a stare zitti e non riusciamo a pregare? Perché la messa è così lunga?
Gruppo di ragazzi di…
Carissimi Marco e gli altri, vi ringrazio per avermi fatto partecipare alla vostra gioia. Faccio volentieri gli auguri a tutti i bambini che si preparano a ricevere la Prima Comunione. E non solo! Li faccio anche a tutti coloro che l’hanno già fatta, come a quelli di… ai quali auguro che i catechisti riescano a fare amare la messa. Carissimi ragazzi di…, la messa non è una imposizione. Per nessuno. Tanto meno per i bambini.
È un dono che Gesù fa ai suoi discepoli per aiutarli a vivere come lui è vissuto: facendo del bene a tutti.
Capisco che la messa vi sembra lunga e difficile. Così come viene celebrata, essa non è per i bambini, ma per i grandi. Voi non lo ricordate, ma quando siete passati dal seggiolone alla tavola dei genitori, per voi e per i genitori non è stato facile. Rovesciavate i bicchieri, schizzavate la minestra dappertutto, maneggiavate la forchetta in modo pericoloso, vi dovevano mettere il bavaglino per non farvi inzaccherare tutti. Poi, pian piano….
Così è per la messa. Abbiate pazienza! Intanto vi auguro che i catechisti vi aiutano a fare esperienze di carità, come stanno facendo quelli di…, per sentire il bisogno della forza che Gesù ci dà nell’eucarestia. Vi auguro anche che la vostra comunità parrocchiale organizzi la celebrazione della messa in modo da farvi sentire accolti e partecipi.
Proprio come fanno i genitori quando accolgono i bambini alla loro tavola: la preparano in modo da farli trovare a logo agio, e da non far loro combinare troppo macello.
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ANNO XXIV - N.5
Con Maria una Pentecoste sempre nuova
“Sarete miei testimoni…”
Giovanni XXIII
La prima Pentecoste, di cui celebriamo il ricordo, eccola diffondere ancora dopo venti secoli la sua luce sopra le nostre teste: accendere nei nostri cuori la stessa fiamma di cui esultarono i primi discepoli del Signore…, unitamente a Maria, la Madre di Gesù.
La Chiesa non pretende di assistere ogni giorno alla miracolosa trasformazione operatasi negli apostoli e Discepoli della prima Pentecoste. Non lo pretende. Ma lavora per questo e chiede incessantemente a Dio la rinnovazione del prodigio.
Essa non si meraviglia che gli uomini non comprendano subito il suo linguaggio; che siano tentati di ridurre nel piccolo schema della loro vita e dei loro interessi personali il codice perfetto della individuale salvezza e dl sociale progresso…. Continua ad esortare, a supplicare, a incoraggiare.
La Chiesa insegna che non vi può essere discontinuità, né frattura, tra la pratica religiosa individuale e le manifestazioni del vivere sociale…
Si rinnova la visione del Cenacolo, dove Maria pregava e attendeva lo Spirito Santo insieme agli Apostoli e i Discepoli. È questo toccante richiamo del Libro Santo che ci porta a ricercare in tutto il mondo, e particolarmente nell’Oriente cristiano, i templi innalzati al nome ed all’onore della Madre di Dio. Siano essi aperti o chiusi al culto, quei templi racchiudono nelle pietre la supplicazione dei secoli, l’accorata preghiera dei giorni nostri, per ottenere da Dio che gli uomini continuino o riprendano a levare gli occhi al cielo…
Giovanni XXIII
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ANNO XXIV - N.5
Don Tonino: apostolo della tenerezza
30 aprile 2010: Celebrata la 1a sessione per il Processo di Beatificazione di Don Tonino.
Nel dicembre del 19992 l’inverno incrudelì sui Balcani. E nel gelo, nella pioggia, nel fango andava morendo l’utopia jugoslava: uno Stato multietnico, che sembrava aver consolidato pacificamente un’area europea storicamente segnata da conflitti senza fine, adesso s’era nuovamente frantumato sotto la spinta di egoismi locali e correità internazionali. Un’atroce guerra civile andava sviluppandosi, divideva quartiere da quartiere, villaggio da villaggio, talvolta famiglia da famiglia.
L’Onu e i Governi europei sembravano(o fingevano di essere) incapaci di fermare il genocidio. Simbolo dell’odio etnico e religioso, la città bosniaca di Sarajevo (300 mila abitanti) veniva assediata dall’esercito serbo.
