Miei Cari,
non avviene sempre di trovarsi dinanzi ad
una immagine della Vergine, dipinta con
tanta grazia e intelletto di amore, come mi
è stato dato nello scorso mese di aprile
durante una tappa a Venezia. Proprio lì
nella basilica dei Frari, mi son trovato
davanti a quella stupenda visione
dell’Assunta del Tiziano. Io penso che si
debba coltivare un amore straordinario
accompagnato dal pennello, diretto da
mano soprannaturale per aversi un
risultato così esaltante, quasi il pittore
avesse avuto prima una visione di chi è
stata Maria, la fanciulla di Nazareth,
portata alla grazia e sorretta da un
numeroso stuolo di angeli. È stata per me
l’antifona al mese di maggio dedicato alla
Madre di Dio. Infatti Maggio invita a
riflettere e a celebrare la sua figura di
donna, di madre e credente umile e tenace.
Una devozione popolare, come quella
mariana, riflette sempre un contenuto
solido e valido, esprime un’idea afferrata
come necessaria, manifesta un bisogno
profondo di tutti: così la devozione a
Maria è segno del bisogno che l’umanità
avverte di una madre, di una protezione
non passiva e fatalistica, ma seria e
impegnativa. La Madonna in quel volo
stupendo con cui il Tiziano la ritrae,
sembra insegnarci che nel segreto di una
coscienza, nella libertà coraggiosa di una
donna, nella fede sicura di chi si appoggia
alle incrollabili promesse di Dio, avviene
qualcosa di sconvolgente: la disponibilità
di Maria; la sua accettazione del progetto
di Dio, il suo mettersi totalmente a
servizio dellA incomprensibile amore di
Dio che vuole salvare l’uomo, danno il via
alla nuova éra, l’éra della salvezza.
Oggi, all’uomo che ha perso il senso della
sua responsabilità è ancora la figura di
Maria - e il Tiziano lo esprime
straordinariamente bene - che può offrire
l’unica via di salvezza. È Maria che
ancora oggi dice al mondo che si può
credere, si può amare, si può pensare a
risultati positivi, si può lavorare nel
silenzio e nella onestà, certi che prima o
poi, il bene emerge e invade la terra.
Maria dice ancora agli uomini di buona
volontà che la salvezza è una sola e che
basta seguire il Cristo, la sua parola e la
sua azione, senza compromessi e senza
tradimenti, per arrivare ad una umanità
felice e a un mondo fatto di uomini liberi.
Ci accompagnino questi pensieri nel mese
di maggio che si apre dinanzi a noi.
Cordialmente
Don Vincenzo
Un gesto eroico fu ritenuto quello del Tiziano nel 1518, a Venezia, dove dipinge l’assunzione
che i frati inizialmente rifiutano, perché rappresenta la Madonna viva. Al momento
del rifiuto era presente l’ambasciatore dell’imperatore il quale si offerse di acquistare
l’opera in contanti. Capito che l’opera aveva valore, i frati la tennero. Tiziano la dipinge in
carne e ossa, portata dagli angeli o accompagnata dagli angeli, questo non si capisce.
Quindi si spezza tutta la tradizione della dormitio, contro tutta la tesi degli ortodossi che
credono che la Madonna sia morta.
Aldo Bergamaschi
LA VITE E I TRALCI: UNA RIFLESSIONE DI ALBERTO MAGGI
In una famosa pagina del profeta
Ezechiele, il profeta descrive il legno
della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il
legno della vite è l’unico legno tra gli
alberi della campagna con il quale non si
può fare nulla; non ci si può fare un
oggetto, un attrezzo utile. Il legno della
vite è buono soltanto per far passare la
linfa vitale ai tralci e produrre frutta.
Quindi il legno della vite è il legno
inservibile, se non per portare frutto. Ed è
a questa immagine del Profeta Ezechiele
che Gesù si riallaccia nel famoso discorso
della vite e dei tralci, contenuto nel
capitolo 15 del Vangelo di Giovanni.
Gesù, ancora una volta, rivendica la
pienezza della condizione divina. Quando
Gesù dice “Io sono”, questo rappresenta
la pienezza della condizione divina,
perché “Io sono” è il nome di Dio.
