NATALE: “SOLIDALI” O “SOLITARI”

Miei Cari,
un evento lontano più di venti secoli, torna ancora una volta vivo e attualissimo. Il Bambino di Betlemme nasce per tutti, senza distinzioni, portando una speranza che non muore. Un amico mi ha scritto per gli auguri di Natale un cartoncino che riportava questo testo: «Una notte ho sognato che, in occasione del Natale, avessero aperto sotto casa mia un nuovo negozio. Spinto dalla curiosità vado a vedere. È una bella bottega, tutta adornata e illuminata. Al banco vendita siede un angelo. Gli chiedo che cosa vendete: “Tutto quello che il tuo cuore desidera”, mi risponde. “Allora vorrei - gli dico - giustizia, pace, perdono e amore per tutti gli amici”. “Aspetta” - mi interrompe l’angelo - “guarda che qui non vendiamo frutti, ma solo semi...”». Ecco cosa ci ricorda il Natale: che tutti dobbiamo essere buoni seminatori e coltivatori di semi di giustizia, pace, perdono e amore. Per tanto tempo siamo vissuti gli uni accanto agli altri, se non gli uni contro gli altri. Oggi bisogna comprendere che dobbiamo vivere tutti insieme, imparare cioè che dobbiamo vivere e insegnare ad ognuno di noi che si deve vivere gli uni per gli altri. La sola legge, la sola gloria, la sola verità è l’amore. Diceva Raul Follerau “solidali” o “solitari”: bisogna scegliere. Natale: da quel giorno sappiamo che l’amore salverà il mondo. Ogni seme di amore presto o tardi fiorirà. È il mio auspicio e il mio augurio natalizio.
Don Vincenzo


La comunità parrocchiale si stringe intorno al suo Parroco in occasione della lieta ricorrenza del suo anniversario sacerdotale. Era il 7 dicembre del 1969. Per singolare coincidenza, PAPA FRANCESCO fu ordinato sacerdote lo stesso anno, il 13 dicembre. Al SANTO PADRE e a DON VINCENZO vanno i nostri più affettuosi auguri di ogni bene nel Signore, augurando loro lunghi e proficui anni di testimonianza cristiana, sia pur nella diversità dei ruoli e delle responsabilità.

Per voi Sposi: LASCIATE SPAZI

Lasciate spazi alla vostra unione,
lasciate che la brezza del
cielo danzi tra voi.
Amatevi l’un l’altra, ma che
l’amore
non sia una catena.
Dissetatevi a vicenda, ma non
bevete
alla stessa coppa.
Nutritevi
a vicenda, ma non mangiate
dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e siate
lieti,
ma che ciascuno di voi sia solo,
come le corde del liuto
che tuttavia vibrando
danno lo stesso suono.
Donate il cuore al vostro
compagno,
ma non appropriatevi del suo.
Siate vicini l’uno all’altra, ma non
troppo:
le colonne del tempio hanno
giusti intervalli,
né le querce e i cipressi crescono
l’uno all’ombra dell’altro.

