Noi come LUI: misericordiosi

Miei Cari,
Giubileo straordinario: ci siamo. L’anelito di Papa Francesco di indire un Anno della Misericordia è per ricordare a tutti gli uomini che Dio è soprattutto misericordia e vuole che la Chiesa - che continua la sua opera salvifica nella storia - sia misericordia e non solo giustizia. Per questo viene proposto a ciascuno di noi il cammino concreto per conoscere, diffondere tra gli uomini le opere di misericordia corporale e spirituale. Siamo veramente Chiesa credibile - dice il Papa - quando animiamo tutti i nostri interventi con l’amore misericordioso. Diventa quasi determinante per la credibilità di questo annuncio che ognuno di noi, viva e testimoni in prima persona la misericordia. Ogni nostro gesto e parola devono poter trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per il ritorno al Padre. Con una frase ad effetto il Papa ci ricorda che “dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve trovare un’oasi di misericordia”. “Misericordiosi come il Padre” è il motto dell’Anno Santo. Un Anno in cui non solo riceviamo la misericordia del Padre, ma la diffondiamo intorno a noi. Egli sa bene che la fragilità e la debolezza sono condizioni permanenti della nostra struttura personale, per cui non si stanca di perdonare settanta volte sette. Gesù ci chiede che ognuno di noi abbia questo stesso atteggiamento di misericordia permanente verso gli altri. Se il perdono e la pace verso chi ci è nemico non avviene, viene vanificato l’alto valore e significato di questo tempo di grazia costituito dall’Anno Santo. Il mio auspicio è che rancori a volte generati da stupidità e grettezza spirituale siano annullati perché possiamo ancora essere riabbracciati dal Padre. E sarà perdono e gioia vera. Cordialmente,
Don Vincenzo


Dicembre del 1969
Il 7 fu ordinato presbitero
il nostro parroco don Vincenzo
Il 13 divenne presbitero
Papa Francesco
Ad essi la nostra filiale vicinanza
e l’accorata preghiera
per il loro ministero pastorale.

La piramide capovolta

Sorpresa! Per quella novità che viene dallo Spirito, tanto cara a papa Francesco, o forse per le astuzie della storia, la vera questione che ha dominato il Sinodo non è stata la famiglia ma la riforma del papato, e perciò della Chiesa. E mentre sul primo tema la minoranza immobilista si è presentata ben agguerrita e in rimonta rispetto alla precedente fase sinodale, sulla riapertura della questione del primato e della figura della Chiesa si è trovata spiazzata, in conflitto con se stessa e soccombente. Il risultato è stato straordinario sia sotto il primo che sotto il secondo profilo. Quanto al primo, la famiglia e la coppia umana, assunte nella molteplicità delle loro situazioni, non sono state destinatarie di lusinghe e condanne, com'era fino ad ora, ma solo di misericordia: i divorziati risposati non sono più considerati pubblici peccatori, ma «sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti» e si vedrà come «possano essere superate» le diverse «forme di esclusione» di cui oggi sono gravati, in ambito liturgico e in ogni altra dimensione ecclesiale; non è vero, come dicono gli antipapa, che la comunione non è stata nemmeno nominata, lo è stata invece nella forma della negazione: «non sono scomunicati», dunque avranno l’eucarestia. E quanto alla pillola anticoncezionale, l’Humanae vitae di Paolo VI viene citata in tutte le sue sagge motivazioni ma la sua proibizione dei mezzi «non naturali» per la paternità responsabile viene lasciata cadere, e di fatto abrogata. Come aveva scritto papa Francesco nel suo programma Evangelii Gaudium, «ci sono norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto efficaci in altre epoche, ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita. San Tommaso d’Aquino sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio ‘sono pochissimi’. Citando sant’Agostino, notava che i precetti aggiunti dalla Chiesa posteriormente si devono esigere con moderazione ‘per non appesantire la vita ai fedeli’ e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando ‘la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera’». Perciò il papa ricordava «ai sacerdoti che il confessionale non dev'essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile» (EG n. 43, 44).

 R.L.V.


Tra le Chiese giubilari in Italia

La conversione è un cammino spirituale e reale verso una nuova vita, “inaugurata” dall'indulgenza. Che si ottiene a Roma, ma il Papa ha voluto Porte della Misericordia in tutte le Cattedrali e nei maggiori Santuari. Nella nostra Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi: Cattedrale a Molfetta, Concattedrale a Ruvo, Concattedrale a Giovinazzo, Concattedrale a Terlizzi, Basilica Madonna dei Martiri a Molfetta, Santuario di Calentano a Ruvo, Santuario del SS. Crocifisso a Giovinazzo, Santuario di Sovereto a Terlizzi (durante la permanenza della Madonna). Le Chiese cimiteriali di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo, Terlizzi durante il mese di novembre.

Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo

Signore Gesù Cristo,
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste,
e ci hai detto che chi vede te vede lui.
Mostraci il tuo volto e saremo salvi.
Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro;
l'adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura;
fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.
Fa' che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana:
Se tu conoscessi il dono di Dio!
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia:
fa' che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di te, suo Signore, risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch'essi rivestiti di debolezza
 per sentire giusta compassione per quelli che sono nel l'ignoranza
e nell'errore; fa' che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione
perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore
e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista.
Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia
a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.
Amen.

COSA POSSIAMO FARE DI FRONTE AI NUOVI SCANDALI IN VATICANO?

Che cosa sta succedendo in Vaticano? Le recenti fughe di notizie e gli scandali che ancora una volta emergono mi sconcertano. In questo modo la Chiesa stessa perde sempre più credibilità, nonostante l’impegno e il carisma di papa Francesco. M.d.V.

Certo è che il contenuto di due recenti pubblicazioni rivelano una serie di scandali vergognosi, soprattutto a livello di gestione economica. Purtroppo alcuni cardinali e uomini di Chiesa sembrano ben lontani da una vita evangelica. Assomigliano agli scribi di cui parla Gesù proprio nel Vangelo di domenica scorsa, i quali «amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere». Costoro, conclude Gesù, «riceveranno una condanna più severa». Che cosa possiamo fare noi cristiani? Prima di tutto ricordarci, come dicevo all’inizio, che la Chiesa è di Cristo e il mare in tempesta non potrà affondare la barca di Pietro. Dobbiamo restare saldi nella fede e nella speranza. In secondo luogo, dobbiamo fare un esame di coscienza su noi stessi, sul nostro essere cristiani, per non rischiare di non riconoscere la trave che c’è nel nostro occhio. Si tratta, cioè, di condurre una vita cristiana autentica, secondo il Vangelo, eticamente irreprensibile anche nelle piccole cose di ogni giorno. Di rendere testimonianza a Cristo povero e umile, mettendoci a servizio dei fratelli e delle sorelle. Infine, come ha detto lo stesso Francesco all’Angelus (ne parliamo a pagina 14), non lasciamoci turbare e continuiamo a pregare per il Papa e per la Chiesa. Per la riforma della Curia che egli ha già avviato c’è bisogno del sostegno di tutti noi, «perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato».
Don A

PREGHIAMO PER IL SANTO PADRE

ORDINATO SACERDOTE IL 13 DICEMBRE 1969
Il prossimo 13 dicembre ricorre l’anniversario dell’ordinazione presbiterale di papa Francesco, ordinato sacerdote il 13 dicembre 1969 per l’imposizione delle mani dell’arcivescovo di Córdoba Ramón José Castellano. Ci uniamo in preghiera per il Santo Padre affinché il Signore gli dia forza e salute e lo protegga da aspidi e vipere che lo circondano. Il nostro Papa – diciamolo francamente – per il suo stile sobrio, per i suoi gesti eloquenti, per le sue parole, per le sue riforme, ha molti avversari anche all'interno delle mura vaticane, dove, come già sostenne Paolo VI nel lontano 1972, si percepisce il fumo di Satana. Durante la Via Crucis del 2005 l’allora cardinale Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, aveva gridato al mondo: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». Vorremmo ricordare, quali esempi recenti, il cosiddetto processo ‘Vatileaks 2’, che vede implicato un alto prelato, mons. Lucio Vallejo Balda, ex segretario della Commissione Cosea sulle finanze vaticane, ed una certa Chaouqui, come anche certe esternazioni sconcertanti dell’arcivescovo di Ferrara, Luigi Negri, punto di riferimenti di Comunione e Liberazione, il quale ha detto: «Speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come aveva fatto con l’altro». Il riferimento a papa Luciani, deceduto dopo appena 33 giorni di pontificato, è appena velato. Dinanzi a queste manifestazioni di opposizione e di ostilità verso il Papa e la Chiesa (quella sana) si resta allibiti e si fa pressante l’esigenza di pregare il Signore affinché mandi sacerdoti santi nella sua vigna, uomini e donne fedeli alla Chiesa perché fedeli al Vangelo. Il Giubileo della Misericordia, che si aprirà ufficialmente l’8 dicembre 2015, ha avuto a Bangui, nella Repubblica Centraficana, un’anticipazione con l’apertura della porta santa. «Bangui diventa la capitale spirituale del mondo», ha affermato il Papa pochi attimi prima dell’apertura della porta di una chiesa povera costruita alla fine degli anni Trenta. «In questa terra di sofferenze ci sono tutti i paesi del mondo», ha detto Bergoglio, «Bangui è la capitale della preghiera della misericordia. Tutti noi chiediamo pace e riconciliazione», ha ribadito il Papa che implora una vera pacificazione mondiale nel momento in cui il mondo conosce guerre ed atti di terrorismo e di violenza inaudita. Quest’anno giubilare sia quindi occasione propizia per aprire le porte dei nostri cuori ai sofferenti, agli smarriti, a chi è in difficoltà, combattendo il male con le armi disarmate del bene, con la preghiera fervente, con l’accostarsi ai Sacramenti con la ferma intenzione di crescere nella fede, nella speranza e nella carità. Per costruire un mondo migliore.

Salvatore Bernocco


DARE UN VOLTO AL GIUBILEO

Cari, certamente è Dio il volto del Giubileo, ma il volto di Dio incomincia dal volto dell’uomo. E’ così che siamo chiamati ad incontrare l’uomo, nella concretezza, nel sangue, nella quotidianità della sua storia. Ecco, incontrare l’uomo, che ha un volto, un nome, un cuore:
- l’amico di famiglia che è finito in prigione, e non si sa come;
- quella mamma in periferia, che non ha una stanzetta decente dove mettere la culla del suo bambino;
- quel compagno di mio figlio, che si droga e si aliena ogni giorno di più dalla vita;
- la ragazza madre, diseredata dalla famiglia, perché non ha voluto uccidere il bambino che portava in grembo;
- la madre disperata di quei tre ragazzi morti in una delle tante notti di sabato;
- quell'uomo disoccupato che, anche questa mattina è uscito da casa, in cerca di lavoro, e che, questa sera, rientrando, sarà costretto a ripetere: «Mi hanno promesso, mi hanno promesso ancora oggi, ma ancora niente»;
- quel volto sfigurato, «altro», che viene dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione e che ha diritto alla giustizia, alla speranza, alla terra che è di tutti.
Essere aiuto dell’uomo, di ogni uomo accanto, che soffre, per la propria situazione di crisi, di malattia, di disordine, di peccato. Essere comprensione, ascolto, pazienza, soccorso. Dare un volto al Giubileo, volere patti di speranza, condividere il pane e il Padre. Se riuscissimo ad avere questa competenza, la competenza dell’amore!