Nella cultura d’Israele la vite era
immagine del popolo, del popolo di
Israele. C’è il famoso cantico d’amore del
Signore per la sua vigna, contenuto nel
capitolo 5 del Profeta Isaia; anche il
Profeta Geremia parla di Israele come di
una vite. Bene Gesù dichiara di essere “la
vera vite”, quindi ci sono delle false viti.
Gesù continua quel processo di
sostituzione con le realtà di Israele con la
propria persona:
- non la manna dal cielo, ma lui
è il vero pane che da vita al popolo;
- lui è la vera luce al contrario della legge;
- lui è la vera vite, lui è il vero popolo
piantato dal Signore.
E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono
dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove
scorre la linfa vitale, il Padre è
l’agricoltore. Qual è l’interesse
dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre
più frutto e infatti, scrive l’evangelista,
“ogni tralcio che in me non porta frutto, lo
toglie”. Qual è il significato di questa
espressione? L’evangelista sta parlando
della comunità cristiana dove c’è un amore che viene comunicato dal Signore,
un amore ricevuto dal Signore, e questo
amore si deve trasformare in amore
dimostrato agli altri. E questo è
caratteristico dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia
si accoglie un Gesù che si fa pane, fonte
di vita, per poi essere disposti a farsi pane,
fonte di vita per gli altri. Ci può essere il
rischio che nella comunità ci sia una
persona che assorba questa linfa vitale,
assorba questa energia, assorba questo
amore, assorba questo pane, ma poi non
si faccia pane per gli altri, non trasformi
l’amore che riceve in amore per gli altri. E’
un elemento passivo, che pensa soltanto
al proprio interesse, a se stesso, e quindi
non comunica vita.
Ebbene, non gli altri tralci, e neanche
Gesù, ma il Padre, prende e lo toglie,
perché è un tralcio che è inutile.
“Ma ogni tralcio che porta frutto”, cioè il
tralcio che succhiando questa linfa vitale,
quindi nell’Eucaristia il tralcio che
ricevendo Gesù come pane si fa poi pane
per gli altri, porta frutto. Dispiace vedere
che ancora i traduttori rendono il termine
con ‘potare’ che non è quello adoperato
dall’evangelista. Il verbo adoperato da
Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono
due cose completamente diverse. Cosa
significa purificare? Il Padre che ha a
cuore che il tralcio porti più frutto sa
individuare quegli elementi nocivi, quelle
impurità, quei difetti che ci sono nel
tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo
è importante, l’azione è del Padre; non
deve essere il tralcio a centrarsi su sé
stesso, ad individuare i propri difetti e
cercare di eliminarli, perché centrandosi su
séstesso farà un danno irreversibile.
L’uomo si realizza non quando pensa a se
stesso, alla propria perfezione spirituale,
che può essere tanto illusoria e lontana
quanto è grande la propria ambizione;
l’uomo deve centrarsi sul dono totale di
sé, che è immediato. Allora, in ognuno di
noi ci sono dei limiti, ci
sono dei difetti, ci sono
delle brutte tendenze.
Ebbene noi non ci
dobbiamo preoccupare.
Sarà il Padre che, se vede
che questi limiti, questi
difetti, queste tendenze
sono di impedimento al
portare più frutto, lui penserà
ad eliminarli, non noi. Perché
facendolo noi possiamo andare
a toccare quelli che sono i fili
portanti della nostra struttura e fare dei
danni tremendi.
Allora “Il Padre lo purifica”. Questo da
piena serenità; l’unica preoccupazione del
tralcio è portare frutto, tutti gli
impedimenti a frutti abbondanti ci
penserà il Padre, non gli altri tralci,
neanche la vite, ma il Padre. Perché?
“Perché porti più frutto”.
E dichiara Gesù “Voi siete già puri”, ecco
vedete, quando i traduttori traducono il
verbo con ‘potare’ anziché ‘purificare’,
non rendono questo gioco di parole che
l’evangelista fa tra il verbo ‘purificare’ e
l’aggettivo ‘puri’. Quindi prima Gesù ha
detto “Lo purifica”, e poi dice “voi siete
già puri”. Perché? “A causa della parola
che vi ho annunziato”. La parola di Gesù è
un amore che si fa servizio. Ciò che
purifica l’uomo non è il fatto che gli lava i
piedi, ma la disponibilità poi di lavare a
sua volta i piedi agli altri. Quindi questa
parola, il messaggio di Gesù, un amore
che si fa servizio, rende pura la persona.
