Miei Cari
si sono spenti gli echi del carnevale (ma oggi è sempre carnevale) e la quaresima ci sta aiutando a scavare dentro di noi, in un mondo in cui siamo liberi di fare, di vestire, di andare e venire mentre la nostra libertà si specchia nell’insicurezza dell’altro; siamo liberi e dunque imprevedibili, e perciò non diamo sicurezza. Ma se possiamo vivere senza futuro e senza passato per un giorno o per un mese, non lo possiamo per un’intera vita. Il nostro “andare” verso la Pasqua deve renderci capaci di darci un progetto, un senso concreto ad una vita che scorre zigzagando senza lasciar traccia. Quest’ultimo tratto della quaresima deve costituire un momento di sosta, per progredire con più slancio nel grande cammino, in fondo al quale ci attende una gioia piena che non conosce tramonto, né esigerà più un mercoledì delle ceneri per ricordarci che si deve tornare alla terra. Le ceneri in fondo al cammino, saranno già composte e noi saremo per sempre nella vita. La Pasqua diventerà allora per noi un momento di grazia per liberarci dall’egoismo e dalle false sicurezze per aprirci all’incontro con la Verità.
La vicenda pasquale dei due discepoli di Emmaus, riportata dal Vangelo di Luca, abbraccia, come in un unico quadro, una molteplicità di esperienze umane e di fede che approdano ad una vita nuova, concepita in funzione di una missione da portare a compimento. La strada che porta da Gerusalemme a Emmaus, per un primo tratto è adombrata dalla delusione: i due discepoli avevano sperato in Gesù senza conoscerlo profondamente, ma quando si aprono alla Parola, i loro occhi si aprono e i loro piedi si rimettono sulla strada per servire il lieto annuncio: “Il Signore è veramente risorto; è vivo; ha spezzato il pane con noi”. La quaresima ci vede avanzare in un cammino fatto di ascolto della Parola, di preghiera, di penitenza, di carità. Tale itinerario di esperienze porta necessariamente alla missione Infatti se la missione è “un modo di essere”, modellato su Cristo, essa prende ispirazione dalla sua Pasqua, da quel sangue versato per la salvezza del mondo. Per noi quindi Pasqua significherà
convertirci alla condivisione e alla missione, servire i poveri nello stile del buon samaritano, fare scelte coraggiose perché la salvezza di Cristo venga sperimentata dove la gente ha bisogno di luce e di speranza. Pasqua è procedere in avanti, un passo dopo l’altro al seguito di Cristo, evitando di scostarsene anche di poco: chi temesse il rischio di accompagnarlo ovunque, sarebbe uomo semispento, cristiano fallito. L’incontro col Risorto è inizio di vera felicità. Le lacrime vengono asciugate, le paure allontanate, i dubbi superati, le debolezze perdonate. Sì, davvero è “beata l’ora quando Gesù chiama dalle lacrime al gaudio dello spirito”. Pertanto il mio augurio non può non essere che un invito a vivere la Pasqua mettendosi in cammino come i discepoli di Emmaus, con la certezza che Cristo sorregge i piedi dei messaggeri di salvezza e di pace. Affascinato e attratto dall’innocenza evangelica dei nostri fanciulli che fra poco si incontreranno col Risorto nell’Eucarestia, attendo la riaccensione del cero pasquale: lo ricevo dalle loro mani; lo porgo in augurio di fede e di bontà ai più diseredati e disorientati dei miei fratelli e sorelle, riconoscendomi, al loro confronto, il più piccolo e l’ultimo. Con fraterni auguri!
Don Vincenzo
Al nostro novello vescovo
Don Mimmo
che il 19 marzo si incontrerà
per la prima volta
con la nostra Comunità,
l’augurio
di una serena e felice
Santa Pasqua
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Anno XXX - 348
TUTTO IL POPOLO È CON PAPA FRANCESCO
E adesso? La domanda nasce spontanea nel reticolato delle parrocchie di tutto il mondo dove il sinodo ordinario sulla famiglia appena trascorso sarà costretto a dare risposte pastorali chiare, o almeno, non suscettibili di “arbitraria” dottrina. Già, e adesso? Cosa faranno in tema di pastorale familiare i vescovi locali? Probabile che papa Francesco renda noto a presto le sue decisioni attraverso un ‘esortazione apostolica. Ma ciò basterà a imprimere una nuova rotta in quella parte dell ‘episcopato mondiale recalcitrante alle novità del pontefice? Le domande si affollano. Anche se il sinodo un verdetto l’ha già dato. L’accoglienza pastorale ai divorziati risposati si allontana, elegantemente e democraticamente, dal recinto ristretto della cieca obbedienza dottrinale, come ha detto Enzo Bianchi, per entrare nel campo, intimo e più delicato, della coscienza. Si vedrà, caso per caso. Ma, si domanda qualcuno, non funzionava già così? I preti, di fatto, nella loro maggioranza, non davano già la comunione al “condannato” divorziato risposato? La relazione finale approvata al sinodo, nel punto in questione, è chiara: “I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili... La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità”. Un testo chiaro, dove si invitano i parroci (e i vescovi) a superare quelle rigide esclusioni pastorali praticate “in ambito pastorale, liturgico ed educativo” nei confronti dei divorziati risposati. Anche se i punti più dibattuti della relazione sono “passati” per alcuni voti (il quorum dei due terzi era di 177 voti) non si può non accorgersi di quanto la chiesa abbia fatto un passo avanti verso quella misericordia tanto voluta e praticata da papa Francesco. Se pensiamo a come la chiesa era messa solo due anni fa, e non solo su questi terni, c’è da gridare al miracolo. Il cardinale Martini, poco prima di morire, rilasciò un’intervista in cui parlò di una chiesa in ritardo di duecento anni.
