Miei Cari,
una pausa di silenzio non fa male in
questo periodo estivo, per cui vi
propongo alcune riflessioni nelle quali
mi accompagna la giornalista L.
Scaraffia.
Forse non viviamo una vita vera, ma
siamo i protagonisti di un film: questo
sembra essere il messaggio che ci
lanciano le colonne sonore che –
volenti o nolenti – accompagnano le
nostre vite, proprio come succede ai
personaggi dei film.
Ormai un sottofondo musicale
è previsto praticamente dovunque: bar,
ristoranti, negozi e perfino nei
supermercati – pare che così la gente
compri di più – e talvolta anche nelle
stazioni o negli aeroporti. Naturalmente
le musiche sono differenti: possiamo
sentirci immersi in ritmi melodici
napoletani in una pizzeria, in
un’atmosfera jazz se il bar dove
entriamo e sofisticato; in un clima
americano melodicco – magari con
Frank Sinatra – in un ristorante, come
se ogni cena fosse l’occasione di
affascinare l’anima gemella. Nei negozi
di jeans prevale il rock o il genere
metal; in quelli vintage canzoni buffe
degli anni Trenta; se i tavolini di un
caffè sono all’aperto, musiche da
operetta possono rievocare i cafè
chantant; nei musei, soffusa nello
sfondo, musica classica. Perfino nelle
chiese, in quelle antiche e
artisticamente belle, quelle dove si
entra non solo per pregare, ma anche per ammirare, ormai è prevista una
colonna sonora: naturalmente si tratta
di musica sacra, a volume basso, ma
comunque tale da rompere il silenzio.
Forse in quest’ultimo caso l’intenzione
è buona: è un modo per far capire ai
turisti che si trovano in un luogo sacro,
che non possono parlare ad alta voce,
far rumore. E’ un modo di generare
rispetto, di suscitare sentimenti di
devozione.
In ogni caso, queste colonne sonore
colorano la nostra vita di atmosfere che
magari in quel momento sono molto
lontane dal nostro stato d’animo,
influenzano – qualche volta, bisogna
ammetterlo, in modo positivo – il
nostro umore. Ma creano anche sensazioni bizzarre e fuori luogo:
come se fossimo sempre, a ogni età
e in ogni occasione, innamorati e
sospirosi, o, in altri casi, ribelli ee
scontenti. E poi rendono difficili i
contatti umani, perché per parlare
dobbiamo alzare la voce, che perde
le inflessioni che vorremmo darle: i
messaggi si fanno brevi e perentori,
specie se il loro contenuto è in
contrasto con il clima musicale
imposto. Quante volte, in un
ristorante, un gruppo di persone che
si incontra per chiacchierare viene
indotto a rinunciare a qualsiasi
discorso un po’ lungo e complesso
dalla musica che imperversa e
rende difficile ogni scambio
verbale? Perfino un’antica
abitudine ben collaudata, come
quella di dire “andiamo a prenderci
un caffè così ne parliamo” viene
annullata dalla colonna sonora che
imperversa, impedisce di sentire
cosa dice l’altro e, per di più, crea
un’atmosfera spesso poco adatta al
discorso che si vuole affrontare.
Anche se ci stiamo talmente
abituando alla musica che quasi non
la ascoltiamo più la musica, e se
qualcuno la commenta lo
guardiamo stupiti: per noi è solo
uno tra i tanti rumori che ci
circondano, e ci rimbambiscono.
Così abbiamo ucciso il silenzio, che
non sempre e non solo significa
solitudine. Silenzio è anche
possibilità di sottrarsi alla banalità
quotidiana, di entrare nel profondo
di se stessi, nel luogo dove nasce un
pensiero che si plasma poi nella
parola. L’apice del silenzio ce
l’abbiamo nella lettura silenziosa,
che permette al lettore solitario di
creare con il libro un rapporto
esclusivo. Non è un caso che nella
nostra società, inquinata da musiche
e rumori, stia scomparendo
l’abitudine alla lettura: soprattutto
per i giovani è sempre più difficile
trovare concentrazione e silenzio,
condizioni indispensabili per la
comprensione di un testo. E chi non
legge perde molto.
Come ha scritto un grande studioso,
Giovanni Pozzi: “Amico
discretissimo, il libro non è
petulante, risponde solo se
richiesto, non urge oltre quando gli
si chiede una sosta. Colmo di
parole, tace”.