G. K. Gibran

EVANGELII GAUDIUM: l’esortazione di Papa Francesco

Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi. Questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore””. È l’esordio dell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” licenziata da papa Francesco il 24 novembre scorso. Mi soffermerei su queste parole introduttive del Santo Padre perché mi sembrano riassuntive dell’intera esortazione. Emerge la preoccupazione, direi il dolore, del Papa per l’eclissi della gioia nello Spirito Santo. Se non c’è lo Spirito di Dio c’è lo spirito del mondo, cioè c’è la ricerca del piacere fine a sé stesso, individualistico, egoistico, che porta ad escludere gli altri dal proprio orizzonte vitale, o meglio a trasformare l’altro in oggetto. Prendiamo ad esempio la pornografia. Cos’è la pornografia se non degradazione massima dell’unione fra un uomo ed una donna ridotti a strumenti, ad oggetti, a cose? Dov’è lo Spirito di Dio in questo caso? Si intravvede? Direi di no, tutt’altro. Teniamo bene a mente i seguenti passi biblici: “Non illudetevi: né immorali (pornòi), né idolatri, né adùlteri (moichòi), né depravati (malakòi), né sodomiti (arsenokòitai), né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio” (1 Corinzi 6, 9). “Sappiatelo bene, nessun fornicatore (pòrnos) o impuro (akàthartos) o avaro, cioè nessun idolatra, avrà in eredità il regno di Cristo e di Dio” (Efesini 5, 5). “Sono ben note le opere della carne: fornicazione (pornèia), impurità (akatharsìa), dissolutezza (asèlgheia); riguardo a queste cose vi La Caritas Parrocchiale ha il suo CENTRO DI ASCOLTO in Vico G. Jatta, 4 ogni Lunedì dalle ore 19 alle 21 preavviso, come già ho detto: che chi le compie non erediterà il regno di Dio” (Galati 5, 19-21). L’egoista poi non è dalla parte dei poveri. Non è forse nemico dei poveri. Non li avversa ma è indifferente alla loro sorte. In altre parole non gliene frega niente. Ha la mano inaridita ed il cuore spento, desolato. Difatti chi trattiene per sé non è più capace di provare letizia nel compiere il bene e neppure di entusiasmo (essere entusiasti vuol dire custodire Dio dentro di sé). È già morto alla vita di grazia, quindi alla vita eterna. Anche i credenti possono cascarci ed illudersi. Spesso vengono a patti con lo spirito del mondo e si corrompono. Di qui l’invito del Papa a rinnovare la propria intima adesione al Cristo, in altri termini a cercarlo ogni giorno, a leggere il Vangelo, a pregare, a sentirlo vicino. San Serafino di Sarov diceva che il fine della vita cristiana è l’acquisizione dello Spirito Santo. Egli, che procede dal Padre e dal Figlio, è il dono che il Signore non rifiuta a nessuno: “Ebbene io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (Lc 11, 9-13). È il dono essenziale. Senza lo Spirito Santo non c’è il credente. C’è solo “pianto e stridore di denti” già su questa terra.

Salvatore Bernocco

DON TONINO E PAPA FRANCESCO pionieri di una “Chiesa in uscita”

La chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione del Vescovo Don Tonino Bello ha riproposto al popolo dei credenti la figura di un «Pastore» che ha praticamente aperto una strada che Papa Bergoglio sta oggi percorrendo condividendo con lui la coraggiosa concezione di una «Chiesa in uscita». Se don Tonino fosse vissuto più a lungo, oggi sarebbe stato coetaneo di Papa Francesco e si sarebbe rallegrato con lui per l’attribuzione del meritato riconoscimento di «persona dell’anno» da parte del prestigioso settimanale statunitense «Time». Entrambi oggi si sarebbero mossi in piena sintonia in quanto accomunati dalla stessa visione della vita e del rapporto Chiesa-mondo. Infatti, don Tonino sbalordiva per il suo modo di vivere e di rapportarsi al popolo. Colpiva, infatti, per la semplicità e sobrietà del costume; per la rinuncia agli agi del «palazzo»; per la vicinanza ai poveri; per la difesa dei meno garantiti; per l’efficacia della comunicazione; per l’affidabilità nei rapporti umani. Son in molti i testimoni che ricordano come da Vescovo abbia preferito indossare la croce di legno; abitare in poche stanze dell’episcopio; aprire le porte ai senza tetto; girare per le strade a piedi; spostarsi in cinquecento; evitare l’eccesso di formalismo curiale. È stato lui per primo a incarnare la «Chiesa del grembiule» chiamata a servire, distante dal formalismo dell’autorità. Oggi Papa Francesco non è da meno. Ha fatto la sua prima uscita tra i carcerati e si è inginocchiato davanti a loro indossando un grembiule al momento della lavanda dei piedi; ha proclamato una Chiesa povera e per i poveri; ha ordinato trasparenza alla IOR; è andato incontro ai naufraghi di Lampedusa; ha rifiutato la mozzetta con l’ermellino; ha continuato ad indossare la sua croce di ferro; ha preferito risiedere a Santa Marta piuttosto che nelle stanze del Palazzo Apostolico. Continua a spostarsi con una semplice utilitaria; a baciare i bambini; ad abbracciare i disabili; a mantenere i rapporti telefonici con le persone; a ridimensionare le pretese dei «curiali». Come don Tonino, Papa Bergoglio usa un linguaggio semplice che arriva al cuore della gente; cattura l’entusiasmo di chi l’ascolta; esce spesso fuori dagli schemi formali; sfida i teorici della «Chiesa Istituzione» cui sta a cuore più la carriera che il servizio. Sia per l’uno che per l’altro la Chiesa deve rispettare la originaria vocazione missionaria, andare incontro all’uomo, penetrare nelle periferie, farsi prossimo di chi soffre, offrire solidarietà. Come testimoni di una fede incarnata, entrambi esortano gli uomini di buona volontà a non «lasciarsi rubare la speranza» ed a lavorare per la costruzione di un mondo pacifico in cui non vi sia più spazio per il potere del denaro e delle armi, ma sia assicurata l’opzione privilegiata per la «convivialità delle differenze» e per il «dialogo sempre aperto».

