Gruppo Giovani: Eventi Natale 2010

Partecipate agli eventi organizzati dal Gruppo Giovani!

Giovedì 23 Dicembre, ore 19,30
Sala Don Tonino
Presepiando - Estrazione Lotteria

Martedì 28 Dicembre, ore 19,30
Sala Don Tonino
Tombolissima di Natale

Giovedì 30 Dicembre, ora 19,30
Sala Don Tonino
I pacchi nostri

Per informazioni e biglietti: Angelo e Flavia Fiore

Quarant’ore: un’alleanza con Lui

Miei Cari,
dopo i giorni della Settimana Santa, quelli più belli per la nostra Comunità sono quelli delle Quarantore o esposizione solenne del SS. Sacramento.
Come sapete, tradizionalmente si svolgono nei giorni che precedono la Festa dell’Immacolata e tutto facciamo convergere, dall’inizio dell’anno pastorale, a questi giorni di verifica, di adorazione e contemplazione per il nostro cammino di fede.
Sono queste le motivazioni per cui desidero offrirvi alcuni spunti per vivere il più intensamente possibile questi giorni eucaristici. E mi soffermo volentieri su una categoria tra le più belle e consolanti della Bibbia: “Alleanza” – la sentiamo pronunciare nel momento del calice: “il calice del mio sangue nella nuova alleanza”. Quasi il Maestro dicesse: Io, dato in mano agli uomini e crocifisso dal loro cuore indurito; Io, corpo spezzato e sangue versato per la vostra vita, sono il segno estremo e definitivo che Dio è con l’uomo, lo ama e non ha per nulla rinunciato al suo antico sogno di vedere nascere il suo Regno sulla Terra. L’uomo sa di essere necessità di Dio, suo partner, alleato, perché egli completi, tramite la creatura umana, la sua opera di bellezza e di bontà nel mondo. Ciò che non oseremo sperare, è realtà nell’Eucarestia, fu tangibile nell’Ultima Cena a quel pugno di uomini che sembravano amici di uno sconfitto, ma sapevano di esser circondati dalla premura vittoriosa del Padre perché fossero speranza del mondo. Il cristiano è questa chiamata, questa vocazione; prima ancora di percepirla. L’alleanza costituisce il suo essere più profondo, la sua intima verità.
Attraverso l’alleanza il Signore ci ha chiamati ad essere suoi alleati, per parlare di bontà e di misericordia, per trasformare questo mondo da regno della violenza in suo Regno di pace, quando ogni disgraziato lasciato morto per strada «dai ladroni» serviamo l’uomo, in definitiva la «vita». E se questa è la volontà del Dio dell’alleanza, ne segue che per vivere in pienezza l’Eucarestia, dovremo diventare «fratelli, sorelle, madri» del Cristo, intimi a Lui, gente che fa nascere sulla terra la tenerezza e la pace. Nasce di qui la voglia di sentirsi «alleati» di Dio, per compiere la sua opera: «fare di Cristo il cuore dell’universo».
Ci accompagnino questi pensieri nelle giornate eucaristiche che stiamo per vivere.

Cordialmente,
Don Vincenzo


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2000 - 13 Dicembre - 2010
1 ° Decennio di Episcopato di Don Gino
vivas - floreas - gaudeas
gli Amici del SS. Redentore

Michele Cantatore


Celebrandosi il 5° Anniversario della sua scomparsa, ecco il ricordo pronunziato dal
parroco durante il concerto in sua memoria sulla figura di un Laico doc qual’é stato