Ma, al di là, del sinodo e dei suoi risultati, quello che è emerso è che anche la chiesa, monarchia illuminata che vive da duemila anni, ha scelto la democrazia e la trasparenza come gesto di rottura rispetto al suo passato. Non è una cosa da poco. Alle scartoffie e agli intrighi di uffici curiali, papa Francesco ha contrapposto il voto, ai pettegolezzi di palazzo la discussione. Sebbene, purtroppo, gli intrighi di palazzo continuino a proliferare oltretevere: Vatileaks2, infatti, sembra riemergere dalle scartoffie vaticane. È finito in carcere monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, spagnolo, ex segretario della prefettura degli Affari economici e della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative (Cosea), per aver divulgato notizie riservate e telefonate private del papa a giornalisti. Sotto accusa con lui, anche Francesca Immacolata Chaouqui, ex componente della stessa Commissione. Per fortuna, Francesco va avanti. Questo modo di fare, questa “parresia evangelica”, rappresenta lo stile del pontificato di Francesco, a metà tra intelligenza ignaziana e spiritualità francescana. Uno stile cercato nelle viscere del vangelo, e una parola incoraggiata dal grido di dolore di un mondo contemporaneo accecato da una globalizzazione senza regole e senza limiti. La forza di papa Francesco è tutta qui. Oltre le esortazioni evangeliche, le encicliche. Oltre le scelte sui futuri episcopati che pur ci sono e sembrano finalmente intravedere una linea di direzione. Le ultime nomine vescovili, solo se pensiamo all’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, e a quello di Bologna, Matteo Zuppi, vanno diritte nella scelta di uomini che hanno abbracciato l’abito talare per calarsi nell’odore delle pecore. Vescovi di strada, sì. Ma anche vescovi e preti formati a una solida teologia, che non hanno mai perseguito carriere e onorificenze, e anche per questo premiati da Francesco. Ecco perché i rigoristi, o conservatori, o tradizionalisti, hanno fatto uno scivolone con la storia prima del monsignore gay, poi della lettera dei 13 cardinali che come tutte le commedie tragicomiche non si è saputo chi avesse firmato veramente, e infine con l’insuperabile bufala del tumore benigno al cervello del papa. L’attacco a papa Francesco continuerà anche in futuro. Ma, rispetto al tiro infuocato dei suoi nemici, non nuovi nell’uso spregiudicato di carte e documenti segreti per colpire l’avversario, la contraerea bergogliana usa la tenerezza e la “durezza” delle Beatitudini. I sinodi passano, la chiesa rimane. Così i difensori a oltranza di una chiesa arroccata sui suoi inossidabili misteri e leggi imperturbabili nel tempo e nella storia non raccoglie che lo striminzito un terzo dei voti, stando però solo alla conta di vescovi e cardinali un po’ anziani, in gran parte eletti sotto il pontificato dei due precedenti papi. Il popolo, in realtà, è tutto con papa Francesco. Un popolo di fedeli che forse solo ora sta capendo la grande novità di questo pontificato. Per Francesco, infatti, la chiesa è inclusiva, mai escludente. Anche per chi non la pensa come lui. Una chiesa che ha i tempi lunghi della mediazione e della parsimonia e i tempi presenti della misericordia e della tenerezza evangeliche. Il Giubileo straordinario della misericordia voluto da papa Francesco e che ha avuto inizio l’8 dicembre scorso, si inserisce in questa visione profetica del pontificato, dove il decentramento tra chiesa centralistica ed episcopati locali attende l’ultima spinta per una piramide rovesciata: il potere e il servizio nascono dal basso. La rivoluzione continua.
Ma, al di là, del sinodo e dei suoi risultati, quello che è emerso è che anche la chiesa, monarchia illuminata che vive da duemila anni, ha scelto la democrazia e la trasparenza come gesto di rottura rispetto al suo passato. Non è una cosa da poco. Alle scartoffie e agli intrighi di uffici curiali, papa Francesco ha contrapposto il voto, ai pettegolezzi di palazzo la discussione. Sebbene, purtroppo, gli intrighi di palazzo continuino a proliferare oltretevere: Vatileaks2, infatti, sembra riemergere dalle scartoffie vaticane. È finito in carcere monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, spagnolo, ex segretario della prefettura degli Affari economici e della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative (Cosea), per aver divulgato notizie riservate e telefonate private del papa a giornalisti. Sotto accusa con lui, anche Francesca Immacolata Chaouqui, ex componente della stessa Commissione. Per fortuna, Francesco va avanti. Questo modo di fare, questa “parresia evangelica”, rappresenta lo stile del pontificato di Francesco, a metà tra intelligenza ignaziana e spiritualità francescana. Uno stile cercato nelle viscere del vangelo, e una parola incoraggiata dal grido di dolore di un mondo contemporaneo accecato da una globalizzazione senza regole e senza limiti. La forza di papa Francesco è tutta qui. Oltre le esortazioni evangeliche, le encicliche. Oltre le scelte sui futuri