QUARESIMA COME “RITORNO A DIO”

Miei Cari,
Il sacro rito delle Ceneri ci introduce nel “tempo favorevole” della Quaresima che nel linguaggio cristiano è sempre sinonimo di “conversione” nel senso preciso di “RITORNO A DIO”, alla sua Parola, al suo progetto sull’uomo e sulla sua storia. Oggi, quando ogni tentativo di salvezza è fallito al di fuori del messaggio cristiano, o quando un cristianesimo diluito nei compromessi umani va perdendo ogni credibilità, si fa urgente il bisogno di tornare a Dio.

CONVERSIONE è svegliarsi da un certo torpore che ci fa vivere un cristianesimo scolorito che non dice più nulla alla gente.

CONVERSIONE è decisione coraggiosa e leale, impegno costante verificato ogni giorno alla luce della Parola che ogni sera ci radunerà nella nostra chiesa parrocchiale e nelle nostre famiglie nei gruppi del vangelo.

CONVERSIONE è anzitutto disposizione d’animo di volersi convertire e che non è possibile continuare a vivere una fede impersonale che è una maschera di cristianesimo, una contraffazione, un tradimento.

CONVERSIONE dovrà significare un ritorno al Vangelo, un andare alla ricerca spasimante di Gesù, perché questa è “vita eterna”.

Ci domanderemo in questo desertoquaresima che ci separa dalla Terra Promessa: perché la nostra vita non produce i frutti che Dio vorrebbe, nonostante la presenza di Cristo in mezzo a noi; perché la nostra sterilità nel produrre opere di bene? Ci accorgeremo che in questo itinerario così pieno di tentazioni, ci verrà incontro la misericordiosa pazienza di Dio, non mai stanco dell’uomo: “come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia”. E’ da Lui che inizia la nostra CONVERSIONE, con Lui ci incamminiamo verso la piena liberazione, verso la “nostra” Pasqua.

CONVERSIONE significherà quindi riconoscere in Dio l’amore che perdona e che il figlio capisca e torni a casa, la casa del Padre, magari per interesse. Riconoscere che egli ci segue con amore instancabile come se non potesse essere felice senza di noi.

CONVERSIONE vorrà dire per ciascuno di noi riconoscere – dal più piccolo al più grande – che molto spesso ci facciamo un Dio a nostra immagine e somiglianza. Questo itinerario faticoso, ma gioioso, quale vorrà essere la nostra quaresima, ci porterà a riconciliarci con Dio e con i nostri fratelli che non abbiamo amato, che abbiam fatto finta di non vedere sulla strada di Gerico; ci farà tornare con fiducia alla casa del Padre per ricevere da Cristo la sua amicizia col sacramento del perdono; ci farà liberi e soprattutto ci renderà operatori di pace con noi e per gli altri.
                                                                           don Vincenzo

I SEGNI DI LOURDES: LA ROCCIA, L’ACQUA, LA LUCE, IL VENTO



L’11 febbraio del 1858, Bernadette Soubirous, mentre si accingeva ad oltrepassare il Fiume Gave, fu scossa da un improvviso soffio di vento, vide l’agitarsi d’un roseto selvatico nel cavo della roccia e subito il sorriso d’una meravigliosa giovinetta vestita di bianco, che l’invitava a recitare il Rosario, e, al termine di quella apparizione le fu più facile passare a piedi nudi le fredde acque del Gave per tornare a casa. A Lourdes, oggi, in quella grotta, il pellegrino contempla in Maria come in un’immagine purissima, ciò che egli stesso desidera, spera e prega di essere; riconosce più prontamente la missione di Maria nel mistero del Cristo e della Chiesa, e sente più intensamente il legame che l’unisce agli altri fratelli, particolarmente ai poveri, ai deboli, agli ammalati; avverte chiaramente che la sua devozione a Maria, per essere sincera, deve tradursi in amore alla Chiesa e viceversa. A Lourdes Maria comunica il suo messaggio con quattro segni particolarmente importanti nella manifestazione della vita cristiana e che il pellegrino comprende facilmente: la roccia, l’acqua, la luce e il vento. Una delle scene lourdiane più suggestive è quella dei pellegrini che sfilano in rigoroso silenzio a baciare la roccia che racchiude, come in uno scrigno prezioso, la grotta delle apparizioni e la statua dell’Immacolata: ciò vuol dire che Maria educa i suoi pellegrini ad accettare con fede e con fiducia l’azione sovranamente libera di DIO. Quello dell’acqua è il segno tipico di Lourdes. Nell’apparizione del 25 febbraio l’Immacolata chiese a Bernadette di bere e di lavarsi. Prontamente la fanciulla si avviò verso il Gave, perché nella grotta non vi era acqua, ma la Madonna fece segno di entrare nella grotta. Bernadette scavò con le sue piccole mani, ma non uscì altro che un filo d’acqua melmosa, che la ragazza riuscì a bere solo dopo il quarto tentativo. Si cominciò a capire, che la Vergine chiedeva la preghiera per i peccatori e la loro conversione e la fedeltà alla vita nuova, che scaturisce dalle acque purificatrici e sanificatrici del Battesimo. Quell’acqua guarì i primi ammalati ed ancor oggi compie miracoli per volere della Vergine. A Lourdes, il pellegrino partecipa alla processione aux flambeaux; quando egli accende il cero votivo innanzi alla Madonna, questo è il segno che gli ricorda il dono del Battesimo come una vera illuminazione, che ha fatto cadere su di lui il raggio vivificante della Verità divina, che l’ha fatto idoneo a camminare come figlio della luce verso la visione di Dio, fonte d’eterna beatitudine. Il vento rappresenta il segno dello Spirito Santo. Mossa dallo Spirito e confortata dalla presenza di Maria, Bernadette visse il messaggio di Lourdes: povertà lieta, preghiera e penitenza per i peccatori, presenza di Maria, sofferenza fisica e morale, felicità e fiducia nelle promesse dell’IMMACOLATA, carità infinita e divenne santa. Sicché possiamo senz’altro dire che da Lourdes MARIA continua ad essere segno ai figli del suo amore, indicandoci il cammino del bene.