“A me non interessa né l’ottimista, né il pessimista, mi interessa l’uomo della speranza”. Così scriveva David Maria Turoldo; in tale contesto credo di poter annoverare Michele Cantatore tra le litanie interminabili dei laici santi che vanno componendosi nella storia che il Signore va scrivendo. Michele Cantatore fu l’uomo della speranza, la sua vita fu una conquista graduale, lenta e tormentata nella professione cristiana; una conquista intessuta di alternative, di esitazioni, di accostamenti timidi e inconsci alla luminosa fonte del soprannaturale e infine l’assestamento su una fede granitica che, costituendo l’approdo faticosamente raggiunto, divenne il punto di partenza di una missione che per oltre 60 anni svolse sotto il segno della più illuminata perseveranza nell’ambito liturgico della nostra chiesa di Ruvo. Con suo fratello Domenico è un continuo riandare, ogni volta che ci si incontra, a quei dettagli a volte non emersi chiaramente nella sua vita, ma che dicevano di una passione per la ricerca di Dio che si tramutava in sue composizioni dove la parola contava; non vi erano dissonanze, ma tutto diveniva una sinfonia da elevarti immediatamente al soprannaturale. Le sue numerose composizioni, prima fra tutte la prima delle tre messe intitolate alla S. Famiglia e che risale al 1947 fu eseguita prima dal coro di questa chiesa parrocchiale, le cui componenti non finì mai di elogiare per la fede e la squisitezza dell’impegno e dell’esecuzione. Ci fu poi una seconda Messa a tre voci in latino eseguite fino al 1967, anno in cui ne compose una terza, sempre a tre voci, per l’ordinazione sacerdotale di un presbitero di Ruvo. Ma la prima delle tre messe è quella che lo definisce e ne apre il suo cuore.
Le sue numerose composizioni, il forte attaccamento al canto gregoriano appreso da valenti sacerdoti ruvesi e squisitamente appropriatosene nella sua permanenza presso i benedettini di S. Giorgio a Venezia gli infondeva serenità e pace interiore. Per non parlare dei vari oratori ispirati al canto gregoriano, primo fra tutti quello della “lavanda dei piedi” con la stupenda antifona che lo contrassegnava e che modestamente ritengo la perla più bella di Michele “Exaltabo te Domine‘quamam suscepint me” Ti esalterò Signore perché mi hai ascoltato”.Umile, dimesso, di una pietà senza sofisticazioni, caritatevole, seppe leggere e scrutare i segni dei tempi, si adeguò e aiutò a fare altrettanto la comunità che servì con la musica e il canto liturgico, entrando nello spirito della liturgia rinnovata dal Concilio. I vescovi Taccone, Marena e Don Tonino lo apprezzarono tantissimo per questo suoi ministero.
Se il Vangelo è la buona notizia, non può non essere cantata: di qui il desiderio di fare cantare le belle pagine della Risurrezione di Lazzaro, dell’Annunciazione, del Figluol prodigo. Per queste sue composizioni in Oratorio tanto lavorò e si impegnò anche facendole eseguire fuori della nostra città presso la Santa Casa in Loreto. Ne ebbe apprezzamento e plauso per aver fatto cantare le parole; non ci sarebbe stato bisogno di accompagnamento perché cantava lo stesso testo.
Che dire poi della interminabile sequenza di “laudi” soprattutto alla Vergine: dalla Ave Maria composta per il matrimonio del fratello Domenico, alla Salve Regina e a quella bellissima laude “Salve, regina dei cieli” che immancabilmente faceva eseguire dal coro parrocchiale durante la messa mattutina che concludeva il mese mariano di ottobre in questa parrocchia. E in ultimo non può dimenticarsi il repertorio natalizio con a capo la messa pastorale che egli aveva composta negli anni‘’40 con alcuni temi che i vescovi di Ruvo provenienti dall’Irpinia avevano portato da noi. Ma si misurò anche con alcune pastorali, la più bella fra tutte “Nella grotta poverella”, con testo di Nicola Pende da lui mirabilmente musicato.
Questa mia umile e povera testimonianza si pone questa sera come doverosa riconoscenza a questa luminosa figura di laico che la Provvidenza mi mise accanto nella mia formazione sacerdotale. Mi fu e gli fui sempre accanto, da seminarista, da rettore del Santuario suburbano della Madonna delle Grazie, da vice parroco e parroco di questa diletta comunità. Se il canto caratterizza e offre il meglio durante le nostre celebrazioni si deve a quanto lui ha operato e fatto non soltanto qui ma anche in quelle comunità che hanno fruito della sua formazione spirituale e musicale.
Per concludere, se per obbedire ad una istanza di sintesi vogliamo definire Michele Cantatore dovremo dirlo un uomo di fede: di fede nelle verità rivelate, nella potenza intermediatrice della Vergine Santa, nel progresso della civiltà dell’uomo, nella bontà e fraternità umana. Attraverso la musica liturgica Michele Cantatore visse come vedendo l’invisibile: ciò che solo il cuore, il desiderio, il sogno, l'intuizione rendono visibile.
Quale dono maggiore poteva accordarmi la Provvidenza? Quello di essergli – da solo – vicino sul letto di morte nell’ospedale di Terlizzi quel 5 ottobre di 5 anni fa, di amministragli gli ultimi sacramenti e di vederlo spegnere mentre recitavamo insieme la Salve Regina. Gli occhi di lui, non vedente, si spalancavano nella penetrazione del mistero di Dio, da lui sempre cercato.

I figli, fateli scendere dal trono

Rigorosamente necessario qualche “no” piazzato al momento giusto.
Gli psicologi giurano che in educazione devono prevalere i “sì”, ma aggiungono che qualche “no” pronunciato con fermezza invita i figli alla riflessione e smaschera le false certezze.
Papà e mamma non possono comunque dormire, sono chiamati a vigilare. Da che mondo è mondo, l’educazione è un esercizio da ambo le parti: di chi guida, di chi è guidato alla vita.
È molto interessante un racconto degli indiani d’America sull’iniziazione. In molte tribù i ragazzi, raggiunta l’età della pubertà, vengono sottoposti a una serie di prove, come dormire fuori dalla tenda, lontano dalla famiglia, abituarsi a sopportare la fame, la sete, il sonno. Devono poi sottoporsi a lunghi momenti di istruzione da parte degli anziani. In uno di questi momenti gli anziani che dovevano vegliare si erano stancati e si erano addormentati, mentre i giovani cominciavano a perdersi chi in un modo, chi in un altro.
Nella crescita del figlio è vietato ai genitori di addormentarsi. I genitori sono chiamati ad assicurare ai figli una presenza costante, emotivamente significativa. Vigilare non vuol dire assumere il cipiglio distaccato, significa indicare la strada senza mai stancarsi. Significa fermezza, autorevolezza, capacità di segnare il percorso e porre dei limiti.
Il limite aiuta a comprendere quello che noi siamo, orienta la crescita, ci insegna a metterci nella giusta posizione evitando deliri di onnipotenza. I “no” aiutano a crescere: verità elementare, eppure così poco presente nella prassi educativa. Il figlio cresce quando viene aiutato a comprendere che la felicità non sta nell’aver tutto, ma nel percorrere la strada con le sue gioie e le sue difficoltà. Dal limite nasce la coscienza della responsabilità.
Quando vediamo i nostri figli puntigliosi, irremovibili nelle richieste, perfino impietosi nel volere cose che sono al di là della possibilità materiale, è il caso di domandarci se abbiamo sparso troppi generosi “sì” sulla loro strada dorata. Ora sono adolescenti, ora per loro è normale pretendere una vacanza a Londra, se non ai tropici. Li abbiamo tenuti sul trono. Questo è il dramma. “Signora, dove va a ferragosto?”. E la signora, che tira col marito la vita da affittuaria, si rabbuia in volto. Lei e lui restano in casa, mentre i figli sono in volo felici, contenti e
impassibili a tanta sofferenza.