N.B.


Anno Santo: indulgenza e misericordia

Mentre nei secoli scorsi la redenzione realizzata da Gesù veniva pensata come l’offerta fatta a Dio in riparazione o soddisfazione dei peccati umani, oggi essa è compresa come il dono di vita rinnovato da Dio all'uomo peccatore attraverso la missione di Gesù che in tutta la sua esistenza ha rivelato la misericordia del Padre, ha reso efficace la sua Parola di salvezza e ha profuso il dono del suo Spirito. Era questa la «forza» operata da Dio (Lc 5,17) e trasmessa da Gesù quando perdonava i peccatori o guariva gli ammalati (cfr. Lc. 6,19; 8,46). Anche oggi il peccato costituisce un ostacolo al flusso di vita che l’azione creatrice di Dio immette nella storia. La fede in Cristo consente l’accoglienza della Parola e dello Spirito di Dio che diventano gesto concreto nel credente. Dio alimenta il divenire delle creature e nel tempo offre loro nuove possibilità, in modo che, come scrive il Papa, «dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo» (Laudato si’, n. 80). La pratica cui è connessa l’indulgenza è una espressione concreta di questo processo vitale. Tutta la comunità ecclesiale, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, accoglie nella fede l’energia creatrice ed è chiamata da Dio a trasmettere forza vitale ai peccatori. Le opere di misericordia rappresentano i gesti con cui il credente fa fiorire l’azione di Dio nella sua vita e comunica ai fratelli e alle sorelle la sua indulgenza accolta.

Carlo Molari


Nel tempo e nello spazio di Dio

Iniziammo il mese col pellegrinaggio al Santuario di Pompei ove il par roco celebrò l’Eucarestia secondo le intenzioni di tutta la comunità. Tutti gli incontri di catechesi e quelli formativi ebbero luogo regolarmente. I giovani si impegnarono a preparare i testi per la novena all’Immacolata per i bambini e a disegnare il progetto per il presepe da realizzare quest’anno. Tutti ci ritrovammo per il Triduo a Cristo Re, l’adorazione e la solenne Eucarestia del 24 novembre. Il parroco fu agli Esercizi Spirituali in Assisi predicati da Carmine di sante. Si ebbero gli incontri con i genitori dei fanciulli di catechismo e il Gruppo Famiglia sull’Anno Santo. Puntualmente ci si incontrò per l’adorazione del primo Giovedì del mese e l’Ottavario per i Defunti. Il parroco poi ci introdusse al tempo di avvento con una catechesi puntuale, così pure ci avviò alla novena dell’Immacolata. Il giorno 30 poi avvenne l’incontro per i genitori dei fanciulli di Cresima. Interessanti gli interventi dei singoli e dei catechisti. Il 27 inoltre si ripresero le catechesi con le Associate alla Madonna del Buon Consiglio. Ebbero luogo poi le elezioni della nuova Amministrazione nella confraternita di S. Rocco. Anche per le Vincenziane ci fu una riunione programmatica per il lavoro annuale e la signora Matilde Mongelli fu eletta nuova presidente.

Luca


AGENDA/DICEMBRE

  • 21 Catechesi per gli adulti e Gruppo Famiglia (ore 19,30).
  • 22 Incontro Ministranti e canti per la ricorrenza del Natale.
  • 24 Alle 5,30 Messa solenne della Vigilia del Natale. Alle 23,30 Veglia per la Messa di mezzanotte.
  • 25 S. Natale: S.S. Messe alle 7,30 - 10,15 - 11,30 e 18,30.
  • 26/30 Serate ricreative presso l’Oratorio e la Sala Don Tonino per giovani e ragazzi di catechismo. Gli adulti avranno le loro serate nell'Oratorio.
  • 31 Celebrazione conclusiva del Te Deum di ringraziamento.

CONFIDENZIALE: AGLI AMICI DI S. ROCCO

Miei Cari,
al termine del momento lieto che abbiamo vissuto nei giorni scorsi della riapertura al culto della nostra chiesa di S. Rocco e del mio 25° di Rettorato e Assistentato del nostro Sodalizio affidatomi dal Servo di Dio Don Tonino bello il 1° ottobre del 1990, ho pensato anche a voi, affidati alle mie cure pastorali, dedicare la mia lettera mensile, mai scoraggiato dall'impegno che il cammino confraternale esige da parte di ciascuno di noi. Gli appuntamenti di catechesi e liturgici di questi anni, credo abbiano dato un impulso naturale anche alla crescita e alla simpatia verso la nostra confraternita ma anche all'associazione della Madonna del Buon Consiglio. Evidentemente, cammino ce n’è ancora da fare. Vanno smussate quelle angolosità, riallacciati quei reticolati di comunione a volte interrotti da pregiudizi e visioni troppo ristrette dei rapporti tra noi, un serpeggiare di brusii e giudizi poco veritieri e non affatto caritatevoli devono aver termine se vogliamo onorarci di far parte di un sodalizio intitolato proprio al Santo, eccellente per la carità. Cammino, di certo se n’è fatto in questi 25 anni di mio rettorato e devo essere grato alla collaborazione dei vari priori che si sono avvicendati: Luigi Barile, Corrado Bernocco, Giuseppe Di Puppo, Tommaso Altamura, Cosimo Caldarola e Simone Salvatorelli. Nonostante le lentezze (non parlerei di arresti), quanto è stato realizzato - comprese le fatiche notevoli per i presepi viventi - va ad onore e merito soprattutto di quei confratelli che hanno lavorato ed edificato il tutto in qualità di “pietre di sotto”che reggono cioè il peso e non appaiono. Questo mio 25° di rettorato si conclude con il priorato del prof. Simone Salvatorelli cui devo dare atto - avendolo fatto anche per i suoi predecessori - che una spinta notevole si è avuta soprattutto nell'incontro liturgico settimanale ma anche per altre attestazioni e attuazioni fino alla ritrovata bellezza della nostra piccola chiesa che ci accoglie come in una famiglia. Tra i momenti più belli registrati, restano certamente anche i vari restauri del gruppo arcinoto degli Otto Santi e la esposizione di questo alla Mostra di Milano nel 2006: arte effimera - così chiamata - ma tanto espressiva da aiutarci tutti a riflettere nel mistero dell’amore di Dio. Al termine di queste mie riflessioni e nel ricordo del compianto vescovo Don Gino che sempre ha benevolmente guardato e seguito il nostro Sodalizio, mi permetto suggerire a tutti i membri di bene orientarci nella elezione del nuovo Priore. Mai si dimentichino le parole di Gesù: “Chi vuol essere il primo, sia l’ultimo e il servo di tutti”. Non è questione di «insegne» o di potere. Si tratta di mansione di servizio, primo per il bene spirituale di ognuno e poi di organizzazione dei momenti significativi per le ricorrenze annuali in cui ci si adopera per un servizio alla Comunità cittadina. Riqualificheremo poi insieme i vari organi che compongono la confraternita: Consulta e Revisori dei Conti, rivisitando i ruoli da essi assunti con decisione, competenza e serietà. Confesso che quel “cantare in coro” e cioè che ognuno deve sentirsi in dovere di dire la sua o peggio orientare in alcune delicate decisioni, non è secondo lo stile di un sodalizio ecclesiale che vuol riconoscersi tale. Possano la Vergine Santa e San Rocco, nostro santo Patrono accompagnarci nella realizzazione piena del progetto di santità iniziato col Battesimo e continuamente verificato per il bene personale e di quanti si aspettano da noi in testimonianza e spirituale progresso. È il mio auspicio e augurio
Don Vincenzo

IL GIUBILEO: INCONTRO CON DIO, IL CUI NOME È MISERICORDIA

È l’anno della misericordia: l’Anno santo. E a proposito di misericordia, vale la pena rileggere il bellissimo discorso di papa Francesco a conclusione del Sinodo. Egli si è chiesto che cosa resterà di questa importante riflessione comune della Chiesa sulla famiglia. Certamente non si potrà dire di aver detto tutto e per sempre su questa realtà. Ma è stata messa una base per illuminare ogni cosa: «La luce del Vangelo», che è annuncio della misericordia di Dio. «L’esperienza del Sinodo», ha detto il Papa, «ci ha fatto capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono». Le formule sono necessarie, non vanno sminuite. Si tratta però di «esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua misericordia». Siamo chiamati, perciò, a «superare le costanti tentazioni del fratello maggiore e degli operai gelosi» e a valorizzare di più le leggi e i comandamenti che sono stati «creati per l’uomo e non viceversa». L’Anno santo straordinario ci fa entrare davvero nel cuore del Vangelo. Perché Dio è misericordioso, anzi, come ha detto un giorno Benedetto XVI, il suo nome è Misericordia. L’ha ribadito papa Francesco nel suo discorso: «Il primo dovere della Chiesa non è distribuire condanne o anatemi, ma proclamare la misericordia di Dio, chiamare alla conversione e condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore». La salvezza, infatti, cioè la felicità, la gioia, la pienezza di vita che il nostro cuore cerca, è «inacquistabile», cioè non la possiamo raggiungere con le nostre opere e i nostri sforzi umani. Ci è stata invece donata gratuitamente da Cristo sulla croce. Da parte nostra dobbiamo semplicemente accoglierla, lasciandoci commuovere e trasformare dall’amore di Dio, fino a testimoniarlo con tutta la nostra vita. La conversione vera non può che nascere «come risposta a Colui che ci ha amato per primo e ci ha salvato a prezzo del suo sangue innocente, mentre eravamo ancora peccatori». Davvero, che questo Giubileo sia per tutti noi un incontro con il Dio della misericordia.

A.R.


Il ricambio necessario

Il Sindaco ha ritirato le dimissioni. Il Consiglio comunale si è ricomposto, dopo le dimissioni di quattro consiglieri del PD. Ruvo non ha fatto la stessa fine di Roma, dove un sindaco del PD, Ignazio Marino, è stato sfiduciato dal PD stesso. Un caso più unico che caro di omicidio-suicidio politico. È stata quindi positivamente risolta la crisi che aveva condotto l’Amministrazione Ottombrini sull’orlo del baratro, e ciò a pochi mesi dalle elezioni amministrative dell’anno venturo, quando andremo alle urne per eleggere il nuovo sindaco ed il nuovo Consiglio comunale. Le schermaglie politiche sono già cominciate e non poteva essere diversamente, con contorno di polemiche astiose e finanche lesive della dignità delle persone. Questa modalità becera di fare politica dovrebbe essere accantonata: si polemizza e ci si scontra sulle idee, ma si deve far salva la dignità degli uomini e delle donne, anche perché nessuno, ma proprio nessuno, ha la verità in tasca e possiede un vademecum su come risolvere definitivamente i gravi problemi che tormentano da diversi anni il nostro paese, frutto di scelte rivenienti dal passato amministrativo. Alle persone che dicono di possedere la bacchetta magica non va dato alcun credito. Si tratta in genere di imbonitori o di azzeccagarbugli. Le soluzioni alle problematiche della nostra città non saranno indolori e soprattutto richiederanno uno sforzo eccezionale da parte di coloro che prenderanno in mano le redini di Palazzo Avitaja, uno sforzo eretto sulle fondamenta della competenza, dell’onestà, dell’umiltà, della dialettica costruttiva fra forze di maggioranza e di opposizione. Alcune candidature alla carica di sindaco sono state già avanzate, mentre si infittiscono gli incontri fra partiti e movimenti vecchi e nuovi per tentare di mettere su coalizioni omogenee. Bisognerà tuttavia fare i conti con la disaffezione della gente rispetto alla politica, col fenomeno dell’astensionismo, con l’affievolimento della speranza in un reale ricambio della classe politica, che si reputa necessario e non più dilazionabile. Molti volti nuovi appaiono già vecchi e manovrati da burattinai alquanto “scafati”. Altri volti nuovi sono completamente all’asciutto di qualsivoglia esperienza politica, giacché ormai i partiti non formano più ma aprono semplicemente i battenti soltanto in prossimità delle elezioni, per poi chiuderle subito dopo. Dove si forma la nuova classe dirigente? Non si sa. Se non vi è formazione vi è dipendenza dalle altrui idee e dagli altrui obiettivi, quindi scarsa capacità di critica e di autonomia di pensiero e di azione. Altri volti appaiono invece affetti da un movimentismo senza contenuti, ma di questo avremo conferma fra qualche mese, quando le coalizioni dovranno presentare ad una cittadina alquanto scoraggiata i loro programmi amministrativi.
 S.B.

