Trent’anni di Fermento: porta che introduce alla vita parrocchiale, finestra aperta sul mondo
La cartina di tornasole per valutare
l’efficacia di Fermento, testata che
affonda le radici nel disegno conciliare, è il primo editoriale firmato da
mons. Vincenzo Pellegrini nel gennaio
1986.
Fermento nasce trent’anni fa, come fattore di crescita della comunità intitolata
al SS.mo Redentore in Ruvo di Puglia,
con due chiari obiettivi: comunione e
partecipazione.
La comunicazione può accrescere la
comunione e la partecipazione? Come
incrementarle nel popolo di Dio? Come
instillare, nella famiglia dei credenti, i germi di vita nuova di cui trasuda la Parola e
la liturgia? Come accrescere l’attenzione
alla diversità e accogliere il volto dell’altro? In che modo attraversare la navata
del mondo per testimoniare Cristo oggi?
La mission è questa. Improba ma decisiva.
Il lettore valuti con serenità se lo
strumento di comunicazione, benedetto
e incoraggiato da don Tonino Bello fin dal
suo nascere, e da allora mai sottrattosi
all’appuntamento mensile, ha effettivamente costituito occasione di fermento
nell’ambito del progetto richiamato.
Dal canto mio, credo abbia svolto al
meglio il proprio compito! Sulle pagine
ho letto sintesi riuscite sugli orientamenti
pastorali di Chiesa locale, puntuali catechesi capaci di ricucire e irrobustire
il tessuto parrocchiale, chiari riferimenti
alla cronaca religiosa e interessanti
spaccati di storia locale, precisi richiami
agli appuntamenti ecclesiali, esiti di
coinvolgimento sinodale per innovare la
realtà guardando con speranza al futuro,
intelligenti interpretazioni dei fatti di cronaca, valutazioni sociali riferite ai punti di
forza e di debolezza del territorio su cui
insiste la parrocchia e chi la abita.
Da trent’anni Fermento è una porta ospitale che introduce alla vita parrocchiale e
una finestra aperta sul mondo, grazie al
significativo apporto dei
vescovi diocesani che
non hanno disdegnato
di collaborare (preziose e
d’indirizzo le considerazioni eucaristiche svolte
da don Tonino Bello),
del parroco e di diversi
laici provvisti di talento
giornalistico.
Collaborazioni, tutte,
all’insegna della gratuità
per una testata che viene
offerta senza prezzo e
che per questo non teme
qualche considerazione
scomposta, valutazioni
malevoli, offensive e,
forse, invidiose, di chi,
evidentemente nel disagio, non risparmia insulti
mentre indugia in giochi
di parole, citazioni improprie della Parola, e si
trastulla in codicilli e carte
bollate pur di detenere
il possesso esclusivo
di beni non propri.
Fermento non ha corrotto le
masse (addirittura!), ma
ha teso a correggere, incline alla ricerca
del Bene che non all’accaparramento
dei beni materiali e ai conti da ragioniere. Tale comportamento antiecclesiale e
anticomunitario di fatto sfugge a qualsiasi
logica ecclesiale ed evangelica. Non solo.
Tipizza il soggetto che si è lasciato andare
ad una dissenteria di parole maleodoranti.
Nell’epoca dei social, spesso impostati
sulla comunicazione essenziale, necessariamente sintetica e virtuale, Fermento
non rinuncia alla sfida di un’informazione
cartacea che intende legare l’eterno al
tempo, i valori al quotidiano, la fede alla
vita. L’augurio è di continuare su questa
strada.