Cordialmente
Don Vincenzo
Al Sig. Vincenzo Caldarola, Presidente del Comitato Feste Patronali
Caro Presidente,
la nostra amicizia e il tuo diuturno impegno come 1° Componente della Confraternita di S. Rocco di cui sono Assistente Spirituale, e ti fanno tra i miei principali collaboratori, mi inducono a prendere la parola in ordine alla recente festa patronale dell’Ottavario del Corpus Domini (unica - da sempre - per la nostra città). Nel contempo ti esprimo la solidarietà per l’atto intimidatorio di cui sei stato oggetto in questi giorni.
1. Da diversi anni c’è un revival di mosse per far tornare il tutto all’antica tradizione, quasi i tempi non fossero cambiati e il Concilio Vaticano non avesse parlato a riguardo. E comunque - come altri hanno ricordato - la festa patronale dell’Ottavario non è un fatto parrocchiale ma è una festa dell’intera città “per cui vanno tenute presenti tutte le componenti di esse e, in primis, vescovo e intero Presbiterio. Se il vescovo non fosse stato tempestivamente informato sarebbe venuto a Ruvo la sera della domenica della festa. Tant’è che il suo programma riportato su “Luce e Vita” prevedeva alle ore 11,00 dello stesso 29 giugno l’amministrazione delle Cresime nella parrocchia di S. Giuseppe in Molfetta. E ancora: se volevasi la tradizione, perché anche il giorno del Corpus Domini, la processione non è avvenuta al mattino? E quando mai, nel giorno del Corpus, si son date le benedizioni agli altari delle porte di Ruvo? Tale prerogativa è stata sempre del vescovo e solo il giorno dell’Ottavario. E il giorno del Corpus Domini è stato sempre l’arcidiacono o, da quando era tra noi Don Tonino, è stato il Vicario generale a presiedere la processione del Corpus o, se è passata al parroco, lo si è fatto perché il vescovo mons. Negro, decretò, prima che fosse stata abolita la processione del Corpus Domini e poi - date le resistenze - che fosse stata una processione nel solo territorio parrocchiale. Cosa che caparbiamente non si è mai attuata. Il degrado poi ha raggiunto il culmine negli ultimi tempi con l’erezione di un misero altare (una gabbia donde sono stati liberati dei colombi come ha detto il popolo) in piazza Castello, confinato in un angolo sugli spalti del castello con accanto gli ombrelloni di un bar. Povero culto eucaristico! La piazza più antica e più bella scippata a Gesù Eucarestia per dar posto a mucchi di sedie, gazebo, palchi e quant’altro. La piazza diventava da sempre un’immensa basilica all’aperto donde il vescovo, prima di impartire la benedizione aveva modo di istruire la sua comunità cittadina. Da tempo immemorabile, anche se la festa non è stata “ricca” ha sempre troneggiato l’imponente altare posto al centro della piazza, alto, solenne e non frammischiato tra spalliere luminose di scarso valore anche scenografico. Gli amici confinanti dei paesi vicini venivano ad ammirare il maestoso altare dal quale il vescovo avrebbe poi impartito la prima benedizione.
2. Vorrei poi, caro Presidente, che non si dimenticasse come si è voluta affossare la grande festa di S. Rocco, Patrono Minore di Ruvo, e solo per il quale la città si mobilitò per la realizzazione del capolavoro d’argento del Sammartino. Fino all’episcopato Marena, lo stesso vescovo ha sempre partecipato alla processione la sera del 28 settembre. Da dopo l’episcopato Marena e il rientro processionale per il breve tratto dalla vicina chiesa del Purgatorio in Cattedrale (chiusa diversi anni per i restauri) della statua di S. Biagio, la festa di quest’ultimo ha soppiantato quella di S. Rocco anche se al primo era riservato il pontificale del 3 febbraio, il bacio della reliquia, le nocelline e alcune girandole nella piazzetta della Cattedrale. E basta. Far rivivere la tradizione del passato? Non a piacimento di alcuni e a discapito di ben più radicate tradizioni. Non è mai così avvenuto per Terlizzi in cui le tradizioni cittadine sono oltremodo consolidate e intoccabili (vedi i vari spostamenti della Madonna di Sovereto o il festone della Madonna del Rosario con la partecipazione del vescovo a tutte queste).