E se pregassimo così...

O Signore Gesù,
Tu hai detto:
“Chi vuol venire dietro a me
prenda ogni giorno la sua croce
e mi segua!
Ma tu hai detto anche:
“Il mio giogo è dolce e
il mio peso è leggero”.
Dammi, allora, Te ne prego,
l’amore per eccellenza,
l’amore per la croce:
non di quelle croci eroiche,
il cui splendore potrebbe nutrire il
mio amor proprio,
ma di quelle croci volgari
che purtroppo portiamo
con ripugnanza,
di quelle croci di ogni giorno,
di cui la vita è seminata
e che si incontrano
per la strada
ad ogni istante.
Allora soltanto Tu saprai
che Ti amo,
benché non lo sappia
né lo senta io stesso:
e ciò mi basta!
Amen


In Gesù un nuovo umanesimo per la Chiesa italiana
Dal 9 al 13 novembre si riunisce a Firenze il 5° Convegno della Chiesa italiana dal titoloIn Gesù Cristo un nuovo umanesimo. Il 9, apertura dell’evento con processione da quattro basiliche cittadine al battistero di San Giovanni (ore 15.30). Il 10 novembre visita di papa Francesco a Firenze con Messa allo Stadio comunale (ore 15.30). Programma su www.firenze2015.it

L'ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA

Il Giubileo straordinario della misericordia è stato indetto da papa Francesco per mezzo della bolla pontificia Misericordiae Vultus. Precedentemente annunciato dallo stesso Pontefice il 13 marzo 2015, avrà inizio l’8 dicembre 2015 per concludersi il 20 novembre 2016. Il Papa ha dichiarato che il giubileo, ricorrente nel cinquantesimo della fine del Concilio Vaticano II, sarà dedicato alla Misericordia. L’annuncio del Santo Padre nel corso di una funzione religiosa: « Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della Misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, domenica di Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’universo e volto vivo della misericordia del Padre. Affido l’organizzazione di questo Giubileo al Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare a ogni persona il vangelo della Misericordia ». Ma che cosa si intende per misericordia? Andiamo all’etimo. Il termine deriva dal latino misericordia, derivato dall’aggettivo misericors, composto dal tema di miserere, aver pietà, e cor, cuore. La persona misericordiosa è quindi la persona che ha un cuore che ha pietà. Pietà di chi? Dei fratelli e delle sorelle che ogni giorno incontriamo, con i quali ci rapportiamo, con i quali abbiamo rapporti familiari, amicali, di lavoro. Essere misericordiosi vuol dire, in sintesi, avere un cuore buono che vuole il bene altrui, un cuore simile a quello del Cristo, mite ed umile di cuore, dal quale dobbiamo apprendere come comportarci per essere degni figli del Padre che ama tutti e che desidera la salvezza di tutti, cioè che il peccatore si converta e torni a Lui, fonte e fine dellavita. Ci sono tanti fratelli e sorelle che vivono situazioni difficili determinate da stili e condotte di vita lontani dal messaggio evangelico. Si tratta in genere di uomini e donne che hanno riposto il loro tesoro nelle cose materiali e che sono diventate insensibili al richiamo ed al fascino della Parola di Dio. Si tratta di persone che hanno posto il senso della vita nel successo, nel denaro, nei piaceri mondani, e che non si occupano affatto di Dio. Costoro vivono le festività religiose come occasione per divertirsi, non per far festa nello Spirito che, se accolto, dona quella pace interiore che è solo dono di Dio e di una coscienza netta. La misericordia è il cuore delle beatitudini evangeliche, è il substrato dell’umiltà, è vivere nel proprio cuore le disgrazie altrui come se ci appartenessero, per cui ad essa si collega l’esigenza della carità, di pregare per la conversione dei peccatori, di fare quanto è nelle nostre possibilità per arrecare sollievo a chi soffre a causa delle strutture di peccato che sembrano dominare questo tempo. La misericordia dovrebbe indurre i ricchi a prestare attenzione concreta a chi non ha nulla, il credente ad una adesione più convinta al Vangelo, scoprendo in esso quel tesoro di grazia e di pace che nessuno può portargli via. La misericordia è fare digiuno di tante cose inutili e superflue che ci sottraggono tempo prezioso per cose più utili, quali la preghiera, l’adorazione interiore, la meditazione, il silenzio, pratiche che consentono all’uomo spirituale di crescere ed evolversi. È quindi sempre tempo di conversione, di mutare rotta per dirigersi all’interno del tempio di Dio, dove fermarsi per stare alla sua paterna presenza. Ciascuno di noi è tempio di Dio, dimora dello Spirito Santo, al quale dovremmo più spesso rivolgerci con la certezza di fede di ottenerlo: «Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà alposto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Lc 11, 9-13). Cosa chiediamo noi? Chiediamo lo Spirito Santo o di vincere al lotto, ad esempio? Siamo coscienti che le nostre vite dipendono dalla presenza efficace dello Spirito oppure ci diamo a pratiche più o meno esoteriche che nulla hanno a che fare con il Vangelo e che, alla fine, ci lasciano più vuoti di prima? L’Anno giubilare sia dunque occasione propizia per rimuginare la Parola di Dio, interpretandola e vivendola alla luce della nobile virtù della misericordia.

Salvatore Bernocco


Nel tempo e nello spazio di Dio

Non si è affatto affievolita la devozione al Rosario e tutto il mese ci si è accostati ad esso non soltanto prima della celebrazione mattutina e serale ma anche alle 20,30 da parte delle famiglie, organizzato dal Gruppo Famiglia parrocchiale. Una rappresentanza della comunità ha poi partecipato ai funerali del nostro Amministratore Diocesano Don Mimmo Amato. E si sono poi alternati nell’Adorazione Eucaristica il Gruppo di P. Pio e quello Eucaristico parrocchiali. Dopo il «Mandato» ai Catechisti è ripresa regolarmente la Scuola di catechismo dopo gli incontri previi con catechisti e genitori che sono stati accolti il sabato 3 da un momento bellissimo di festa preparato dal Gruppo Giovani. La festa si è poi ripetuta il 31 ottobre volendo in certo modo contrastare qualche festa mondana e stupida da qualche anno arrivata in Italia. Anche per gli adulti si è dato inizio agli incontri formativi. Tutti ci si è messi al lavoro anche se manca ancora la presenza del nuovo Vescovo che ci incoraggi nel cammino pastorale. Il Gruppo giovani ha poi discusso sul programma delle iniziative dell’anno e merita plauso quella di integrarsi coi cantori del Gruppo dei giovani neo-catecumenali che animano la messa domenicale. Sia pure momentaneamente il parroco ha partecipato alla Convivenza neo-catecumenale tenutasi a Specchiolla vicino Ostuni. Il giorno 31 si è concluso il mese di ottobre con la solenne Celebrazione Eucaristica e la preparazione immediata al pellegrinaggio tradizionale parrocchiale al Santuario di Pompei.

Luca



Il 28 ottobre scorso è stata riaperta al culto la chiesa di S. Rocco con la solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dall'Amministratore diocesano Mons. Ignazio de Gioia. Hanno partecipato, oltre al Sindaco Vito Nicola Ottombrini, anche le Amministrazioni delle altre tre Confraternite della città.

Se mi ami non piangere
Se conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se potessi vedere e sentire quello che io sento e vedo in questi orizzonti senza fine e in questa luce che tutto investe e penetra, non piangeresti se mi ami! Sono ormai assorbito dall’incanto di Dio dalle Sue espressioni di sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto! Mi è rimasto l’affetto per te, una tenerezza che non hai mai conosciuto! Ci siamo amati e conosciuti nel tempo: ma tutto era così fugace e limitato! Io vivo nella serena e gioiosa attesa del tuo arrivo tra noi: tu pensami così, nelle tue battaglie pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, e dove ci disseteremo insieme nel trasporto più puro e più intenso alla fonte inestinguibile della gioia e dell’amore. Non piangere più se veramente mi ami!
Sant’Agostino

Auguri don Gino, auguri e un arrivederci!

