QUEL “Sì” MAI REVOCATO

Miei Cari,
come spesso mi capita, tra le mie letture mi sono imbattuto in un articolo sulla Madonna che ha come titolo «Quel “Sì” mai revocato» e che mi ha fatto riandare allo stile della Vergine Maria, colei che ha detto un “sì” umile e mai revocato al progetto del Signore, un “sì” che anche noi possiamo e dobbiamo pronunciare, senza timidezza e arroganza, ma confidando in Colui che ha fatto grandi cose, non solo in Maria, ma anche nei santi e nei giusti di ogni tempo.
Insieme a tale salutare riflessione, il mese mariano che stiamo celebrando e vivendo mi ha riportato a quella singolare invocazione di Papa Francesco alla “Vergine che scioglie i nodi”. Dove per nodi bisogna intendere tutte le situazioni che premono l’uomo rendendolo triste, perché si trova nella impossibilità di risolverli. Pregando la Madonna tutti i giorni, invocandone la materna presenza, quei nodi che rendono infelici vengono sciolti dalla mamma di Gesù così che il nostro “sì” mai viene revocato al progetto di Dio. Quando nel 1986 - 30 anni or sono - il futuro Papa era in Baviera (Angsburg) rimase assai colpito da quella immagine e dalla storia che recava con sé, al punto tale che, tornato a Buenos Aires, iniziò a divulgare la conoscenza e a far crescere la devozione degli argentini verso la Madonna che scioglie i nodi e a far riscoprire la bellezza della felicità. Così diceva Papa Francesco: “Tutti abbiamo nodi nel cuore, mancanze, e attraverso difficoltà il nostro Padre buono, che distribuisce la grazia a tutti i suoi figli, vuole che noi ci fidiamo di Lei, che le affidiamo i nodi dei nostri mali, i grovigli delle nostre miserie che ci impediscono di unirci a Dio, affinché Lei li sciolga e ci avvicini al suo Figlio Gesù”. Per il Papa, questo era il significato dell’immagine. Ci porti questo mese di maggio a puntare sempre il nostro sguardo su Maria perché mai abbiamo a revocare il nostro “Sì” a Gesù: sarebbe piena infelicità. Con Papa Francesco preghiamo la Vergine in tal modo:
“Santa Maria, Madre di Dio,
tu che sei stata donna e madre,
tu che hai risposto a Dio: “Sia fatta la tua volontà”,
infondi la tua forza,
la forza della tua fede e del tuo amore.
Vergine Maria, oggi vengo a te con il cuore pieno di sofferenze,
Vengo a dolermi per le mie sofferenze fra le braccia della Madre che ci ascolta sempre, che sopporta tutto, che crede tutto. E’ per questo che ricorro a te, Maria, Madre mia: liberami e togli i nodi che mi impediscono di essere felice, di avvicinarmi a te e a tuo Figlio.
La mia preghiera trasformi il mio cuore di pietra e mi permetta di sperare in un mondo migliore e più generoso.
Maria, tu che sciogli i nodi, ascolta la mia preghiera. Amen!” 
Un cordiale pensiero per tutti.
Don Vincenzo

Riflettiamo sui temi dell’Anno Santo della Misericordia: LE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE

