Da un’intervista a Mons. Capovilla
E’ vero che dopo la sua elezione a Papa,
Francesco le ha telefonato?
Pensavo fosse uno scherzo perché era il primo
d’aprile dello scorso anno. Verso sera squilla il
telefono, io rispondo e dall'altra parte sento una
voce: “Mons. Capovilla, sono papa Francesco”.
Aveva fatto lui il numero, senza passare dal
centralino, perché Mons. Camastri gli aveva dato
un mio dépliant per l’Anno della fede nel quale è
scritto: “Con papa Francesco, celebriamo il
cinquantesimo di Pacem in terris (11 aprile 2013)
e del transito di Giovanni XXIII (3 giugno 2013)”.
“Lei mi invita a questo convito di memorie – mi
ha detto Francesco – e io la ringrazio. Visto che
siamo in conversazione – ha aggiunto – la prego
di un favore: preghi papa Giovanni perché io
diventi più buono”. Semplice come la preghiera
di un bambino.
Sono molte le somiglianze con papa Giovanni
XXIII.
Sì, devo confessare che al termine della mia vita
tocco con mano che alcune intuizioni di papa
Giovanni vengono oggi messe sul tappeto da
papa Francesco. Nel discorso agli ambasciatori
che hanno presentato le credenziali, lui ha detto
che la Chiesa deve preoccuparsi in particolar
modo degli ultimi. Ha ripetuto la stessa frase di
papa Giovanni nel radiomessaggio un mese
prima dell’apertura del Concilio, l’11 settembre:
“La Chiesa è di tutti e nessuno è escluso, ma è
particolarmente la Chiesa dei poveri”.
Qualcuno
ha detto che questa è demagogia, ma dov'è la
demagogia se tuo fratello muore di fame?
E’ un
grande discorso che quelli che si vogliono
chiamare cristiani devono vivificare dentro di
loro: non accontentarsi solo di battere le mani al
Papa.
I due pontefici sembrano simili anche negli
atteggiamenti…
Anche Francesco avvicinando le persone non dà
l’impressione di chiedersi se sia cattolico o se vada a Messa tutte le domeniche, ma per prima
cosa vede in lui una creatura di Dio, un uomo,
una persona che ha dei diritti inalienabili che
sono il diritto all'ascolto e al rispetto, in ogni caso
al buon rapporto, al tentativo dell’amicizia. Mi
hanno colpito le immagini del Papa nel carcere
minorile di Casal del Marmo il giovedì santo dello
scorso anno: un vecchio prete inginocchiato a
lavare i piedi di quei ragazzi, non spruzzando un
po’ d’acqua, ma lavandoli davvero, baciandoli e
guardando ogni ragazzo in volto. Uno di loro gli
ha chiesto: “Cosa sei venuto a fare?”. “Sono
venuto perché mi ha mandato l’amore – ha
risposto Francesco -, perché mi devo occupare
anche di te”. Ma non è questo che aspetta il
mondo? Non è questo ciò in cui confidiamo
Insomma, da Papa testimone dell’amore di
Dio…
Come dovrebbe essere per tutti noi. Nella mia
camera più intima ho appeso le fotografie dei
sette monaci di Tibhirine, i trappisti rapiti e
trovati sgozzati il 30 maggio 1996, sepolti nel
giardino del monastero, là dove avevano piantato
semi di fede, di speranza e di amore. Sette
martiri, testimoni di amore al Dio dell’alleanza da
lui stabilita con l’umanità.
Li guardo e penso che si può credere che
l’amore è più forte dell’odio, la vita più forte della
morte. E penso che ciò che è impossibile agli
uomini sia possibile a Dio…