Quindi, caro Presidente, la memoria storica di Ruvo non va presa per quello che fa comodo, soprattutto perché quanto è avvenuto quest’anno non si ripeta e che la Processione dell’Ottavario torni nelle ore pomeridiane, come strenuamente voluto dagli ultimi vescovi, ma anche dalla stragrande parte della popolazione che al mattino dell’Ottavario ha preferito le spiagge di Bisceglie o di Barletta. Senza dire di quell’intervento su Facebook, peraltro non condiviso in pieno dall’autorità competente, dove si è favorito il commento di qualche laico con la “l” minuscola. Avrebbe fatto bene a non soffermarsi sui giudizi ai preti, se si devono indossare questo o quell’altro abito, peraltro assegnato e indossato per designazione della Segreteria di Stato del Papa
Con amicizia.
d. Vincenzo Pellegrini
la nostra amicizia e il tuo diuturno impegno come 1° Componente della Confraternita di S. Rocco di cui sono Assistente Spirituale, e ti fanno tra i miei principali collaboratori, mi inducono a prendere la parola in ordine alla recente festa patronale dell’Ottavario del Corpus Domini (unica - da sempre - per la nostra città). Nel contempo ti esprimo la solidarietà per l’atto intimidatorio di cui sei stato oggetto in questi giorni.
1. Da diversi anni c’è un revival di mosse per far tornare il tutto all’antica tradizione, quasi i tempi non fossero cambiati e il Concilio Vaticano non avesse parlato a riguardo. E comunque - come altri hanno ricordato - la festa patronale dell’Ottavario non è un fatto parrocchiale ma è una festa dell’intera città “per cui vanno tenute presenti tutte le componenti di esse e, in primis, vescovo e intero Presbiterio. Se il vescovo non fosse stato tempestivamente informato sarebbe venuto a Ruvo la sera della domenica della festa. Tant’è che il suo programma riportato su “Luce e Vita” prevedeva alle ore 11,00 dello stesso 29 giugno l’amministrazione delle Cresime nella parrocchia di S. Giuseppe in Molfetta. E ancora: se volevasi la tradizione, perché anche il giorno del Corpus Domini, la processione non è avvenuta al mattino? E quando mai, nel giorno del Corpus, si son date le benedizioni agli altari delle porte di Ruvo? Tale prerogativa è stata sempre del vescovo e solo il giorno dell’Ottavario. E il giorno del Corpus Domini è stato sempre l’arcidiacono o, da quando era tra noi Don Tonino, è stato il Vicario generale a presiedere la processione del Corpus o, se è passata al parroco, lo si è fatto perché il vescovo mons. Negro, decretò, prima che fosse stata abolita la processione del Corpus Domini e poi - date le resistenze - che fosse stata una processione nel solo territorio parrocchiale. Cosa che caparbiamente non si è mai attuata. Il degrado poi ha raggiunto il culmine negli ultimi tempi con l’erezione di un misero altare (una gabbia donde sono stati liberati dei colombi come ha detto il popolo) in piazza Castello, confinato in un angolo sugli spalti del castello con accanto gli ombrelloni di un bar. Povero culto eucaristico! La piazza più antica e più bella scippata a Gesù Eucarestia per dar posto a mucchi di sedie, gazebo, palchi e quant’altro. La piazza diventava da sempre un’immensa basilica all’aperto donde il vescovo, prima di impartire la benedizione aveva modo di istruire la sua comunità cittadina. Da tempo immemorabile, anche se la festa non è stata “ricca” ha sempre troneggiato l’imponente altare posto al centro della piazza, alto, solenne e non frammischiato tra spalliere luminose di scarso valore anche scenografico. Gli amici confinanti dei paesi vicini venivano ad ammirare il maestoso altare dal quale il vescovo avrebbe poi impartito la prima benedizione.
2. Vorrei poi, caro Presidente, che non si dimenticasse come si è voluta affossare la grande festa di S. Rocco, Patrono Minore di Ruvo, e solo per il quale la città si mobilitò per la realizzazione del capolavoro d’argento del Sammartino. Fino all’episcopato Marena, lo stesso vescovo ha sempre partecipato alla processione la sera del 28 settembre. Da dopo l’episcopato Marena e il rientro processionale per il breve tratto dalla vicina chiesa del Purgatorio in Cattedrale (chiusa diversi anni per i restauri) della statua di S. Biagio, la festa di quest’ultimo ha soppiantato quella di S. Rocco anche se al primo era riservato il pontificale del 3 febbraio, il bacio della reliquia, le nocelline e alcune girandole nella piazzetta della Cattedrale. E basta. Far rivivere la tradizione del passato? Non a piacimento di alcuni e a discapito di ben più radicate tradizioni. Non è mai così avvenuto per Terlizzi in cui le tradizioni cittadine sono oltremodo consolidate e intoccabili (vedi i vari spostamenti della Madonna di Sovereto o il festone della Madonna del Rosario con la partecipazione del vescovo a tutte queste).