Mi sembra il modo più adeguato per salutarti nel momento del repentino distacco da noi. In verità, mi ero accorto che i tuoi giorni potevano finire da un momento all'altro: da quel giorno della festa dell’Ottavario del Corpus Domini a Ruvo, fino alla sera del 29 giugno scorso, ultimo nostro incontro nella sacrestia della Cattedrale di Molfetta. Vari avvenimenti ti avevano spento il sorriso di sempre. Che dire in questo momento triste e doloroso? Se non farti tanti auguri per la tua nuova nascita: lasci le scorie di questo mondo nel quale siamo chiamati a vivere e rinasci alla vita nuova nel Signore risorto che hai amato e annunziato. Auguri per la tua nuova dimora in cui ti trovi, in Dio. Finalmente gli specchi si sono infranti e tu vedi faccia a faccia quel Signore per cui ti sei speso e consumato come giustamente avevi sintetizzato nel tuo motto episcopale: “Propter nomen suum” - Per amore del nome di Lui!
Tutto operato, compreso e vissuto per la causa di Cristo e del Vangelo. Che dire dei nostri rapporti e quelli con la mia comunità? Ti abbiamo sempre voluto bene e segni te ne abbiamo dati tanti: li ricordavi nei vari incontri in parrocchia per le varie celebrazioni o in quelli con i gruppi parrocchiali, durante le feste o le tue adunanze durante l’indimenticabile Visita Pastorale, con il Gruppo Famiglia che un anno fa ti ebbe insieme a colazione a Villa Pasqualina, con i fratelli del Cammino neo-catecumenale, con gli amici di S. Rocco. Ma soprattutto durante le celebrazioni del centenario della fondazione della chiesa (1902) e quella della istituzione della parrocchia (1904). Quanti bei ricordi, incisivi, profondi, che hanno segnato non poco il cammino di questa diletta comunità che Don Tonino mi affidava nel 1983. E poi i pellegrinaggi fatti insieme soprattutto a Lourdes e in Terra Santa. Sei morto in solitudine. Ma forse con Giovanni Papini tu ne avevi un altro concetto, quando diceva: “Chi disse: guai al solo! Non misurò che la propria paura… la solitudine per quelli di ricca anima è premio, non espiazione. Non può sopportare la solitudine, il mediocre, il piccolo. Chi non ha da offrire. Chi ha spavento di sé e del suo vuoto. Chi è condannato all’eterna solitudine del proprio spirito, desolato deserto interiore dove non crescono che l’erbe velenose dei luoghi incolti. Chi è irrequieto, annoiato, avvilito quando non può dimenticarsi negli altri, stordirci nelle altrui parole, illudersi vivo nella vita fittizia di quelli che si illudono in lui, al par di lui…”.
Caro don Gino, sul punto di accendere il cero pasquale posto accanto alla tua bara mi è venuto di pensare al cammino sollecito verso l’aurora del sole che non tramonta, Gesù Cristo, risorto da morte. Verso il Signore che benedice le aurore e i tramonti e che tu hai cercato con ansia nell'alternarsi dei giorni e delle notti che ti spingevano verso la morte, timoroso sovente di non resistere alle prove, di arrenderti al compromesso e all'infedeltà. La stagione dei fiori non è finita: persino nei momenti che hanno preceduto il tramonto (e credo che in diversi ce ne eravamo accorti) tu hai parlato con il tuo silenzio, mentre sembrava che implorassi con il grande Newman: “Togliti il velo, Signore, e splendi su di me in gloria e in grazia”. Ora che hai varcato le severe soglie del transito, veniamo ad apprendere da te l’ultima lezione. Alla luce del cero pasquale che dirada le tenebre dell’orgoglio, placa le angosce, alimenta la speranza, tu hai considerato ogni persona, da te incontrata sulla tua via, l’individuo sempre grande e sempre piccolo, con i suoi cenci, con i suoi gioielli, egualmente nascosti. Sapevi che la grandezza dell’uomo sta nel tendere alla perfezione, più che nel possederla. Il tuo approdo alle spiagge dell’eterno, la tua Pasqua che è stata feconda comunione con i tuoi ideali e il tuo passato, con la diocesi da te guidata, con i tuoi Santi e con i tuoi morti, con i progetti attuati o falliti e con le ferite sanguinanti, ti hanno messo in grado di confessare sino all'ultimo: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo!”. Auguri don Gino. Anche noi speriamo di raggiungere un giorno la Galilea dove sei andato ad attenderci. E là, siamo certi che ci verrai incontro e ci ripeterai col tuo immancabile sorriso che oggi ci manca: “Avete visto che è andato tutto bene?”. Così vogliamo ricordarti noi comunità del SS. Redentore che sempre ti ha voluto bene.
Don Vincenzo con gli Amici della comunità
6 luglio 2015

Giovedì 6 agosto
Nel Trigesimo della scomparsa
del vescovo
Don Gino
pellegrinaggio e S. Messa
alla sua tomba
e a quella - vicina - di don Tonino.
Partenza ore 5,30
Prenotarsi subito presso l’Oratorio

«LAUDATO Sì’, SULLA CURA DELLA CASA COMUNE»: la nuova enciclica di Papa Francesco

Il titolo della seconda enciclica di papa Francesco è «Laudato sì’, sulla cura della casa comune». È stata presentata il 18 giugno dal cardinale Peter Turkson, da un rappresentante del patriarcato ortodosso di Costantinopoli, Giovanni Zizioulas, e da uno scienziato, John Schellenhuber, fondatore e direttore del “Potsdam Institute for Climate Impact Research”. La novità è la presenza del vescovo ortodosso Zizioulas, il più noto teologo del Patriarcato di Costantinopoli, braccio destro del Patriarca Bartolomeo I, che sui temi ambientali da anni sta portando avanti una riflessione teologica e pastorale molto avanzata. La presenza di Zizioulas conferma la sintonia con papa Francesco. La seconda enciclica di Papa Francesco riprende nel titolo le parole italiane del volgare umbro del XIII secolo di quello che è noto come il Cantico delle Creature o anche Cantico di Frate Sole, il testo poetico più antico della letteratura italiane. Il titolo non è stato tradotto in alcuna lingua, nemmeno in latino. La scelta di un titolo in italiano non è una novità. Pio XI, per esempio, ne scrisse una in italiano “Non abbiamo bisogno” nel 1931 e una in tedesco “Mit brennender Sorge” contro il nazismo. Altri papi prima di lui avevano usato titoli in italiano e anche in francese. Pio IX invece scrisse oltre 40 encicliche tutte in latino. Attorno alla pubblicazione dell’enciclica c’è una certa fibrillazione e dagli Stati Uniti è già partito un fuoco di fila preventivo contro il testo da parte delle lobby che fanno capo alle grandi multinazionali. Il 2 giugno il gigante energetico Exxon ha inviato addirittura una delegazione in Vaticano per spiegare le sue posizioni su energia e riscaldamento climatico. Le posizioni di Papa Francesco in materia ecologica sono note. Più volte ha detto che l’economia legata agli interessi e alle lobby “uccide”. Ciò che preoccupa il sistema capitalistico delle multinazionale è soprattutto il linguaggio diretto di Francesco, comprensibile a tutti. Eppure lui non è il primo papa che va all’attacco di questo sistema. Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha denunciato i guasti della finanzia e degli gnomi che la controllano. Ma Ratzinger non aveva la popolarità di Bergoglio e quindi non c’è stata molta preoccupazione. D’accordo con il papa invece sono la maggior parte dei leader religiosi del mondo che a luglio firmeranno un testo comune sul clima, al quale ha lavorato soprattutto il patriarca ecumenico Bartolomeo I. «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune – scrive il Santo Padre - comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio». Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità».

Salvatore Bernocco


LA SCOMPARSA DEL PROF. DOMENICO CAMPANALE

Si è spento alla veneranda età di 94 anni l’illustre cittadino e filosofo Domenico Campanale, ultimo di quattro figli, per molti anni professore universitario presso l’Università degli Studi di Bari. Di famiglia di umile condizione, autodidatta, con molti sacrifici riuscì a conseguire il diploma magistrale e subito dopo la maturità classica e la laurea in filosofia a Roma nel 1947, dove insegnò storia e filosofia nei licei classici. Fra i suoi allievi ci furono anche Piersanti Mattarella, che divenne presidente della Regione Sicilia, assassinato in un agguato mafioso, e l’attuale presidente della Repubblica, Sergio. Il prof. Campanale fece ritorno a Bari alla metà degli anni ’50, come assistente universitario, dove concluderà la sua fulgida carriera accademica, costellata di importanti pubblicazioni, saggi ed approfondimenti sulla filosofia morale, la filosofia del diritto, l’epistemologia, su Hume, Leibniz, Nieztsche, Wittgenstein. Lo ricorderemo sempre presso l’altare della Madonna di Pompei, ogni domenica per la S. Messa. Alla famiglia vanno le sincere condoglianze della comunità del SS. Redentore.

DON GINO: LA MORTE DEL GIUSTO

Sono stato molto colpito dall'improvvisa scomparsa di don Gino, nostro vescovo e successore dell'amato don Tonino Bello. È proprio vero che la morte non fa distinzioni di sorta e, come un ladro, arriva quando meno ce lo si aspetta. In queste circostanze dolorose, noi dobbiamo radicarci con tutto il nostro essere e con maggiore fede nelle parole che non tradiscono, quelle di Nostro Signore, che ci assicura che chi vive e muore in Lui avrà (ha) la vita eterna, né dobbiamo dimenticare, ad esempio, le parole di san Francesco d’Assisi, il quale si rivolgeva alla morte chiamandola “sorella”. Perché essa ci ricongiunge definitivamente a Dio, dal quale tutti proveniamo, che ne siamo consapevoli o meno, al cui cospetto non vi sarà più né pianto né lutto. La morte, per quanto incuta timore alla nostra natura, è il valico che dobbiamo attraversare per giungere nella Terra Promessa. Lì – ci è stato detto – vi sono molti posti. Di grande conforto e saggezza sono i versetti tratti dal libro della Sapienza, là dove si parla della morte prematura del giusto (Sap 4, 7-17), che trascrivo a beneficio di noi tutti:
«Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo. 
Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; e un’età senile è una vita senza macchia. 
Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito. 
Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l’inganno non ne traviasse l’animo, poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene e il turbine della passione travolge una mente semplice. 
Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera. La sua anima fu gradita al Signore; perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio. 
I popoli vedono senza comprendere; non riflettono nella mente a questo fatto che la grazia e la misericordia sono per i suoi eletti e la protezione per i suoi santi. 
Il giusto defunto condanna gli empi ancora in vita; una giovinezza, giunta in breve alla perfezione, condanna la lunga vecchiaia dell’ingiusto. 
Le folle vedranno la fine del saggio, ma non capiranno ciò che Dio ha deciso a suo riguardo né in vista di che cosa il Signore l’ha posto al sicuro».
In questi luttuosi accadimenti sono superflue le parole dell’uomo, per quanto possano essere commoventi ed animate da affetto e sincerità, mentre dà consolazione l’immersione nel cuore dei sentimenti di Dio, il quale preordina tutte le cose al bene di chi ama. Don Gino riposa fra le braccia del Signore perché era un uomo giusto, equilibrato, prudente, saggio. Riposa in pace, don Gino, e che la terra ti sia lieve.

Salvatore Bernocco

Nel tempo e nello spazio di Dio

Giugno si aprì con la festa della Messa della Prima Comunione per i nostri fanciulli di 4^ elementare preparati in ultimo con il ritiro spirituale a Calentano. L’adorazione eucaristica ci predispose alle solennità del Corpus Domini e dell’Ottavario. La comunità partecipò compatta alla processione del SS.mo presieduta dal vescovo don Gino. Seguirono poi gli incontri conclusi a tutti i livelli di Consiglio Pastorale, del gruppo Famiglia, e dei catechisti. Ebbe il suo prosieguo il mese al S. Cuore con la conclusione e l’atto di affidamento nell’ultimo giorno di giugno. L’adorazione dal 23 fu sempre animata dal Gruppo di Preghiera di S. Pio e anche per il Volontariato Vincenziano ebbe luogo il ritiro con la celebrazione animata dal parroco il giorno 22. Il giorno 19 il parroco partecipò alla Giornata della santificazione sacerdotale e presentò al vescovo don Gino gli auguri dell’intera comunità parrocchiale e confraternale. L’Associazione della Madonna del Buon Consiglio ebbe il suo incontro mensile di catechesi come anche il Gruppo Giovani che si incontrò per una serata festiva a Villa Pasqualina. La sera del 29 il parroco partecipò alla concelebrazione nella Cattedrale di Molfetta presieduta dal vescovo don Gino e durante la quale ricevette l’ordinazione presbiterale il giovane Ignazio Gadaleta.