A rompere la cintura di fuoco fu, l’8 dicembre di quell’anno, una colonna di 500 italiani, partiti il giorno prima da Ancona: erano volontari di Pax Christi e li guidava il loro presidente, Antonio Bello, vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Se lo si rivede nelle fotografie dell’epoca, sembra impossibile che egli abbia partecipato all’impresa, da lui ideata: era stato un uomo bello anche fisicamente, ma adesso il suo sorriso illuminava un povero volto che sembrava un teschio, con occhi troppo grandi sotto un passamontagna che non riusciva a liberarlo dal freddo.
“Don Tonino”, come voleva essere chiamato rifiutando tutti gli altri titoli della cerimoniosità ecclesiastica, stava morendo di un cancro e lo sapeva, ma voleva mostrare che a una crociata senza spade e senza stendardi, un “esercito senza armi, come saranno quelli del futuro”, a un’“ONU dei popoli” era possibile spezzare, almeno per qualche ora, la logica della violenza.
L’arrivo a Sarajevo della colonna da lui guidata sembra una pagina dell’Antico Testamento: la città era piena di “cecchini”, tiratori scelti che sparavano su tutto quello che si muoveva per le strade ma, improvvisamente, una fitta nebbia impedì loro ogni visuale e i volontari passarono indenni. In questo mese di maggio 2010 comincia il lavoro di raccolte di testimonianze sulle virtù eroiche di Don Tonino da parte del Tribunale ecclesiastico che si occupa del suo processo di canonizzazione. Sarà un lavoro emozionante perché questo vescovo della “Chiesa del grembiule” come amava definirla in ricordo della Lavanda dei piedi, questo “apostolo della tenerezza” come fu chiamato da molti (me compreso) che lo conobbero da vicino, non fu un santino da immaginette, ma un maestro che proclamò la necessità di un Vangelo annunziato ai poveri e testimoniato con la difesa dei loro diritti, sempre e dovunque; di una intransigente guerra alla guerra, di una mano tesa ai cosiddetti “lontani”, che considerava fratelli da amare.
Ettore Masina
Nel dicembre del 19992 l’inverno incrudelì sui Balcani. E nel gelo, nella pioggia, nel fango andava morendo l’utopia jugoslava: uno Stato multietnico, che sembrava aver consolidato pacificamente un’area europea storicamente segnata da conflitti senza fine, adesso s’era nuovamente frantumato sotto la spinta di egoismi locali e correità internazionali. Un’atroce guerra civile andava sviluppandosi, divideva quartiere da quartiere, villaggio da villaggio, talvolta famiglia da famiglia.
L’Onu e i Governi europei sembravano(o fingevano di essere) incapaci di fermare il genocidio. Simbolo dell’odio etnico e religioso, la città bosniaca di Sarajevo (300 mila abitanti) veniva assediata dall’esercito serbo.
A rompere la cintura di fuoco fu, l’8 dicembre di quell’anno, una colonna di 500 italiani, partiti il giorno prima da Ancona: erano volontari di Pax Christi e li guidava il loro presidente, Antonio Bello, vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Se lo si rivede nelle fotografie dell’epoca, sembra impossibile che egli abbia partecipato all’impresa, da lui ideata: era stato un uomo bello anche fisicamente, ma adesso il suo sorriso illuminava un povero volto che sembrava un teschio, con occhi troppo grandi sotto un passamontagna che non riusciva a liberarlo dal freddo.
“Don Tonino”, come voleva essere chiamato rifiutando tutti gli altri titoli della cerimoniosità ecclesiastica, stava morendo di un cancro e lo sapeva, ma voleva mostrare che a una crociata senza spade e senza stendardi, un “esercito senza armi, come saranno quelli del futuro”, a un’“ONU dei popoli” era possibile spezzare, almeno per qualche ora, la logica della violenza.
L’arrivo a Sarajevo della colonna da lui guidata sembra una pagina dell’Antico Testamento: la città era piena di “cecchini”, tiratori scelti che sparavano su tutto quello che si muoveva per le strade ma, improvvisamente, una fitta nebbia impedì loro ogni visuale e i volontari passarono indenni. In questo mese di maggio 2010 comincia il lavoro di raccolte di testimonianze sulle virtù eroiche di Don Tonino da parte del Tribunale ecclesiastico che si occupa del suo processo di canonizzazione. Sarà un lavoro emozionante perché questo vescovo della “Chiesa del grembiule” come amava definirla in ricordo della Lavanda dei piedi, questo “apostolo della tenerezza” come fu chiamato da molti (me compreso) che lo conobbero da vicino, non fu un santino da immaginette, ma un maestro che proclamò la necessità di un Vangelo annunziato ai poveri e testimoniato con la difesa dei loro diritti, sempre e dovunque; di una intransigente guerra alla guerra, di una mano tesa ai cosiddetti “lontani”, che considerava fratelli da amare.