M. M.



IL MERCOLEDI’ DELLE CENERI

La preparazione alla celebrazione della Pasqua si è andata progressivamente sviluppando: da un primo nucleo di due giorni di digiuno, chiamato digiuno pasquale, si è passati prima ad una settimana, poi a tre e finalmente a sei settimane: in tutto quaranta giorni prima del triduo pasquale. Da qui il nome di «Quaresima» dato a questa prima domenica, e poi a tutto il periodo. Questo era un tempo di digiuno, a somiglianza dei quaranta giorni di Noè, di Elia, dei quarant’anni del deserto, e soprattutto dei quaranta giorni di Gesù. Siccome però, nei giorni di domenica, che è il giorno della risurrezione, non si digiunava, per assicurarsi quaranta giorni effettivi di digiuno, si è anticipato l’inizio di esso al mercoledì precedente la prima domenica. La celebrazione avveniva a Roma con una processione dalla chiesa di S. Anastasia a quella di S. Sabina (è l’inizio delle «Stazioni» quaresimali). Se la prima domenica era l’inizio della preparazione prossima al battesimo, con la «iscrizione del nome» degli eletti, il mercoledì era particolarmente destinato ad iniziare un tempo più rigido per i penitenti, in attesa della riconciliazione, che avrebbe ricevuto il Giovedì santo, a conclusione della Quaresima. Ce lo attesta il sacramentario Gelasiano, del VII secolo. In questo libro però si parla di «cilizio», ma non propriamente di «ceneri». L’imposizione delle ceneri viene testimoniata, a partire dal sec. X, in Renania, e poco più tardi sarà introdotta a Roma, con rito liturgico. Forse in privato, alcuni cristiani la usavano già da tempo. Tale uso proviene dalla pratica giudaica attestata frequentemente dall’AT (Giosia 7, 6; 2 Sam 13, 19; Ezech. 27, 30; Giobbe 2, 12 42,6; Giona 3, 6; Ester 4, 3). È segno di penitenza e di afflizione. Introducendolo nella liturgia romana, si è inteso estendere a tutto il popolo un rito che richiamasse l’esigenza della conversione, che per i pubblici penitenti era evidente. Caduta in disuso la pratica della penitenza pubblica, tutto il popolo cristiano si è messo in «stato di penitenza». Più che fermarsi quindi al segno della «cenere», bisogna cogliere questo spirito di penitenza e di conversione. Da notare subito che si tratta, non di una penitenza individuale in primo luogo, ma di tutta la Chiesa che si mette in stato di penitenza. I «segni» di tale stato sono tradizionalmente tre: la preghiera, il digiuno, l’elemosina (o la pratica della carità, in senso generale). Il Concilio Vaticano II insiste anche sull’ascolto più abbondante della Parola di Dio, e sulle «celebrazioni penitenziali» il mercoledì delle ceneri, in particolare, è giorno di digiuno (come anche il Venerdì santo). Molto spesso i cristiani di oggi rifiutano, come superato, tale digiuno. Per altro verso, oggi si apprezza con valida «protesta» il digiuno di un gruppo o di un singolo. Deve esser considerato il valore di una Chiesa intera che digiuna. Certo, nel NT, il digiuno ha un senso diverso, come ci indica il vangelo del giorno. Se «gli amici dello sposo non possono digiunare, quando lo sposo è con loro», la Chiesa digiuna perché aspetta la venuta dello Sposo nella notte pasquale. L’atteggiamento penitenziale, necessario alla natura umana nella attuale situazione di peccato, non esclude, anzi postula la necessaria fiducia nella misericordia di Dio, che ci è stata manifestata in Cristo. Da quest’incontro nasce l’esigenza della conversione. Il nuovo rito della benedizione e della imposizione delle ceneri lo mostra chiaramente. Essa viene fatta dopo la Liturgia della Parola, come risposta ad essa. Lo insinua anche la formula alternativa: «Convertitevi e credete al Vangelo», che può sostituire quella tradizionale: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». I canti della celebrazione insistono sul «rinnovamento» della vita, ma sappiamo bene che solo Dio «fa nuove tutte le cose». È lui che, rinnovandoci, ci ha dato la possibilità e l’impegno di rinnovarci.