Michele Giorgio

TALE PADRE (e madre), TALE FIGLIO

Figlio fa rima con padre e madre. C’è poco da girarci intorno: figliolanza ha a che fare con paternità e maternità allo stesso tempo. Se c’è l’una, non possono latitare le altre, pena un’opera incompiuta. Farsi «mettere al mondo» è faccenda maledettamente seria e complicata. Perché non appaltata soltanto all’incontro più o meno casuale di cellule o alla scarica adrenalinica di un attimo. Se, come sembra, servono un padre e una madre che davvero siano tali, e non solo un uomo e una donna, allora a essere coinvolti sono piuttosto desideri, emozioni, progetti, dono reciproco, accoglienza, corporeità, stupore. Di conseguenza, non tutti coloro che procreano sono per ciò stesso genitori, e al contempo non basta nascere «in carne e ossa» per essere figlio. E se è per questo, non si nasce figli una volta sola per tutte, e non si‘è genitori solo in sala parto. Ci vuole una vita intera per essere e l’uno e gli altri! Gesù l’ha spiegato bene all’incredulo e nottambulo Nicodemo: si deve rinascere di continuo, «Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito» (Gv 3,6); che è come dire che essere carne è ancora poco, se non arriviamo a essere spirito nello Spirito. E che Maria è stata mamma di Gesù sotto la croce non meno che nella capanna di Betlemme. E che il falegname Giuseppe non è stato meno papà di Gesù solo perché non ne era il genitore biologico, avendolo comunque educato a una vita buona e bella, e alla fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Ed entrambi, papà e mamma, sono stati genitori nel pieno senso della parola, avendolo amato e accettato quale dono di Dio da accogliere, accudire, far crescere responsabilmente e, infine, lasciare andare. Secondo i progetti di Dio su quel figlio, e non secondo i propri disegni di genitori apprensivi e desiderosi di riscatto sociale. Bisogna pure dire che anche Gesù imparò a fare il figlio, sia di Giuseppe e Maria sia del «Padre suo che è nei cieli». E non fu esente da incidenti di percorso (ricordate i tre giorni da dodicenne quando «scomparve» a Gerusalemme senza dir niente a mamma e papà?), né tantomeno da ripensamenti (grande la donna cananea, pagana, che gli fa cambiare idea con la storia del cagnolino e delle briciole!), o da autentiche fatiche (come all’orto degli ulivi). Imparando a 33 anni a essere davvero figlio fidandosi del Padre, non subendone più la volontà come imposizione ma come progetto di vita, e facendo di sé a sua volta un dono per tutti: «Io do la mia vita» (Gv 10,17), e proprio per questo poi mi ritrovo più figlio di prima! Quest’anno perciò ci piace ricordare che il Natale, il nostro Natale di ogni giorno, è faccenda di paternità e maternità non solo fisica, ma anche - come si suol dire - spirituale. Perché tutti noi possiamo crescere assieme a Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).

 fra Fabio Scarsato

Nel tempo e nello spazio di Dio

Si diede inizio al mese di novembre con il pellegrinaggio a Pompei dove il parroco celebrò per la conclusione del mese del Rosario. Dopo la commemorazione dei defunti don Vincenzo si recò ad Assisi per gli esercizi spirituali. Continuò poi regolarmente la catechesi a tutti i livelli e i giovani parteciparono agli incontri cittadini, poi fummo introdotti ad una tre sere che culminò con la festa di Cristo Re, titolare della nostra parrocchia. Seguirono momenti di festa per tutti i componenti della parrocchia. Un incontro si ebbe poi per le Associate della Madonna del Buon Consiglio. Ebbe poi inizio la novena dell’Immacolata. Proseguirono intanto le catechesi per l’eventuale formazione di un’altra Comunità neocatecumenale. Gli adulti di A.C.I. ebbero il loro incontro formativo, mentre il parroco si incontrò con la presidente diocesana di A.C.I.; partecipò poi alla riunione dei parroci con il Consiglio diocesano di A.C.I. presso la chiesa di S. Giacomo nuovo.

Luca