Quindi, caro Presidente, la memoria storica di Ruvo non va presa per quello che fa comodo, soprattutto perché quanto è avvenuto quest’anno non si ripeta e che la Processione dell’Ottavario torni nelle ore pomeridiane, come strenuamente voluto dagli ultimi vescovi, ma anche dalla stragrande parte della popolazione che al mattino dell’Ottavario ha preferito le spiagge di Bisceglie o di Barletta. Senza dire di quell’intervento su Facebook, peraltro non condiviso in pieno dall’autorità competente, dove si è favorito il commento di qualche laico con la “l” minuscola. Avrebbe fatto bene a non soffermarsi sui giudizi ai preti, se si devono indossare questo o quell’altro abito, peraltro assegnato e indossato per designazione della Segreteria di Stato del Papa
Con amicizia.
d. Vincenzo Pellegrini
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ANNO XXVIII - N.330
NELLA VITA DELLA COPPIA SPESSO MANCA LA PAZIENZA
Nelle relazioni affettive la pazienza è una virtù essenziale e non va d’accordo con lo stile del nostro tempo che vorrebbe tutto e subito. La pazienza non è attesa vuota ma speranza nel futuro.
Perdere la pazienza è una delle caratteristiche di noi essere umani. Basta che chi ci sta davanti al semaforo non riparta immediatamente quando appare il verde che subito cominciamo a suonare per svegliarlo; basta che un relatore sia più pesante del previsto che cominciamo a sentirci a disagio e guardiamo cento volte l’orologio. Chi non ha assistito a qualche lite per il rispetto dei posti nelle code alle poste o in qualche altro ufficio? Per fortuna oggi esistono i numeri che si prendono all'ingresso degli uffici. In una società dove tutto avviene velocemente la pazienza è proprio la virtù dei forti. Nelle relazioni affettive la pazienza è una virtù essenziale e non va d’accordo con lo stile del nostro tempo che vorrebbe tutto e subito. Tutti dicono che è essenziale il dialogo in famiglia ma per dialogare serve tempo e pazienza. Tutti dicono che i conflitti vanno affrontati ma per sciogliere alcuni nodi serve tempo e pazienza e oggi è diventato un luogo comune ripetere che non abbiamo tempo. Ci vogliono anni per conoscersi e verificare la possibilità di una vita insieme; ci vogliono nove mesi perché nasca un bambino e poi perché nasca alla vita adulta ci vuole tanto tempo e tanta pazienza. La vita frenetica un po’ alla volta rischia di svuotarci perché ciò che viene sacrificato alla fretta della vita è il tempo di stare insieme, parlarsi, condividere, ascoltarsi; ciò che manca alla fretta della vita è la capacità di perdere tempo per l’essenziale. Ciò che manca è la pazienza. Nella vita di coppia il passare degli anni porta inevitabilmente a farsi un’idea dell’altra persona che lentamente si sclerotizza e diventa un pregiudizio difficile da modificare. Solo l’amore ma anche tanta pazienza può smontare questi pregiudizi e permetterci di vedere oltre l’apparenza e oltre i nostri schemi. La pazienza è la capacità di coniugare i valori con il tempo. Quanto più preziosi e delicati sono alcuni valori, tanto più è necessario un percorso lungo per viverli. Ma questo non avviene in modo passivo perché la pazienza non è attesa vuota, apatia, rassegnazione ma scelta del cuore, amore alla vita e alle persone, fiducia in quello che stiamo costruendo, speranza nel futuro. La pazienza è l’arte dell’educare che sa di essere come un contadino che semina e attende la stagione dei frutti. Ma la sua attesa è attiva e creativa perché si prende cura del terreno e poi della pianticella, la nutre e la difende dal gelo. La pazienza porta a credere che nella vita e nell'educazione è più importante il “processo” del “prodotto”. E’ più facile arrivare in un rifugio di montagna con la funivia ma è un’altra cosa arrivarci a piedi. In funivia è assicurato il prodotto, cioè il risultato, ma l’escursione regala fatica, consapevolezza delle proprie forze e limiti, paesaggi, compagnia, voglia di tornare indietro, attesa. In questa pazienza, cioè nel “processo”, si forma l’uomo maturo. Quanta pazienza ha Dio nei nostri confronti! Come non ricordare la pazienza del padre che aspetta il ritorno del figlio prodigo; la pazienza nei confronti dei suoi discepoli che fino alla fine non capiscono o travisano le sue parole; la pazienza nei confronti di quel fico che da anni non portava frutto e i discepoli vorrebbero tagliare mentre Gesù chiede ancora pazienza. E la pazienza di perdonarci sempre quando bussiamo alla sua porta per domandare perdono.