 I.S.


IL PUGNO, I CONIGLI E IL CALCIO DOVE NON BATTE IL SOLE


Papa Francesco non è un papa “ortodosso”, dove per ortodosso intendo ligio a certe regole e schemi scritti o vissuti dai suoi predecessori. È un papa fuori degli schemi e dice ciò che pensa spesso a detrimento dell’etichetta e del bon ton, di una sorta di galateo istituzionale, senza usare eufemismi e senza mezzi termini.
Credo che egli sia un tipo verace che se ti deve mandare a quel paese, ti ci manda papale papale, senza mezze misure e senza trincerarsi dietro un manierismo ipocrita e farisaico.
Eletto al soglio pontificio, fra i suoi primi gesti ricordiamo la rinuncia agli appartamenti vaticani in linea col nome prescelto, Francesco, esempio di povertà e umiltà cristiane. E questo mentre qualche cardinale vive in appartamenti di 700 metri quadri, cioè in piccole e scomode abitazioni, non rinunciando a un bel nulla, ai segni del potere tanto deprecati da don Tonino Bello. Questi sono i veri ipocriti, coloro che impongono ad altri pesi che essi non porteranno mai e che, secondo me, che pure sono peccatore, andrebbero “rieducati” in appositi conventi o mandati a casa. A casa loro, non a quella che occupano nello Stato Vaticano.
Papa Francesco indossa un anello d’argento, non uno di quelli d’oro che pesano un chilo e che starebbero a significare cosa? Una dignità che l’oro stesso confuta? Il nostro Papa ha fatto una scelta di semplicità evangelica e si esprime in modo tale che tutti possano capire chiaramente il suo messaggio, che poi è il messaggio del Cristo.
Lotta alla corruzione, lotta senza quartiere alla pedofilia, lotta ai privilegi. Lotta insomma contro tutto ciò che va contro lo stile di vita evangelico e anche contro certe interpretazioni fondamentaliste della Parola di Dio, dove, certo, vi è il riferimento al “crescete e moltiplicatevi” ma non alla stessa maniera dei conigli, la cui prolificità è ben nota. Perché l’uomo deve adottare il criterio della responsabilità, della maternità e paternità responsabili. Fare dieci figli come ai tempi in cui i figli erano braccia da lavoro, non ha senso. Certo, chi può, lo faccia, ma chi non può permettersi di crescere dieci figli perché dovrebbe metterli al mondo? Per soffrire?
E veniamo al pugno di Papa Francesco.
Cosa ha detto di strano? Se uno tenta di colpire mia madre, io che faccio? Porgo l’altra guancia di mia madre o mi prodigo per fermare l’aggressore? Nella dottrina vi è contemplato il diritto all’autodifesa: se qualcuno tenta di uccidermi, devo difendermi. Così, se qualcuno tenta di aggredire mia madre (la mia fede), io non gli dico “fai bene”, ma cerco di oppormi alla sua violenza. Il grido “Je suis Charlie” ha risuonato in tutto in mondo occidentale dopo l’attentato di Parigi, però fino a che punto la satira deve farsi beffe della mia personale fede? Perché deve offendere i sentimenti religiosi di milioni di esseri umani? È un principio universalmente accolto: la mia libertà finisce là dove inizia la libertà dell’altro. Quindi, mutatis mutandis, il tuo diritto di satira finisce dove comincia il mio diritto di ottenere che la mia fede sia rispettata. Vi ricorderete di quell’increscioso episodio di cui furono protagoniste quattro sgallettate del gruppo femminista “Femen”.
A seno nudo, in Piazza San Pietro, usarono in modo assai improprio il crocefisso per protestare contro la religione cattolica. Anche quella fu satira? Furono arrestate per la semplice ragione che vi è un limite ad ogni manifestazione del proprio pensiero che non può essere travalicato senza che a ciò non corrisponda una sanzione o una replica. In molte vicende umane la virtù da agire è la prudenza cui è connessa una abbondante misura di equilibrio e sapienza.
Infine, il calcio al sedere. Se un corrotto vuole corrompermi, come minimo lo mando a quel paese o gli ficco una pedata al sedere. O faccio il fesso, cioè faccio finta di non aver capito. È quanto ha fatto il Santo Padre quando si trovava in Argentina ed era ancora cardinale. Molti di noi avrebbero fatto la stessa cosa, anche se, e questo è un punto dolente, gli italiani non brillano per onestà.
In sintesi, Francesco agisce come una persona dotata di buon senso e che si attiene alla morale cristiana, non ai moralismi di facciata che nascondono nefandezze e corruzioni piccole e grandi.
Per questa ragione piace. Per questa ragione trova consensi anche in mondi lontani dalla fede cattolica. Dovremmo gioirne invece di imbastire processi inquisitori a carico del Vicario di Cristo.

