Perdonare senza misura

La prima parola della quinta domanda inizia con una preposizione, un prefisso: “ri-metti”. Due lettere sole che significano: di nuovo, ancora, da capo, un’altra volta, senza stancarti. Indicano il cammino che riprende, nonostante tutto. Due lettere sole, “ri”, che sono le più tipiche del cristianesimo e creano un’infinità di nuove parole proprie del vocabolario cristiano: riconciliazione, ri-surrezione, redenzione, ri-generazione, rinnovamento, ri-nascita. La stessa parola re-ligione.
E’ un prefisso che genera futuro in tutte le notti del presente; che ha la sua origine nella instancabile fedeltà di Dio, si fonda sulla sua fiducia incrollabile nell’uomo. Questo minimo prefisso annuncia che il percorso non si arresta, che l’amore non si arrende, non capitola, non disarma: nuovi inizi sono sempre possibili, per grazia.
Non c’è nulla e nessuno di definitivamente perduto. Vivere è l’infinità pazienza di ricominciare.
Il verbo originale che nel Vangelo esprime l’atto del perdonare è il greco afìemi, che indica il mettere spontaneamente in libertà una persona o qualcosa di cui si può
disporre. La sua radice è composta da un verbo di moto, indica il ripartire, l’andare da un luogo all’altro, è il salpare della nave, la freccia che scocca, la carovana che si mette in moto, l’aquila che si lancia in volo, è liberare verso il futuro.
Il significato è molto bello: Dio non è colui che, pur sentendosi offeso, perdona, colui che non tiene conto dell’offesa, che fa come se nulla fosse successo. Dio perdona come un liberatore, non come uno smemorato. Dio ti lancia in avanti, ti fa salpare verso albe intatte, offre possibilità nuove, è un supplemento di energia. Il perdono evangelico concerne il futuro, più che il passato. Così il sacramento della
Riconciliazione è rivolto non tanto ai peccati passati, quanto alla strada che si apre davanti, non si riduce a un colpo di spugna per ieri, ma vuole essere energia per domani. Come faceva l’uomo di Galilea? Alla donna colta in adulterio dice. “Vai e d’ora in avanti non peccare più”. Ciò che conta è d’ora in avanti. A lui interessa il futuro della persona, che è terra vergine capace di infinite primavere. Nell’adultera lui vede la donna ancora capace di amare bene.
Per Gesù il bene possibile d’ora in avanti conta di più del male di ieri. L’uomo non coincide con il suo peccato, ma con le sue più alte possibilità. Non è a immagine del peccato, ma a immagine di Dio. Tu sei più di ciò che hai realizzato, tu sei ciò che puoi diventare.
Gesù non banalizza la colpa, non dice: “Tanto lo fanno tutti”. Ma il superamento del male avviene riaprendo il futuro, ridonando innocenza, il superamento dell’inverno è con la primavera che semina germogli. Nessuno rimane innocente tutta la vita, ma a tutti l’innocenza è ridonata.
L’innocenza non si conserva, si riconquista. Gesù scommette sul futuro della persona. E dice a ciascuno: tu non sei i tuoi peccati, la tua vita non equivale ai tuoi fallimenti, l’uomo non coincide con i suoi sbagli, ma con i suoi ideali. Il bene possibile vale di più del male reale. Più ancora che a temere la zizzania, ci insegna a credere nel buon grano che germoglia nel cuore. A questo stile dobbiamo attingere per colorare di divino i nostri gesti.
Ciò che fa problema tuttavia non è il perdono da parte di Dio, garantito da tutto il Vangelo. Ciò che fa problema è il nostro perdono. “Quante volte Signore, dovrò perdonare a mio fratello? Fino a sette volte?”. Il limite tradizionale, per il pio ebreo, era di perdonare tre volte; i migliori rabbini avevano innalzato questo limite a sette volte. Pietro con questa domanda già si colloca tra i più bravi, i migliori. E Gesù spiazza la sua sicurezza: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. La misura del perdono è perdonare senza misura.

P. Ermes Ronchi