LUCE DEL MONDO


Il nuovo libro-intervista di Papa Benedetto XVI, “Luce del mondo”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, ha già fatto discutere molto. Il Papa affronta i più importanti temi di attualità e del mondo della Chiesa, come la questione della pedofilia, del matrimonio, dell’omosessualità. Sua Santità ha risposto alle domande dello scrittore e giornalista tedesco Peter Seewald che dal 26 al 31 luglio di quest’anno lo ha intervistato a Castelgandolfo. In particolare ha suscitato interesse ciò che il Papa ha detto sull’uso del profilattico:
“Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’Hiv”. Per Benedetto XVI, “è veramente necessaria una umanizzazione della sessualità.
Concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé”.
È evidente che il Papa non ha dato il placet all’uso indiscriminato del profilattico, ma ha parlato di “casi” che ne giustificano l’uso, ma per una finalità etica: l’umanizzazione della sessualità. Secondo il Papa va compiuto un salto di qualità dal fenomeno dell’uso e consumo del sesso, della genitalizzazione della sessualità, all’amore responsabile dentro cui il sesso gioca un ruolo unitivo e procreativo secondo il disegno di Dio.
Alcuni hanno strumentalizzato le parole del Papa, scrivendo di aperture o di progressi nell’ambito della morale sessuale, semmai soffermandosi sulla prima parte ma non anche sulla seconda, che spiega e chiarisce il suo pensiero. Poiché l’unione dei corpi è un atto d’amore, è cioè di donazione di sé all’altro, l’uso indiscriminato di un contraccettivo lancia un messaggio di segno opposto, cioè di cosificazione dell’altro, inteso come oggetto e non come persona. Da questa visone materialistica derivano molti mali, fra cui la promiscuità, il dilagare di talune malattie, lo sfibramento del tessuto familiare, sottoposto a notevoli tensioni proprio a causa della sessualizzazione dei costumi.
Non si tratta quindi di rinunciare al sesso, ma di farne veicolo di elevazione morale e di donazione di sé, traguardi che si raggiungono se si vive una sana e feconda spiritualità.

Salvatore Bernocco

Spettacolo senza spiritualità

Il recente spettacolo di Avetrana lascia perplessi: su un delitto perpretato in modo orrendo, i riflettori si accendono sulle persone possibili autori: su di loro ogni ricerca, ogni sospetto, ogni parola, ogni gesto per carpirne responsabilità ed altro.
Un silenzio totale si è fatto sulla ragazza uccisa: nessuna riflessione sulle sue doti, sulla sua giovane età, sul significato della tempesta assassina che ha sradicato la sua vita, sul valore di una giovinezza piegata come fragile stelo, sul significato di una vita terrena strappata ma trapiantata dal tempo all’eternità.
Tutto questo linguaggio è stato scaricato dai mass-media che ancora oggi tengono banco e forte audience.
Se si eccettua l’ora dei funerali quando il segno della spiritualità ha irrorato la bara della quindicenne, il restante tempo è stato incapsulato in un desolante commento di ipotesi, dimenticando che anche queste ore di ferocia umana devono esser commentate da un pensiero che rende dignità ai valori della vita.
Solo la voce della madre ha emesso un soffio di spiritualità: “Io credo nella
resurrezione ed allora incontrerò mia figlia”.
Il messaggio spirituale alleggerisce la pesantezza dell’orrido e consente di arginare
il mediatico dei mostri.
Prosegue intanto, in TV, la danza dell’orrendo!

R.F.

Ricordo



La Comunità si raccoglie in preghiera perché il Signore accolga nella sua pace il Card. MICHELE GIORDANO, grande amico del parroco Don Vincenzo e della nostra Parrocchia, onorata dalla Sua presenza nel maggio 2002 per celebrare il 1° Centenario della Chiesa del SS. Redentore.
Si unirà altresì nella Celebrazione in suo suffragio, fissata per l’11 Dicembre.