Perdere la pazienza è una delle caratteristiche di noi essere umani. Basta che chi ci sta davanti al semaforo non riparta immediatamente quando appare il verde che subito cominciamo a suonare per svegliarlo; basta che un relatore sia più pesante del previsto che cominciamo a sentirci a disagio e guardiamo cento volte l’orologio. Chi non ha assistito a qualche lite per il rispetto dei posti nelle code alle poste o in qualche altro ufficio? Per fortuna oggi esistono i numeri che si prendono all'ingresso degli uffici. In una società dove tutto avviene velocemente la pazienza è proprio la virtù dei forti. Nelle relazioni affettive la pazienza è una virtù essenziale e non va d’accordo con lo stile del nostro tempo che vorrebbe tutto e subito. Tutti dicono che è essenziale il dialogo in famiglia ma per dialogare serve tempo e pazienza. Tutti dicono che i conflitti vanno affrontati ma per sciogliere alcuni nodi serve tempo e pazienza e oggi è diventato un luogo comune ripetere che non abbiamo tempo. Ci vogliono anni per conoscersi e verificare la possibilità di una vita insieme; ci vogliono nove mesi perché nasca un bambino e poi perché nasca alla vita adulta ci vuole tanto tempo e tanta pazienza. La vita frenetica un po’ alla volta rischia di svuotarci perché ciò che viene sacrificato alla fretta della vita è il tempo di stare insieme, parlarsi, condividere, ascoltarsi; ciò che manca alla fretta della vita è la capacità di perdere tempo per l’essenziale. Ciò che manca è la pazienza. Nella vita di coppia il passare degli anni porta inevitabilmente a farsi un’idea dell’altra persona che lentamente si sclerotizza e diventa un pregiudizio difficile da modificare. Solo l’amore ma anche tanta pazienza può smontare questi pregiudizi e permetterci di vedere oltre l’apparenza e oltre i nostri schemi. La pazienza è la capacità di coniugare i valori con il tempo. Quanto più preziosi e delicati sono alcuni valori, tanto più è necessario un percorso lungo per viverli. Ma questo non avviene in modo passivo perché la pazienza non è attesa vuota, apatia, rassegnazione ma scelta del cuore, amore alla vita e alle persone, fiducia in quello che stiamo costruendo, speranza nel futuro. La pazienza è l’arte dell’educare che sa di essere come un contadino che semina e attende la stagione dei frutti. Ma la sua attesa è attiva e creativa perché si prende cura del terreno e poi della pianticella, la nutre e la difende dal gelo. La pazienza porta a credere che nella vita e nell'educazione è più importante il “processo” del “prodotto”. E’ più facile arrivare in un rifugio di montagna con la funivia ma è un’altra cosa arrivarci a piedi. In funivia è assicurato il prodotto, cioè il risultato, ma l’escursione regala fatica, consapevolezza delle proprie forze e limiti, paesaggi, compagnia, voglia di tornare indietro, attesa. In questa pazienza, cioè nel “processo”, si forma l’uomo maturo. Quanta pazienza ha Dio nei nostri confronti! Come non ricordare la pazienza del padre che aspetta il ritorno del figlio prodigo; la pazienza nei confronti dei suoi discepoli che fino alla fine non capiscono o travisano le sue parole; la pazienza nei confronti di quel fico che da anni non portava frutto e i discepoli vorrebbero tagliare mentre Gesù chiede ancora pazienza. E la pazienza di perdonarci sempre quando bussiamo alla sua porta per domandare perdono.