episcopati che pur ci sono e sembrano finalmente intravedere una linea di direzione. Le ultime nomine vescovili, solo se pensiamo all’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, e a quello di Bologna, Matteo Zuppi, vanno diritte nella scelta di uomini che hanno abbracciato l’abito talare per calarsi nell’odore delle pecore. Vescovi di strada, sì. Ma anche vescovi e preti formati a una solida teologia, che non hanno mai perseguito carriere e onorificenze, e anche per questo premiati da Francesco. Ecco perché i rigoristi, o conservatori, o tradizionalisti, hanno fatto uno scivolone con la storia prima del monsignore gay, poi della lettera dei 13 cardinali che come tutte le commedie tragicomiche non si è saputo chi avesse firmato veramente, e infine con l’insuperabile bufala del tumore benigno al cervello del papa. L’attacco a papa Francesco continuerà anche in futuro. Ma, rispetto al tiro infuocato dei suoi nemici, non nuovi nell’uso spregiudicato di carte e documenti segreti per colpire l’avversario, la contraerea bergogliana usa la tenerezza e la “durezza” delle Beatitudini. I sinodi passano, la chiesa rimane. Così i difensori a oltranza di una chiesa arroccata sui suoi inossidabili misteri e leggi imperturbabili nel tempo e nella storia non raccoglie che lo striminzito un terzo dei voti, stando però solo alla conta di vescovi e cardinali un po’ anziani, in gran parte eletti sotto il pontificato dei due precedenti papi. Il popolo, in realtà, è tutto con papa Francesco. Un popolo di fedeli che forse solo ora sta capendo la grande novità di questo pontificato. Per Francesco, infatti, la chiesa è inclusiva, mai escludente. Anche per chi non la pensa come lui. Una chiesa che ha i tempi lunghi della mediazione e della parsimonia e i tempi presenti della misericordia e della tenerezza evangeliche. Il Giubileo straordinario della misericordia voluto da papa Francesco e che ha avuto inizio l’8 dicembre scorso, si inserisce in questa visione profetica del pontificato, dove il decentramento tra chiesa centralistica ed episcopati locali attende l’ultima spinta per una piramide rovesciata: il potere e il servizio nascono dal basso. La rivoluzione continua.
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Anno XXX - 348
FIGLIO DI CHI?
Può un bambino avere due genitori dello stesso sesso? Da qualche tempo questo interrogativo si pone alla coscienza individuale ed a quella collettiva, coinvolgendo aspetti etici, morali, civili, religiosi. La questione è riemersa prepotentemente a seguito dell’acquisto di un bambino da parte di un politico terlizzese e del suo compagno di vita. Vendola e Testa hanno – così raccontano le cronache – affittato, preso a noleggio all’estero l’utero di una donna che, inseminata, ha partorito un maschio che è stato ceduto, dietro lauto compenso, ai due succitati. Vendola chiama il bambino nato da quella donna “mio figlio”. È lapalissiano che c’è qualcosa che non quadra. Secondo natura e ragione un figlio è di colei che lo partorisce, ed è frutto dell’unione di un uomo e di una donna. Essendo impossibile, quindi innaturale, che due donne o due uomini possano concepire, come possono due uomini affermare di avere avuto un figlio che, invece, è stato acquistato come si acquista un oggetto qualsiasi? Questo bambino, quindi, non è di Vendola né del suo compagno. Questo bambino sarà allevato da due persone di sesso maschile. Tutt’al più colei che lo ha partorito dovrà, sempre per volere di Vendola, assumere il ruolo secondario di zia. Si tratta perciò di un grande imbroglio perpetrato ai danni di un neonato, il quale, fra qualche anno, sarà posto dinanzi alla verità. Con quali esiti? Quali reazioni avrà Tobia Antonio? Il Parlamento, dopo un lungo iter, ha approvato la legge sulle cosiddette unioni civili. Tutto sommato si è riempito un vuoto normativo rispetto a scelte di vita che molte coppie hanno compiuto. A noi può piacere o meno, ma fatto sta che determinate situazioni vanno normate, differenziandole dal matrimonio civile o religioso. Le unioni civili, che riguardano anche coppie eterosessuali, non sono una terza forma di matrimonio. Esse attribuiscono determinati diritti e doveri a chi decide di “ufficializzare”una convivenza diversa dal patto nuziale. Ma qui dovremmo fermarci, secondo natura e retta ragione, nel senso che non sono concepibili adozioni a coppie omosessuali, semmai affittando l’utero di qualche donna in difficoltà economiche. I figli, anche per le coppie eterosessuali, non sono un diritto, ma un dono di Dio. Non sono oggetti con cui baloccarsi. Vi è, per chi ha i requisiti previsti dalle norme, la possibilità di ricorrere all’adozione, sempre in un contesto che preveda la presenza di una figura maschile e di una femminile per l’equilibrato sviluppo della persona umana. Il disegno di Dio, che ha creato l’uomo e la donna e l’intera creazione, non può essere traviato da leggi umane inique, irrazionali e contrarie al diritto naturale voluto da Dio. Perché è la stessa natura che si ribellerà, presentandoci il conto.
