Sono una cattolica non praticante. La motivazione della
mia non pratica sta nel fatto che non riesco ad accettare
le incoerenze di prelati e preti di cui parlano tutti i mezzi
della comunicazione sociale. Preferisco vivere la fede a
modo mio anziché dipendere da un prete che ha molti più
difetti di me.
L.C.
Il vissuto odierno è caratterizzato dal rifugiarsi nel
privato e dal privilegiare in modo esasperato la
propria vita privata ed elevare la propria autonomia
a parametro ultimo di misura. Se questa filosofia della
vita influenza anche il credente portandolo a preferire la
soluzione personale nella ricerca del rapporto con Dio,
viene impoverita la concezione stessa del cristianesimo
che è essenzialmente comunione di persone e di intenti. Sono convinto che gli scandali di cui è protagonista il
clero può far male e indignare, ma non può e non deve
essere la ragione determinante per abbandonare la
pratica della fede, come l’abbandono della fede non può
essere attribuita esclusivamente a ragioni sociali.
Spesso dietro a certi abbandoni c’è una profonda
immaturità di fede e fattori di ordine personale. Se un
cristiano solo perché subisce degli scandali abbandona
la pratica religiosa vuol dire che il suo rapporto con il
vangelo e con Cristo è molto fragile e forse inconsistente. Essere cristiano vuol dire prima di tutto essere
discepolo di Cristo, che vuol dire primariamente mettere
in pratica le istanze morali e spirituali contenute nel
vangelo, è obbedire al precetto dell’amore di Dio e dei
fratelli. Tutto il resto è relativo alla pratica di ciò. Gli
scandali nella chiesa ci sono sempre stati e sempre
ci saranno perché essa è una comunità di uomini e di
donne peccatori e peccatrici, ma è autentica perché Cristo la rende tale.