A U G U R I

Il 7 dicembre di 41 anni fa il Vescovo Mons. Marena ordinava sacerdote il nostro amato parroco Don Vincenzo. L’8 dicembre, Festa dell’Immacolata, Don Vincenzo celebrò la sua Prima Messa. Gli uomini “avranno sempre bisogno di Dio”, e quindi “di sacerdoti”, per cui il sacerdozio cattolico non è una cosa del passato, ma del futuro, scrisse Papa Benedetto XVI ai seminaristi di tutto il mondo dopo la chiusura dell’Anno Sacerdotale. Oggi, soggiunse il Papa, molte persone “pensano che il sacerdozio cattolico non sia una ‘professione’ per il futuro, ma che appartenga piuttosto al passato”. Così non è per diverse ragioni, specie se riflettiamo sulla necessità che ci siano, oggi più di ieri, uomini capaci di indicare una prospettiva spirituale in un’epoca caratterizzata da un ateismo militante, da un relativismo spinto e da un diffuso libertinaggio, dimentica di Dio e lontana dalla Chiesa e dai Sacramenti della salvezza. A Don Vincenzo auguriamo di essere modello di riferimento per il popolo di Dio, di essere un uomo aperto al futuro, di continuare nel suo impegno fattivo di servitore degli uomini, in specie degli ultimi.

Nel Mese

Col pellegrinaggio a Pompei ci introducemmo nel mese di novembre durante il quale la nostra riflessione andò sulla vita che continua oltre la morte; su questo ci istruì il parroco, insieme alle lezioni sul Vangelo che sta proponendoci sul tema: “Gesù e
le donne”. Incontri di verifica e di coordinamento si tennero per catechisti e giovani. Anche i genitori dei ragazzi di catechismo furono intrattenuti dal parroco in preparazione al tempo di Avvento.
Come anche si ebbe la catechesi per le associate alla Madonna del Buon Consiglio. E intanto fervono i preparativi per il Presepe vivente che gli amici del sodalizio di S. Rocco stanno preparando anche per quest’anno. A fine mese, insieme al tempo di Avvento, demmo inizio agli incontri mariani in preparazione alla festa dell’Immacolata, momento forte nella vita della nostra Comunità.
Interessante e benevolmente accolto il Mercatino di Natale, realizzato dalla Caritas parrocchiale. Molto partecipato il Concerto per ricordare il M ° Michele Cantatore nel V anno della sua scomparsa ed eseguito dalle corali di Ruvo sotto la direzione
dei Maestri Rino Campanale e Angelo Anselmi.

Luca

Tornare ad educare…rieducando all’amore

Miei Cari,
il tema o problema della educazione è emerso in forma sempre più consistente in questi ultimi tempi, a fronte del quadro inquietante dei comportamenti giovanili ed alla crescente apprensione degli adulti che si interrogano su cosa fare, così da venire definito “emergenza educativa” che coinvolge tutti, la società civile, lo Stato e la Chiesa.
La Chiesa italiana che Paolo VI amava considerare “esperta in umanità” ha raccolto questa urgenza che Benedetto XVI indica “ineludibile priorità, grande sfida per la comunità cristiana e l’intera società”, intende in questi anni dedicarsi a questo compito per individuarne le cause e prospettare degli obiettivi da perseguire per tornare dall’esilio educativo in cui sembra essersi confinata la civiltà occidentale (Card.Bagnasco).
L’educazione deve poter diventare un cammino che porta ad essere “persona”, deve cioè poter accompagnare ciascun individuo sul cammino che lo porta ad essere persona ad assumere quella forma per cui l’uomo è autenticamente uomo. E ciò ha bisogno di educatori credibili e autorevoli -mi rivolgo particolarmente ai genitori- capaci di generare umanità.
Bisogna allora che ritorniamo alla sorgente: rieducare all’amore. E l’ambito adatto è proprio la parrocchia, famiglia di famiglie che continua a proporre di guardare Gesù, alla sua vita e al suo Vangelo, modello alto ma insieme imitabile per chi voglia vivere autenticamente il suo battesimo.
Perché è seguendo Gesù, uomo perfetto che l’uomo diventa più uomo, come è stato affermato da qualcuno: dal momento che Dio si è fatto uomo, voglio conoscere da vicino quest’uomo. Di qui scaturiscono due proposte di fondo: - l’amore a Gesù, vangelo ed eucarestia, che ci ha chiamati amici e diventa per noi fratello, amico, Salvatore e Signore.- L’amore ai fratelli, così come Gesù ci ha amati, senza misura e fino alla fine, per essere tra noi comunione di mente, di cuore e di azione, fratelli, come una grande famiglia. Tutto ciò ci venne ampiamente ricordato dal vescovo mons. Negro durante la forte esperienza del Sinodo Parrocchiale celebrato nel 1994/95.
La proposta educativa quindi dovrà col nostro impegno e con la nostra tenacia, capace di rinnovare
1) la parrocchia onde sia famiglia di Dio;
2) il dono del sacramento perché la famiglia sia unita, fedele, aperta alla vita, solidale e felice;
3) la professione e il lavoro per la costruzione di un mondo nuovo per contribuire a rendere più umana e vivibile la società.
Contribuiremo così, nel nostro piccolo, col nostro impegno in quel compito così gravoso ma glorioso e urgente, alla sfida educativa che vorremmo tradurre semplicemente: “tornare ad educare”.
È il mio auspicio e il mio augurio.