Salvatore Bernocco
Salvatore Bernocco
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Anno XXX - 348
MATTINO DI PASQUA
Siamo incamminati verso l’evento più importante del nostro cammino di fede: la Pasqua. Dopo la fatica del cammino penitenziale della Quaresima, ora il nostro itinerario si ferma davanti alla sorprendente scoperta di un sepolcro vuoto: «il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello
che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”» (Gv 20,1-2). C’è un’assenza che parla di vita anziché di morte, annuncia la speranza e non la sconfitta: è la gioia incontenibile del mattino di Pasqua! A noi è chiesto un grande atto di fede: abbracciare, come Pietro e il discepolo che Gesù amava, il sepolcro vuoto. La Chiesa riscopre così l’immensa forza di questo vuoto, segno di una presenza viva del Risorto in mezzo ai suoi. A noi non resta che “entrare” nel mistero per vedere e credere: «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8). Il Cristo Crocifisso e Risorto è, per chi ha fede, la grande scoperta che lascia il segno, che scuote fino alle radici, che sa cambiare in coraggio il timore. È quell’evento che accade «di mattino, quando era ancora buio». La Pasqua è il tempo della scoperta. È l’oriente verso la vita. D’ora in avanti il passo impaurito della notte lascia il posto alla corsa dell’annuncio: «Alleluia. È Risorto!». Il sepolcro è vuoto: bisogna correre, come Maria di Màgdala, perché tutti conoscano il “Passaggio”, perché per tutti sia possibile il “Passare”, perché sia “Pasqua”. Il Crocifisso Risorto apre il nostro sguardo verso un futuro affidabile e bello. Attraverso l’esperienza liturgica possiamo entrare in questo evento pasquale: «Tu ti sei mostrato a me, o Cristo, faccia a faccia. lo ti ho incontrato nei tuoi sacramenti» (sant’Ambrogio). E possiamo gridare con gioia il canto della Notte di Pasqua: «O meravigliosa accondiscendenza della grazia per noi, o inestimabile tenerezza dell’amore, per redimere il servo ha dato il Figlio alla morte ... » (Exultet). Buona Pasqua!
che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”» (Gv 20,1-2). C’è un’assenza che parla di vita anziché di morte, annuncia la speranza e non la sconfitta: è la gioia incontenibile del mattino di Pasqua! A noi è chiesto un grande atto di fede: abbracciare, come Pietro e il discepolo che Gesù amava, il sepolcro vuoto. La Chiesa riscopre così l’immensa forza di questo vuoto, segno di una presenza viva del Risorto in mezzo ai suoi. A noi non resta che “entrare” nel mistero per vedere e credere: «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8). Il Cristo Crocifisso e Risorto è, per chi ha fede, la grande scoperta che lascia il segno, che scuote fino alle radici, che sa cambiare in coraggio il timore. È quell’evento che accade «di mattino, quando era ancora buio». La Pasqua è il tempo della scoperta. È l’oriente verso la vita. D’ora in avanti il passo impaurito della notte lascia il posto alla corsa dell’annuncio: «Alleluia. È Risorto!». Il sepolcro è vuoto: bisogna correre, come Maria di Màgdala, perché tutti conoscano il “Passaggio”, perché per tutti sia possibile il “Passare”, perché sia “Pasqua”. Il Crocifisso Risorto apre il nostro sguardo verso un futuro affidabile e bello. Attraverso l’esperienza liturgica possiamo entrare in questo evento pasquale: «Tu ti sei mostrato a me, o Cristo, faccia a faccia. lo ti ho incontrato nei tuoi sacramenti» (sant’Ambrogio). E possiamo gridare con gioia il canto della Notte di Pasqua: «O meravigliosa accondiscendenza della grazia per noi, o inestimabile tenerezza dell’amore, per redimere il servo ha dato il Figlio alla morte ... » (Exultet). Buona Pasqua!
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Anno XXX - 348
Il Volontariato Vincenziano
che opera presso
la nostra Comunità
ha una nuova Presidente
nella persona di
Matilde Mongelli
cui vanno i nostri auguri
di buon lavoro.
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Anno XXX - 348
Nel Tempo e nello Spazio di Dio
La comunità si ritrovò per la festa della Presentazione del Signore e l’inizio del novenario in preparazione alla festa della Madonna di Lourdes che registrò la partecipazione di molti e la processione aux flambeaux. Non mancò come ogni mese l’adorazione comunitaria animata dal Gruppo Eucaristico e da quello di P. Pio. Si ebbero incontri con i catechisti per organizzare il lavoro mensile e quello con i giovani e il Gruppo Famiglia. Si intensificò l’approfondimento dei Vangeli, proseguì il precorso di fede per i fidanzati i quali celebrarono il sacramento della penitenza in vista della conclusione del corso che avverrà la domenica 13 marzo. Si diede inizio alla Quaresima col rito delle Ceneri. Il parroco introdusse il tema sulla traccia di quello avviato da Don Tonino: “dalla testa ai piedi”. Furono poi celebrati i due incontri per le Confraternite della città secondo il rito della Adorazione della Croce. Prima dell’avvio della Quaresima i ragazzi si ritrovarono per la festa del Carnevale. Il mese si concluse con il ritiro spirituale per le coppie dei fidanzati che parteciparono all’incontro diocesano celebratosi a Molfetta. Accompagnammo poi con la preghiera il vescovo don Mimmo nel giorno del suo compleanno. Il giorno 13 poi solennizzammo l’anniversario della dedicazione della chiesa di S. Rocco con la partecipazione dei confratelli mentre il 25 del mese ci fu la catechesi e la celebrazione per le Associate alla Madonna del Buon Consiglio. Intanto il parroco ha ringraziato le coppie Michele e Lucia, Rino e Concetta, Franco e Angela che hanno collaborato attivamente alla conduzione delle lezioni del Percorso di fede dei fidanzati.
Luca
Luca
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Anno XXX - 348
Al nostro Nunzio Apostolico
Mons. Nicola Girasoli
nel Decennio della sua
Ordinazione Episcopale,
l’augurio affettuoso
e la preghiera di tutta intera
la nostra comunità.
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Anno XXX - 348
BENVENUTO TRA NOI, DON MIMMO!
