L’indicazione che segna fin dal titolo
stesso, appunto Amoris Laetitia, è
proprio il sottolineare l’amore. Ma il Papa
sceglie di presentare l’amore non in maniera
astratta, ma attraverso il richiamo alla prima
lettera ai Corinzi, al capitolo 3, 13 – il famoso
“inno alla carità”, scritto da San Paolo alla
comunità di Corinto – dove troviamo 15 verbi.
Il Papa presenta questi verbi per indicarci
che l’amore non esiste astrattamente, ma
l’amore si incarna, si manifesta, si fa figura
di amore, in tutte le relazioni: primariamente,
quella di coppia e poi soprattutto la relazione
genitoriale».
In questi termini si esprime la teologa Serena
Noceti, vicepresidente dell’Associazione
teologica italiana, a proposito dell’Esortazione
apostolica Amoris Laetitia di papa Francesco
(benché porti la data del 19 marzo 2016,
solennità di San Giuseppe, il testo è stato
reso pubblico solo l’8 aprile successivo).
Potremmo definirlo un vademecum
sull’amore, parola che ricorre
frequentemente ma il cui contenuto e senso
è spesso frainteso. Viviamo in un’epoca di
mercificazione della persona e quindi delle
relazioni umane. L’amore, che di tutte le
relazioni è quella più importante, e che è
anche l’appellativo principale ed indicativo
di Dio, viene svilito da comportamenti
ed abitudini che lo scremano di una sua
caratteristica essenziale, la responsabilità
verso l’altro. Ciò accade sia nelle famiglie
sia nei rapporti di coppia, molti dei quali
non si fondano in realtà sull’amore, ma sullo
sfruttamento narcisistico dell’altro, vissuto
come fonte di piacere. Difatti, finito il piacere,
l’amore va a farsi benedire ed emerge la
verità delle cose, cioè che la coppia era
l’unione di due egoismi spacciata per legame
fondato sul prendersi cura dell’altrui vita.
Amare vuol dire godere della presenza
dell’altro in ogni tempo, nella buona e nella
cattiva sorte, quando le cose procedono
speditamente e quando incontrano ostacoli
che solo la pazienza dell’amore può aiutare a
superare.
Vi sono, tuttavia, casi in cui è impossibile
proseguire la convivenza, vuoi per
l’immaturità di uno dei due, vuoi per
altre ragioni di carattere psicologico
od economico. Vi sono casi di violenza
domestica che turbano anche le anime dei
figli, i quali percepiscono che non vi è amore
fra i loro genitori e ne risentono. Vi sono,
quindi, fallimenti, giacché l’essere umano
non può che tendere alla perfezione senza
mai raggiungerla, perché essa è attributo di
Dio solo. E vi sono casi di divorziati risposati
civilmente, che non vanno condannati ma
accolti dalla comunità cristiana nel segno
dell’accoglienza e, appunto, dell’amore, che
è anche comprensione, ascolto, ospitalità.
Costoro non vanno esclusi dalla vita
comunitaria ma inclusi in un cammino di
fede e di speranza. Non dimentichiamo mai
che il Cristo è venuto per i peccatori, e che
peccatori lo siamo tutti. Credersi superiori
moralmente agli altri in virtù di uno stato di
vita “ortodosso” è un atto di superbia che
non può piacere a Dio. Il giudizio compete a
Lui e a Lui solo.
Per parte nostra, dobbiamo apprendere ad
amare meglio e di più, attraverso la preghiera,
l’espressione della carità, l’umiltà, l’ascolto, la
compassione sincera. Lo Spirito Santo ci aiuti
ad essere testimoni autentici dell’amore di
Dio per tutte le sue creature.
S. B.