Le opere di misericordia sono quelle richieste da Gesù nel Vangelo (Matteo 25) per trovare misericordia (ossia perdono per i nostri peccati) ed entrare quindi nel suo Regno. La tradizione cattolica ne elenca due gruppi di sette: le opere di misericordia corporale e le opere di misericordia spirituale. Diamo un’occhiata alle prime.
“Dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati”. Sono le prime due opere di misericordia corporale, sebbene non si riferiscano esclusivamente alla sete e alla fame, cioè ad una dimensione fisica, ma anche alla giustizia. «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati», dice Gesù (Mt 5, 1-12). La nostra azione, quindi, deve essere rivolta non solo a sovvenire ai bisogni materiali del prossimo, ma in particolare ad agire secondo giustizia, adoperandoci perché la società conosca ciò che giusto e ciò che non lo è. È giusto ciò che ci avvicina al modo di fare di Dio; è ingiusto ciò che ci allontana da Lui. 
Vestire gli ignudi. Anche in questo caso non si tratta soltanto di donare ciò che non indossiamo più (e che sia in ottimo stato) a chi non può permettersi di acquistare un capo di abbigliamento decente o un paio di scarpe, per esempio. La prospettiva di quest’opera di misericordia è più ampia. Dobbiamo fare una incursione nel libro della Genesi. “Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Ora, il senso più profondo è questo: rivestire di Dio chi, a causa del peccato, non avverte il tepore della Sua presenza. Riconciliarlo col Signore affinché esca dai suoi nascondigli e viva una vita da redento.
Alloggiare i pellegrini.Opera di estrema attualità. Siamo invasi da profughi provenienti dalla Siria, dalla Libia, da altre nazioni strette nella morsa delle guerre e delle violenze. L’Europa è ad un bivio: accogliere queste persone o respingerle? Senza dubbio dobbiamo accoglierli e dargli ospitalità, altrimenti non saremmo figli del Padre. Chi siamo noi per impedire a nostri simili di aspirare ad una vita migliore? Per cui no al razzismo, no alla chiusura delle frontiere e alle discriminazioni; sì all’accoglienza e all’amore verso il prossimo.
Visitare gli infermi. L’ammalato nel corpo o nello spirito ha bisogno di parole di conforto e di speranza. I cristiani dovrebbero essere esperti in questo campo, ma spesso latitano perché sono deboli nella fede ed immaturi nella carità. E temono la morte di cui l’infermità è un’eco. Ripenso al povero Lazzaro e al ricco Epulone e alla loro sorte. Epulone non visitò (cioè non si prese cura) mai di Lazzaro e, post mortem, si ritrovò nel regno dei morti, mentre Lazzaro fu accolto nel regno dei vivi per sempre.
Visitare i carcerati. Anche di quest’opera possiamo dare una duplice lettura. Una, letterale, secondo cui è cosa buona recarsi nei luoghi di detenzione per far visita a chi ha compiuto un reato, consci di dover odiare il peccato ma mai il peccatore. L’altra, invece, concerne chi è prigioniero del male, chi vive nelle segrete del peccato e non sa come uscirne, come evaderne. Il cristiano dovrebbe fargli visita per fargli comprendere, con l’esempio e la parola, che vi è un altro modo di vivere, alla luce delle beatitudini enunciate dal Cristo. Esse rendono liberi, mentre il male, il peccato, rende detenuti nel carcere dell’infelicità.
Infine, seppellire i defunti. È ovvio che occorre dare degna sepoltura a chi è morto, partecipare alle sue esequie, dare consolazione ai familiari. Quando muore un uomo, muore un universo. Ma vi darei un secondo significato. Chi è morto e chi è vivo? Chi è seppellito in senso allegorico? È già morto e sepolto chi è lontano da Dio, sebbene cammini e respiri, mentre è vivo e vegeto chi fa la sua volontà, pur essendo stato sepolto. “Se non si resuscita prima mentre si è ancora in vita, morendo non si resuscita più”, si legge nel Vangelo di Filippo, un testo apocrifo. Quindi, piuttosto che seppellire i morti, opera che va compiuta, dovremmo operare per far comprendere a chi pensa di essere vivo che, a causa del suo egoismo, in realtà giace già sotto un cumulo di terra.

Salvatore Bernocco


Le prossime elezioni comunali: AL VOTO

L’Amministrazione Ottombrini volge ormai al termine del suo mandato. Il 5 giugno prossimo saremo quindi chiamati a eleggere il nuovo Sindaco e il nuovo Consiglio comunale. L’espressione del voto è un diritto ed è un dovere da cui non possiamo esimerci, anche se l’astensionismo è un fenomeno sociale che ha una sua giustificazione e che andrebbe meglio compreso e non demonizzato, come spesso si usa fare. Astenersi significa comunque esprimere una posizione politica, inviare un messaggio alla classe politica del tipo: “non mi fido di nessuno”. Il compito di una classe politica lungimirante e accorta dovrebbe essere, quindi, di lavorare con onestà, competenza ed efficienza affinché lo sfiduciato torni a sperare, il cittadino torni a sentirsi parte attiva di un processo di evoluzione della società ruvese che, stando a una comune sensazione, sta attraversando una fase delicata e complessa almeno da un quindicennio (se non di più). La crisi finanziaria che si intreccia con l’andamento incostante dell’economia; l’estrema difficoltà di trovare un lavoro decente, specie per le giovani generazioni; la crisi dei partiti, che non formano più (da tempo immemore) nuove leve; l’assenza di punti di riferimento sicuri; un’amministrazione in continuo affanno a causa di vecchie problematiche mai risolte e venute al pettine, con l’intervento finanche della magistratura per fare chiarezza sulla vexata quaestio dei comparti. Tutti questi elementi non contribuiscono a costruire un clima di speranza e di fiducia. Compito precipuo della nuova amministrazione, a prescindere dal suo colore politico, sarà quello di avviare un processo virtuoso che non preveda cortocircuiti fra Pubblica amministrazione locale e cittadini, il che equivale all’attivazione di sistemi e procedure burocratiche semplificate ed efficienti. La riorganizzazione della macchina amministrativa è uno dei nodi da affrontare e risolvere una volta per tutte, eliminando le sacche di inefficienza che pure sopravvivono e resistono ad ogni sollecitazione al cambiamento. Gli aspiranti alla carica di sindaco sono, al momento, sette. È un numero un po’ elevato per una comunità di circa 26000 anime ed è indicativo di una frammentazione del quadro politico, di una certa incomunicabilità fra le forze politiche pure affini, che di certo non agevola né la scelta né la ricomposizione di un assetto unitario, utile all’andamento meno burrascoso dell’azione amministrativa. La speranza comune è che il paese si doti di una classe dirigente in grado di affrontare con decisione, responsabilità e competenza i numerosi problemi che affliggono la nostra comunità. Chi dovesse recarsi alle urne scelga con coscienza e conoscenza, non solo in virtù di rapporti amicali o di altra natura. Nel mentre salutiamo il sindaco Ottombrini e la sua squadra, nonché i consiglieri uscenti, rivolgendo loro il sincero ringraziamento per l’impegno profuso in questi anni, comunque lo si valuti, rivolgiamo altresì il nostro saluto ed i nostri sinceri auguri a chi gli subentrerà, ricordandogli rispettosamente che la politica è una delle forme più alte di carità.
Salvatore Bernocco