Miei Cari,
Finalmente il nuovo vescovo è tra noi. Lo abbiamo atteso da diverso tempo, dopo la fulminea scomparsa di don Gino. Chi è? Lo conosciamo? Un po’ sì. Anzi lo attendevamo prima dello stesso don Gino e il nostro Gruppo Famiglia beneficiò di una giornata di spiritualità da lui presieduta nell’anno 2000 a Calentano. Ripeterà i gesti di Don Tonino? Noi ce lo auguriamo anche se non ha i carismi di lui. I carismi sono personali e sono anche il frutto della propria specifica cultura, della particolare sensibilità, del dono di Dio. È certo però che egli è stato mandato per fare l’unità della comunità, della Diocesi e aiutare ad aprire la comunione tra le varie parrocchie e i gruppi dei fedeli. Però dobbiamo intenderci. L’unità è un risultato. Non la fa il Vescovo da solo, alzando ed imponendo il pastorale. Non è un atto meccanico. Ma un atto libero e della comunità: quindi qualcosa che fa il vescovo e particolarmente i membri di essa, non solo aprendoci all’obbedienza di indirizzi pastorali dati dal vescovo, ma anche offrendo quello che scaturisce dalla propria interiorità quale contributo della crescita della propria personalità. Quindi al vescovo don Mimmo che arriva vanno presentati i doni di un contributo parrocchiale, perché egli possa raccogliere
, consacrare e sigillare una unità che viene dalla base e che in lui acquista il carattere dell’unità della Chiesa. L’offerta più significativa che potremo offrirgli è quella dell’impegno di ognuno e dei vari gruppi esistenti in parrocchia: da quello degli adulti, dei giovani di A.C.I., del gruppo famiglia, da quello Eucaristico o di P. Pio al Cammino Catecumenale o dal sodalizio di S. Rocco o l’Associazione della Madonna del Buon Consiglio. Ognuno di noi cresce chiudendosi nel silenzio, contemplando Cristo, aderendo a Lui, allargando il proprio cuore verso le dimensioni del Cuore di Cristo, come affermava Santa Caterina Volpicelli alle sue Ancelle. Tale dilatazione del sentire avviene dentro di sé, ma a contatto intimo con il Signore. È alla radice della comunione con gli altri, con la collaborazione e la solidarietà. Può essere un espandersi verso la Comunità; un camminare e un cooperare con esso. Può essere un attuare un piano concordato con il parroco, una rivisitazione del Sinodo Parrocchiale che volemmo osare vent’anni or sono (199495). Il tutto a favore della parrocchia o delle istituzioni sociali della famiglia, della scuola o del mondo del lavoro. Tanto può e deve essere pensato e voluto nell’ambito pastorale del Vescovo, sottoposto alla sua conoscenza, inserito in un ordinamento che fa capo a lui. Tutto questo ha una ispirazione che ha un’anima: l’Amore di Dio sensibilmente espresso dal nostro vescovo don Mimmo nel suo motto episcopale “Servire Domino in laetitia” servire cioè il Signore nella gioia, quella gioia che traspare dal volto del nuovo vescovo che arriva e che torna ad essere confinante con la nostra città di Ruvo, tanto vicina per la fede, l’operosità, l’audacia e l’impegno della «confinante» città di Altamura da dove Egli proviene. Credo sia l’auspicio di tutta la nostra comunità e l’augurio al novello vescovo che viene tra noi.
Don Vincenzo
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ANNO XXX - N.55
11 Febbraio: Memoria della Beata vergine di Lourdes
Questi gesti sono, infatti, gesti biblici. Chiesti dalla Madonna. Bernadette diventa l’immagine dell’Incarnazione, Passione e Morte del Cristo. Andare in ginocchio fino al fondo della Grotta è il gesto dell’incarnazione, dell’abbassamento di Dio che si fa uomo. Bernadette bacia la terra per significare che quest’abbassamento è il gesto dell’amore di Dio per gli uomini. Mangiare le erbe amore ricorda la tradizione ebraica che si trova nel Vecchio Testamento. Gli ebrei rappresentavano Dio che si era preso carico di tutte le amarezze, tutti i peccati del mondo, uccidendo un agnello, svuotandolo e riempiendolo di erbe amare, pronunciando la preghiera: “ecco l’Agnello di Dio che prende su di sé tutte le disgrazie, che toglie tutte le amarezze, tutti i peccati del mondo”. Imbrattare il viso: il profeta Isaia mostra il Messia, il Cristo, sotto le caratteristiche del servo sofferente. “Perché portava su lui tutti i peccati degli uomini, il suo viso non aveva più figura umana.” Era, precisa Isaia, come una pecora condotta al macello e, sul suo passaggio, la gente rideva di lui. Ecco, alla Grotta, Bernadette sfigurata dal fango, e la folla che grida: “è diventata pazza’’. La grotta nasconde un tesoro immenso, infinito. I gesti che Bernadette compie sono gesti di liberazione. La Grotta è liberata dalle sue erbe, dal suo fango. Ma perché bisogna liberare questa Grotta? Perché nasconde un tesoro immenso che occorre assolutamente scoprire. Così, alla nona Apparizione, “la Signora” chiederà a Bernadette di andare a raschiare il suolo, in fondo a questa “Spelonca per i maiali”, dicendole: “andate alla fonte, bevete e lavatevi”. Così un po’ d’acqua fangosa inizia a sgorgare, sufficientemente perché Bernadette possa berne. Ed ecco che quest’acqua diventa, poco a poco, trasparente, pura, limpida. Con questi gesti, ci è rivelato il mistero stesso del cuore del Cristo: “Un soldato, con la sua lancia, trapasserà il cuore e, immediatamente, ne scaturirà sangue e acqua’’. Ma anche le profondità del