Quando è nato... il “Natale”
Non è storicamente accertato che
Gesù sia nato effettivamente il 25
dicembre. Anche nei Vangeli di
Matteo e di Luca, che forniscono
una descrizione di alcuni momenti
legati alla Natività, non viene
citato né il giorno, né il mese, e
neppure l’anno della venuta del
Figlio di Dio, anche se sappiamo
che Gesù nacque quando
regnava l’imperatore Cesare
Augusto.
È nel IV secolo che si diffonde la
celebrazione della festa cristiana
del Natale di Gesù il 25 dicembre.
In merito a tale datazione, nel
corso degli anni, sono state
formulate diverse ipotesi. Alcuni
studiosi ritengono che questa
data venne scelta dalla Chiesa in
contrapposizione alla festa
pagana del Sole invitto voluta
dall’imperatore Aureliano nel 275,
festa da celebrarsi, per l’appunto,
il 25 dicembre cioè quattro giorni
dopo il solstizio d’inverno (che
cade il 21 dicembre). Dopo tale
data la luce (il Sole) rinasce e
prende gradatamente il
sopravvento sulle tenebre, le
giornate si allungano fino al 21
giugno il giorno più lungo
dell’anno (il solstizio d’estate).
La Chiesa quindi, secondo
l’opinione degli studiosi, per
contrastare il perpetuarsi di tale
festa pagana radicata nella
tradizione popolare, decise di
celebrare in quella medesima data
il dies natalis Christi, la nascita di
Gesù: «Luce del mondo», il vero
«Sole di giustizia» che brillerà in
eterno. Una fonte autorevole, il
Cronografo (il più antico
calendario della Chiesa di
Roma) del 354, indica il 25
dicembre quale giorno per la
celebrazione della festa della
Natività, ma un altro documento
romano‘ la‘ Depositio
episcoporum (elenco liturgico
contenuto nello stesso
Cronografo) attesta che tale
celebrazione era già presente nel
336 (sembra che inizialmente tale
festa venisse celebrata soltanto
nella Basilica di San Pietro).
La scelta di questo giorno,
comunque, fu sanzionata nel 354
da Papa Liberio.
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ANNO XXVIII - N.338
Davanti al presepe: la meraviglia nasce dal cuore.
San Francesco, il poverello di Assisi , è
stato il primo a ideare l’al- lestimento
del Presepe per stupirsi e avere
memoria viva del mistero
dell’Incarnazione. Come non provare
meraviglia e stupore davanti al Bambinello?
Come non interessarsi alla Sua storia?
Come non guardar- Lo con amore? Come
non comprendere che la Sua nascita è “il
dono dei doni’’, perché atto d’amore del
Padre celeste per redimere così l’uomo dal
peccato?
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
richiama il popolo di Dio all’adorazione del
Bambinello con il cuore. Egli cantò£con lo
stupore (che è proprio della tenerezza di
un santo) le meraviglie apportate sulla terra
da Gesù Bambino. II “Tu scendi dal/e stel/
e...” rappresenta non solo l’invocazione
corale delle anime al Redentore , ma narra
anche l’umiltà del Re dei re che si fa uomo
e scende in una grotta al freddo e al gelo.
È chiara la struggente tenerezza con cui
Sant’Alfonso contempla il Bambino divino
nella mangiatoia.
II mistero del Verbo incarnato rende
vere e reali tutte le nascite e ad ogni uomo
promette e assicura la rinascita eterna. È la
notte magica dell’universo che s’illumina,
perché gli Angeli cantano il loro “Osanna”
al Bimbo celeste. E gli umili pastori
accorrono. catturati dalle arcane melodie. I
pastori comprendono l’eccezionalità
dell’evento. ne assapora- no la celestialità e
si prostrano in adorazione davanti a Gesù
Bambino. Essi, rappresentanti di
un’umanità umile. buona e operosa, prontamente accorrono sul luogo della
Divina Nascita. In ginocchio omaggiano il
Bambino Redentore e s’inebriano delle
soavi melodie degli Angeli e di Maria.