Renato Brucoli
TESTATA CHE FAVORISCE LA “COMUNIONE” E LA “PARTECIPAZIONE”
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ANNO XXX - 354
LA SPERANZA PER RIPRENDERE IL CAMMINO
Miei Cari,
mentre sembrano in aumento situazioni di grigiore, con pastori appiattiti e laici rassegnati, i giovani che sfuggono a ogni proposta, adulti e anziani che “lasciano” gli ambienti ecclesiali, viene di chiedere: “C’è ancora da sperare?” E non solo nel mondo che rivela insieme segni di sazietà e disperazione, ma talvolta anche nella Chiesa per cui è stato scritto che “La chiesa è in crisi perché manca proprio la Chiesa”. È una riflessione che mi è capitata sotto mano nei giorni del campo-scuola dei giovani, provocato da alcune considerazioni di essi.
Non è scontato, né facile vivere di speranza, né tanto meno trasmetterla agli altri.
Non va dimenticato però che l’esperienza cristiana può mettere radici profonde in un Dio vicino e fraterno, creativo e sempre in grado di rinnovare la vita. Un Dio che progetta sempre il bene dell’uomo, fino a sognare una festa eterna nella sua casa. Allora a noi non resta che progettare il bene per sé, per la comunità, per l’uomo di oggi e di domani. A me sembra quindi che questo mese che stiamo vivendo offra buone possibilità per rinnovare la speranza. Mentre riprendiamo le attività di famiglia, di scuola, di parrocchia, innerviamo la routine quotidiana di progettualità aiutandoci a dare significato pieno e ricco al quotidiano. E nella Chiesa applicandoci ai programmi pastorali propositivi e condivisi col nostro Vescovo. È stato scritto anche che uno dei compiti della Chiesa è “organizzare la speranza”. E organizzarla insieme è più facile: anzi è obbligatorio. Che dire allora? Buon lavoro a tutti. Riprendiamo il cammino nella “speranza”.
don Vincenzo
mentre sembrano in aumento situazioni di grigiore, con pastori appiattiti e laici rassegnati, i giovani che sfuggono a ogni proposta, adulti e anziani che “lasciano” gli ambienti ecclesiali, viene di chiedere: “C’è ancora da sperare?” E non solo nel mondo che rivela insieme segni di sazietà e disperazione, ma talvolta anche nella Chiesa per cui è stato scritto che “La chiesa è in crisi perché manca proprio la Chiesa”. È una riflessione che mi è capitata sotto mano nei giorni del campo-scuola dei giovani, provocato da alcune considerazioni di essi.
Non è scontato, né facile vivere di speranza, né tanto meno trasmetterla agli altri.
Non va dimenticato però che l’esperienza cristiana può mettere radici profonde in un Dio vicino e fraterno, creativo e sempre in grado di rinnovare la vita. Un Dio che progetta sempre il bene dell’uomo, fino a sognare una festa eterna nella sua casa. Allora a noi non resta che progettare il bene per sé, per la comunità, per l’uomo di oggi e di domani. A me sembra quindi che questo mese che stiamo vivendo offra buone possibilità per rinnovare la speranza. Mentre riprendiamo le attività di famiglia, di scuola, di parrocchia, innerviamo la routine quotidiana di progettualità aiutandoci a dare significato pieno e ricco al quotidiano. E nella Chiesa applicandoci ai programmi pastorali propositivi e condivisi col nostro Vescovo. È stato scritto anche che uno dei compiti della Chiesa è “organizzare la speranza”. E organizzarla insieme è più facile: anzi è obbligatorio. Che dire allora? Buon lavoro a tutti. Riprendiamo il cammino nella “speranza”.
don Vincenzo
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ANNO XXX - 354
PRENDERSI CURA DELLA CASA COMUNE
"Usiamo misericordia verso la nostra
casa comune" è il titolo del Messaggio scritto da Papa Francesco per la
Giornata mondiale di preghiera per la cura
del creato che, in unione con il mondo ortodosso e in sintonia con le altre Chiese cristiane, la Chiesa cattolica celebra il 1° settembre. “La terra grida”, scrive il Papa, e “non
possiamo arrenderci o essere indifferenti alla
perdita della biodiversità e alla distruzione
degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri
comportamenti irresponsabili ed egoistici”.