                                                                                                            Salvatore Bernocco

IL XII PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA: SERGIO MATTARELLA



Il Parlamento in seduta comune, allargato ai rappresentanti dei Consigli regionali, ha eletto al quarto scrutinio Presidente della Repubblica, con 665 voti, il giurista siciliano On. Sergio Mattarella, figlio d’arte. Dal 1983 al 2008 è stato deputato, prima per la Democrazia Cristiana e poi per il Partito Popolare Italiano e la Margherita, e più volte ministro. Dal 2011 era giudice costituzionale di nomina parlamentare. È stato sposato con Marisa Chiazzese, deceduta il 1° marzo 2012. Sergio Mattarella è il quarto figlio di Maria Buccellato e di Bernardo, politico democristiano più volte ministro tra gli anni cinquanta e sessanta, e fratello minore di Piersanti, che nel 1980 fu assassinato da Cosa Nostra mentre era presidente della Regione Sicilia. Suo padrino di battesimo fu l’amico paterno Salvatore Aldisio, già deputato del Partito Popolare Italiano e ostracizzato dal regime fascista. In gioventù Sergio Mattarella, trasferitosi a Roma a causa degli impegni politici di suo padre, ha militato tra le file del Movimento Studenti della Gioventù Maschile di Azione Cattolica, del quale fu responsabile come delegato studenti di Roma e poi del Lazio dal 1961 al 1964, e successivamente aderì alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Dopo essersi diplomato al liceo classico San Leone Magno di Roma, nel 1964 si laureò in giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma. Oltre all’avvocatura in un avviato studio legale palermitano specializzato in diritto amministrativo, Mattarella intraprese la carriera accademica presso l’Università di Palermo, come allievo di Pietro Virga. Fu assistente di Diritto parlamentare e poi professore associato. Dopo il 1999 diventò ordinario di Diritto costituzionale. Formatosi politicamente alla scuola dell’On. Aldo Moro, il primo pensiero del neo Presidente è andato agli italiani, in particolare ai più bisognosi. Fra i suoi primi atti, sottolineiamo per la sua significatività la visita alle Fosse Ardeatine a Roma, luogo dell’eccidio di 335 civili e militari italiani, fucilati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche. La comunità del SS. Redentore rivolge rispettosi auguri al nuovo Presidente, auspicando che il suo mandato sia rivolto all’esclusivo progresso sociale, economico e politico del nostro Paese, il quale, in questi tempi aridi di speranza, ha necessità di riforme che vadano in direzione del bene comune.

Nel tempo e nello spazio di Dio

Con l’invocazione allo Spirito Santo e la proclamazione di S. Teresa d’Avila a Protettrice dell’anno per la nostra comunità demmo inizio al nuovo anno. Non mancarono le serate di fraternità trascorsi con i vari gruppi e movimenti parrocchiali che ebbero termine con la solennità dell’Epifania. Insieme al parroco e alle coppie Biagio e Nicoletta Mastrorilli e Michele e Lucia Paparella si diede poi inizio al Percorso di fede dei fidanzati che quest’anno celebreranno il Sacramento del Matrimonio. Ci fu poi la ripresa della catechesi settimanale a tutti i livelli compresa anche quella per i confratelli di S. Rocco e delle Associate della Madonna del Buon Consiglio. Diversi momenti di riflessione si ebbero per le feste di S. Ciro e S. Giovanni Bosco, e per quest’ultimo si registrò la presenza di Don Giuseppe Clone dei salesiani, il quale presentò un’affascinante vita del Santo di cui quest’anno si celebra il II Centenario della sua nascita. L’adorazione del 1° Giovedì e del 23 animata dal Gruppo Eucaristico e da quello di S. Pio coronarono degnamente l’intero mese di Gennaio. Festoso il ritorno in parrocchia della statua di don Bosco proveniente dall’Istituto S. Cuore da parte dei giovani della città la sera del 31.

 Luca