Su Fermento dello scorso mese di maggio abbiamo trattato delle sette opere di misericordia corporale. Su questo
numero ci occuperemo delle sette opere di
misericordia spirituale, tenendo presente
che le une non sono separabili dalle altre.
Tutte costituiscono un corpo unico in cui
il materiale si fonde con lo spirituale e viceversa. La prima opera di misericordia
spirituale è consigliare i dubbiosi.Vi sono
dubbi che ineriscono alla vita, alle scelte
da effettuare, e dubbi in materia di fede. In
entrambi i casi dovremmo essere in grado,
usando il buon senso, l’esperienza e la parola di Dio, di suggerire una via d’uscita
dal dubbio, spesso tormentoso e fonte di
disperazione. Ci vuole molto tatto e soprattutto una conoscenza approfondita delle
cose della vita e della fede, per cui ritengo
che solo chi ha ricevuto un dono particolare
dallo Spirito Santo possa essere capace di
indicare la retta via, di tracciare un percorso di salvezza.
Questa prima opera si collega alla consolazione degli afflitti.Non è affatto semplice
addolcire le pene fisiche, morali, psicologiche di chi versa in una condizione di afflizione. Il ricorso alla Parola di Dio e la
vicinanza fisica e spirituale possono fare
molto. Chi è nel bisogno non va lasciato
solo, va sostenuto anche materialmente,
giacché l’afflizione può essere causata anche, ad esempio, dalla mancanza di lavoro,
di un reddito che sia sufficiente a condurre
una vita libera e dignitosa, per cui non basta una parola buona.
Alla consolazione degli afflitti fa quasi
da contraltare la paziente sopportazione delle persone moleste. Quest’opera
di misericordia ci chiama ad esercitare la
virtù sublime della pazienza e della tolleranza. Quante persone difficili, complicate,
noiose, moleste incontriamo ogni giorno!
Quanta gente che ci critica senza ragione, che ci
rende la vita complicata,
che ci diffama o calunnia. La reazione istintiva
sarebbe quella di reagire
con fermezza e durezza,
mentre il Signore ci chiede di usare misericordia,
di sopportare le molestie,
di non opporre resistenza,
quindi di perdonare le offese ricevute, altra opera
di misericordia spirituale.
Si ricordi che chi possiede la virtù della pazienza
possiede sé stesso, è padrone di sé stesso. Chi è
capace di perdonare è simile al Padre che perdona
i nostri peccati se noi, a
nostra volta, perdoniamo
agli altri le loro colpe verso di noi.
Occorre poi insegnare
agli ignoranti. Per poter
insegnare occorre conoscere, aver appreso, imparato, approfondito. Ma
cosa dobbiamo insegnare? La matematica, il latino, il diritto? No, dobbiamo insegnare il Vangelo
e la sua scienza d’amore
e di perdono, di carità e
di misericordia. In questo
modo saremmo anche idonei ad ammonire
i peccatori, perché avremo appreso ciò che
è bene e ciò che è male secondo il Vangelo, senza dimenticare di annoverarci fra i
peccatori e quindi di ammonire noi stessi.
Infine, pregare Dio per i vivi e per i morti.La preghiera è il cibo dell’anima, è un
ponte lanciato verso il Cielo e che ci unisce
a Dio e alla schiera dei Santi. Funge da preparazione dello spirito alla confessione e
alla comunione. Ma non dobbiamo pregare
solo per i nostri bisogni materiali e spirituali, bensì anche per quelli degli altri esseri
viventi e per le anime dei defunti, affinché
possano presto vedere la gloria di Dio. Mi
riferisco alle anime cosiddette purganti,
non a quelle che, per loro scelta, si sono
dannate. La loro sorte è segnata, purtroppo. «C’era un uomo ricco, che era vestito
di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome
Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di
piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che
cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani
venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno
il povero morì e fu portato dagli angeli nel
seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu
sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti,
levò gli occhi e vide di lontano Abramo e
Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta
del dito e bagnarmi la lingua, perché questa
fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni
durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi
mali; ora invece lui è consolato e tu sei in
mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi
è stabilito un grande abisso: coloro che di
qui vogliono passare da voi non possono,
né di costì si può attraversare fino a noi.
E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di
mandarlo a casa di mio padre, perché ho
cinque fratelli. Li ammonisca, perché non
vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè
e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre
Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da
loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se
non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se
uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (Luca 16,19-31).
Salvatore Bernocco