Don Vincenzo


OTTOBRE A MARIA
Ci ritroveremo ogni sera alle
18,30 per la recita del santo Rosario
e l’Eucarestia.
Il Gruppo Famiglia si riunirà con
altre famiglie alle 20,30.

TRA SOGNI E SPERANZE PER UN PROGETTO DI VITA

Linee pastorali per il biennio 2009 - 2011

Il nostro Vescovo ha da poco consegnato allaa comunità diocesana la sua semplice e convincente riflessione “Tra sogni e speranze per un progetto di vita”, incentrata sui giovani, portatori di desideri di libertà e di gioia in un mondo che pullula di proposte di piaceri e di anarchie. Il giovane è un cercatore di senso, e questa ricerca si sposa col bisogno di felicità e di pace che, ove soddisfatto, rende piacevole il viaggio. Ora, se il cosiddetto mondo intende la felicità come appagamento di un bisogno attraverso le cose, il sesso, il denaro, le droghe, la proposta cristiana va esattamente nell’opposta direzione.
La pace, che nel contesto evangelico comprende felicità, benessere, serenità, ed è data dal Cristo in maniera diversa da come può darla il mondo, quindi in modo pieno ed appagante, viene purtroppo ricercata in taluni surrogati che invece ne soffocano l’aspirazione, insita nell’uomo a ragione della sua provenienza da Dio, che è amore.
La proposta evangelica attiene allo spirito, punta alla stabilità che è una delle caratteristiche della giovinezza.
Può sembrare un paradosso, ma non lo è, giacché lo spirito è sempre giovane a differenza del corpo, che ne costituisce il tempio. La stessa dignità di ogni essere umano sta proprio nell’essere dimora consacrata a Dio, tempio dello Spirito Santo, che è Dio e dà la vita ad ogni età, purché lo si accolga. Non è raro imbattersi in giovani già vecchi ed in anziani ancora giovani, vitali, pieni di speranza, i cui occhi sono luminosi.
Ne ho incontrati molti. La loro ricetta era la preghiera e l’affidamento a Dio. Conducevano una vita semplice ed onesta, senza tanti grilli per la testa. Ecco, l’umiltà sta alla base della felicità, e sarebbe bene che i giovani imparino da subito ad abbracciarla e a condurre una vita sana e dignitosa, laboriosa e piacevole, altruista ed essenziale, allontanando da sé quei vizi che ammorbano l’aria e conducono ad una morte precoce.

Salvatore Bernocco

Lettera di una mamma

Enrico è nato a mezzogiorno di un venerdì. Senza grandi clamori, senza farmi soffrire troppo. Aveva gli occhi chiusi, la lingua penzoloni. Lo guardai e pensai: come è brutto. Ma non ebbi il coraggio di dirlo e dissi: com’è piccino!
Le cose con il tempo non miglioravano.
Tutti sapevano intorno a noi, meno Roberto e io. Ci mandarono da un medico famoso. Quando tornammo a casa rimisi Enrico nella culla, lo guardai e pregai: Signore, Dio dà e Dio toglie: riprenditelo ora. A che serve la sua vita inutile? Non ho mai capito fino in fondo come Roberto abbia reagito, come abbia pregato, come abbia trovato la forza di un abbraccio che mi ha consolato. So per certo che ha pianto pure lui, ma per Enrico ha avuto solo sorrisi e carezze.
Io però ho proprio pregato così: Signore, riprenditi ora questa vita inutile! Da allora continuo a chiedere perdono della mia preghiera orribile, di quel momento disperato. Perdonami Enrico, perdonami. Roberto e io abbiamo imparato che era un figlio come gli altri, solo con problemi diversi. Quando Enrico disse per la prima volta “mamma” abbiamo pianto di gioia, anche se aveva già tre anni. Quando ci correva incontro goffo e barcollante aprivamo le braccia e ci furono istanti di felicità, anche se Enrico aveva già superato i quattro anni. Ci ha insegnato la pazienza.
Quando a quell’epoca nessuno voleva accettare Enrico, né la scuola, né la società, Roberto e io abbiamo imparato ad essere umili, sorridenti, gentili perché qualcuno gli facesse almeno una carezza. Ci ha insegnato l’umiltà.
Quando la gente cominciò ad accorgersi dei bambini segnati da limiti insuperabili, come Enrico e tanti altri, Roberto e io abbiamo cominciato a combattere una battaglia che non è ancora finita, perché Enrico fosse accettato e fossero abbattute le troppe barriere che rendono ancora più difficile una vita non facile. Ci ha insegnato a lottare.
Quando gli altri genitori sognavano per i loro figli il primo posto a scuola, nella carriera, nella società, noi ci accontentavamo dei piccoli progressi di Enrico e che almeno non regredisse. E così Enrico ha insegnato a Roberto e a me a desiderare per i figli la felicità e non la ricchezza e il successo. E’ inutile una vita così?
Dalla Lettera alle famiglie nella prova di

