XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE - 1° GENNAIO 2015
«NON PIÚ SCHIAVI, MA FRATELLI»
Il tema del messaggio del Santo Padre in occasione della XLVIII Giornata Mondiale della Pace, celebrata il 1° gennaio 2015, è stato «Non più schiavi, ma fratelli». Sin dagli esordi del Suo pontificato, papa Francesco ha richiamato le coscienze dei credenti alla conversione, a riconoscersi peccatori e ad evitare accuratamente, attraverso la vigilanza sul cuore sostenuta ed illuminata dalla preghiera e dalla carità, di trasformarsi da peccatori in corrotti, per i quali non c’è conversione possibile. Ora, volendo riflettere brevemente sul messaggio papale, potrei affermare che è schiavo proprio chi si è votato anima e corpo agli dèi della corruzione, servendoli ai loro altari: successo, potere, sesso senza responsabilità, cinismo, indifferenza verso la sorte di milioni di uomini e donne che nel mondo faticano finanche a soddisfare i bisogni primari. E’ schiavo del peccato, e quindi sodale di Satana, l’uomo che come il levita ed il sacerdore della parabola del Buon Samaritano, gira la testa dall’altra parte, evitando di posare uno sguardo amorevole sui malcapitati della storia, spesso vittime del capitalismo selvaggio e cinico che percuote i deboli e fa affari sui bisogni dei poveri. Le guerre che si combattono in molte aree del nostro pianeta sono il frutto marcio e maleodorante dell’egoismo che come diceva Nietzche, domina l’universo.
E’ la cappa di nero che ricopre i nostri cuori, i quali sono stati creati dal buon Dio per una funzione ben precisa: elidere le guerre ed ogni tipo di contesa e conflitto fra gli uomini e promuovere itinerari di pace e di solidarietà.
San Giovanni ci ricorda che solo l’amore perfetto caccia la paura. Quando è perfetto l’amore? Lo è quando noi siamo in grado di manifestarlo secondo gli stessi sentimenti del Padre manifestati dal Figlio, secondo le ispirazioni dello Spirito Santo e sull’esempio di Maria Vergine.
Ora, non siamo nati per essere schiavi né di altri uomini né delle nostre pessime inclinazioni, cioè del peccato, altrimenti sarebbe come fare memoria quotidiana della terra d’Egitto, dove gli ebrei furono schiavi degli egiziani e che, dopo l’Esodo, addirittura rimpiansero perché lì almeno vi si mangiavano pane e cipolle. Pensate un po’: Liberati dalla mano potente di Dio dalla tirannia, liberati dal potere del peccato che dà la morte, elevati al rango di figli e coeredi del Regno, non siamo capaci di riflettere sull’enorme ed incommensurabile privilegio e dono che il Signore, nella sua infinita misericordia, ci ha fatto: la libertà dei figli di Dio, esito dell’adesione dei cuori alle sue parole di vita.
Un ultimo pensiero dedico al Santo Padre, fatto oggetto di critiche pesanti e di attacchi feroci da parte di certi ambienti ecclesiali. Parole ignobili sono state scritte su di lui, seppure usando la vaselina, finanche da Vittorio Messori e da Antonio Socci, entrambi scrittori “cattolici” un tanto untuosi. La cosa mi ha profondamente meravigliato. Però, a ben vedere, non poteva non darsi la controffensiva di quanti nell’ambito della Chiesa (o meglio del Vaticano) si sentono pungolati dalle sferzanti, vere, incisive parole di papa Francesco, che non distingue fra curiali e non curiali, fra cardinali e semplici sacerdoti, fra laici e credenti. Nella sua estrema semplicità evangelica, Egli non fa altro che proclamare e rendere viva la parola di Dio. Ovvio che la cosa non trovi accoglienza in chi sostiene, chissà per quali reconditi fini, che il Papa scandalizza e sconcerta il cattolico medio. Proprio così: il cattolico medio. E chi sarebbe costui? Uno che vive con la testa nel vuoto dei cieli? Uno che non riflette e si beve di tutto? Uno mediamente credulone che è appagato dalle dubbie apparizioni di Medjugorje, dove
una madonna chiacchierona
invia, da più di vent’anni, messaggi a giorni
alterni quasi fosse una postina?
La nostra Comunità ecclesiale esprime piena e convinta solidarietà e filiale vicinanza al Santo Padre, fautore di cammini di pace e di verità e giustizia. Che il Signore ce lo conservi ancora per molti anni per il bene della Sua Chiesa.
Salvatore Bernocco
AMARE: VOCE DEL VERBO SOFFRIRE
Amare: voce del verbo soffrire, considerato che il verbo Amare si coniuga in tutti i modi e i tempi del verbo “soffrire” a cui deve essere disposto chi intende amare sul serio, senza sentimentalismi ed infantilismi di sorta.
E.L.P.