È tempo che noi con il cuore puro. ci
disponiamo a seguire l’esempio dei
pastori: pronti a riconoscere e ad amare il
Dio dell’amore che si è fatto Uomo/
Bimbo. La gioia di trovarsi davanti al
Presepe deve costituire. per il cristiano che
ha fede, un momento significativo per
riconoscere i propri peccati e affidarsi alla
misericordia di Dio. È necessario. perciò.
avvicinarsi al Presepe con la fede semplice
di un bambino e con un amore grande per
Gesù. invocando l’aiuto dello Spirito Santo
affinché illumini la mente e apra il cuore
alla comprensione del Mistero divino.
Intratteniamoci davanti alla grotta e
meditiamo sulle circostanze in cui volle
nascere Gesù. Egli scelse per Sé tutto ciò
che c’era di più povero. umile e semplice.
E Maria umile ed eccelsa fra tutte le
creature diede alla luce il Figlio di Dio in
una stalla lo avvolse in fasce lo depose
nella mangiatoia. s’inginocchiò e lo
adorò.
Avvolgiamo anche noi il Bambinello con le
fasce del nostro cuore.
Stupiamoci dello stupore con cui Maria Lo
guarda. Seguiamo la voce dell’amore e
stringiamo al petto i poveri. essi sono figli
del nostro stesso Padre. Riscaldiamo il
Bambinello con concreti gesti di generosa
solidarietà nella gioia della condivisione.
Seguiamo la stella cometa della bontà
sull’esempio dei magi.
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ANNO XXVIII - N.338
VOCE DI UNO CHE GRIDA NEL DESERTO
La figura che biblicamente domina
l’Avvento e che la Chiesa propone
ai cristiani come modello di
autentica umanità e come maestro di
vita spirituale che ci prepara all’incontro
con il Messia, è quella possente di
Giovanni Battista. Il Vangelo di Marco,
tralasciando il racconto dell’infanzia di
Gesù, attacca direttamente dalla
carismatica predicazione di Giovanni
Battista, citando Isaia: “Ecco io mando
il mio messaggero davanti a te; egli ti
preparerà la strada. Voce di uno che
grida nel deserto: preparate la strada del
Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.
Questa voce che grida e non lacera, anzi
accarezza l’udito, persuade, si fa
armonia di suoni: “Preparate la strada
del Signore”, mentre il Signore viene
realmente, perché tu quella voce l’hai
ascoltata. L’austerità nel vestire e nel
sostentamento corrispondono
all’essenzialità di persona della quale
Giovanni identificava se stesso restando
libero di realizzare pienamente la
vocazione per la quale era nel mondo:
egli era una voce. Molto spesso, le cose
di cui noi usiamo si sovrappongono alla
nostra personalità e la stravolgono, ci
alienano, ci rendono difficile di
realizzare il nostro impegno umano. È la
deleteria conseguenza del lusso e del
consumismo, quando l’uomo non si
considera per quello che è ma per quello
che ha. Saremmo più ricchi, se fossimo
più poveri, perché qui vicini a Dio, più
vicini a noi stessi e agli altri, più vicini
all’essenziale, che può essere
apparentemente modesto, ma sempre
ricchissimo. Se il vero destino di ogni
uomo è di essere voce gridante nel
deserto di preparare la strada del
Signore, allora, per ognuno, può essere
vero quello che afferma Kierkegaard:
«Anche se tu fossi una povera donnetta,
se stai al tuo posto, la tua voce è più
potente che quella di mille profeti».
V.P.
V.P.
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ANNO XXVIII - N.338
IL SANTO NATALE: RIFLETTIAMO
Forse ci abbiamo fatto il callo a
festeggiare il Santo Natale. Forse ci è
venuto finanche a noia. E quanti di noi
soffrono di questa autentica peste della
noia, del non senso esistenziale, così da
cogliere la palla al balzo per fare del Natale
un’occasione mondana per cenoni e viaggi
all’estero – come per San Valentino o
Halloween (festa pagana) - e non un
avvenimento di eccezionale rilievo spirituale
per tutta l’umanità!
Forse soltanto i bambini sfuggono a
questo vizio e avvertono in pienezza la
bellezza e la fecondità del Natale. Essi lo
vivono in pienezza di gioia, nell’ansiosa
attesa dei regali, della cena in famiglia con
nonni e zii e parenti, ammesso che ci siano
ancora famiglie unite, non spaccate da
contasti e dissidi. Difatti è invalso l’uso
comune di affermare che il Natale è una
festa per i bambini e non per gli adulti, come
se essi non possano più gioire. Per molti,
anzi, l’arrivo del periodo natalizio segna
l’arrivo della tristezza, proprio perché si è
perduta l’innocenza e ci si è lasciati prendere
la mano, anno dopo anno, dall’andazzo
della cronaca quotidiana, infarcita di nero,
di cinismo e di morte nelle sue varie accezioni
e manifestazioni. Così il Natale, che è festa
di vita, si trasforma in una stanca parodia
della festa. Gli stessi riti natalizi sono stanche
ripetizioni di frasi fatte? Talvolta si ha questa
impressione.