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ANNO XXVIII - N.330
La riqualificazione di Piazza Castello
Prendiamo le mosse dal
comunicato stampa del Comune
di Ruvo di Puglia sulla
riqualificazione di Largo Castello, il
quale sarà possibile “grazie a un
finanziamento di 2.006.900 euro
nell’ambito del PO FESR 2007-2013,
Azione 7.1.1, ottenuto dal Comune
per un progetto che prevede anche la
riqualificazione di piazza Cavallotti
e dell’imbocco di Via Cotugno. Il
progetto integrato di rigenerazione
urbana predisposto dal Comune ha
per obiettivo la riqualificazione di parti
significative della città, la valorizzare
del patrimonio storico e
archeologico, il miglioramento della
qualità urbana e l’incremento
dell’offerta turistica, puntando anche
sul contenimento del traffico carrabile
e sul potenziamento della mobilità
lenta, al fine di consentire una migliore
fruibilità e degli spazi pubblici”.
Questo, fra l’altro, si legge nel
comunicato. Seguono le dichiarazioni
di sindaco ed assessore al ramo, che
parlano di “traguardo significativo”, di
“progetto strategico”, di rilancio del
turismo, etc. Staremo a vedere,
sebbene sia arduo immaginare che lo
sviluppo economico di un paese possa
passare attraverso la riqualificazione
urbana di una piazza. Non ne
scorgiamo il nesso, forse per nostra
cecità. Invece era logico attendersi lo
squillar di trombe della politica locale
(“squillar s’ode da lunge un suon di
trombe,/un dare a l’arme ed un gridar
di genti/tal, che ne tuona e ne
rimugghia il cielo”, da L’Eneide di
Virgilio), che, avendo dato segnali
laschi in questi anni, cerca
affannosamente di riacquistare il
consenso dell’elettorato e di far
dimenticare che pendono sulla nostra
comunità cittadina tanto la questione
del debito gigantesco quanto quella
degli avvisi di garanzia. Non si
dimentichi che la bassa percentuale di
partecipanti al voto per il rinnovo del
Parlamento europeo, se ha suscitato le
grida di giubilo dei vincitori, sono e
restano, per chi sia intellettualmente
onesto e non fazioso, un segnale
allarmante di crescente disaffezione
della gente dalla politica.
A nostro modesto avviso, la
riqualificazione, che va fatta, non deve
tramutarsi in uno stravolgimento totale
dei luoghi coinvolti dai lavori. In
secondo luogo, forse sarebbe stato
opportuno mettere a confronto più
soluzioni tecniche, promuovere un
concorso di idee per poi optare per la
soluzione maggiormente condivisa.
Qualcuno parla di tempi ristretti. Se
così fosse, non si comprende la
ragione per cui non ci si sia mossi per
tempo. La fretta, com’è noto, fa i figli
ciechi e potrebbe indurre qualcuno a
prendere decisioni errate, a dare il
placet a progetti che potrebbero
risolversi in uno sperpero di denaro
pubblico. In tempi di vacche magre
come quelli che viviamo, sarebbe un
vero e proprio reato.
Filoteo
Filoteo
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ANNO XXVIII - N.330
Nel tempo e nello spazio di Dio
Giugno si caratterizzò per il
mese in onore del
S. Cuore. Ma
anche per l’immediata
preparazione dei fanciulli
di Prima Comunione. Si
concluse con il
pellegrinaggio al Santuario
del Miracolo Eucaristico di
Lanciano da parte dei
bambini, dei loro genitori e
dei catechisti. Tutti furono
felici e soddisfatti di questa
catechesi formidabile
sull’Eucarestia.
Si concluse anche il corso di
catechesi con un incontro consuntivo da
parte dei catechisti con il parroco.
La verifica portò anche alla decisione
“ad experimentum” di portare la
catechesi al solo giorno di sabato per il
prossimo anno catechistico del
mese di settembre. Anche il
Gruppo Giovani si è riunito
per fare il punto della
situazione e per
l’organizzazione di momenti
formativi estivi. Per i ragazzi
si è pensato all’Oratorio
estivo che avrà inizio il 1°
luglio e continuerà ad
oltranza anche perché
mentre altre realtà
parrocchiali chiudono
molti ragazzi restano per
le strade. I volontari
parrocchiali provvederanno ad essi.
Si è poi celebrata la festa della Prima
comunione il giorno del Corpus Domini.
Molto ben riuscita la preparazione e la
celebrazione.
LUCA
LUCA
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