Dionigi Tettamanzi

UNO SPETTACOLO DESOLANTE

Lo spettacolo a cui da tempo stiamo assistendo è a dir poco desolante. Intendiamo riferirci alla vita politica, ai politici, i quali, con le dovute eccezioni, sembrano presi da una serie di questioni che poco o nulla hanno a che fare con i problemi reali del Paese e delle fasce più deboli della popolazione. I problemi della scuola, dell’economia, della pubblica amministrazione appaiono secondari rispetto a faccende quali il legittimo impedimento e talune leggi salvacondotto che sembrano tagliate su misura per i potenti e solo per essi.
Su di esse la politica è avvitata da diverso tempo. Per tacere di scandali piccoli e grandi, di escort e faccendieri, di un sistema corruttivo diffuso e trasversale, di forze politiche radicate al Nord che usano un linguaggio scriteriato e di amministratori locali che discriminano le persone a seconda del colore della pelle ed intendono fare della scuola pubblica una protesi del loro partito.
Lo spettacolo è francamente indecente, tanto da preoccupare la stessa Chiesa cattolica che, per bocca del presidente dei Vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, invita ancora una volta i cattolici “con doti di mente e di cuore” ad entrare nell’agone politico per dare il loro contributo di idee alla costruzione di un Paese più giusto e solidale, specie in questo momento in cui il cosiddetto federalismo, voluto dalla Lega Nord, rischia di dividere il Paese in due o tre macroaree con consistenti vantaggi esclusivamente per le regioni più ricche.
È il disegno della Padania – che non esiste né dal punto di vista storico né geopolitico – che prende forma attraverso l’escamotage ed il pretesto del federalismo. Di fronte allo sfascio delle istituzioni democratiche e a certa politica che pasce se stessa non si può restare indifferenti e tacere. È giunto il momento di dare il benservito a tutti quei politici che si sono arricchiti con la politica e hanno collezionato case e proprietà per sé e per la propria discendenza, alla maniera degli antichi feudatari. Emblematico il caso dell’ex ministro Scajola, il quale – non si sa come – si ritrovava proprietario di un appartamento a Roma a sua insaputa. Caso emblematico e ridicolo. Ma non è l’unico. L’elenco sarebbe lungo ed includerebbe anche i politici delle amministrazioni locali.
Come non ricordare lo scandalo della sanità alla Regione Puglia? Fiumi di denaro pubblici dirottati nelle casse di alcuni imprenditori affinché se ne potessero ottenere favori di vario genere. Anche in questo caso indagati politici, affaristi e direttori generali, con contorno di cocaina ed escort.
Il relativismo etico sta distruggendo la civile convivenza; un’idea distorta di democrazia e libertà sta minando le basi delle nostre istituzioni democratiche; una politica ridotta a bivacco e a mercato delle vacche rischia di allontanare sempre più i cittadini dalle istituzioni. Il cardinale Bagnasco fa pressione perché si sappiano coinvolgere i giovani nella vita politica, “pur se ciò significa circoscrivere ambizioni di chi già vi opera”. Ecco, ci sono giovani dotati di intelligenza e cuore che possono imprimere una svolta alla politica, tuttora prigioniera delle vecchie volpi. La difficoltà sta proprio nelle ambizioni di chi domina i partiti, anche a livello locale, i quali non vogliono rinunciare a nulla, come se la politica non possa fare a meno di loro, o meglio loro non possano fare a meno della politica. Le uniche armi in possesso dei cittadini sono il voto e la partecipazione attiva, consapevole e responsabile. Bisogna eleggere persone serie, competenti ed oneste e poi partecipare, controllare, informarsi. Dove c’è ignoranza c’è delitto e sopruso, ed un metro di misura dell’onesta dell’amministratore locale sta nel suo grado di povertà e distacco dai beni. Se questi, a termine del proprio mandato, non è diventato più ricco di quanto era, anzi più povero, egli è stato un buon amministratore. In caso contrario andrebbe rispedito a casa e dimenticato in fretta.