IL PAPA ESORTA: AMORIS LAETITIA

L’indicazione che segna fin dal titolo stesso, appunto Amoris Laetitia, è proprio il sottolineare l’amore. Ma il Papa sceglie di presentare l’amore non in maniera astratta, ma attraverso il richiamo alla prima lettera ai Corinzi, al capitolo 3, 13 – il famoso “inno alla carità”, scritto da San Paolo alla comunità di Corinto – dove troviamo 15 verbi. Il Papa presenta questi verbi per indicarci che l’amore non esiste astrattamente, ma l’amore si incarna, si manifesta, si fa figura di amore, in tutte le relazioni: primariamente, quella di coppia e poi soprattutto la relazione genitoriale». In questi termini si esprime la teologa Serena Noceti, vicepresidente dell’Associazione teologica italiana, a proposito dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia di papa Francesco (benché porti la data del 19 marzo 2016, solennità di San Giuseppe, il testo è stato reso pubblico solo l’8 aprile successivo). Potremmo definirlo un vademecum sull’amore, parola che ricorre frequentemente ma il cui contenuto e senso è spesso frainteso. Viviamo in un’epoca di mercificazione della persona e quindi delle relazioni umane. L’amore, che di tutte le relazioni è quella più importante, e che è anche l’appellativo principale ed indicativo di Dio, viene svilito da comportamenti ed abitudini che lo scremano di una sua caratteristica essenziale, la responsabilità verso l’altro. Ciò accade sia nelle famiglie sia nei rapporti di coppia, molti dei quali non si fondano in realtà sull’amore, ma sullo sfruttamento narcisistico dell’altro, vissuto come fonte di piacere. Difatti, finito il piacere, l’amore va a farsi benedire ed emerge la verità delle cose, cioè che la coppia era l’unione di due egoismi spacciata per legame fondato sul prendersi cura dell’altrui vita. Amare vuol dire godere della presenza dell’altro in ogni tempo, nella buona e nella cattiva sorte, quando le cose procedono speditamente e quando incontrano ostacoli che solo la pazienza dell’amore può aiutare a superare. Vi sono, tuttavia, casi in cui è impossibile proseguire la convivenza, vuoi per l’immaturità di uno dei due, vuoi per altre ragioni di carattere psicologico od economico. Vi sono casi di violenza domestica che turbano anche le anime dei figli, i quali percepiscono che non vi è amore fra i loro genitori e ne risentono. Vi sono, quindi, fallimenti, giacché l’essere umano non può che tendere alla perfezione senza mai raggiungerla, perché essa è attributo di Dio solo. E vi sono casi di divorziati risposati civilmente, che non vanno condannati ma accolti dalla comunità cristiana nel segno dell’accoglienza e, appunto, dell’amore, che è anche comprensione, ascolto, ospitalità. Costoro non vanno esclusi dalla vita comunitaria ma inclusi in un cammino di fede e di speranza. Non dimentichiamo mai che il Cristo è venuto per i peccatori, e che peccatori lo siamo tutti. Credersi superiori moralmente agli altri in virtù di uno stato di vita “ortodosso” è un atto di superbia che non può piacere a Dio. Il giudizio compete a Lui e a Lui solo. Per parte nostra, dobbiamo apprendere ad amare meglio e di più, attraverso la preghiera, l’espressione della carità, l’umiltà, l’ascolto, la compassione sincera. Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere testimoni autentici dell’amore di Dio per tutte le sue creature.
 S. B.