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ANNO XXIX - N. 43
PAPA FRANCESCO COME GIOVANNI XXIII
"L’annuncio a me è arrivato
assolutamente improvviso ed
inatteso. Sono molto legato al
Papa, come sono stato educato fin da
ragazzo nel mio seminario di Venezia, e
non solo con l’affetto, ma con la mente e
con la mia piccola azione, che ho cercato
di fare lungo il corso della mia lunga vita e
nei miei 74 anni di sacerdozio.
“Mi ha preso all’improvviso! Sono rimasto
stupito e ho detto: “Anche io voglio
ripetere quello che un bergamasco, fatto
cardinale, ha scritto e ha voluto che fosse
messo nel suo stemma gentilizio Sola
gratia tua.
“Se è stato fatto questo riconoscimento,
se è venuta anche questa creazione come
un raggio di luce sul tramonto della mia
vita, lo devo solo alla bontà di papa
Giovanni, ai suoi esempi e alla sua santità,
e alla bontà e alla amabilità di papa
Francesco, che ha guardato ad un vecchio
prete e ha creduto di onorare in me tutti i
sacerdoti più umili, che hanno servito in
silenzio. Mi sono sempre considerato un
“facchino di Dio” e mi sono sentito
piccolo tra i piccoli. Ho servito e
finché Dio mi lascia qui
continuerò a servire, ad amare, a
credere all’unità della famiglia
umana. Grazie tante!”.
Sono state queste le prime parole
di Loris Capovilla, eletto, il 12
gennaio scorso, cardinale, da
papa Francesco, all’età di quasi
cento anni. Un uomo, un
credente che ha avuto il dono di
collaborare con papa Giovanni.
Nativo di Pontelongo, in provincia
di Padova, e prete veneziano dal
1940, conosce Roncalli al suo
arrivo a Venezia come Patriarca
nel 1953, ne viene scelto come
segretario e gli resta a fianco per
dieci anni, seguendolo a Roma
dopo l’elezione a Papa.
Dopo la morte di Giovanni XXIII,
Paolo VI lo manda come
arcivescovo prima a Chieti (1967)
e poi a Loreto (1971).
...continua...
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ANNO XXIX - N. 43
ANTONIO SOCCI CONTRO PAPA FRANCESCO
Bergoglio identifica la conversione
con un “fare”, con un attivismo
sociale che abbiamo già visto in
America Latina e qui negli anni Settanta in
certi gruppi cattolici di sinistra, dove alla
fine Cristo si riduceva a “pretesto” per un
attivismo sempre più politico e
ideologizzato. Invece don Carron percorre la
via di un ripiegamento intimistico che toglie
alla fede e alla comunità cristiana ogni
dinamica umana espressiva e si risolve in
quella “scelta religiosa” che decenni fa
venne fatta dall’Azione Cattolica e fu
sempre combattuta da don Giussani come il
suicido del cattolicesimo. Giussani aborrì
allo stesso modo la riduzione “sociale” e
attivistica del cristianesimo che considerava
succube delle ideologie» (Libero, 8 marzo
2015).
Questo ha scritto su un giornale
ideologizzato il giornalista Antonio Socci,
da un po’ di tempo a questa parte attivissimo
nel criticare Sua Santità che, a suo modo di
vedere, non sarebbe stato eletto
legittimamente («Al Conclave è successo di
tutto», scrive, sempre sul giornale Libero, il
26 gennaio 2015), e non sarebbe Francesco.
Il giornalista accusa in sostanza papa
Bergoglio di essere un fautore della
cosiddetta teologia della liberazione, “una
riflessione teologica iniziata in America
latina con la riunione del Consiglio
episcopale latino-americano (CELAM) di
Medellín (Colombia) del 1968, dopo il
Concilio Vaticano II (a margine del quale fu
concordato da alcune decine di padri
conciliari - molti dei quali brasiliani e
latino-americani - il cosiddetto Patto delle
catacombe), che tende a porre in evidenza i
valori di emancipazione sociale e politica
presenti nel messaggio cristiano”.
Sempre secondo Socci, il Papa avrebbe poi
tirato le orecchie a Comunione e
Liberazione. Insomma, il giornalista,
fervente cattolico, è un fervente antibergogliano,
se così si può dire.