Luca


Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna

Miei Cari,
il mese eucaristico che stiamo celebrando mi riporta a un particolare vissuto presso una Comunità del Nord durante la Celebrazione Eucaristica. Prima della Comunione infatti non viene più recitata la invocazione: "Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa..." ma è stata sostituita, dall'altra: "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!". Mi è sembrata una ottima sostituzione, sia perché la precedente invocazione si riferisce ad una situazione contingente del servo del centurione che era in fin di vita, sia perché per il Signore nessuno di noi è "indegno" perché ciascuno è amato di un amore straordinario e sempre accolto tra le sue braccia misericordiose. Se poi pensiamo che il Signore - come dice il Vangelo di Luca - "si alzerà e passerà a servirci", allora si avverte la necessità di ripetergli "Signore da chi andremo?", solo con te ci sentiamo al sicuro, lontani da ogni disastro spirituale e da qualsiasi tempesta della vita di ogni giorno. Sulla stessa linghezza d'onda poi mi ha riportato il gesto umile e rivoluzionario di Papa Francesco che ho visto ritratto durante la processione del Corpus Domini: non più il Papa genuflesso dinanzi all'Ostia Santa su di un carro ornato di fiori e l'inginocchiatoio, ma a piedi, dietro il carro con gli altri sacerdoti verso S. Maria Maggiore a Roma. Un gesto altamente eloquente e significativo: "Signore da chi andremo?". Noi non ci stancheremo di starti dietro, per venire a vedere dove abiti e fare continuata esperienza della tua amicizia e del tuo amore perché noi non ci sentiamo "indegni", ma abbiamo la certezza che il nostro nome è scritto nelle tue mani nonostante i nostri limiti e le nostre miserie che vengono da te dimenticate. Tu Signore ci vuoi bene e attraverso i Segni eucaristici continui ad assicurarci e a dirci: "Non temere, io non ti abbandono mai, sono sempre accanto a te". Grazie, allora, o Signore, te lo ripeteremo ad alta voce durante la processione eucaristica di domenica 14 giugno, mentre col cuore ancora ti diciamo: "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna"!
Miei Cari, siano questi poveri pensieri ad accompagnarci in questo mese eucaristico.
Cordialmente
Don Vincenzo

Il Volto di Gesù

L'evento dell'ostensione della Sindone a Torino ci dà l'occasione di riproporre questa meditazione.
Una persona li portò in dono un quadro con il volto di Gesù della Sindone, di grandezza naturale. Si cercò nel mio studio un posto giusto per collocarlo. Qualcuno scelse il posto centrale, dietro la scrivania. Lì per lì, tolto il quadretto di prima, non mi sembrava quello il posto giusto... "Un volto di...un cadavere - pensavo - non mi sembra stia bene, così al centro". Lasciai fare. Entrando e rientrando nello studio, guardavo quel Volto. Stava bene! Era di un morto, ma vivissimo. E mi correva alla mente la frase dell'Apocalisse: "Vidi ritto, in mezzo al trono...un Agnello, come immolato" (Ap 5,61).
Quel volto, che sembra di un "agnello ucciso", è ben vivo. È infatti il volto di "Jahvé = Io sono".
Il Volto di Colui che solo regge la Storia. L'unico che ha potuto leggerne in anticipo tutto il libro.
E un giorno, guardando quel volto, tutto pestato, morto..., mi sembrò vivissimo. E, dentro, una voce mi diceva: "Vedi quanto ti ho amato!? Chi mai ti ha amato così? Capisci qualche cosa di chi sono io? L'Amore...?" Ma, il soprannaturale, noi, non lo portiamo dentro? C'è. E se c'è, si fa sentire, non appena rimaniamo in ascolto. Si fa vedere non appena, magari ad occhi chiusi, guardiamo con gli occhi interiori...
Compresi più il canto dell'Apocalisse: "Durante la visione poi intesi voci di molti agnelli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era di miriadi e miriadi e migliaia di migliaia (= miliardi, e miliardi. E miliardi...), e dicevano a gran voce: -l'agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione" (Ap 5,1l-12). In silenzio. Magari ad un Volto di Gesù tratto dalla Sindone, guardiamo, con gli occhi dell'anima. E, nella luce della Fede, contempliamo. Ascoltiamo. Questo morente. Questo morto che è "IL VIVENTE"
"E muore per me. d'amore".
Preghiamo
a vicenda perché l'Agnello che regge le sorti della Storia, pacifichi il mondo. Doni a tutti, con la sua Vita, la vera pace.

Verso il Convegno di Firenze: "L'umanità di Cristo; via della nostra felicità"

"Dal momento che Dio s'è fatto uomo, voglio conoscere quell'uomo". A ben vedere è la proposta che i Vescovi italiani hanno rivolto alle comunità cristiane attraverso il tema del V Convegno Ecclesiale: in Cristo il nuovo umanesimo. Una proposta che ci introduce sempre più in profondità nel Magistero degli ultimi due Pontefici.
Papa Benedetto XVI ci ha infatti ricordato nella sua prima enciclica che "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva" (Deus Caritas est, 7,). Detto in altro modo: i discepoli di Gesù non sono i seguaci di una dottrina morale o di una ideologia, ma uomini e donne che hanno incontrato personalmente Cristo e hanno deciso di seguirlo. Inoltre Papa Francesco, nell'esortazione Evangelii Gaudium, riaffermando che i discepoli sono coloro che hanno incontrato Cristo, aggiunge che proprio per questo hanno il "cuore pieno di gioia" (n.1). Raccogliendo queste sollecitazioni, sarebbe bello poter presentare ai nostri giovani la centralità della figura di Cisto con tutta la sua ricchezza di libertà, di verità, di amicizia profonda, di appassionato amore per l'uomo...cioè come Gesù non c'è nessuno! Per incontrare e conoscere Cristo attraverso la sua umanità è necessario entrare in un triplice ascolto:

  • della Parola: attraverso l'incontro vivo con Gesù vivo, che aiuta ad incontrare e conoscere Cisto nell'ascolto profondo della sua Parola, per vivere con Lui in una relazione personale. 
  • del fratello: il conseguimento della vita piena diventa realizzabile se si vive nella logica della carità indicata da Gesù nella parabola del samaritano: "fa' questo e vivrai!" e nel racconto del giudizio finale dell'evangelista Matteo al capito lo "25° del suo Vangelo: "l'avete fatto a me"; 
  • della "realtà storica": siamo chiamati non solo a servire Cristo nel fratello, ma anche a contribuire all'edificazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Seguiremo la proposta della Traccia di preparazione del Convegno di Firenze, costituita da cinque verbi tratti dal Magistero di Papa Francesco. Si tratta di cinque piste di riflessione che devono diventare cinque luoghi d'azione: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. 

Tutto deve convergere in una duplice esperienza: "incontro" e "conoscenza" di Cristo. Non per diventare semplicemente esperti per Lui, ma per scoprire che attraverso la sua umanità possiamo percorrere la via della nostra felicità, la via che ci porta alla vita piena.

G.T.


Oscar Romero: "Un vescovo potrà morire, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai"

Papa Francesco, con proprio decreto del 3 febbraio 2015, ha riconosciuto il martirio in odium fidei di monsignor Oscar Arnulfo Romero y Galdamez (Ciudad Barrios, 15 agosto l9l7 - San Salvador , 24 marzo 1980), che è stato elevato alla gloria degli altari, come beato, in una solenne celebrazione in San Salvador, il 23 maggio 2015. La sua festa è stata fissata al 24 marzo, giorno della sua uccisione, giornata proclamata dalle Nazioni Unite quale giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime. Nacque, secondo di otto fratelli, da una famiglia di umili origini. Manifestato il desiderio di diventare sacerdote, ricevette la sua prima formazione nel seminario di San Miguel (1930). I suoi superiori, notando la sua predisposizione agli studi e la docilità alla disciplina ecclesiastica, lo mandarono a Roma. Compì la sua formazione accademica nella Pontificia Università Gregoriana negli anni dal 1937 al 1942, nella Facoltà di Teologia, conseguendo il baccellierato, la licenza e continuando con l'iscrizione a un anno del ciclo di dottorato. Ordinato sacerdote il 4 aprile 1942, svolse il suo ministero di parroco per pochi anni. In seguito fu segretario di Miguel Angel Machado, vescovo di San Miguel. Venne poi chiamato a essere segretario della Conferenza episcopale di El Salvador. II 25 aprile 1970 venne nominato vescovo ausiliare di San Salvador, ricevendo l'ordinazione episcopale il 21 giugno 1970. Diventò così il collaboratore principale di Luis Chavez y Gonzalez, uno dei protagonisti della Seconda conferenza del l'episcopato latinoamericano a Medellin (1968).
Il l5 ottobre 1974 venne nominato vescovo di Santiago de Maria, nello stesso Stato di El Salvador, uno dei territori più poveri della nazione. Il contatto con la vita reale della popolazione, stremata dalla povertà e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocò in lui una profonda conversione, nelle convinzioni teologiche e nelle scelte pastorali, anche grazie all'influenza del gesuita Jon Sobrino, esponente di punta della teologia della liberazione. I fatti di sangue, sempre più frequenti, che colpirono persone e collaboratori a lui cari, 1o spinsero alla denuncia delle situazioni di violenza che riempivano il Paese. La nomina ad arcivescovo di San Salvador, il 3 febbraio 1977, lo trovò pienamente schierato dalla parte dei poveri, e in aperto contrasto con le stesse famiglie che lo sostenevano e che auspicavano in lui un difensore dello status quo politico ed economico. Romero rifiutò l'offerta della costruzione di un palazzo vescovile, scegliendo una piccola stanza nella sagrestia della cappella dell'Ospedale della Divina Provvidenza. dove erano ricoverati i malati terminali di cancro.
La morte di padre Rutilio Grande, gesuita, suo amico e collaboratore. assassinato assieme a due catecumeni appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, divenne l'evento che aprì la sua azione di denuncia profetica, che portò la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue.
L'esercito, guidato dal partito al potere, arrivò a profanare e occupare le chiese, come ad Aguilares, dove vennero sterminati più di 200 fedeli. "Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!" gridò all'esercito e alla polizia. Le sue catechesi, le sue omelie, trasmesse della radio diocesana, vennero ascoltate anche all'estero, diffondendo la conoscenza della situazione di degrado che la guerra civile stava compiendo nel Paese. La sua popolarità crescente, in El Salvador e in tutta l'America latina, e la vicinanza del suo popolo, furono in contrasto con 1'opposizione di parte dell'episcopato, e soprattutto con la diffidenza di papa Paolo VI.
Il 24 giugno 1978, in udienza da quest'ultimo, denunciò:"Lamento,Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un'interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico".
Per le sue posizioni teologiche favorevoli alla teologia della liberazione ebbe sempre un cattivo rapporto con Paolo VI e non riuscì a ottenere l'appoggio del nuovo papa Giovanni Paolo II, che tenne conto delle sue notevoli capacità pastorali e della sua fedeltà al vangelo, ma fu molto cauto per il timore di una sua eventuale compromissione con ideologie politiche, in realtà infondata nel caso di Romero che era decisamente ortodosso, creando ostacoli tra l'America Latina e la Santa Sede.
Il 2 febbraio 1980, a Lovanio, in Belgio, ricevette la laurea honoris causa per il suo impegno come difensore dei poveri. Il 23 marzo 1980 l'arcivescovo invitò apertamente gli ufficiali e tutte le forze armate a non eseguire gli ordini, se questi erano contrari alla morale umana. Disse: "Io vorrei fare un appello particolare agli uomini dell'Esercito e in concreto alla base della Guardia Nazionale, della Polizia, delle caserme: Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri stessi fratelli contadini: ma rispetto a un ordine di uccidere dato da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice "Non uccidere". Nessun soldato è tenuto ad obbedire ad un ordine contrario alla Legge di Dio. Vi supplico, vi chiedo, vi ordino in nome di Dio: "Cessi la repressione!"".
Il giorno dopo (24 marzo), mentre stava celebrando la messa nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, fu ucciso da un sicario su mandato di Roberto D'Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA (Alianza Republicana Nacionalista). Nell'omelia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiomava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. L'assassino sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare mentre Romero elevava l'ostia nella consacrazione. Morì alle 18:26 di lunedì 24 marzo 1980. Giovanni Paolo II non presenziò al funerale, ma delegò a presiedere la celebrazione Ernesto Corripio y Ahumada, arcivescovo di Città del Messico. Durante le esequie l'esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un nuovo massacro. Il 6 marzo 1983 Giovanni Paolo II rese omaggio a Romero, venerato già come un santo dal suo popolo, sulla sua tomba, nonostante le pressioni del govemo salvadoregno.