Fa fatica ad emergere il dato
essenziale: la nascita del Redentore, che
ripropone il tema della nascita, della rinascita
a nuova vita e della festa interiore. Il cuore
di cosa ha bisogno? Di cose? O necessita di
parole di vita eterna, di lemmi di gioia, di una
voce che ci dica che il mondo è uscito dal
pensiero di Dio e che ha un senso, e noi con
esso? Credo che abbiamo bisogno di essere
rassicurati, di riappropriarci del senso
autentico della vita che il Natale ci ripropone.
La nascita di Gesù non è una favola. È un
avvenimento che interpella ogni essere
umano e che ci apre alla speranza senza
fine, non ad un aborto di essa. Dio si fa
uomo affinché l’uomo si elevi a Lui, ne
diventi figlio, coerede del regno. I primi ad
accorrere furono alcuni pastori, gente di
scarto, emarginata. Poi vi giunsero i re magi,
i quali non godevano di buona reputazione.
Dio, quindi, si manifesta a coloro che noi,
oggi, eviteremmo di incontrare, cioè a tutte
le persone emarginate, che si tratti di poveri,
di malati, di anziani, di disoccupati. Gesù
accoglie tutta la gente di scarto, la chiama a
sé, mentre rifiuta di manifestarsi ai sapienti
del mondo, ai re, ai potenti. Perché Dio ama
gli umili, e quelli umili non lo sono, amando
chi il denaro, chi il potere, chi la propria
scienza. Dunque, qual è il messaggio del
Santo Natale? Che l’amore per gli ultimi ci
innalza a Lui, mentre l’odio o l’indifferenza
ci separano da Lui. Se amiamo gli ultimi,
torniamo a rivivere, e sperimentiamo già qui
ed ora la pace del regno di Dio.
Salvatore Bernocco
Salvatore Bernocco
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ANNO XXVIII - N.338
Nel tempo e nello spazio di Dio
Col pellegrinaggio
parrocchiale a
Pompei demmo
inizio al mese di novembre.
Lì celebrammo l’Eucarestia
e ci incontrammo con
l’Arcivescovo monsignor
Caputo. Ci ritrovammo poi in
parrocchia per la
commemorazione dei defunti
per i quali poi, con la comunità
confraternale di S. Rocco fu
celebrata al cimitero la S.
Messa. Ripresero le attività
catechistiche per ragazzi,
genitori e adulti il cui numero di
componenti quest’anno, è aumentato. Il
parroco fu ad Assisi per gli Esercizi
Spirituali, mentre ci fu il regolare
funzionamento del centro ascolto
Caritas ogni lunedì. La catechesi riprese
il suo ritmo normale con l’incontro
previo con i genitori che si cercò
ulteriormente di responsabilizzare.
Anche la messa delle 10,00 ogni
domenica riprese il suo ordinario ritmo
con la revisione del repertorio dei canti
col maestro Rino Campanale. Ci
preparammo poi a festeggiare il Titolare
della nostra parrocchia, Cristo Re,
vivendo momenti di
adorazione e l’atto di
Consacrazione, come
previsto dalle rubriche.
Proseguirono poi le
catechesi neocatecumenali
fino a
quando (dicembre) si
potrà avere
l’aggregazione di nuovi
fratelli nella comunità.
Intanto fu ricordata S.
Caterina il giorno 25
dal momento della
chiusura al culto
della chiesetta omonima da parte
dl vescovo Garzìa. Il parroco poi ci
introdusse nel tempo di Avvento con
relazioni nel Vangelo di Marco, mentre i
giovani hanno dato inizio al grande
presepe che sarà realizzato sotto il
porticato della nostra chiesa
parrocchiale. Il Gruppo Eucaristico
Parrocchiale animò l’adorazione del
primo giovedì, mentre il Volontariato
Vincenziano ebbe i suoi periodici
incontri formativi e di programmazione.
