Per quanto ne so, sono tante le famiglie ruvesi che
versano in condizioni di estrema precarietà economica,
anzi di povertà. Se non erro, oltre 400 nuclei familiari
sono seguiti dalla Caritas cittadina (non so nulla di quelli seguiti
dai Servizi Sociali, ma posso immaginare che si tratti di un
numero ragguardevole), i cui fondi a disposizione non sono
affatto sufficienti a sopperire alle continue richieste di aiuto per
pagare le bollette della luce e del gas, dell’acqua, condominiali.
Le stesse parrocchie sono prese d’assalto da persone in cerca di
un sostegno. Molte persone che vivevano al limite del decoro,
sono state risucchiate indietro. Il ceto medio si è complessivamente
impoverito e, con esso, si registra il declino delle attività
commerciali, costrette anch'esse a fare i conti con una spesa per
i consumi che si è notevolmente ridimensionata. Sono pochi
coloro che riescono a risparmiare qualcosa. La maggior parte dei
monoreddito fa fatica ad arrivare con qualche euro in tasca alla
famosa “terza settimana”. Insomma, il quadro economicosociale
è preoccupante, e vi è il concreto rischio che, prima o poi,
frustrazione e depressione si convertano in violenza e ribellione.
Alcune avvisaglie ci sono già state, ma sembra che uno, due,
cinquanta morti a causa della crisi economica, facciano testo solo
per due, tre giorni al massimo, con il solito condimento di
proclami e promesse, dopo di che tutto finisce nel dimenticatoio.
I problemi, chi ce li ha, se li tiene. Questa la triste sintesi.
L’emergenza si sta trasformando in una condizione stabile di
precarietà. La recessione economica, che non accenna a regredire,
ha eroso diritti e sicurezze. A livello locale, credo sia ora di
attivarsi in modo più razionale e meno dispersivo, immaginando
semmai la formazione di una task force contro le povertà,
composta dalle associazioni del volontariato, laiche e religiose,
dal Comune, dalle parrocchie. È necessario un coordinamento
delle azioni, degli interventi e delle iniziative di sostegno delle
persone che non dispongono di un reddito sufficiente a vivere,
molte delle quali sono sconosciute alla rete della solidarietà,
trovando poco dignitoso venire allo scoperto. Credo manchi un
censimento delle povertà. Sarebbe bene pensarci, quale
strumento di rilevazione delle emergenze locali, dai cui esiti poi
prendere spunto per impostare mirate politiche sociali e della
solidarietà. Nel frattempo, sperando che le istituzioni locali
vogliano prendere in seria considerazione il nostro suggerimento,
dobbiamo intervenire come possiamo. Chi può, dia di più. Lo dia
alla Caritas cittadina, alla sua parrocchia, di persona. Non lesini
il suo aiuto, se è nella possibilità di darlo. Se stendiamo la mano,
Gesù la guarisce dal suo inaridimento (v. Mc 3, 1-6), il che
significa che ci rende capaci di “estenderci”, di amare di più,
secondo il suo volere.
S.B.