Una riflessione utile per la Quaresima

 I DUE LADRONI 


I quattro vangeli raccontano la vicenda più importante della storia del cosmo, ma lo fanno con una tale essenzialità da lasciarci pensosi. Se si fosse trattato di racconti mitici o leggendari, gli autori avrebbero scritto qualcosa di più vicino ad un poema epico, genere letterario di cui non mancano significativi esempi nel contesto culturale mesopotamico. Invece di diffondersi in descrizioni puntuali e prolisse di avvenimenti dal peso specifico enorme, ci pongono di fronte ad una sintesi asciutta, stringata oltre ogni apparente logica….. Si impiegano – cronometro alla mano – circa novanta secondi per leggere l’intero fatto della crocifissione secondo Luca, dall’arrivo di Gesù al “luogo detto Cranio” fino al laconico e drammatico‘“detto questo spirò” (Le 23,33-46). Di questi novanta secondi di narrazione ben quaranta sono dedicati al dialogo che si stabilisce tra i tre condannati al medesimo atroce supplizio. Disma e Gesta – così un’antica tradizione basata sull’apocrifo vangelo di Nicodemo (IV szcolo7 chiama i due ladroni – sono eletti comprimari del Golgota. Nel medioevo il 25 marzo non era solo il giorno dell’annunciazione, ma anche quello della crocifissione e morte del Salvatore ed il calendario della Chiesa di Roma faceva memoria di san Disma: “Commemoratio sancti latronis, qui, in cruce Christum confessus, ab eo meruit audire: “Hodie mecum eris in paradiso”. La figura evangelica del buon ladrone avevva fatto breccia anche nella devozione popolare, essendo venerato come patrono dei carcerati, degli antiquari e dei moribondi. Una preghiera lo, invoca “primo santo a saziarsi dei frutti della redenzione”. Ricordato questo, ci chiediamo ancora che ci fanno due delinquenti comuni accanto al Redentore che muore, perché Cristo non ha predisposto una croce solitariastagliata sull’orizzonte tragico della salvezza? Ha voluto essere umile, confuso tra la gente comune fino all’ultimo? Isaia, citato da Gesù stesso in prossimità della passione (cf. Le 22,3 7), profetizzava “è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti” (53,12). Tuttavia, ad annoverarlo tra gli empi sarebbero bastati il fragoroso arresto, il trattamento ricevuto nel sommario processo, la flagellazione e la condanna alla morte infamante di croce (cf. Dt 21,23); allora perché gli anonimi Disma e Gesta ad affollare il Calvario, a riempire l’aria di parole mischiandole a quelle tanto preziose del Signore agonizzante? Si potrebbe rispondere che quelli erano lì per una semplice coincidenza, in quanto condannati allo stesso supplizio nel medesimo giorno. Certo, però nel racconto lucano i due malfattori non si limitano a saturare la scena, ma chiedono al narratore di essere portati per qualche istante in primo piano, addirittura parlando con Gesù, il quale valorizza le esternazioni di uno di loro. Per Luca essi non sono elementi ornativi o di disturbo, un avvilente supplemento di condanna, ma giocano un ruolo fondamentale nella scena culminante della passione. Dal momento che i vangeli badano al sodo, tenendosi sempre a debita distanza da contorsionismi narrativi, è chiaro che i ladroni sono lì per un motivo che trascende il nudo dato di cronaca. Per dirla con San Gregorio: “la Bibbia mentre racconta un fatto annuncia un mistero”….. Stavamo ragionando su quei 40 secondi di narrazione evangelica che Luca dedica ai due ladroni. Questi due oscuri personaggi – della cui esistenza, a parte il modo cruento col quale l’hanno conclusa, non sappiamo letteralmente nulla – “si accaparrano” il 44% della scena cruciale. Perché? Un malfattore termina la sua vita allo stesso modo con cui l’aveva sempre condotta, non riuscendo a relazionarsi con Gesù che mediante l’insulto e l’opposizione sfrontata (Lc 23,39). L’altro invece coglie improvvisamente la superiorità morale del condannato posto nel mezzo e quindi la sua totale innocenza: “egli al contrario non ha fatto nulla di male”….. Il buon ladrone però ha accanto a sé, per la prima volta nella sua esperienza di vita e direi anche nella storia dell’umanità, una persona della quale si può predicare la totale estraneità al male (“egli al contrario non ha fatto nulla di male”). Come fa il nostro Disma ad affermare una cosa del genere, lo conosceva forse? L’aveva seguito qualche volta mentre guariva i malati o annunciava la buona novella? Non lo sappiamo e Luca non ritiene necessario sostenerlo. Qui ciò che non è detto