Salvatore Bernocco

Apparizioni: proviamo a chiarirci

Come mai la Madonna a Fatima e Medjugorje chiede ai veggenti e ai fedeli di fare sacrifici e rinunce per la conversione dei peccatori?
E’ dottrina della Chiesa cattolica che si è pienamente credenti, cattolici, senza credere a nessuna delle numerose apparizioni che hanno costellato la vita della Chiesa.
Quindi si può essere pienamente cattolici senza credere a nessuna apparizione. Nel credo non c’è: credo nelle apparizioni della Madonna, ma credo in Dio, credo nel Padre, nel Figlio, credo nello Spirito Santo ma non c’è una fede nelle apparizioni. Quindi la dottrina è che si è pienamente cristiani e cattolici anche senza credere a nessuna delle apparizioni. Detto questo la Chiesa non esclude, anche se è raro e difficile un intervento dal mondo del sacro, dal mondo del divino all’umanità, o meglio non esclude la possibilità che alcune persone per la loro particolare sensibilità entrino in contatto con questa sfera di Dio nella quale noi siamo immersi. Noi siamo circondati dall’amore di Dio però siamo ottusi, ottenebrati e non riusciamo a percepirne la presenza, alcuni ci riescono e lo formulano.
Quindi non è escluso che ci siano persone che in determinate situazioni entrano in contatto con quella che è la realtà comune ma che normalmente non emerge.
Allora di fronte a questa realtà quali sono i criteri? Il criterio è questo: se il messaggio corrisponde ed è in linea con l’insegnamento di Gesù ben venga, aiuta, quindi è un optional, ma se si distacca anche solo di una parte dall’insegnamento di Gesù, tutto il messaggio va rifiutato.
Allora Maria è una donna straordinaria nei vangeli nei quali gli evangelisti vedono il modello della crescita del credente. Maria è grande, non tanto perché è la madre di Gesù, ma perché ha saputo essere la discepola del Cristo; presso la croce non si trova una donna, una madre che soffre per il figlio, ma la discepola che è pronta a fare la stessa fine del maestro.
Quella della gran parte delle apparizioni è qualcosa che veramente, a me sembra una offesa alla grandezza di questa donna. Quella delle apparizioni sembra una donnetta, una sempliciotta, un qualcosa che veramente fa cascare le braccia. Io non ritrovo la grandezza della donna che emerge nei vangeli, nella Madonna delle tante apparizioni, in quello che dice, in questi messaggi di un infantilismo, di una pochezza di contenuto dottrinale.
Allora non sarà che è una proiezione dell’uomo in Maria di quella che era una realtà antropologica, cioè della società di una volta.
Nella società arcaica il padre non era il nostro papà, il padre era la severità ed era il castigo. I figlioli (lo ricordano le persone di una certa età) non avevano mica con il padre quel rapporto che oggi hanno i figli con il loro papà. Il rapporto con il padre era un rapporto di timore: mai si chiedeva qualcosa direttamente al padre, si andava dalla madre. Mamma quando vedi babbo che gli gira alla buona chiedi se mi fa questo ecc. E la mamma serviva da mediatrice, guarda che il figliolo….. il padre era l’autorità ed era soprattutto il castigo.
Dio mette paura, Dio è il giudizio e la severità, Dio è la punizione, non ci si può rivolgere direttamente a Dio contrariamente a quello che Gesù ha detto: quando volete pregare dite Padre.
Allora a chi ci si rivolge? Si rivolge alla madre, alla mamma che è sempre celeste. Allora ecco qui il ruolo di Maria che è diventata una dea buona che proteggeva gli uomini dalle vendette e dal castigo di Dio. Allora il facsimile delle false apparizioni qual è?
Dio che è stanco dell’umanità, l’umanità che ormai ha raggiunto il massimo della perversione e Dio ha pronto un castigo che non c’è mai stato nella storia dell’umanità. Allora interviene la Madonna, la Madonna che dice che sta tenendo a fatica il braccio carico di ira di Dio. La Madonna interviene e manda al mondo un messaggio e quale è?
Se fate penitenza, se pregate, e c’è una preghiera preferita che è quella del Rosario, se digiunate può darsi che il Signore ci ripensa. A riprova di tutto questo vi darò un segno. Abbiamo detto che non si può escludere un l’intervento del divino nella vita e allora esaminiamolo con il messaggio di Gesù.
In questo facsimile tipico delle apparizioni è un invito a fare penitenza. E io è 30 anni che studio i vangeli e questo invito a fare penitenza da parte di Gesù non l’ho mai trovato! Possibile?
Gesù si è dimenticato di questa cosa tanto, tanto importante che ci salva dal castigo di Dio? Non c’è una sola volta nei vangeli in cui Gesù ci inviti a fare penitenza, allora c’è qualcosa che già mi stona… mortificatevi…
Trovatelo, se nei vangeli trovate l’invito di Gesù a mortificarci può darsi che possiamo cambiare idea. Gesù non invita mai né alla penitenza né alla mortificazione, Lui non è venuto a mortificare, ma a vivificare la vita degli individui. Allora se vi pentite, quindi se vi mortificate, se digiunate… tipico di queste apparizioni mariane è il digiuno, qual è il motivo? Questa Madonna poverina che deve apparire dappertutto continuamente, adesso attualmente compare in ben 12 zone diverse d’Italia, figuratevi nel mondo, questa Madonna poveretta tutta presa da queste apparizioni non ha avuto il tempo di aggiornarsi sul vangelo. E’ rimasta con il vangelo antico quello prima del concilio. Quando con il concilio si è ritornati al testo originale dei vangeli, il greco, si è visto che molte cose non erano o tradotte bene o erano aggiunte successive. Nella religione si chiede un segno da vedere per poter credere, Gesù rifiuta e propone il contrario: “credi, cioè, dammi adesione e tu stesso diventerai un segno che gli altri possono vedere”.

A.M.