È l’ottava opera di misericordia voluta da
Papa Francesco in questo anno giubilare. È la
cura della casa comune, il nostro pianeta Terra che grida e ha bisogno di un radicale cambiamento di rotta prima che sia troppo tardi.
È un Messaggio breve ma ricco di spunti e
proposte concrete quello che Papa Francesco
ha diffuso in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato che la
Chiesa cattolica celebra per il secondo anno il
1° settembre in unione spirituale con il mondo ortodosso e in sintonia “ecumenica” con
le altre Chiese cristiane, che alla salvaguardia
del creato dal 2007 dedicano 5 settimane, dal
1° settembre al 4 ottobre.
Le opere di misericordia sono sette e sono elencate nel brano del Vangelo di Matteo 25: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Nel periodo medievale se ne è aggiunta una settima: “Seppellire i morti”. Papa Francesco ne propone una nuova, “moderna”, all’altezza dei tempi e delle sfide attuali: la cura della casa comune. “La terra grida”, dice il Papa, e “non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici”. Il Papa è preoccupato per la sorte della Terra e per gli effetti che i cambiamenti climatici hanno soprattutto sulle popolazioni più povere. “Il pianeta – scrive nel Messaggio – continua a riscaldarsi, in parte a causa dell’attività umana: il 2015 è stato l’anno più caldo mai registrato e probabilmente il 2016 lo sarà ancora di più. Questo provoca siccità, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi sempre più gravi. I cambiamenti climatici contribuiscono anche alla straziante crisi dei migranti forzati. I poveri del mondo, che pure sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono i più vulnerabili e già ne subiscono gli effetti”. Francesco invita a fare un esame di coscienza ma il pentimento “deve tradursi in atteggiamenti e comportamenti concreti più rispettosi del creato”. Il Messaggio contiene una sorta di decalogo, una serie di “gesti” concreti da compiere nel rispetto per l’ambiente: “Fare un uso oculato della plastica e della carta, non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, differenziare i rifiuti, trattare con cura gli esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico e condividere un medesimo veicolo tra più persone”. “Non dobbiamo credere – scrive il Papa – che questi sforzi siano troppo piccoli per migliorare il mondo. Tali azioni provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente e incoraggiano ad uno stile profetico e contemplativo, capaci di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo”.
Salvatore Bernocco
Le opere di misericordia sono sette e sono elencate nel brano del Vangelo di Matteo 25: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Nel periodo medievale se ne è aggiunta una settima: “Seppellire i morti”. Papa Francesco ne propone una nuova, “moderna”, all’altezza dei tempi e delle sfide attuali: la cura della casa comune. “La terra grida”, dice il Papa, e “non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici”. Il Papa è preoccupato per la sorte della Terra e per gli effetti che i cambiamenti climatici hanno soprattutto sulle popolazioni più povere. “Il pianeta – scrive nel Messaggio – continua a riscaldarsi, in parte a causa dell’attività umana: il 2015 è stato l’anno più caldo mai registrato e probabilmente il 2016 lo sarà ancora di più. Questo provoca siccità, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi sempre più gravi. I cambiamenti climatici contribuiscono anche alla straziante crisi dei migranti forzati. I poveri del mondo, che pure sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono i più vulnerabili e già ne subiscono gli effetti”. Francesco invita a fare un esame di coscienza ma il pentimento “deve tradursi in atteggiamenti e comportamenti concreti più rispettosi del creato”. Il Messaggio contiene una sorta di decalogo, una serie di “gesti” concreti da compiere nel rispetto per l’ambiente: “Fare un uso oculato della plastica e della carta, non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, differenziare i rifiuti, trattare con cura gli esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico e condividere un medesimo veicolo tra più persone”. “Non dobbiamo credere – scrive il Papa – che questi sforzi siano troppo piccoli per migliorare il mondo. Tali azioni provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente e incoraggiano ad uno stile profetico e contemplativo, capaci di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo”.
