Nella prima metà del 1600 fu pubblicato un libro
di un teologo olandese, Cornelius Otto Jansen
(italianizzato in Giansenio), dal titolo Augustinus.
Fu condannato dall ‘autorità ecclesiastica, ma
conobbe una notevole diffusione soprattutto nelle
élite intellettuali e religiose, dando origine a una
corrente di pensiero chiamato “giansenismo”.
Esso provocava una spiritualità pessimista, fatta soprattutto di timore, fredda. Si diffuse
soprattutto in Francia, ma anche in Lombardia e
in Toscana.
Secondo Giansenio dopo il peccato originale
l’uomo non può che fare il male. Solo la grazia
può abilitare (sarebbe meglio dire: costringere)
l’uomo a compiere il bene. Ma la grazia non
è data a tutti, ma solo a una minoranza di
predestinati. Per la maggioranza dell’umanità non
può esservi altro che un destino di condanna.
Una umile (e anche sofferente e spesso umiliata)
suora francese, santa Margherita Maria Alacoque
(1647-1690), nel convento parigino della
Visitazione a Paray- le-Monial, chiamata da
Gesù e su sua indicazione, riuscì a diffondere la
devozione al Sacro Cuore di Gesù. Una devozione
che sottolineava l’amore del Signore verso
tutti, la fiducia nella sua infinita misericordia, la
dolcezza della piena confidenza in lui.
Santa Margherita Maria lasciò scritto: «Il Cuore
Divino è un oceano pieno di tesori d’ogni genere,
lì le anime povere possono gettare ogni richiesta;
è un oceano pieno di gioia dove far annegare
tutta la nostra tristezza; un oceano di umiltà
dove far annegare la nostra follia; un oceano di
misericordia per quelli che sono nell’angoscia;
un oceano d’amore in cui immergere la nostra
povertà».
Come si può constatare, una spiritualità ben
diversa da quella giansenista, fiduciosa,
rasserenante, colma di gratitudine e di speranza,
che metteva al centro l’unione d’amore con Gesù.
Santa Margherita diede anche una forma
alla devozione al Cuor di Gesù: suggeriva di
accostarsi alla Comunione eucaristica ogni
primo venerdì del mese per nove venerdì di
seguito, assicurando i devoti che in tal modo si
sarebbero certamente salvati. Nell’impostazione
giansenista la Comunione eucaristica era rara
e circondata da molto timore. Suggeriva anche
di dedicare ogni giovedì un’ora a meditare con
quanto amore Gesù ci ha amati, ricordando la sua
agonia al Getsemani. Suggerì infine che il venerdì
successivo al Corpus Domini fosse festa del
Sacro Cuore per tutta la Chiesa, il che avvenne
nel 1765. In tal modo questa dolce devozione
dell’amore conobbe una diffusione universale.
San Giovanni Eudes (1601-1680), un sacerdote
normanno pieno di zelo e di carità, anch’egli
devoto del Sacro Cuore di Gesù, ha il merito di
aver diffuso la devozione al Cuore Immacolato
di Maria, diventata con Pio XII festa devozionale
di tutta la Chiesa, da celebrare il giorno dopo la
festa del Sacro Cuore. Il Santo, infatti, ha sempre
tenute unite le due devozioni, spiegando che per
nove mesi il Cuore di Gesù aveva pulsato accanto
al Cuore di Maria e che ai piedi della croce Maria
aveva condiviso l’amore sofferente del Figlio per
la nostra salvezza.
La devozione al Cuore di Gesù attira l’attenzione
sulla sua vera e concreta umanità in tutto
simile alla nostra eccetto che nel peccato, e
ne sottolinea, come abbiamo detto, l’amore,
reso visibile dal colpo di lancia che lo ha trafitto
sulla croce: trafittura che rimane aperta anche
nel corpo del Signore Risorto. E da quella ferita
d’amore che esce verso di noi il dono dello Spirito Santo. La devozione al Cuore di Maria introduce
una nota di tenerezza materna nel nostro modo di
vivere la fede e, in fin dei conti, anche nel nostro
modo di concepire Dio che, come ha insegnato
Giovanni Paolo I: «E papà; più ancora è madre»
(Angelus del 10 settembre 1978)
d.C.B.