mistero del cuore dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio: “l’acqua che ti darò diventerà in te sorgente di vita eterna’’. Il cuore dell’uomo, ferito dal peccato, è rappresentato dalle erbe e dal fango. Ma in fondo a questo cuore, c’è la vita stessa di Dio, rappresentata dalla fonte. Pregate per i peccatori Chiedono a Bernadette: “la Signora ti ha detto qualcosa?” E lei risponde: “Sì, di tanto in tanto diceva: Penitenza, penitenza, penitenza. Pregate per i peccatori. Per “penitenza”, si intende conversione. Per la Chiesa, la conversione consiste, come il Cristo l’ha insegnata, nel rivolgere il proprio cuore verso Dio, verso i propri fratelli. “Pregate per i peccatori”. Pregare fa entrare nello Spirito di Dio. Così possiamo capire che il peccato non fa la felicità dell’uomo. Il peccato è tutto ciò che si oppone a Dio. In occasione della tredicesima Apparizione, Maria si rivolge a Bernadette: “direte ai sacerdoti che si costruisca qui una cappella e che ci si venga in processione”. “Che si venga in processione” significa andare, in questa vita, sempre presso i nostri fratelli. “Che si costruisca una cappella” A Lourdes, tante cappelle sono state costruite per accogliere la folla dei pellegrini. Queste cappelle sono i segni della comunione fondata sulla carità, alla quale tutti sono chiamati. La cappella è “la Chiesa” che dobbiamo costruire, là dove siamo, nella nostra famiglia, sul nostro luogo di lavoro, nella nostra parrocchia, nella nostra diocesi. Qualsiasi cristiano trascorre la sua vita costruendo la Chiesa, vivendo in comunione con Dio e i suoi fratelli. La Signora dice chi è: “Que soy era lmmaculada Counceptiou’’ Il 25 marzo 1858, giorno della sedicesima Apparizione, Bernadette si reca alla Grotta dove, per volere di don Peyramale, parroco di Lourdes, chiede “alla Signora” di dire il suo nome. Per tre volte, Bernadette rivolge la domanda. Alla quarta richiesta, “la Signora” le risponde in dialetto: “Que soy era Immaculada Counceptiou”, “Io sono l’Immacolata Concezione”. Bernadette non ha capito immediatamente il senso di questa parola. L’Immacolata Concezione, così come insegna la Chiesa, è “Maria concepita senza peccato, grazie ai meriti della croce del Cristo” (definizione del dogma promulgato nel 1854).
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ANNO XXX - N.55
Nel tempo e nello spazio di Dio
Con la solennità del Capodanno demmo inizio al nuovo anno invocando lo Spirito Santo e affidandoci a S. Biagio scelto come Protettore dell’anno e di cui quest’anno ricorre il XVII centenario del suo martirio. Fu poi festa per i nostri nella ricorrenza dell’Epifania con doni e giochi per la Befana. Il giorno 7 poi ebbe inizio il percorso di fede per fidanzati, animato dal parroco e le coppie Michele e Lucia Paparella, Franco e Angela Catalano, Rino e Concetta Rutigliani. Il corso terminerà nei primi di marzo. Anche le attività catechistiche ripresero regolarmente, mentre la comunità si unì per l’adorazione del primo Giovedì del mese. Con gioia apprendemmo la notizia della nomina del nuovo vescovo don Mimmo Cornacchia e particolare fu la gioia del Gruppo Famiglia parrocchiale che visse anni or sono una bella esperienza con lui nel ritiro spirituale che si svolse a Calentano. Attendiamo con ansia la sua venuta tra noi. Intanto prosegue il trambusto dinanzi alla nostra chiesa parrocchiale per la nuova pavimentazione che sta realizzandosi in Piazza Castello. Fu molto partecipato il triduo e la giornata di festa in onore di S. Ciro il cui simulacro ligneo fu realizzato 70 anni or sono. Il parroco ci parlò di Lui.
Luca
Luca
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ANNO XXX - N.55
La Misericordia di Dio
Mentre accogliamo con gioia e speranza in nostro nuovo vescovo (che qualche anno fa animò un incontro del Gruppo Famiglia del SS. Redentore), mons. Domenico Cornacchia, al quale auguriamo una missione feconda e generosa, ritengo importante collegare questo evento all’Anno Santo della Misericordia che la Chiesa universale sta celebrando. In questo contesto assume altresì rilevanza la presenza a Roma, per un periodo di tempo limitato, di due santi che hanno messo al centro della loro vita l’amore misericordioso del Padre, due confessori eccezionali, Padre Pio da Pietrelcina e Leopoldo Mandic, quest’ultimo meno conosciuto del primo, piccolo di statura (era alto un metro e trentacinque centimetri), ma grande nel suo quotidiano impegno di sottrarre anime al nemico dell’uomo. San Leopoldo, per chi non lo sapesse, fu un grande confessore in quel di Padova, città di un altro grande santo, Antonio. La misericordia del Padre passa attraverso la carità, la preghiera, la confessione e la comunione. Il mistero eucaristico rimane il fulcro della presenza di Dio fra noi e lo strumento per riottenere la pace interiore, per riannodare il rapporto speciale fra il penitente ed il suo Signore che il peccato recide. Qualche anno addietro ebbi l’onore di conoscere un’anima mistica nei pressi di Roma, la quale, nel corso della confessione, mi suggerì tre rimedi contro gli assalti del male: lettura di libri buoni; confessione; comunione frequente. La confessione è quindi un momento centrale nel contesto del disegno di salvezza che concerne – o dovrebbe concernere – ogni uomo che sia consapevole che