Il senso dell’esperienza di comunicazione denominata “Fermento” era chiaro fin dagli inizi.
Dopo 25 anni, a evitare un anniversario puramente celebrativo, ci sarebbe da chiedersi se la testata ha mantenuto gli impegni.
Tre le parole-chiave, le “direttrici portanti” indicate nell’editoriale del gennaio
1986: comunione, partecipazione,comunità. Scaturite – si annotava allora – dallo
spirito del Concilio Vaticano II che ha ripensato la Chiesa come popolo di Dio, riscoperto la dignità del battezzato e precisato le modalità della sua missione nel mondo.
Nero su bianco fin dal primo numero: “Fermento, mensile di Comunione per la partecipazione nella nostra Comunità”.
Non solo, dunque, strumento di collegamento e modo “per entrare nelle case e nel cuore di ogni parrocchiano, soprattutto gli anziani e gli ammalati”, ma “mezzo – sia
pure modestissimo – di comunione, per riaccendere le speranze e alimentare con la sua intima forza di penetrazione chi stenta a fare inversione di marcia e tornare a Gerusalemme per incontrarsi col Risorto e non mai stancarsi di cercarlo” nel
contemporaneo.
Ci sarebbe da chiedersi, a distanza di 25 anni, se questi intenti sono stati rispettati.
Sarebbe un modo provocatorio ma salutare – perché attento al passato e orientato al futuro – per celebrare l’anniversario: Fermento ha mantenuto gli impegni?
Io credo di sì. Ho visto crescere, in questi anni, la comunità di riferimento. Ho verificato al suo interno la vivacità e la sensibilità per la ricerca religiosa. Non è mancato l’approccio critico alle espressioni della cultura contemporanea. Ho constatato la capacità di interrogarsi e di affinare strategie pastorali nel corso dell’esperienza Sinodale e nel Centenario. Anche per via dei ripetuti coinvolgimenti, posso attestare la progressiva apertura al territorio e alle dimensioni che fanno la Chiesa itinerante e luogo di carità: la missionarietà, il volontariato, la solidarietà, l’accoglienza dello straniero… Elementi che attestano complessivamente la fedeltà all’impegno assunto.
Mai gloriarsi, però: comunione, partecipazione e comunità sono parole troppo pesanti per consentire di crogiolarsi nell’appagamento. Nuove sfide si prospettano, come altrettante pietre di paragone.
Hanno nomi ugualmente impegnativi ed esigenti, anche questi radicati nelle scelte conciliari. Tanto per ripartire da tre, provo a suggerire: povertà, testimonianza, salvaguardia del creato. A cui potrei aggiungere: collegialità, educazione, promozione del laicato.
Renato Brucoli