Salvatore Bernocco


Nel tempo e nello spazio di Dio

Come negli anni precedenti, maggio è stato denso di attività pastorali, soprattutto in ordine agli incontri di catechesi riassuntivi dell'anno e in preparazione alla ricezione dei sacramenti: il 17 maggio infatti c'è stata la Prima Confessione, il 30 invece l'amministrazione della Cresima da parte del vescovo don Gino. Sono stati preceduti dal ritiro spirituale presso il Santuario di Calentano. Come ogni anno, molto partecipata è stata la novena a S. Rita e la festa della santa. La celebrazione della sera ha comportato la necessità di procedere alla benedizione delle rose in piazza Castello: la navata della chiesa non gliela avrebbe fatta. Simpatico è stato un momento di festa intorno al parroco la sera del 21 maggio, mentre nei giorni successivi si è tenuto l'incontro con gli adulti e il gruppo famiglia parrocchiale. Lo scambio di esperienze e l'affetto reciproco fanno sì che il mondo degli adulti cammini nella fraternità nella formazione di una parrocchia secondo le direttive del Concilio. Festosa l'accoglienza riservata al vescovo don Gino la sera del 30 quando ha conferito il sacramento della Cresima, concludendo cosi il mese mariano. Come in ogni mese non è mancato il momento dell'adorazione eucaristica il primo giovedì del mese e il giorno 23 nel ricordo di P. Pio.

Luca


MAGGIO... E QUELLA VERGINE DEL TIZIANO

Miei Cari,
non avviene sempre di trovarsi dinanzi ad una immagine della Vergine, dipinta con tanta grazia e intelletto di amore, come mi è stato dato nello scorso mese di aprile durante una tappa a Venezia. Proprio lì nella basilica dei Frari, mi son trovato davanti a quella stupenda visione dell’Assunta del Tiziano. Io penso che si debba coltivare un amore straordinario accompagnato dal pennello, diretto da mano soprannaturale per aversi un risultato così esaltante, quasi il pittore avesse avuto prima una visione di chi è stata Maria, la fanciulla di Nazareth, portata alla grazia e sorretta da un numeroso stuolo di angeli. È stata per me l’antifona al mese di maggio dedicato alla Madre di Dio. Infatti Maggio invita a riflettere e a celebrare la sua figura di donna, di madre e credente umile e tenace. Una devozione popolare, come quella mariana, riflette sempre un contenuto solido e valido, esprime un’idea afferrata come necessaria, manifesta un bisogno profondo di tutti: così la devozione a Maria è segno del bisogno che l’umanità avverte di una madre, di una protezione non passiva e fatalistica, ma seria e impegnativa. La Madonna in quel volo stupendo con cui il Tiziano la ritrae, sembra insegnarci che nel segreto di una coscienza, nella libertà coraggiosa di una donna, nella fede sicura di chi si appoggia alle incrollabili promesse di Dio, avviene qualcosa di sconvolgente: la disponibilità di Maria; la sua accettazione del progetto di Dio, il suo mettersi totalmente a servizio dellA incomprensibile amore di Dio che vuole salvare l’uomo, danno il via alla nuova éra, l’éra della salvezza. Oggi, all’uomo che ha perso il senso della sua responsabilità è ancora la figura di Maria - e il Tiziano lo esprime straordinariamente bene - che può offrire l’unica via di salvezza. È Maria che ancora oggi dice al mondo che si può credere, si può amare, si può pensare a risultati positivi, si può lavorare nel silenzio e nella onestà, certi che prima o poi, il bene emerge e invade la terra. Maria dice ancora agli uomini di buona volontà che la salvezza è una sola e che basta seguire il Cristo, la sua parola e la sua azione, senza compromessi e senza tradimenti, per arrivare ad una umanità felice e a un mondo fatto di uomini liberi. Ci accompagnino questi pensieri nel mese di maggio che si apre dinanzi a noi. Cordialmente
Don Vincenzo




Un gesto eroico fu ritenuto quello del Tiziano nel 1518, a Venezia, dove dipinge l’assunzione che i frati inizialmente rifiutano, perché rappresenta la Madonna viva. Al momento del rifiuto era presente l’ambasciatore dell’imperatore il quale si offerse di acquistare l’opera in contanti. Capito che l’opera aveva valore, i frati la tennero. Tiziano la dipinge in carne e ossa, portata dagli angeli o accompagnata dagli angeli, questo non si capisce. Quindi si spezza tutta la tradizione della dormitio, contro tutta la tesi degli ortodossi che credono che la Madonna sia morta. Aldo Bergamaschi

LA VITE E I TRALCI: UNA RIFLESSIONE DI ALBERTO MAGGI

In una famosa pagina del profeta Ezechiele, il profeta descrive il legno della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il legno della vite è l’unico legno tra gli alberi della campagna con il quale non si può fare nulla; non ci si può fare un oggetto, un attrezzo utile. Il legno della vite è buono soltanto per far passare la linfa vitale ai tralci e produrre frutta. Quindi il legno della vite è il legno inservibile, se non per portare frutto. Ed è a questa immagine del Profeta Ezechiele che Gesù si riallaccia nel famoso discorso della vite e dei tralci, contenuto nel capitolo 15 del Vangelo di Giovanni. Gesù, ancora una volta, rivendica la pienezza della condizione divina. Quando Gesù dice “Io sono”, questo rappresenta la pienezza della condizione divina, perché “Io sono” è il nome di Dio. Nella cultura d’Israele la vite era immagine del popolo, del popolo di Israele. C’è il famoso cantico d’amore del Signore per la sua vigna, contenuto nel capitolo 5 del Profeta Isaia; anche il Profeta Geremia parla di Israele come di una vite. Bene Gesù dichiara di essere “la vera vite”, quindi ci sono delle false viti. Gesù continua quel processo di sostituzione con le realtà di Israele con la propria persona: - non la manna dal cielo, ma lui è il vero pane che da vita al popolo; - lui è la vera luce al contrario della legge; - lui è la vera vite, lui è il vero popolo piantato dal Signore. E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove scorre la linfa vitale, il Padre è l’agricoltore. Qual è l’interesse dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre più frutto e infatti, scrive l’evangelista, “ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”. Qual è il significato di questa espressione? L’evangelista sta parlando della comunità cristiana dove c’è un amore che viene comunicato dal Signore, un amore ricevuto dal Signore, e questo amore si deve trasformare in amore dimostrato agli altri. E questo è caratteristico dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia si accoglie un Gesù che si fa pane, fonte di vita, per poi essere disposti a farsi pane, fonte di vita per gli altri. Ci può essere il rischio che nella comunità ci sia una persona che assorba questa linfa vitale, assorba questa energia, assorba questo amore, assorba questo pane, ma poi non si faccia pane per gli altri, non trasformi l’amore che riceve in amore per gli altri. E’ un elemento passivo, che pensa soltanto al proprio interesse, a se stesso, e quindi non comunica vita. Ebbene, non gli altri tralci, e neanche Gesù, ma il Padre, prende e lo toglie, perché è un tralcio che è inutile. “Ma ogni tralcio che porta frutto”, cioè il tralcio che succhiando questa linfa vitale, quindi nell’Eucaristia il tralcio che ricevendo Gesù come pane si fa poi pane per gli altri, porta frutto. Dispiace vedere che ancora i traduttori rendono il termine con ‘potare’ che non è quello adoperato dall’evangelista. Il verbo adoperato da Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono due cose completamente diverse. Cosa significa purificare? Il Padre che ha a cuore che il tralcio porti più frutto sa individuare quegli elementi nocivi, quelle impurità, quei difetti che ci sono nel tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo è importante, l’azione è del Padre; non deve essere il tralcio a centrarsi su sé stesso, ad individuare i propri difetti e cercare di eliminarli, perché centrandosi su séstesso farà un danno irreversibile. L’uomo si realizza non quando pensa a se stesso, alla propria perfezione spirituale, che può essere tanto illusoria e lontana quanto è grande la propria ambizione; l’uomo deve centrarsi sul dono totale di sé, che è immediato. Allora, in ognuno di noi ci sono dei limiti, ci sono dei difetti, ci sono delle brutte tendenze. Ebbene noi non ci dobbiamo preoccupare. Sarà il Padre che, se vede che questi limiti, questi difetti, queste tendenze sono di impedimento al portare più frutto, lui penserà ad eliminarli, non noi. Perché facendolo noi possiamo andare a toccare quelli che sono i fili portanti della nostra struttura e fare dei danni tremendi. Allora “Il Padre lo purifica”. Questo da piena serenità; l’unica preoccupazione del tralcio è portare frutto, tutti gli impedimenti a frutti abbondanti ci penserà il Padre, non gli altri tralci, neanche la vite, ma il Padre. Perché? “Perché porti più frutto”. E dichiara Gesù “Voi siete già puri”, ecco vedete, quando i traduttori traducono il verbo con ‘potare’ anziché ‘purificare’, non rendono questo gioco di parole che l’evangelista fa tra il verbo ‘purificare’ e l’aggettivo ‘puri’. Quindi prima Gesù ha detto “Lo purifica”, e poi dice “voi siete già puri”. Perché? “A causa della parola che vi ho annunziato”. La parola di Gesù è un amore che si fa servizio. Ciò che purifica l’uomo non è il fatto che gli lava i piedi, ma la disponibilità poi di lavare a sua volta i piedi agli altri. Quindi questa parola, il messaggio di Gesù, un amore che si fa servizio, rende pura la persona.

PAPA FRANCESCO COME GIOVANNI XXIII

"L’annuncio a me è arrivato assolutamente improvviso ed inatteso. Sono molto legato al Papa, come sono stato educato fin da ragazzo nel mio seminario di Venezia, e non solo con l’affetto, ma con la mente e con la mia piccola azione, che ho cercato di fare lungo il corso della mia lunga vita e nei miei 74 anni di sacerdozio. “Mi ha preso all’improvviso! Sono rimasto stupito e ho detto: “Anche io voglio ripetere quello che un bergamasco, fatto cardinale, ha scritto e ha voluto che fosse messo nel suo stemma gentilizio Sola gratia tua. “Se è stato fatto questo riconoscimento, se è venuta anche questa creazione come un raggio di luce sul tramonto della mia vita, lo devo solo alla bontà di papa Giovanni, ai suoi esempi e alla sua santità, e alla bontà e alla amabilità di papa Francesco, che ha guardato ad un vecchio prete e ha creduto di onorare in me tutti i sacerdoti più umili, che hanno servito in silenzio. Mi sono sempre considerato un “facchino di Dio” e mi sono sentito piccolo tra i piccoli. Ho servito e finché Dio mi lascia qui continuerò a servire, ad amare, a credere all’unità della famiglia umana. Grazie tante!”. Sono state queste le prime parole di Loris Capovilla, eletto, il 12 gennaio scorso, cardinale, da papa Francesco, all’età di quasi cento anni. Un uomo, un credente che ha avuto il dono di collaborare con papa Giovanni. Nativo di Pontelongo, in provincia di Padova, e prete veneziano dal 1940, conosce Roncalli al suo arrivo a Venezia come Patriarca nel 1953, ne viene scelto come segretario e gli resta a fianco per dieci anni, seguendolo a Roma dopo l’elezione a Papa. Dopo la morte di Giovanni XXIII, Paolo VI lo manda come arcivescovo prima a Chieti (1967) e poi a Loreto (1971).