viene da Dio e a Lui dovrà fare ritorno per ricevere il premio o la pena eterna. Alcune letture superficiali del Vangelo ritengono che Dio sia essenzialmente amore e che, quindi, l’inferno non esista o, come sosteneva il teologo Baltazar, sia vuoto. In realtà le cose non stanno così. Dio è misericordioso ma anche giusto. Come sosteneva Padre Pio, vi sono due tempi. Il tempo dei nostri anni su questa Terra è il tempo della misericordia, mentre, al momento della nostra morte, interviene il tempo della giustizia divina. In altri termini, dopo la nostra morte andremo incontro ad un giudizio che riguarderà tutta la nostra vita, se sia stata orientata all’amore verso Dio ed il prossimo oppure vissuta egoisticamente. La vita o la morte eterna è dunque il prolungamento della qualità della nostra vita qui. Anzi, la vita eterna o la morte eterna è già iniziata; noi siamo già partecipi della vita eterna o della morte eterna a seconda dei nostri comportamenti, delle nostre azioni, dei nostri pensieri, delle nostre più recondite intenzioni. Siamo sereni e gioiosi se abbiamo “la coscienza a posto”; siamo inquieti, turbati, disorientati e malinconici se viviamo una vita marchiata dall’egoismo e dalla ricerca di piaceri che non danno gioia, dal potere fine a sé stesso, dall’accumulazione di beni. In definitiva, siccome siamo stati creati liberi, siamo noi stessi gli artefici del nostro destino; siamo noi che scegliamo l’acqua o il fuoco. Sarebbe buona prassi, alla sera, fare quell’esame di coscienza che i nostri genitori e sacerdoti ci consigliavano di fare quando eravamo bambini o bambine. È una pratica che, orientata dalla luce dello Spirito Santo e dalla conoscenza della Parola di Dio, ci mette in condizione di prendere coscienza dello stato della nostra anima, del nostro cuore, se è un cuore di carne oppure di pietra. Se un cuore di pietra lancia pietre contro il suo fratello, facendogli del male e predestinandosi alla pena, un cuore di carne dà da mangiare al suo fratello il pane della vita, ricevendone vita in abbondanza. L’arrivo del nuovo Vescovo ci predisponga ad accogliere la misericordia di Dio confidando altresì nelle virtù del nostro nuovo Pastore, che fa della letizia del cuore il suo motto e, quindi, il nucleo del suo progetto pastorale. In questa prospettiva, cerchiamo, per quanto ci è possibile, di non sottrarci ai nostri impegni verso la Chiesa, che non appartiene solo ai sacerdoti ed ai consacrati, ma a tutti i battezzati. La Chiesa resta nostra madre, nonostante i suoi peccati. In un’epoca che si contraddistingue per l’avanzare incalzante, furibondo e violento di teorie, idee, politiche irrispettose della dignità della persona umana e avverse al progetto naturale di Dio per l’umanità, come cristiani siamo chiamati alla missione di rievangelizzare noi stessi e gli altri, confidando nell’aiuto di Dio e nella sua grazia.
Salvatore Bernocco
Salvatore Bernocco
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ANNO XXX - N.55
Dal Messaggio del nuovo Vescovo don Mimmo «Cammineremo insieme, senza perderci di vista»
Chiedo umilmente di farmi spazio! Nel mio cuore ci siete già, vi sento come il più bel dono che Dio mi ha fatto, all’inizio di questo nuovo anno! Vi saluto tutti e ciascuno, con particolare affetto! Cammineremo insieme, senza perderci di vista; nella cooperazione e nella condivisione di ciò che siamo e abbiamo; sempre, nella carità e nella verità; nell’umiltà e nell’autenticità! Di noi devono tacere le parole e parlare le opere! Di ognuno, il Padre celeste deve poter ripetere ciò che ha detto sulle rive del Giordano di suo Figlio: In te ho posto la mia compiacenza! (Lc 3, 22). Sosteniamoci gli uni gli altri, gareggiando nella stima e nella benevolenza reciproca! “L’amore tutto vince”, afferma San Giovanni della Croce!
Siamo chiamati a un’opera difficile, non impossibile: attirare la benevolenza del Signore sul nostro modo di vivere, di agire, di accoglierci e di amarci! Procediamo con esultanza nella sequela del maestro Gesù Cristo! Coraggio! Come i pastori e i Magi diffondiamo la Luce che è Cristo in tutti quegli ambiti di vita che la Provvidenza ci indicherà! Gli altri devono stupirsi, meravigliarsi del modo nuovo e rinnovato del nostro essere e del nostro apparire! L’Anno Giubilare della Misericordia deve accelerare la nostra marcia verso la conversione personale e la santità! A tutti rivolgo, come mio primo saluto, quello che fu, invece, l’ultimo saluto di monsignor Bello: Vi voglio bene! Pregate tanto per me! A presto!», conclude monsignor Cornacchia.
Siamo chiamati a un’opera difficile, non impossibile: attirare la benevolenza del Signore sul nostro modo di vivere, di agire, di accoglierci e di amarci! Procediamo con esultanza nella sequela del maestro Gesù Cristo! Coraggio! Come i pastori e i Magi diffondiamo la Luce che è Cristo in tutti quegli ambiti di vita che la Provvidenza ci indicherà! Gli altri devono stupirsi, meravigliarsi del modo nuovo e rinnovato del nostro essere e del nostro apparire! L’Anno Giubilare della Misericordia deve accelerare la nostra marcia verso la conversione personale e la santità! A tutti rivolgo, come mio primo saluto, quello che fu, invece, l’ultimo saluto di monsignor Bello: Vi voglio bene! Pregate tanto per me! A presto!», conclude monsignor Cornacchia.