Poniamoci una sola domanda, partendo dalla
nota parabola del Buon Samaritano: il
samaritano si fermò a pregare, mani
congiunte, dinanzi al corpo martoriato
dell’uomo assalito dai briganti, oppure si
diede concretamente da fare, si prese cura di
lui con i fatti e non a parole? La risposta la
conosciamo tutti: si prese cura di lui,
distinguendosi dal levita e dal sacerdote, i
quali passarono oltre perché per loro era
importante raggiungere Gerusalemme per
andare a pregare. La parabola ci parla di un
cristianesimo che è vicino coi fatti a chi sta
male, con le azioni, oltre che con la
preghiera che però, da sola, serve a poco.
Difatti, sappiamo anche che la «fede senza le
opere è morta» (Gc 2,26) e abbiamo
memoria di quanto il Signore dice ad Isaia:
«Quando stendete le mani, io allontano gli
occhi da voi. Anche se moltiplicate le
preghiere, io non ascolto. Le vostre mani
grondano sangue. Lavatevi, purificatevi,
togliete il male delle vostre azioni dalla mia
vista. Cessate di fare il male, imparate a fare
il bene, ricercate la giustizia, soccorrete
l’oppresso, rendete giustizia all’orfano,
difendete la causa della vedova» (Is 1, 15-
17).
Del resto, il cristiano viene riconosciuto
come tale in forza delle opere di carità che
compie, non per il numero di novene,
preghiere, sante messe a cui partecipa,
spesso ininfluenti ai fini pratici.
Socci ha perso l’ennesima occasione per
tacere. Non so cosa ci sia di errato nella
teologia della liberazione, ma se tale
teologia postulasse la liberazione dell’uomo
dalle catene della sofferenza e del peccato,
io non ci vedrei nulla di male, anzi riterrei
che sia pienamente in linea con il messaggio
evangelico dell’amore-carità.
Salvatore Bernocco
Salvatore Bernocco
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ANNO XXIX - N. 43
RIFLETTIAMO INSIEME SU QUEL “PANE”
Mentre mangiavano prese un pane.
Gesù prende un pane e non il
pane: significa che non prende il
pane azzimo. Il pane tondo significa che
non c’è una parte migliore, come per
l’agnello, ma è uguale per tutti. Il pane è
formato da chicchi di grano che prima
erano sparsi e, una volta macinati,
diventano una cosa sola. È segno di unità;
come il pane è formato da chicchi di
grano che erano sparsi, così la comunità
cristiana nell’Eucarestia tende a diventare
una cosa sola.
Prendete e mangiate: mangiare significa che il pane va assimilato, assorbito, fatto nostro. Mangiare il Corpo di Cristo significa fare nostro il suo modello di comportamento e amore come Lui ama.
Il Calice è l’immagine della morte di Gesù. Per vivere il messaggio di Gesù non basta solo mangiare il pane, ma occorre essere fedeli fino ad essere capaci di affrontare la persecuzione, l’ostilità, l’incomprensione anche fino alla morte. Gesù inaugura qualcosa di completamente nuovo. Egli non uccide una vita, ma offre la sua vita; non toglie il pane ai discepoli, ma si offre Lui come pane. Gesù non chiede, ma dona. Dopo aver cantato l’Inno usciranno verso il monte degli ulivi: nel libro dell’Esodo è scritto che è proibito uscire la notte di Pasqua. Loro escono e cantano anche gli inni, che significa lodare Dio. È una immagine priva di qualsiasi elemento di tristezza. Gesù libera l’uomo da ogni legge opprimente perché ha a cuore solo ed esclusivamente il bene dell’uomo. Per capire allora meglio il significato dell’Eucarestia incominciamo a liberarci da immagini e parole non propriamente corrette. I cristiani celebrano la Cena del Signore (S. Paolo) o la Frazione del pane (S. Luca), per cui non ci raccogliamo davanti ad un altare: l’altare presuppone un sacrificio da offrire a Dio; ma noi ci riuniamo intorno alla Tavola con il significato di mensa. Nella Tavola cristiana è il Signore che si offre ai suoi come alimento di vita. Ed Egli si fa servo perché noi ci facciamo Signori. Egli - dice il Vangelo - li farà mettere a tavola (li farà sdraiare: solo i signori potevano mangiare sdraiati) e passerà a servirli. Dio nutre e rafforza, ovvero comunica vita. L’Eucarestia è il momento in cui Dio si prende cura di noi; noi ci riposiamo e Gesù passa a servirci. Il Dio di Gesù non chiede di essere servito, ma è Lui che serve. L’Eucarestia è il momento in cui Dio ci coccola. Per vivere pienamente l’eucarestia, Gesù ci invita ad avere le vesti strette ai fianchi; atteggiamento quindi di servizio e di cammino per andare verso gli altri. E inoltre avere le lampade accese. “Lampade accese” significa che il Signore è presente e la Comunità si deve caratterizzare per il servizio che gli uni svolgono verso gli altri. La comunità quindi è il luogo dove alita il Signore.