Ettore Masina
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ANNO XXIV - N.5
Don Tonino Bello, amante di Cristo ed amico degli uomini
30 aprile 2010: Celebrata la 1a sessione per il Processo di Beatificazione di Don Tonino.
Diciassette anni fa, il 20 aprile 1993, Don Tonino spirava, lasciando segni indelebili del suo passaggio su questa terra di Puglia e nella Chiesa diocesana e non solo. Il suo insegnamento non sta tanto nelle sue parole, leggere ed incisive come poesie, quanto nei suoi gesti ed atti, nel suo comportamento, autentiche testimonianze dell’amore di Cristo per i poveri, gli ultimi, i dimenticati, gli oppressi dalle tante strutture di peccato che soffocano l’uomo e ne uccidono la speranza nell’avvento di un tempo isaitico, tempo di pace, di eclissi definitiva del male, di esaltazione del bene e del bello, di vittoria della paternità e della maternità di Dio sugli escamotage e gli inganni dell’Anticristo, il quale ordisce soffocanti reticoli di morte.
Don Tonino fu difensore della vita umana, attore e protagonista di battaglie per il lavoro, per la risurrezione dei giovani abbindolati dalle lusinghe delle droghe, che danno piacere senza benessere e poi dolori infiniti, per la difesa del territorio pugliese dall’occupazione manu militari con aerei e testate mortifere. Fu propugnatore di politiche dal volto umano, misericordiose, rivolgendo ai politici molti (ed inascoltati) appelli a prendersi cura delle città e delle parti più deboli e ferite di esse.
Si rivolse ai suoi sacerdoti con la tenerezza di un padre, invitandoli ad abbracciare la povertà evangelica in vista della ricchezza inestimabile del regno di Dio, a disfarsi di ritualismi senza anima per condividere la ferialità del quotidiano, per scendere a testa alta nelle piazze e nelle strade non per fare opera di proselitismo, ma per operare il bene, dal quale scaturiscono credibilità, fiducia, fede e rinnovato desiderio di Dio.
La nuova evangelizzazione di don Tonino verteva sulla veridicità della testimonianza personale. Evangelizzare, in altre parole, vuol dire essere cristiani piuttosto che dirsi cristiani, secondo la penetrante riflessione del cardinale Tettamanzi. Fedele interprete del Concilio Vaticano II, avrebbe tradotto sul piano pastorale le attese e le speranze da esso suscitate, quella nuova primavera punteggiata di freschezza, pulizia, carità, apertura al mondo di cui sono portatori sani gli uomini e le donne permeati dalla forza dello Spirito Santo che, se accolto, fa nuove tutte le cose. Senza dimenticare quanto sta scuotendo la Chiesa, chiamata a purificarsi e a convertirsi per le miserie di pochi che vengono spacciate come mancanze di una moltitudine, con don Tonino, memori del suo messaggio e dei suoi gesti, siamo chiamati ad interpretare una diversità che non è mai lontananza dalle cose del mondo, ma lievito e fermento di una coscienza rinnovata e sensibile, refrattaria all’egoismo, che interpella gli animi ed i cuori di chi è alla ricerca della verità e di un senso da dare alla propria vita.
Salvatore Bernocco
Diciassette anni fa, il 20 aprile 1993, Don Tonino spirava, lasciando segni indelebili del suo passaggio su questa terra di Puglia e nella Chiesa diocesana e non solo. Il suo insegnamento non sta tanto nelle sue parole, leggere ed incisive come poesie, quanto nei suoi gesti ed atti, nel suo comportamento, autentiche testimonianze dell’amore di Cristo per i poveri, gli ultimi, i dimenticati, gli oppressi dalle tante strutture di peccato che soffocano l’uomo e ne uccidono la speranza nell’avvento di un tempo isaitico, tempo di pace, di eclissi definitiva del male, di esaltazione del bene e del bello, di vittoria della paternità e della maternità di Dio sugli escamotage e gli inganni dell’Anticristo, il quale ordisce soffocanti reticoli di morte.