non è neppure sottinteso, semplicemente non ha alcuna importanza. I due perfetti sconosciuti entrano in scena da protagonisti evidentemente non per ciò che sono, per le loro biografie, ma perciò che rappresentano e significano. La mia conclusione è questa: crocifissi alla destra ed alla sinistra di colui che è la Verità che salva (cf. Gv 14,6), stanno il bene ed il male apparsi nell’intera, travagliata, vicenda umana, da Adamo fino alla fine del mondo. Non mi attardo qui a spiegare come possa il “cattivo ladrone” impersonare il male, giacché è ovvio. Si tratta comunque del male nella sua forma più deleteria ed irreversibile, un rifiuto definitivamente opposto a Dio quale Amore Sussistente. Il bene è ciò che favorisce la vita, mentre il male è ciò che la minaccia, la soffoca e tende a sopprimerla, spesso con successo. Il male è dannoso anche quando colui che lo compie o lo subisce pensa che sia innocuo, gradevole e perfino onorevole. “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene”….. Per “bene”, invece, non intendo il Bene con la b maiuscola, che è per definizione Dio stesso, ma quella tensione morale positiva che ha consentito all’uomo di dare il meglio di sé secondo le indicazioni poste dalla ragione naturale. Ne sono esempi la laboriosità, il senso del dovere, l’onestà, la mitezza del cuore, la solidarietà, la dedizione alla famiglia ed alla patria, la pietas di qualunque onorevole religione. Il bene, dunque, come espressione della legge naturale….. Un bene tuttavia perennemente condizionato, appesantito, da una certa contaminazione di male, non necessariamente volontario. Un’acqua limacciosa, un cibo in qualche misura avariato, un sole tempestato di zone fredde ed oscure, un’intenzione pura che si corrompe a contatto con l’esperienza. Tutti coloro che portano le conseguenze del peccato originale, le quali sopravvivono anche nei battezzati sotto forma di concupiscenza (qualcosa di molto simile alle più laiche “pulsioni”), non riescono a fare il bene al riparo da una qualche infiltrazione del male….. Il bene ed il male sono intrecciati nella storia in un groviglio inestricabile, sicché l’uomo, anche quello meglio intenzionato, non riesce mai a separarli perfettamente nel suo arco esistenziale. Solo Cristo (o meglio, Cristo e sua madre Maria) fra i nati da donna è riuscito nell’impresa di isolare compiutamente il bene e ricacciare il male nel nulla dal quale proviene….. Disma, che nella presente interpretazione è individuato come simbolo del bene umano (quello con la b minuscola appunto),in prossimità della fine riconosce la propria inadeguatezza davanti a Cristo e implora umilmente la salvezza dall’unico che gliela può procurare: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Il bene imperfetto finalmente scopre la giusta relazione con Dio e piega le ginocchia davanti al Bene perfetto, che non tarda neppure un attimo a spalancargli le dimore eterne: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43). Disma (il bene umano) è un ladrone se paragonato a Gesù, ma accostato a Gesta (simbolo del male che non si pente e mai si converte) suscita perfino ammirazione; e Gesù lo inonda della sua misericordia,lo eleva ad altezze altrimenti inacessibili, eleggendolo cittadino del Regno definitivo. Ci sono miliardi di persone che non hanno ricevuto il dono della fede: perché nate in zone non raggiunte dalla predicazione del vangelo o dove il cristianesimo è stato espulso dalla persecuzione violenta, dalla secolarizzazione o dalla cattiva testimonianza resa da professanti indegni. Quanti Disma, cioè quante persone per bene ci sono state e ci sono ancora sotto il sole, ignare dell’esistenza di un salvatore universale! Dobbiamo ritenere che Gesù ha apprezzato ed apprezza i loro quotidiani sforzi in direzione del bene ed il giorno del giudizio le renderà partecipi dei frutti della redenzione. E quanti Gesta, invece, possono trovarsi tra di noi che diciamo di credere e poi passiamo la vita a fare i prepotenti, i rancorosi, i vendicativi ed i giudici degli altri! Diremo dunque che la vita buona è meglio della vita di fede? No, è meglio che l’una completi la bontà dell’altra, tenuto presente che la salvezza eterna viene in ogni caso solo da Gesù Cristo. Prendiamo dunque in prestito il cuore di Disma crocifisso e chiediamo a Gesù di condurci alla perfezione che ci compete quali figli di Dio; perfezione che da soli non riusciremmo mai a raggiungere.

Dario Pacifico