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ANNO XXX - N.55
Quaresima: tempo per fasciare e curare le ferite
Il mercoledì delle ceneri dà inizio alla Quaresima: quaranta giorni in preparazione alla Pasqua ‘’forgiati” da preghiera, digiuno e carità. E in particolar modo, quest’anno, alla scuola della misericordia. Il tempo di Quaresima di quest’anno ci conduce nel cuore del Giubileo della misericordia. È un tempo prezioso perché porta con sé la grazia di una vera e propria primavera della nostra fede, che può farla fiorire e portare buoni frutti. Tra di essi la nostra conversione che consiste in una dilatazione del cuore che accetti, non senza sforzo ma anche non senza gioia, di accogliere la bontà che Dio vuole comunicarci perché diventi la nostra stessa bontà. E la bontà di Dio, che brilla nel volto di Gesti, si chiama misericordia, come Papa Francesco ci ha più volte indicato. Ma è indispensabile comprendere bene il pensiero del Papa.
Il suo messaggio ha una dimensione molto ampia: avverto il pericolo che lo si riduca a un suo aspetto rilevante ma non unico, quello del perdono dei peccatori. Nel suo viaggio pastorale a Cuba Papa Francesco ha affermato: «Essere cristiano comporta servire la dignità dei fratelli , lottare per la dignità dei fratelli e vivere per la dignità dei fratelli». Mi pare che queste parole siano la chiave di volta del suo pensiero: ogni persona ha un valore e una dignità che dipendono dal fatto che Dio la ama, precisamente come un Padre. La misericordia è l’atteggiamento che vigila perché questa dignità “divina” abbia il rispetto che merita, in sintonia con l’amore di Dio. Se una persona è umiliata dalle sue scelte sbagliate e dalla prigionia del male in cui è finita, misericordia è liberarla, perché torni a essere bella e splendente (non solo perdono nella forma del condono, ma “risurrezione” a una esistenza degna della sua nobiltà). Se una persona è umiliata dallo stato di miseria in cui si trova, misericordia è tutto ciò che può ridonarle rispetto e dignità con le risorse indispensabili, ma anche con la possibilità di procurarsele con il proprio impegno (non basta dare cibo e soldi a chi è disoccupato, gli va aperta una possibilità di lavoro…). Se una persona è oppressa per la mancanza di libertà, di accesso alla cultura adatta alla sua esistenza, per discriminazioni, tale oppressione va tolta perché possa tornare a ergersi nella sua dignità e bellezza, e questa è ancora misericordia. Se una persona è rannicchiata su di sé, ricattata da paure, deformata da piegature egocentriche, ferita nella propria autostima, misericordia è restituirle respiro e sicurezza interiore e offrirle la possibilità di esprimere e accrescere la propria positività in una traiettoria aperta alla bontà e alla gioia. Se una persona è malata, limitata dalle sue condizioni fisiche, misericordia è cercare la sua guarigione con impegno proporzionato o almeno limitare il più
possibile sofferenze, emarginazione, barriere. Se una persona non è autosufficiente per età tenera o avanzata, handicap, condizioni mentali e psicologiche irreversibilmente compromesse, va tutelata con ogni cura come si custodisce un immenso e prezioso tesoro. Ed ecco la traiettoria per la nostra primavera quaresimale, indicata dal Papa in Misericordiae vultus: «ln questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta».
d.C.B.
Il suo messaggio ha una dimensione molto ampia: avverto il pericolo che lo si riduca a un suo aspetto rilevante ma non unico, quello del perdono dei peccatori. Nel suo viaggio pastorale a Cuba Papa Francesco ha affermato: «Essere cristiano comporta servire la dignità dei fratelli , lottare per la dignità dei fratelli e vivere per la dignità dei fratelli». Mi pare che queste parole siano la chiave di volta del suo pensiero: ogni persona ha un valore e una dignità che dipendono dal fatto che Dio la ama, precisamente come un Padre. La misericordia è l’atteggiamento che vigila perché questa dignità “divina” abbia il rispetto che merita, in sintonia con l’amore di Dio. Se una persona è umiliata dalle sue scelte sbagliate e dalla prigionia del male in cui è finita, misericordia è liberarla, perché torni a essere bella e splendente (non solo perdono nella forma del condono, ma “risurrezione” a una esistenza degna della sua nobiltà). Se una persona è umiliata dallo stato di miseria in cui si trova, misericordia è tutto ciò che può ridonarle rispetto e dignità con le risorse indispensabili, ma anche con la possibilità di procurarsele con il proprio impegno (non basta dare cibo e soldi a chi è disoccupato, gli va aperta una possibilità di lavoro…). Se una persona è oppressa per la mancanza di libertà, di accesso alla cultura adatta alla sua esistenza, per discriminazioni, tale oppressione va tolta perché possa tornare a ergersi nella sua dignità e bellezza, e questa è ancora misericordia. Se una persona è rannicchiata su di sé, ricattata da paure, deformata da piegature egocentriche, ferita nella propria autostima, misericordia è restituirle respiro e sicurezza interiore e offrirle la possibilità di esprimere e accrescere la propria positività in una traiettoria aperta alla bontà e alla gioia. Se una persona è malata, limitata dalle sue condizioni fisiche, misericordia è cercare la sua guarigione con impegno proporzionato o almeno limitare il più
possibile sofferenze, emarginazione, barriere. Se una persona non è autosufficiente per età tenera o avanzata, handicap, condizioni mentali e psicologiche irreversibilmente compromesse, va tutelata con ogni cura come si custodisce un immenso e prezioso tesoro. Ed ecco la traiettoria per la nostra primavera quaresimale, indicata dal Papa in Misericordiae vultus: «ln questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta».
d.C.B.
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