...continua...


ANTONIO SOCCI CONTRO PAPA FRANCESCO

Bergoglio identifica la conversione con un “fare”, con un attivismo sociale che abbiamo già visto in America Latina e qui negli anni Settanta in certi gruppi cattolici di sinistra, dove alla fine Cristo si riduceva a “pretesto” per un attivismo sempre più politico e ideologizzato. Invece don Carron percorre la via di un ripiegamento intimistico che toglie alla fede e alla comunità cristiana ogni dinamica umana espressiva e si risolve in quella “scelta religiosa” che decenni fa venne fatta dall’Azione Cattolica e fu sempre combattuta da don Giussani come il suicido del cattolicesimo. Giussani aborrì allo stesso modo la riduzione “sociale” e attivistica del cristianesimo che considerava succube delle ideologie» (Libero, 8 marzo 2015). Questo ha scritto su un giornale ideologizzato il giornalista Antonio Socci, da un po’ di tempo a questa parte attivissimo nel criticare Sua Santità che, a suo modo di vedere, non sarebbe stato eletto legittimamente («Al Conclave è successo di tutto», scrive, sempre sul giornale Libero, il 26 gennaio 2015), e non sarebbe Francesco. Il giornalista accusa in sostanza papa Bergoglio di essere un fautore della cosiddetta teologia della liberazione, “una riflessione teologica iniziata in America latina con la riunione del Consiglio episcopale latino-americano (CELAM) di Medellín (Colombia) del 1968, dopo il Concilio Vaticano II (a margine del quale fu concordato da alcune decine di padri conciliari - molti dei quali brasiliani e latino-americani - il cosiddetto Patto delle catacombe), che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano”. Sempre secondo Socci, il Papa avrebbe poi tirato le orecchie a Comunione e Liberazione. Insomma, il giornalista, fervente cattolico, è un fervente antibergogliano, se così si può dire. Poniamoci una sola domanda, partendo dalla nota parabola del Buon Samaritano: il samaritano si fermò a pregare, mani congiunte, dinanzi al corpo martoriato dell’uomo assalito dai briganti, oppure si diede concretamente da fare, si prese cura di lui con i fatti e non a parole? La risposta la conosciamo tutti: si prese cura di lui, distinguendosi dal levita e dal sacerdote, i quali passarono oltre perché per loro era importante raggiungere Gerusalemme per andare a pregare. La parabola ci parla di un cristianesimo che è vicino coi fatti a chi sta male, con le azioni, oltre che con la preghiera che però, da sola, serve a poco. Difatti, sappiamo anche che la «fede senza le opere è morta» (Gc 2,26) e abbiamo memoria di quanto il Signore dice ad Isaia: «Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1, 15- 17). Del resto, il cristiano viene riconosciuto come tale in forza delle opere di carità che compie, non per il numero di novene, preghiere, sante messe a cui partecipa, spesso ininfluenti ai fini pratici. Socci ha perso l’ennesima occasione per tacere. Non so cosa ci sia di errato nella teologia della liberazione, ma se tale teologia postulasse la liberazione dell’uomo dalle catene della sofferenza e del peccato, io non ci vedrei nulla di male, anzi riterrei che sia pienamente in linea con il messaggio evangelico dell’amore-carità.

Salvatore Bernocco

RIFLETTIAMO INSIEME SU QUEL “PANE”

Mentre mangiavano prese un pane. Gesù prende un pane e non il pane: significa che non prende il pane azzimo. Il pane tondo significa che non c’è una parte migliore, come per l’agnello, ma è uguale per tutti. Il pane è formato da chicchi di grano che prima erano sparsi e, una volta macinati, diventano una cosa sola. È segno di unità; come il pane è formato da chicchi di grano che erano sparsi, così la comunità cristiana nell’Eucarestia tende a diventare una cosa sola.
Prendete e mangiate: mangiare significa che il pane va assimilato, assorbito, fatto nostro. Mangiare il Corpo di Cristo significa fare nostro il suo modello di comportamento e amore come Lui ama.
Il Calice è l’immagine della morte di Gesù. Per vivere il messaggio di Gesù non basta solo mangiare il pane, ma occorre essere fedeli fino ad essere capaci di affrontare la persecuzione, l’ostilità, l’incomprensione anche fino alla morte. Gesù inaugura qualcosa di completamente nuovo. Egli non uccide una vita, ma offre la sua vita; non toglie il pane ai discepoli, ma si offre Lui come pane. Gesù non chiede, ma dona. Dopo aver cantato l’Inno usciranno verso il monte degli ulivi: nel libro dell’Esodo è scritto che è proibito uscire la notte di Pasqua. Loro escono e cantano anche gli inni, che significa lodare Dio. È una immagine priva di qualsiasi elemento di tristezza. Gesù libera l’uomo da ogni legge opprimente perché ha a cuore solo ed esclusivamente il bene dell’uomo. Per capire allora meglio il significato dell’Eucarestia incominciamo a liberarci da immagini e parole non propriamente corrette. I cristiani celebrano la Cena del Signore (S. Paolo) o la Frazione del pane (S. Luca), per cui non ci raccogliamo davanti ad un altare: l’altare presuppone un sacrificio da offrire a Dio; ma noi ci riuniamo intorno alla Tavola con il significato di mensa. Nella Tavola cristiana è il Signore che si offre ai suoi come alimento di vita. Ed Egli si fa servo perché noi ci facciamo Signori. Egli - dice il Vangelo - li farà mettere a tavola (li farà sdraiare: solo i signori potevano mangiare sdraiati) e passerà a servirli. Dio nutre e rafforza, ovvero comunica vita. L’Eucarestia è il momento in cui Dio si prende cura di noi; noi ci riposiamo e Gesù passa a servirci. Il Dio di Gesù non chiede di essere servito, ma è Lui che serve. L’Eucarestia è il momento in cui Dio ci coccola. Per vivere pienamente l’eucarestia, Gesù ci invita ad avere le vesti strette ai fianchi; atteggiamento quindi di servizio e di cammino per andare verso gli altri. E inoltre avere le lampade accese. “Lampade accese” significa che il Signore è presente e la Comunità si deve caratterizzare per il servizio che gli uni svolgono verso gli altri. La comunità quindi è il luogo dove alita il Signore.

Nel tempo e nello spazio di Dio

Con intensità vivemmo il triduo pasquale ritrovandoci alla Messa in Coena Domini, alla Azione liturgica del venerdì e alla Veglia Pasquale. Vivemmo poi momenti di fraternità con il Gruppo Famiglia, con gli Amici della Confraternita di S. Rocco, i giovani e i fratelli del Cammino Neo-Catecumenale che hanno iniziato le evangelizzazioni in piazza dietro suggerimento del Papa. Non mancarono i momenti di adorazione eucaristica, compresa quella animata dal Gruppo di P. Pio. Poi iniziò la novena in onore della Madonna del Buon Consiglio che culminò con la festa esterna, preceduta dalla processione della Venerata Icona. Si intensificarono gli incontri con i genitori dei fanciulli di catechismo, soprattutto per quelli che riceveranno prossimamente i sacramenti della Riconciliazione, della Cresima e della Prima Comunione. Ci riunimmo in preghiera per il vescovo Don Tonino nell’anniversario della sua morte. Il parroco ci introdusse poi al mese mariano, così anche i bambini e i giovani con tutti i gruppi e movimenti parrocchiali.

Luca

PASQUA: ANCHE NOI IN CAMMINO

Miei Cari,
È Pasqua. Gesù, dopo il riposo del sabato, riprende il cammino. Ripartono le voci delle donne che non trovano il Maestro nel sepolcro, si odono Angeli che annunziano che il Maestro è risorto. Tutti corrono. A Natale andarono in fretta i pastori ad adorarlo, chiamati da voci dal cielo: ora, è un angelo che annunzia che il Maestro è risorto, non è più nel sepolcro. La notte delle tenebre è sconfitta: Gesù è risorto. Nella tomba solo dei lini posti al suolo. Gesù, fatto infinito, cammina sulla morte, desideroso che i fratelli lo seguano e lo annuncino appena avrà inviato loro lo Spirito Santo. Ritroveranno allora l’entusiasmo e la notte, carica di peccato, si farà luce. Illuminati dal volto raggiante di Gesù Risorto, anche noi camminiamo, radiosi, come l’alba. Le tenebre della nostra umanità non possono più impedirci di far sorgere la luce: la luce della sua Grazia. Comprendiamo ora la parola di S. Paolo: “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede”. Nella tua morte e risurrezione siamo diventati eternità. Cammina di nuovo Gesù con noi, come all’inizio dei tempi. Il cammino della storia ora si apre alla speranza; la notte si è trasformata in giorno perché, a Pasqua, Dio è Amore. Morti per la colpa, con la Pasqua, con la passione, morte e risurrezione di Gesù siamo nuovamente luce, siamo amore. Cosa significa allora vivere nell’amore della Pasqua? Non vivere più solo per sé, saperci donare agli altri come lui, Gesù, che si è donato a tutti. Abbracciamo amorevolmente i nostri fratelli, quelli più poveri. Oggi sono tanti questi fratelli bisognosi d’amore, bisognosi di vita. Anche loro hanno diritto alla vita. Come Cristo, a Pasqua, si offre per la redenzione di tutta l’umanità, noi non dovremmo offrirci per la sopravvivenza dei poveri che bussano alle nostre porte? Qual è il significato della risurrezione per noi? È un invito a cogliere che il tempo della sofferenza e della difficoltà ha un senso, e quasi sempre una logica, quando il tutto viene vissuto incastonato, affidato e compreso, come qualcosa di prezioso, nel piano di Dio. È un’apertura alla speranza…. A vedere nella storia quelle realtà positive che illuminano il cammino, a volte disastroso, di ogni uomo. È la forza per poter iniziare, ricominciare e ripartire per nuove mete dopo aver sperimentato la debolezza della natura umana o la lontananza degli uomini nei momenti di maggiore bisogno. È una chiamata a superare continuamente il senso di paura che alberga in noi e nella nostra quotidianità… a vincere il senso di ipocrisia e di ambiguità a cui molte volte si è abituati o assuefatti… a guardare in modo positivo alla storia convinti che alla fine il male deve essere sconfitto dal bene… e che sarà una vittoria divina. È una presa di coscienza di quella espressione (finale del vangelo di Matteo)… “Ecco, Io Sono con Voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”…. Il Risorto compagno di viaggio lungo tutto il cammino della nostra vita. E’ il mio augurio.