Puntuale anche l’incontro e la catechesi
per le Associate alla Madonna del Buon
Consiglio.
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ANNO XXVIII - N.338
LETTERA DI PAPA FRANCESCO AI VESCOVI RIUNITI IN ASSISI
UNA OCCASIONE PER RIFLETTERE SULLA FORMAZIONE PERMANENTE DEI SACERDOTI
Questa mia riflessione, che chiude il 2014, si ispira ai contenuti della lettera che il Santo Padre ha inviato ai Vescovi riuniti ad Assisi, dal 10 al 13 novembre, per discutere sul tema della vita e della formazione permanente dei presbiteri. Essa, inoltre, cade in una felice coincidenza, l’ordinazione sacerdotale di Papa Francesco, avvenuta il 13 dicembre 1969, e quella del nostro parroco, don Vincenzo, il quale fu ordinato sacerdote il 7 dicembre dello stesso anno. Ad entrambi vanno i fervidi auguri della nostra comunità. Qualcuno potrebbe obiettare: è un argomento che ci riguarda molto relativamente. In realtà così non è, per la semplice ragione che il sacerdote è guida e pastore del gregge che gli è stato affidato, e noi, in quanto battezzati, ne facciamo parte. La formazione e la vita dei nostri sacerdoti, quindi, non possono esserci estranee, giacché da esse dipendono la crescita di una comunità di persone che si riuniscono nel nome del Signore e che camminano insieme ai loro pastori sulla via che conduce al Regno di Dio, che è già presente ed operante in mezzo a noi tutte le volte che agiamo conformemente al messaggio evangelico. Su questo punto non posso non ricordare quanto il Papa ha detto a proposito dei sacerdoti, che si rendono estranei alle loro comunità in due casi: quando idolatrano il dio denaro e quando maltrattano le persone. Tuttavia, se questo è vero, è altrettanto vero che la testimonianza deve essere data anche da ogni battezzato che, in virtù del battesimo, è re, sacerdote e profeta. E se è anche sacerdote, è in qualche modo obbligato a fare il bene e ad evitare di compiere il male, cercando di essere a sua volta di esempio alle sue guide. In altre parole, la responsabilità della Chiesa incombe su tutti, non soltanto sui sacerdoti, i quali però hanno un surplus di responsabilità etica e morale. Ci sono stati episodi molto gravi che hanno scosso il popolo dei fedeli. Essi, in qualche modo e misura, incidono sul sentimento popolare nei riguardi della Chiesa che, da arca della Parola di Dio, si è talvolta scoperta miserevole, luogo di tenebra e di immoralità, a causa del comportamento disdicevole di alcuni religiosi. Speriamo caldamente che simili atti non abbiano più a ripetersi. Per tornare alla lettera del Santo Padre, mi ha colpito questa affermazione: «Del resto, fratelli, voi sapete che non servono preti clericali il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione». Il Papa introduce due categorie, quella dei preti clericali e quella dei preti funzionari.
Chi è il prete clericale? In generale, il termine clericale indica «i sostenitori di una partecipazione determinante del clero e del laicato cattolico alla vita politica e al governo dello Stato, con un programma ispirato ai principî e alle esigenze dell’autorità ecclesiastica» (Treccani). Ma in questo caso il significato muta, e direi che l’espressione voglia indicare quella parte del clero che è fondamentalista ed intollerante, che appunto non è aperta al dialogo e bolla severamente tutti gli altri, escludendoli. Si tratta di coloro la cui religione è infarcita di moralismo e culto delle apparenze, di riti e salamelecchi, non di fede cristiana. Chi è invece il prete funzionario? Direi che è un mero amministratore dei sacramenti, cioè un sacerdote che vive la sua missione come un lavoro e che, pertanto, non cerca la sua consolazione nella fede, ma in altre cose, attività, esperienze mondane, come se non vestisse l’abito talare. Terminato il lavoro, si dà ad altro, semmai abbandonando la chiesa o la parrocchia, rifiutandosi di accogliere le persone che vorrebbero parlargli. Costui è incapace di ascolto e di misericordia e non serve la Chiesa né serve alla Chiesa. Papa Francesco torna spesso sulle succitate questioni che sono di importanza centrale. Perché fondamentali sono l’esempio, la testimonianza coerente, la pratica della carità e dell’accoglienza, la fedeltà al Vangelo, senza cui la Chiesa di Dio sarebbe una mera agenzia educativa, un circolo filantropico come tanti altri, e la resurrezione e la vita eterna oppio dei popoli.