Salvatore Bernocco
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ANNO XXX - 354
Madre Teresa: IL SORRISO DELLA SANTITÀ
Il percorso per riconoscere la santità (canonizzazione) si avvia in presenza di un miracolo ottenuto per l’intercessione di una persona che ha vissuto in maniera sublime il Vangelo. Penso che per
Madre Teresa di Calcutta tale richiesta sia solo un
valore aggiunto. L’aurea della santità era evidente
già in vita e la morte, avvenuta il 5 settembre 1997,
ha solo confermato l’esercizio eroico delle virtù.
Elevarla all’onore degli altari è quanto mai doveroso e significativo.
Due i miracoli riconosciuti: la guarigione nel 1998 di una donna induista originaria di un villaggio a nord di Calcutta e quella nel 2008 di un uomo ridotto in fin di vita da “ascessi multipli cerebrali con idrocefalo ostruttivo”.
È tuttavia la sua stessa vicenda personale a essere un “miracolo” della fede. Dalla periferica Albania ai quartieri più poveri e degradati di Calcutta. Una santità delle periferie, per dirla con parole care a papa Francesco. Sarà proprio lui il 4 settembre ad additare al mondo quale esempio di virtù cristiane la piccola suora in sari bianco (la veste tradizionale delle donne indiane) orlato di blu. La biografia ci dice che non si tratta di una semplice e pia vocazione alla vita religiosa. Destinata al compito educativo, secondo la regola dell’Istituto delle Suore di Loreto presso le quali aveva emesso i voti, Madre Teresa (al secolo Agnes Gonxha Bojaxhiu) ha scoperto la «chiamata nella chiamata» sulle strade dell’India. Divenuta l’angelo dei poveri, la sua figura e la sua opera hanno valicato i confini del paese asiatico fino ad assurgere a emblema di carità in tutto il mondo.
Da quel primo incontro con una donna che giaceva sul marciapiede: «Era debole, sottile e magrissima - ricorda lei stessa-; si vedeva che era molto malata e l’odore del suo corpo era così forte che stavo per vomitare... ho visto dei grossi topi che mordevano il suo corpo senza speranza, e mi sono detta: questa è la cosa peggiore che hai visto in tutta la tua vita».
Non ci sono state barriere di etnia, di religione, di cultura che abbiamo prevalso sulla carità, suscitando stupore negli stessi emarginati.
Non sono mancate le accuse, le dicerie, le calunnie: sulla gestione dei fondi, sul modo di intendere l’aiuto ai poveri e ai moribondi, sui suoi ricoveri.
Non sono mancati nemmeno i momenti bui, abbandonata in una “aridità spirituale”, fra “le torture della solitudine”. Una “dolorosa notte” dell’anima iniziata nel periodo in cui aveva cominciato il suo apostolato che la condusse a un’unione ancora più profonda con Dio. Attraverso l’oscurità partecipò misticamente alla sete di Gesù, al suo desiderio, doloroso e ardente, di amore.
Del grido di Cristo sulla croce, “ho sete”, fece un motto, trascritto nelle cappelle delle case delle Missionarie della Carità.
I veri miracoli sono la sua vita e la sua carità: come dal nulla di una esistenza possa emergere un’opera così grande! La definizione più significativa di se stessa viene dai suoi scritti: una matita nelle mani di Dio. Una semplice matita per non darsi importanza e tracciare segni senza arroganza. Il Nobel per la Pace tributato nel 1979 è il riconoscimento laico di una santità smisurata.
È questa la forza della carità cristiana: non conosce barriere o differenze e si presenta come la migliore testimonianza del Vangelo. L’immagine che ci portiamo nel cuore è il suo sorriso. Il sorriso di una donna esile e minuta, avvolta nei semplici lini grezzi del vestito dei poveri. Ma quanta forza e quanta soavità in quel volto ormai consunto come una vecchia pergamena! Come ebbe a dire un giornalista: «Madre Teresa è una finestra aperta, e Dio si è affacciato e ha sorriso al mondo».