Prendete e mangiate: mangiare significa che il pane va assimilato, assorbito, fatto nostro. Mangiare il Corpo di Cristo significa fare nostro il suo modello di comportamento e amore come Lui ama.
Il Calice è l’immagine della morte di Gesù. Per vivere il messaggio di Gesù non basta solo mangiare il pane, ma occorre essere fedeli fino ad essere capaci di affrontare la persecuzione, l’ostilità, l’incomprensione anche fino alla morte. Gesù inaugura qualcosa di completamente nuovo. Egli non uccide una vita, ma offre la sua vita; non toglie il pane ai discepoli, ma si offre Lui come pane. Gesù non chiede, ma dona. Dopo aver cantato l’Inno usciranno verso il monte degli ulivi: nel libro dell’Esodo è scritto che è proibito uscire la notte di Pasqua. Loro escono e cantano anche gli inni, che significa lodare Dio. È una immagine priva di qualsiasi elemento di tristezza. Gesù libera l’uomo da ogni legge opprimente perché ha a cuore solo ed esclusivamente il bene dell’uomo. Per capire allora meglio il significato dell’Eucarestia incominciamo a liberarci da immagini e parole non propriamente corrette. I cristiani celebrano la Cena del Signore (S. Paolo) o la Frazione del pane (S. Luca), per cui non ci raccogliamo davanti ad un altare: l’altare presuppone un sacrificio da offrire a Dio; ma noi ci riuniamo intorno alla Tavola con il significato di mensa. Nella Tavola cristiana è il Signore che si offre ai suoi come alimento di vita. Ed Egli si fa servo perché noi ci facciamo Signori. Egli - dice il Vangelo - li farà mettere a tavola (li farà sdraiare: solo i signori potevano mangiare sdraiati) e passerà a servirli. Dio nutre e rafforza, ovvero comunica vita. L’Eucarestia è il momento in cui Dio si prende cura di noi; noi ci riposiamo e Gesù passa a servirci. Il Dio di Gesù non chiede di essere servito, ma è Lui che serve. L’Eucarestia è il momento in cui Dio ci coccola. Per vivere pienamente l’eucarestia, Gesù ci invita ad avere le vesti strette ai fianchi; atteggiamento quindi di servizio e di cammino per andare verso gli altri. E inoltre avere le lampade accese. “Lampade accese” significa che il Signore è presente e la Comunità si deve caratterizzare per il servizio che gli uni svolgono verso gli altri. La comunità quindi è il luogo dove alita il Signore.
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ANNO XXIX - N. 43
Nel tempo e nello spazio di Dio
Con intensità vivemmo il
triduo pasquale
ritrovandoci alla
Messa in Coena Domini,
alla Azione liturgica del
venerdì e alla Veglia
Pasquale.
Vivemmo poi momenti di
fraternità con il Gruppo
Famiglia, con gli Amici della
Confraternita di S. Rocco, i
giovani e i fratelli del Cammino
Neo-Catecumenale che hanno
iniziato le evangelizzazioni in
piazza dietro suggerimento del
Papa.
Non mancarono i momenti di adorazione
eucaristica, compresa quella animata
dal Gruppo di P. Pio. Poi iniziò la
novena in onore della Madonna del
Buon Consiglio che culminò con la festa esterna, preceduta dalla
processione della Venerata
Icona.
Si intensificarono gli
incontri con i genitori dei
fanciulli di catechismo,
soprattutto per quelli
che riceveranno
prossimamente i
sacramenti della
Riconciliazione, della
Cresima e della Prima
Comunione.
Ci riunimmo in
preghiera per il
vescovo Don Tonino
nell’anniversario della sua morte. Il
parroco ci introdusse poi al mese
mariano, così anche i bambini e i giovani
con tutti i gruppi e movimenti
parrocchiali.
Luca
Luca
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