Salvatore Bernocco
Questa mia riflessione, che chiude il 2014, si ispira ai contenuti della lettera che il Santo Padre ha inviato ai Vescovi riuniti ad Assisi, dal 10 al 13 novembre, per discutere sul tema della vita e della formazione permanente dei presbiteri. Essa, inoltre, cade in una felice coincidenza, l’ordinazione sacerdotale di Papa Francesco, avvenuta il 13 dicembre 1969, e quella del nostro parroco, don Vincenzo, il quale fu ordinato sacerdote il 7 dicembre dello stesso anno. Ad entrambi vanno i fervidi auguri della nostra comunità. Qualcuno potrebbe obiettare: è un argomento che ci riguarda molto relativamente. In realtà così non è, per la semplice ragione che il sacerdote è guida e pastore del gregge che gli è stato affidato, e noi, in quanto battezzati, ne facciamo parte. La formazione e la vita dei nostri sacerdoti, quindi, non possono esserci estranee, giacché da esse dipendono la crescita di una comunità di persone che si riuniscono nel nome del Signore e che camminano insieme ai loro pastori sulla via che conduce al Regno di Dio, che è già presente ed operante in mezzo a noi tutte le volte che agiamo conformemente al messaggio evangelico. Su questo punto non posso non ricordare quanto il Papa ha detto a proposito dei sacerdoti, che si rendono estranei alle loro comunità in due casi: quando idolatrano il dio denaro e quando maltrattano le persone. Tuttavia, se questo è vero, è altrettanto vero che la testimonianza deve essere data anche da ogni battezzato che, in virtù del battesimo, è re, sacerdote e profeta. E se è anche sacerdote, è in qualche modo obbligato a fare il bene e ad evitare di compiere il male, cercando di essere a sua volta di esempio alle sue guide. In altre parole, la responsabilità della Chiesa incombe su tutti, non soltanto sui sacerdoti, i quali però hanno un surplus di responsabilità etica e morale. Ci sono stati episodi molto gravi che hanno scosso il popolo dei fedeli. Essi, in qualche modo e misura, incidono sul sentimento popolare nei riguardi della Chiesa che, da arca della Parola di Dio, si è talvolta scoperta miserevole, luogo di tenebra e di immoralità, a causa del comportamento disdicevole di alcuni religiosi. Speriamo caldamente che simili atti non abbiano più a ripetersi. Per tornare alla lettera del Santo Padre, mi ha colpito questa affermazione: «Del resto, fratelli, voi sapete che non servono preti clericali il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione». Il Papa introduce due categorie, quella dei preti clericali e quella dei preti funzionari.
Chi è il prete clericale? In generale, il termine clericale indica «i sostenitori di una partecipazione determinante del clero e del laicato cattolico alla vita politica e al governo dello Stato, con un programma ispirato ai principî e alle esigenze dell’autorità ecclesiastica» (Treccani). Ma in questo caso il significato muta, e direi che l’espressione voglia indicare quella parte del clero che è fondamentalista ed intollerante, che appunto non è aperta al dialogo e bolla severamente tutti gli altri, escludendoli. Si tratta di coloro la cui religione è infarcita di moralismo e culto delle apparenze, di riti e salamelecchi, non di fede cristiana. Chi è invece il prete funzionario? Direi che è un mero amministratore dei sacramenti, cioè un sacerdote che vive la sua missione come un lavoro e che, pertanto, non cerca la sua consolazione nella fede, ma in altre cose, attività, esperienze mondane, come se non vestisse l’abito talare. Terminato il lavoro, si dà ad altro, semmai abbandonando la chiesa o la parrocchia, rifiutandosi di accogliere le persone che vorrebbero parlargli. Costui è incapace di ascolto e di misericordia e non serve la Chiesa né serve alla Chiesa. Papa Francesco torna spesso sulle succitate questioni che sono di importanza centrale. Perché fondamentali sono l’esempio, la testimonianza coerente, la pratica della carità e dell’accoglienza, la fedeltà al Vangelo, senza cui la Chiesa di Dio sarebbe una mera agenzia educativa, un circolo filantropico come tanti altri, e la resurrezione e la vita eterna oppio dei popoli.
Salvatore Bernocco
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