L.T.
Due i miracoli riconosciuti: la guarigione nel 1998 di una donna induista originaria di un villaggio a nord di Calcutta e quella nel 2008 di un uomo ridotto in fin di vita da “ascessi multipli cerebrali con idrocefalo ostruttivo”.
È tuttavia la sua stessa vicenda personale a essere un “miracolo” della fede. Dalla periferica Albania ai quartieri più poveri e degradati di Calcutta. Una santità delle periferie, per dirla con parole care a papa Francesco. Sarà proprio lui il 4 settembre ad additare al mondo quale esempio di virtù cristiane la piccola suora in sari bianco (la veste tradizionale delle donne indiane) orlato di blu. La biografia ci dice che non si tratta di una semplice e pia vocazione alla vita religiosa. Destinata al compito educativo, secondo la regola dell’Istituto delle Suore di Loreto presso le quali aveva emesso i voti, Madre Teresa (al secolo Agnes Gonxha Bojaxhiu) ha scoperto la «chiamata nella chiamata» sulle strade dell’India. Divenuta l’angelo dei poveri, la sua figura e la sua opera hanno valicato i confini del paese asiatico fino ad assurgere a emblema di carità in tutto il mondo.
Da quel primo incontro con una donna che giaceva sul marciapiede: «Era debole, sottile e magrissima - ricorda lei stessa-; si vedeva che era molto malata e l’odore del suo corpo era così forte che stavo per vomitare... ho visto dei grossi topi che mordevano il suo corpo senza speranza, e mi sono detta: questa è la cosa peggiore che hai visto in tutta la tua vita».
Non ci sono state barriere di etnia, di religione, di cultura che abbiamo prevalso sulla carità, suscitando stupore negli stessi emarginati.
Non sono mancate le accuse, le dicerie, le calunnie: sulla gestione dei fondi, sul modo di intendere l’aiuto ai poveri e ai moribondi, sui suoi ricoveri.
Non sono mancati nemmeno i momenti bui, abbandonata in una “aridità spirituale”, fra “le torture della solitudine”. Una “dolorosa notte” dell’anima iniziata nel periodo in cui aveva cominciato il suo apostolato che la condusse a un’unione ancora più profonda con Dio. Attraverso l’oscurità partecipò misticamente alla sete di Gesù, al suo desiderio, doloroso e ardente, di amore.
Del grido di Cristo sulla croce, “ho sete”, fece un motto, trascritto nelle cappelle delle case delle Missionarie della Carità.
I veri miracoli sono la sua vita e la sua carità: come dal nulla di una esistenza possa emergere un’opera così grande! La definizione più significativa di se stessa viene dai suoi scritti: una matita nelle mani di Dio. Una semplice matita per non darsi importanza e tracciare segni senza arroganza. Il Nobel per la Pace tributato nel 1979 è il riconoscimento laico di una santità smisurata.
È questa la forza della carità cristiana: non conosce barriere o differenze e si presenta come la migliore testimonianza del Vangelo. L’immagine che ci portiamo nel cuore è il suo sorriso. Il sorriso di una donna esile e minuta, avvolta nei semplici lini grezzi del vestito dei poveri. Ma quanta forza e quanta soavità in quel volto ormai consunto come una vecchia pergamena! Come ebbe a dire un giornalista: «Madre Teresa è una finestra aperta, e Dio si è affacciato e ha sorriso al mondo».
L.T.
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ANNO XXX - 354
A che punto siamo
Il 24 giugno 2016 è stato proclamato
sindaco di Ruvo di Puglia il prof.
Pasquale Chieco, detto Ninni. Ha chiamato al suo fianco, in qualità di assessori,
alcuni “tecnici”, cioè persone addentro
alle materie di competenza loro affidate.