Don Vincenzo


IL RISORTO CAMMINA CON NOI : MEDITAZIONE PASQUALE


Cammina davanti a me… Camminare con Dio è un’espressione che la Bibbia usa per definire un uomo che vive nella piena comunione con Dio. Infatti, così il libro della Genesi presenta Noè, uomo che divenne primizia di un’umanità nuova, salvata dalle acque del diluvio: “Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio” (Gen 6,9). Ad Abramo, uomo delle promesse, invece, Dio si rivolge con un invito molto preciso: “Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso” (Gen 17,1-2). Uun comando che ne condiziona tutta la vita. Cammina davanti a me significa, dunque, una vita vissuta di fronte a Dio, nella quale ogni passo viene fatto guardando a Lui. Un invito ad appartenere completamente a Lui, senza riserve. La vita umana si presenta proprio come un “cammino”. L’uomo, infatti, percorre diverse strade da solo, come parente, amico, concittadino, parrocchiano, eccetera… oppure come monaco, monaca che si avventura nei sentieri tortuosi della solitudine, nella ricerca dell’essenziale…. Nella ricerca di Dio. Gesù viandante Nella persona di Gesù, Dio stesso intraprende questo “cammino” umano, che ci conduce verso Gerusalemme, luogo della Pasqua del Signore. Nei Vangeli secondo Marco e Luca, Gesù si presenta proprio come un viandante che, accompagnato dai suoi discepoli, percorre la Galilea annunciando il Regno di Dio, ma a un certo punto, quando “stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9,51), “perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13,33). Non è facile stare al passo del Maestro che cammina così deciso verso il suo esodo, come pure non era stato facile lasciare tutto per mettersi in questo cammino, ma l’insicurezza aveva fatto spazio alla forza della speranza fissata in Gesù: “Lui libererà Israele”! Speranza mantenuta viva nonostante le difficoltà del viaggio, le fatiche e la stanchezza, fino a quel giorno, giorno della sua condanna e crocifissione, giorno della speranza delusa. Gesù è morto e contro la morte non ci sono rimedi. Nei cuori dei discepoli il posto della speranza ora è occupato da buio e angoscia, perché? Eppure Gesù diceva che il terzo giorno sarebbe risuscitato! Ma chi se lo ricorda oggi? Come immaginavano loro la liberazione d’Israele? Alla condizione dei discepoli schiacciati dal dolore e disperati paiono riferirsi le parole del profeta Isaia: “Ogni uomo è come l’erba… secca l’erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signore spira su di essi… veramente il popolo è come l’erba” (Is 40,6-8). Ma la speranza posta in Dio non può svanire nel nulla! Il profeta, infatti, aggiunge: “Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura sempre!” (Is 40,8). Però, “con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute” (Lc 24,21). Tre lunghi giorni cui, però, fa seguito quel “primo giorno dopo il sabato”. Sulla via di Emmaus Ci troviamo accanto ai discepoli incamminati verso Emmaus. Stavolta, non seguono il Maestro, non camminano sicuri e gioiosi sulle sue orme. Sono tristi. Conversano vivacemente di tutto quello che era accaduto a Gerusalemme e che ormai fa parte di quell’esperienza per loro davvero traumatica: di Gesù Maestro, condannato a morte e crocifisso. E’ proprio in questo momento che Lui in persona li segue, si accosta, li ascolta mettendosi al loro passo, cammina con loro, così come una vota loro seguivano Lui. Essi, però, tutti presi dai loro discorsi, sono “incapaci di riconoscerlo”. Rimangono ancorati al passato, perciò il presente sfugge loro di mano. Uno dei grandi Padri della Chiesa osserva opportunamente: “Camminavano morti con il Vivente, camminavano morti con la stessa Vita, la Vita camminava con loro, ma nei loro cuori non c’era ancora la vita” (Sant’Agostino, Sermone 235,3). Negli occhi dei discepoli si è fissata un’altra immagine, quella di Gesù sulla croce e di Lui messo nel sepolcro. I loro occhi, dunque, sono “imprigionati, incatenati” da qualcos’altro. Gesù, prima silenzioso compagno di viaggio, adesso domanda con stupore: “Che sono questi discorsi…?”. Gesù è stupito, vede che davvero sono “tardi di cuore” e allora reagisce da Maestro: “Ma… che cosa state dicendo?”. Alla domanda segue un’immediata reazione: “Si fermano”, ma “col volto triste”. Possiamo immaginare il loro stupore. Per riflettere, infatti, è necessario fermarsi. Nella vita quotidiana, in cui spesso capita di sentirsi come in una giostra, bisogna proprio fermarsi per non lasciarsi afferrare dalle preoccupazioni e diventare ciechi e “tardi di cuore”. “Tu solo sei così forestiero da non sapere!”. Solo un forestiero, infatti, sarebbe stato all’oscuro di un evento così eclatante come quello accaduto a Gerusalemme. Cleofa è stupito dell’ignoranza di questo forestiero e così si affretta a raccontare quegli avvenimenti di cui parlava con il suo compagno per far uscire il suo nuovo interlocutore dall’ignoranza. Ma chi è veramente ignorante? L’evangelista gioca su due registri che non riescono a incontrarsi: sulla realtà della vita di Cristo Risorto e sulla speranza delusa che acceca i discepoli. Gesù, però, fa di tutto per risollevarli e per farli passare a un altro livello, quello della conoscenza di Lui attraaverso le Scritture: “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro ciò che si riferiva a lui”. I discepoli forse hanno ancora nella mente l’insegnamento del Maestro: la parabola della pecorella smarrita, del figlio prodigo, del buon samaritano e tante altre, oppure i miracoli compiuti da Gesù. Tutto ciò li aveva convinti della sua “potenza in parole e in opere”. Eppure Gesù per loro è morto, ma le donne e alcuni dei loro fratelli, recatesi al mattino al sepolcro, li hanno sconvolti con la notizia che Egli è vivo. Il lettore sa che è Gesù stesso a parlare con i discepoli e si aspetta il momento in cui Egli si rivelerà oppure che i discepoli lo riconosceranno. Niente affatto! Il discorso si prolunga ed Emmaus si avvicina. Il viaggio si conclude e i discepoli rimangono nella loro ignoranza. “Oh, se sapeste il dono di Dio e chi è colui che vi parla!”, si potrebbe dire citando Gesù nel suo colloquio con la donna samaritana (Gv 4,10). Si fa sera e il giorno declina. L’inaspettato invito, “resta con noi”, apre una nuova possibilità di riconoscimento. “Egli entrò per rimanere con loro”. I discepoli “tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti”, con gli occhi “incapaci a riconoscerlo”, aprono in un gesto ospitale la porta per il Viandante. Verso i confini del mondo Si compie qui quello che è detto nell’Apocalisse: “Ecco: io sto alla porta e busso. Se uno, udendo la mia voce, mi aprirà la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Solo in questo momento, mentre si trovano a tavola, si aprono i loro occhi e lo riconoscono nello spezzare il pane. Allora il Maestro scompare, ma essi tornano a Gerusalemme ormai trasformati dalla sua presenza, con il cuore ardente dall’ascolto della sua parola. Nel loro cammino possiamo riconoscere anche i nostri cammini interiori con Gesù. In diversi percorsi, dovunque si trovi, l’uomo è invitato a “camminare con Dio”, vale a dire, vivere in comunione con Lui. Egli, infatti, in persona accompagna i passi dei suoi discepoli “fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Ma chi è capace di riconoscere la sua presenza? Il Signore risorto, che ha acceso nei nostri cuori la speranza di questa vita che non conosce tramonto, ci aiuti a riconoscerlo instancabile Viandante sulle vie travagliate della nostra storia.

Gesù colpisce, spiazza, innova….

Gesù colpisce, spiazza, innova….
“Occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo “scandalo” che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria “autorità”: una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è “exousia”, che alla lettera rimanda a ciò che “proviene dall’essere” che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire – egli stesso lo dice – dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa “autorità” perché egli la spenda a favore degli uomini”.
(Lettera di Papa Francesco ad Eugenio Scalfari, 4 settembre 2013).


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L’ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA E IL POTERE

È notizia fresca. Il Santo Padre ha indetto un Anno Santo straordinario incentrato sulla misericordia del Signore. Inizierà l’8 dicembre del 2015 e terminerà il 26 novembre 2016. Sarà un periodo di grazia per tutti coloro che vorranno accostarsi più in profondità alla infinita misericordia di Dio, il quale è sempre pronto ad accogliere chi si converte a Lui, alla Sua parola di speranza e di vita eterna. E sarà un periodo di riflessione per l’intera Chiesa, chiamata dal Papa ad interpellarsi più a fondo sulla scelta della povertà, dell’amore misericordioso, della tolleranza. La scelta della povertà, sottolineata da Bergoglio con l’assunzione del nome di Francesco, è sotto le mire di certa parte della gerarchia cattolica che vorrebbe che il papa tacesse, si facesse i fatti propri, fosse un papa austero, distante dalla gente comune, che parlasse un linguaggio curiale finalizzato al consolidamento di una certa figura retorica di papato, che invece Bergoglio ha demolito con le sue parole e le sue opere. Insomma, come ha sottolineato in un suo articolo il teologo Vito Mancuso (v. la Repubblica, venerdì 13 marzo 2015, pag. 1 e pag. 36), la lotta è quella antica fra povertà e potere, fra una Chiesa amica dei poveri e serva dei poveri ed una Chiesa del potere umano, amica dei potenti ed essa stessa potere forte, abitata da cardinali, prelati, sacerdoti ricchi e che semmai vivono in case lussuose, laddove il Papa si accontenta di settanta metri quadri in quel di Santa Marta. Il Cristo, portato nel deserto dallo Spirito, ingaggiò una battaglia con lo spirito del male, il quale lo tentò anche sul piano del potere. Se si fosse inginocchiato dinanzi a lui, egli gli avrebbe dato potere su tutto il mondo. Ma su quale mondo? E quale tipo di potere? Ovviamente sugli uomini dello stesso stampo del ricco Epulone, il cui potere consisté nel non poter far nulla per il povero Lazzaro e nel dannarsi. Con ciò intendo dire che il ricco, che coincide col potente e che esercita il potere per mantenerlo e semmai accrescerlo, non ha coscienza né consapevolezza della povertà e di chi sono i poveri perché, avendo scelto Mammona, non ha accesso alla sapienza di Dio, che è rivelata ai poveri e agli umili, cioè a quanti non hanno potere e sono totalemente e fiduciosamente dipendenti da Dio. Questo Anno Santo straordinario viene in un momento delicato per le sorti dell’umanità e della stessa Chiesa, che deve rigenerarsi e che non può né potrà più fare a meno di papi come Bergoglio. Se dovesse lasciarsi corrompere dal potere, cioè da Satana, sperimenterebbe sì la forza del potere ma non anche quella dello Spirito Santo, che l’abbandonerebbe al suo destino umano, sebbene abbia un fondamento ultraterreno. Certo, la Chiesa rinascerebbe in altri modi e luoghi, ma il danno che si provocherebbe alla fede sarebbe devastante, giacché chi parla di Dio e non si comporta come il Signore, non solo danneggia sé stesso, ma danneggia l’intero corpo mistico della Chiesa. Dopo i numerosi scandali di cui si sono macchiati uomini e donne consacrati; dopo che il Papa si è spesse volte intrattenuto sul dovere morale di fuggire il male e di non lasciarsi corrompere dalle seduzioni del mondo; dopo che, grazie al Papa, la Chiesa sta conoscendo una nuova fioritura, sarebbe folle e diabolico andare controcorrente e schierarsi contro i disegni di rinnovamento e di conversione dettati da Papa Francesco. Preghiamo quindi per il Santo Padre e affinché la misericordia di Dio, la Sua grazia, lo Spirito Santo, si riversino abbondantemente, ora e sempre, sui credenti e su quanti hanno scelto di servire la Chiesa e non già di servirsene per fare carriera e stare dalla parte dei ricchi e dei potenti di questo mondo.

Salvatore Bernocco