LA VITE E I TRALCI: UNA RIFLESSIONE DI ALBERTO MAGGI
In una famosa pagina del profeta
Ezechiele, il profeta descrive il legno
della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il
legno della vite è l’unico legno tra gli
alberi della campagna con il quale non si
può fare nulla; non ci si può fare un
oggetto, un attrezzo utile. Il legno della
vite è buono soltanto per far passare la
linfa vitale ai tralci e produrre frutta.
Quindi il legno della vite è il legno
inservibile, se non per portare frutto. Ed è
a questa immagine del Profeta Ezechiele
che Gesù si riallaccia nel famoso discorso
della vite e dei tralci, contenuto nel
capitolo 15 del Vangelo di Giovanni.
Gesù, ancora una volta, rivendica la
pienezza della condizione divina. Quando
Gesù dice “Io sono”, questo rappresenta
la pienezza della condizione divina,
perché “Io sono” è il nome di Dio.
Nella cultura d’Israele la vite era
immagine del popolo, del popolo di
Israele. C’è il famoso cantico d’amore del
Signore per la sua vigna, contenuto nel
capitolo 5 del Profeta Isaia; anche il
Profeta Geremia parla di Israele come di
una vite. Bene Gesù dichiara di essere “la
vera vite”, quindi ci sono delle false viti.
Gesù continua quel processo di
sostituzione con le realtà di Israele con la
propria persona:
- non la manna dal cielo, ma lui
è il vero pane che da vita al popolo;
- lui è la vera luce al contrario della legge;
- lui è la vera vite, lui è il vero popolo
piantato dal Signore.
E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono
dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove
scorre la linfa vitale, il Padre è
l’agricoltore. Qual è l’interesse
dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre
più frutto e infatti, scrive l’evangelista,
“ogni tralcio che in me non porta frutto, lo
toglie”. Qual è il significato di questa
espressione? L’evangelista sta parlando
della comunità cristiana dove c’è un amore che viene comunicato dal Signore,
un amore ricevuto dal Signore, e questo
amore si deve trasformare in amore
dimostrato agli altri. E questo è
caratteristico dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia
si accoglie un Gesù che si fa pane, fonte
di vita, per poi essere disposti a farsi pane,
fonte di vita per gli altri. Ci può essere il
rischio che nella comunità ci sia una
persona che assorba questa linfa vitale,
assorba questa energia, assorba questo
amore, assorba questo pane, ma poi non
si faccia pane per gli altri, non trasformi
l’amore che riceve in amore per gli altri. E’
un elemento passivo, che pensa soltanto
al proprio interesse, a se stesso, e quindi
non comunica vita.
Ebbene, non gli altri tralci, e neanche
Gesù, ma il Padre, prende e lo toglie,
perché è un tralcio che è inutile.
“Ma ogni tralcio che porta frutto”, cioè il
tralcio che succhiando questa linfa vitale,
quindi nell’Eucaristia il tralcio che
ricevendo Gesù come pane si fa poi pane
per gli altri, porta frutto. Dispiace vedere
che ancora i traduttori rendono il termine
con ‘potare’ che non è quello adoperato
dall’evangelista. Il verbo adoperato da
Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono
due cose completamente diverse. Cosa
significa purificare? Il Padre che ha a
cuore che il tralcio porti più frutto sa
individuare quegli elementi nocivi, quelle
impurità, quei difetti che ci sono nel
tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo
è importante, l’azione è del Padre; non
deve essere il tralcio a centrarsi su sé
stesso, ad individuare i propri difetti e
cercare di eliminarli, perché centrandosi su
séstesso farà un danno irreversibile.
L’uomo si realizza non quando pensa a se
stesso, alla propria perfezione spirituale,
che può essere tanto illusoria e lontana
quanto è grande la propria ambizione;
l’uomo deve centrarsi sul dono totale di
sé, che è immediato. Allora, in ognuno di
noi ci sono dei limiti, ci
sono dei difetti, ci sono
delle brutte tendenze.
Ebbene noi non ci
dobbiamo preoccupare.
Sarà il Padre che, se vede
che questi limiti, questi
difetti, queste tendenze
sono di impedimento al
portare più frutto, lui penserà
ad eliminarli, non noi. Perché
facendolo noi possiamo andare
a toccare quelli che sono i fili
portanti della nostra struttura e fare dei
danni tremendi.
Allora “Il Padre lo purifica”. Questo da
piena serenità; l’unica preoccupazione del
tralcio è portare frutto, tutti gli
impedimenti a frutti abbondanti ci
penserà il Padre, non gli altri tralci,
neanche la vite, ma il Padre. Perché?
“Perché porti più frutto”.
E dichiara Gesù “Voi siete già puri”, ecco
vedete, quando i traduttori traducono il
verbo con ‘potare’ anziché ‘purificare’,
non rendono questo gioco di parole che
l’evangelista fa tra il verbo ‘purificare’ e
l’aggettivo ‘puri’. Quindi prima Gesù ha
detto “Lo purifica”, e poi dice “voi siete
già puri”. Perché? “A causa della parola
che vi ho annunziato”. La parola di Gesù è
un amore che si fa servizio. Ciò che
purifica l’uomo non è il fatto che gli lava i
piedi, ma la disponibilità poi di lavare a
sua volta i piedi agli altri. Quindi questa
parola, il messaggio di Gesù, un amore
che si fa servizio, rende pura la persona.
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ANNO XXIX - N. 43