Don Tonino fu difensore della vita umana, attore e protagonista di battaglie per il lavoro, per la risurrezione dei giovani abbindolati dalle lusinghe delle droghe, che danno piacere senza benessere e poi dolori infiniti, per la difesa del territorio pugliese dall’occupazione manu militari con aerei e testate mortifere. Fu propugnatore di politiche dal volto umano, misericordiose, rivolgendo ai politici molti (ed inascoltati) appelli a prendersi cura delle città e delle parti più deboli e ferite di esse.
Si rivolse ai suoi sacerdoti con la tenerezza di un padre, invitandoli ad abbracciare la povertà evangelica in vista della ricchezza inestimabile del regno di Dio, a disfarsi di ritualismi senza anima per condividere la ferialità del quotidiano, per scendere a testa alta nelle piazze e nelle strade non per fare opera di proselitismo, ma per operare il bene, dal quale scaturiscono credibilità, fiducia, fede e rinnovato desiderio di Dio.
La nuova evangelizzazione di don Tonino verteva sulla veridicità della testimonianza personale. Evangelizzare, in altre parole, vuol dire essere cristiani piuttosto che dirsi cristiani, secondo la penetrante riflessione del cardinale Tettamanzi. Fedele interprete del Concilio Vaticano II, avrebbe tradotto sul piano pastorale le attese e le speranze da esso suscitate, quella nuova primavera punteggiata di freschezza, pulizia, carità, apertura al mondo di cui sono portatori sani gli uomini e le donne permeati dalla forza dello Spirito Santo che, se accolto, fa nuove tutte le cose. Senza dimenticare quanto sta scuotendo la Chiesa, chiamata a purificarsi e a convertirsi per le miserie di pochi che vengono spacciate come mancanze di una moltitudine, con don Tonino, memori del suo messaggio e dei suoi gesti, siamo chiamati ad interpretare una diversità che non è mai lontananza dalle cose del mondo, ma lievito e fermento di una coscienza rinnovata e sensibile, refrattaria all’egoismo, che interpella gli animi ed i cuori di chi è alla ricerca della verità e di un senso da dare alla propria vita.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXIV - N.5
Nel Mese
La comunità visse in pienezza il Triduo pasquale, ben preparato dal punto di vista della catechesi offertaci dal parroco e dalle celebrazioni bene organizzate, compreso lo stupendo altare della Reposizione. Moltissimi -come ogni anno- i fedeli che la notte del giovedì santo accorsero per la processione degli Otto Santi, organizzata dai confratelli di San Rocco. Anche gli incontri pasquali, quelli di preghiera, quelli di vissuta esperienza conviviale, resero più bello il clima di famiglia. Il parroco iniziò poi la visita alle famiglie e si intensificò la catechesi con gli incontri con i genitori dei fanciulli che riceveranno i sacramenti.
E il primo fu quello della Riconciliazione che fu amministrato durante il ritiro spirituale presso il santuario della Madonna dei Martiri in Molfetta; parteciparono i fanciulli, alcuni genitori e le catechiste. Ebbe poi inizio il solenne novenario per la festa della Madonna del Buon Consiglio che registrò anche la presenza del Vescovo don Gino che si compiacque della bella realtà confraternale di San Rocco. Nel pomeriggio del 26 aprile ebbe luogo la processione della venerata Icona della Madonna. Il 23 poi ci riunimmo per l’adorazione comunitaria animata dal Gruppo di Preghiera di Padre Pio.
Puntualmente proseguirono le lezioni sul Vangelo (Gv. Cap. 15) tenute con il parroco don Vincenzo. Il giorno 30 una buona rappresentanza della nostra comunità partecipò alla prima sessione per il Processo di Beatificazione di Don Tonino.
Luca
E il primo fu quello della Riconciliazione che fu amministrato durante il ritiro spirituale presso il santuario della Madonna dei Martiri in Molfetta; parteciparono i fanciulli, alcuni genitori e le catechiste. Ebbe poi inizio il solenne novenario per la festa della Madonna del Buon Consiglio che registrò anche la presenza del Vescovo don Gino che si compiacque della bella realtà confraternale di San Rocco. Nel pomeriggio del 26 aprile ebbe luogo la processione della venerata Icona della Madonna. Il 23 poi ci riunimmo per l’adorazione comunitaria animata dal Gruppo di Preghiera di Padre Pio.
Puntualmente proseguirono le lezioni sul Vangelo (Gv. Cap. 15) tenute con il parroco don Vincenzo. Il giorno 30 una buona rappresentanza della nostra comunità partecipò alla prima sessione per il Processo di Beatificazione di Don Tonino.
Luca
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