«Ma Dio l’ha risuscitato dai morti»

È la formula che sintetizza l’annuncio della fede pasquale. La storia dell’umanità si regge sul Ma di Dio, che non ha nulla in comune con il ma che risuona nel cuore dell’uomo ed affiora sovente sulle sue labbra. Il ma dell’uomo spesso esprime esitazioni, dubbi, paure. Spesso viene preceduto da un sì costruendo una frase che ha la stessa accezione del no. Al contrario, il Ma di Dio non ha né premesse, né postille: è il Ma della luce che dissipa le tenebre; è il Ma della vita che vince la morte; è il Ma della grazia che sovrabbonda là dove abbonda il peccato (cf. Rm 5,20). “Ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno” (At 10,40). Con il suo Ma, ha modificato l’orientamento profondo della storia, sbilanciandola una volta per tutte dalla parte del bene, infrangendo il potere misterioso del male. Il Ma di Dio è, per così dire, l’eco dell’Amen dell’Agnello immolato, che ha riaperto all’umanità la strada dell’Esodo pasquale. E’ proprio di Dio aprire, mentre è tipico dell’uomo chiudere! Non c’è male più grave del chiudersi alle necessità dei fratelli, rinchiudendosi in se stessi! E quanti egoismi, quante chiusure, quante “porte chiuse” ci sono dentro di noi e intorno a noi. Fissando lo sguardo sul Cuore aperto di Cristo crocifisso e risorto, “che con i segni della Passione vive immortale”, leviamo in alto i nostri cuori, spalancandoli, così come il mattino di Pasqua si è aperto il sepolcro del Signore! Effatà, cioè: “Apriti!” (cf. Mc 7, 34): è la parola chiave della liturgia battesimale, con cui il Signore ripete a noi – oggi! – quello che ebbe a dire in lacrime dinanzi al sepolcro di Lazzaro: “Togliete la pietra” (Gv 11, 39). Effatà: è la parola d’ordine che il Signore rivolge bussando alla porta del nostro cuore in questo anno Santo della Misericordia! Sia il tempo pasquale lo spazio in cui dalle porte del nostro cuore, spalancate dalla Risurrezione di Cristo, possa sgorgare il nostro personale Effatà per rinnovare il prodigio da Lui compiuto nei tempi antichi (cf. Es 14, 21-22) anche oggi nel cuore della nostra storia.
Don Angelo Mazzone

Nel tempo e nello spazio di Dio

Iniziammo con l’intensificare la preparazione alla ricezione dei sacramenti e il giorno 17 fu celebrato quello della Prima Confessione per i fanciulli di terza elementare. Fu preceduto dal ritiro spirituale al santuario di Calentano; insieme ai catechisti parteciparono anche i genitori. Anche in vista degli altri sacramenti il parroco presiedette ad altri incontri che miravano ad una maggiore consapevolezza dei genitori che mai dovranno dimenticare la missione loro affidata con il sacramento del matrimonio. La nostra comunità fu poi in festa per l’inaugurazione della piazza Castello e Cavallotti, la cui solenne benedizione fu impartita dal nostro parroco il 20 marzo scorso alla presenza di autorità cittadine e regionali. Il 10 aprile fu poi anche il parroco a benedire la nuova sede del Palazzo della Cultura, sede della Biblioteca Comunale alla presenza del Prefetto dott. Nunziante; molti di noi partecipammo alla manifestazione. Come ogni mese ci ritrovammo in chiesa per l’adorazione comunitaria il primo giovedì del mese e il 23, animata dal Gruppo di P. Pio. Il parroco si fece poi portatore dei nostri auguri e della nostra preghiera, il 24 aprile, al nostro vescovo don Mimmo nel suo 40° anniversario di sacerdozio. Lo stesso vescovo poi presiedette l’Eucarestia per la festa della Madonna del Buon Consiglio, in S. Rocco. Il vescovo si intrattenne molto cordialmente con i membri della confraternita e le Associate della Madonna del Buon Consiglio. Nel pomeriggio ci fu poi la breve processione per le strade della parrocchia. Si ebbero poi vari incontri per gli Amministratori e la Consulta della Confraternita di S. Rocco, presieduti dal parroco. Un pensiero particolare si ebbe in comunità con la preghiera per il defunto vescovo Don Tonino il giorno 20 aprile, anniversario della sua morte.

Luca