Tranne l’assessore Domenica Montaruli,
si tratta di tecnici esterni alla realtà ruvese.
La scelta degli assessori compete esclusivamente al Sindaco, per cui presumiamo che abbia avuto le sue buone ragioni per scegliere uomini e donne non appartenenti alla comunità ruvese, che pure possiede persone competenti e sicuramente in grado di gestire un assessorato. Molti leggono tale opzione come un segno di netta rottura con la precedente amministrazione di sinistra, guidata da Vito Ottombrini, la cui vicenda amministrativa e politica è stata particolarmente travagliata. Insomma, ci sarebbero due o tre sinistre che non dialogano fra loro o che dialogano faticosamente ma che comunque sono unite, tant’è vero che, se diamo uno sguardo ai risultati delle consultazioni amministrative, notiamo che fra gli eletti non vi è nessuna presenza riveniente dall’esperienza del PPI o della DC.
La tradizione cattolico democratica è stata quindi azzerata, e questa evidenza oggettiva ci autorizza a concludere che questa amministrazione è esclusivamente di sinistra. È come se si fosse riformato il patto PCI-PSI di altri tempi. L’asse dei moderati non ha sfondato per varie ragioni nonostante sia maggioranza nel paese. Le divisioni hanno contato più dell’elemento dell’unità. Se non si è uniti e compatti non si vincono le elezioni. È lapalissiano, ma a Ruvo si stenta a comprenderlo. Potremmo dire che chi è causa del suo male pianga sé stesso.
Occorre un rinnovamento che lanci sul proscenio della politica locale nuovi cavalli di razza, ammesso che ce ne siano, perché la politica non è tecnica, o solo tecnica, ma è un’arte complessa che tiene insieme politica e tecnica. La sola tecnica rischia di degenerare nel tecnicismo sterile ed infruttuoso, laddove la politica tiene conto non soltanto del dato tecnico ma anche delle condizioni politiche, sempre nel pieno rispetto delle norme di legge e dei principi che disciplinano la pubblica amministrazione.
Intanto, ad oggi l’azione amministrativa appare in affanno o un po’ stagnante. Di certo non si può giudicare un’amministrazione dopo solo tre mesi. Bisogna prendere contatto con le problematiche amministrative, che sono molte e complicate, formarsi un’idea precisa di come e cosa fare per risolverne alcune, per cui va concesso il giusto periodo di rodaggio ai nuovi amministratori. Il nostro auspicio è che le promesse elettorali si concretizzino in fatti reali. Al di là dei titoli e delle parole, sono i fatti che contano, e sui fatti questa amministrazione sarà giudicata a suo tempo dal corpo elettorale, parte cospicua del quale si è astenuta, mostrando disinteresse o distacco assoluto dalle vicende politiche. All’opposizione spetterà il compito di controllare l’azione amministrativa e di pungolarla con proposte ed iniziative politiche serie. L’alternativa va costruita passo dopo passo, anche attraverso la comunicazione continua con i cittadini, i quali sono comunque desiderosi di conoscere i fatti amministrativi e di partecipare in qualche misura alle vicende che li coinvolgono
Filoteo
La scelta degli assessori compete esclusivamente al Sindaco, per cui presumiamo che abbia avuto le sue buone ragioni per scegliere uomini e donne non appartenenti alla comunità ruvese, che pure possiede persone competenti e sicuramente in grado di gestire un assessorato. Molti leggono tale opzione come un segno di netta rottura con la precedente amministrazione di sinistra, guidata da Vito Ottombrini, la cui vicenda amministrativa e politica è stata particolarmente travagliata. Insomma, ci sarebbero due o tre sinistre che non dialogano fra loro o che dialogano faticosamente ma che comunque sono unite, tant’è vero che, se diamo uno sguardo ai risultati delle consultazioni amministrative, notiamo che fra gli eletti non vi è nessuna presenza riveniente dall’esperienza del PPI o della DC.
La tradizione cattolico democratica è stata quindi azzerata, e questa evidenza oggettiva ci autorizza a concludere che questa amministrazione è esclusivamente di sinistra. È come se si fosse riformato il patto PCI-PSI di altri tempi. L’asse dei moderati non ha sfondato per varie ragioni nonostante sia maggioranza nel paese. Le divisioni hanno contato più dell’elemento dell’unità. Se non si è uniti e compatti non si vincono le elezioni. È lapalissiano, ma a Ruvo si stenta a comprenderlo. Potremmo dire che chi è causa del suo male pianga sé stesso.
Occorre un rinnovamento che lanci sul proscenio della politica locale nuovi cavalli di razza, ammesso che ce ne siano, perché la politica non è tecnica, o solo tecnica, ma è un’arte complessa che tiene insieme politica e tecnica. La sola tecnica rischia di degenerare nel tecnicismo sterile ed infruttuoso, laddove la politica tiene conto non soltanto del dato tecnico ma anche delle condizioni politiche, sempre nel pieno rispetto delle norme di legge e dei principi che disciplinano la pubblica amministrazione.
Intanto, ad oggi l’azione amministrativa appare in affanno o un po’ stagnante. Di certo non si può giudicare un’amministrazione dopo solo tre mesi. Bisogna prendere contatto con le problematiche amministrative, che sono molte e complicate, formarsi un’idea precisa di come e cosa fare per risolverne alcune, per cui va concesso il giusto periodo di rodaggio ai nuovi amministratori. Il nostro auspicio è che le promesse elettorali si concretizzino in fatti reali. Al di là dei titoli e delle parole, sono i fatti che contano, e sui fatti questa amministrazione sarà giudicata a suo tempo dal corpo elettorale, parte cospicua del quale si è astenuta, mostrando disinteresse o distacco assoluto dalle vicende politiche. All’opposizione spetterà il compito di controllare l’azione amministrativa e di pungolarla con proposte ed iniziative politiche serie. L’alternativa va costruita passo dopo passo, anche attraverso la comunicazione continua con i cittadini, i quali sono comunque desiderosi di conoscere i fatti amministrativi e di partecipare in qualche misura alle vicende che li coinvolgono
Filoteo
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ANNO XXX - 354
Nel tempo e nello spazio di Dio
Le attività parrocchiali proseguirono
regolarmente nel mese di agosto
attraverso le varie iniziative a ogni
livello preso villa Pasqualina
e col campo-scuola che
ci ha fatto fare ritorno
a Torre Lapillo accolti
dall’amabile don Pasquale
Rizzo di Bonocore di
Nardò. Interessante la
connotazione comunitaria:
hanno partecipato insieme
famiglie del Cammino neocatecumenale e membri
del sodalizio di S. Rocco,
insieme ad altri giovani. Belli i
momenti di svago e soprattutto
di preghiera. Anche i momenti
spirituali non sono stati disattesi,
come l’adorazione mensile, il
Triduo all’Assunta e quello a S. Rocco con la festa celebrata il 16 e la tradizionale breve
processione. Abbiamo poi festeggiato alcune
coppie di sposi (Anna Maria e
Vincenzo, Salvatore e Adele)
per il 50° e 25° di matrimonio, e
l’incontro con Mons. D’Addezio
parroco in Muro Lucano
dove il nostro parroco si è
portato per predicare nella
ricorrenza dei festeggiamenti
in onore di S. Gerardo, nato
appunto in Muro Lucano.
Il 28 poi la comunità si è
riunita nell’anniversario del
cammino iniziato insieme il
28 agosto 1983.
Indimenticabile poi
l’incontro che il vescovo
don Mimmo ha avuto con le
comunità parrocchiali presenti in parrocchia.
Luca
Luca
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