MICHELE CANTATORE: cinque anni dopo


Cinque anni fa celebrava la sua Pasqua il caro ed amato M ° Michele Cantatore, amico fedele della Comunità del SS.Redentore e non solo, per un sessantennio Maestro di Cappella della nostra parrocchia.
Un’anima eucaristica. Un innamorato di Dio e della Vergine. Un amico dei poveri, ai quali distribuiva i modesti compensi che percepiva. La sua cecità, contratta in tenera età, non gli fu di ostacolo, anzi ne esaltò l’interiorità, ricca ed evangelicamente feconda. Lo ricordiamo sempre gentile e disponibile, affabile ed amichevole. Il Maestro “Michelino”, come veniva affettuosamente chiamato, è stato un faro per la nostra città e per la comunità dei fratelli di fede, come lo sono state altre figure di servitori discreti e silenziosi del Signore, la cui santità, se non è stata stabilita dall’autorità della Chiesa, sta nei fatti, nelle opere compiute, negli animi confortati e sollevati, nella memoria della comunità. L’eroismo delle virtù potrebbe trarre in inganno, se non fosse che per eroico si intende una capacità di amore che si dispiega quotidianamente e con costanza, superando quegli ostacoli nei rapporti umani, quelle incomprensioni e difficoltà che sono il banco di prova per ogni cristiano. Il M ° Cantatore è stato un esempio di pazienza e carità cristiane, un eroico testimone del Vangelo. La conoscenza della musica ne affinò la sensibilità, ed ogni sua esortazione era finalizzata ad accogliere il Vangelo con fede e speranza, confidando nell’amore di Dio che non viene mai meno. Egli stesso si fece prossimo per il suo prossimo.
È quanto dovremmo fare tutti noi, in un continuo travaglio interiore per essere migliori, più autentici e veri, meno legati alle cose contingenti e che durano lo spazio di un attimo, più consapevoli che è sulla carità che ci giochiamo tutto. Se Dio è amore, è su questo che saremo giudicati. Il M ° Cantatore fu un cantore di Dio e del Suo amore per noi. Lo ricordiamo con immutato affetto, nella certezza che egli è alla presenza di Dio e di lì ci accompagna.
* * *

Nel Mese

Il mese si è caratterizzato per vari incontri, compreso quello del Consiglio Pastorale e l’Assemblea del sodalizio di S. Rocco per la programmazione annuale. Si è passati poi a quelli per le varie associazioni e movimenti parrocchiali; un incontro più mirato è stato quello per l’impostazione dell’anno catechistico e quello circa il Gruppo Famiglia che ha‘espresso come responsabili Vincenzo e Lucia Rossini. Lo stesso gruppo ha presentato delle linee orientative circa la formazione e la vita intera dello stesso. Sono riprese poi le lezioni sul Vangelo il cui tema per quest’anno è “Gesù e le donne”. La Comunità ha poi riaccolto l’antica statua di S. Rita dopo accurati restauri da parte del cartapestaio leccese Rocco Zappatore. Il parroco ha benedetto la statua che processioanalmente è stata portata in chiesa dove una moltitudine di fedeli della città ha partecipato alla Eucarestia. È seguita la benedizione e la distribuzione delle rose da portare agli ammalati. La stessa cosa è avvenuta per la festa di S. Pio preceduta da un triduo e dalla veglia della sera del 22 cui ha partecipato tanta gente, mentre la celebrazione è stata presieduta da un padre della Comunità di Betania in Terlizzi. Una rappresentanza della comunità ha poi partecipato al convegno diocesano di inizio d’anno tenutosi a Molfetta, mentre il parroco ha presentato le linee pastorali che il Vescovo don Gino ha dettato durante lo stesso convegno. I gruppi parrocchiali hanno poi festeggiato alcune coppie che hanno celebrato il 25° e il 50° del loro matrimonio.


Luca

Pronti per seminare ancora



Miei Cari,
credo condividerete con me che le vacanze che volgono al termine siano un tempo opportuno per dar gloria a Dio per le meraviglie del creato, mentre il corpo si riposa un po’ dalla fatica e dallo stress e la mente “ascolta il silenzio” per andare col pensiero al Dio creatore. In tale contesto voglio proporvi alcune riflessioni a conclusione di questo periodo estivo e sulle quali mi sono
soffermato durante i bellissimi giorni del campo scuola vissuti con i nostri ragazzi, guidati da alcune coppie del gruppo famiglia. Tutto ciò al fine di “raccogliere per seminare ancora”.
Si raccolgono difatti grappoli dorati per un vino di qualità che darà tono e colore nei momenti di convivialità; si miete e si raccoglie il grano per il pane che degusteremo e per seminare nuovamente. C’è chi parlò di estate come “vendemmia del diavolo”, altri hanno parlato di “vendemmia del Signore”. Sì. Perché crediamo che
insieme alle debolezze umane, forse (spero proprio di sì) ci siamo arricchiti di tanti bei frutti in termini di relazioni nuove o ritrovate, di lavoro nei gruppi
formativi e altre occasioni costruttive da non lasciar cadere. E comunque la vendemmia, del diavolo o del Signore che sia è di ogni stagione, ogni giorno ne conosce almeno una. Per il Signore tutte le stagioni sono buone per dare frutto e non è il caso da accampare scuse per attendere tempi migliori: è questo il momento di amare. È tempo di raccogliere e ancora di seminare. Siamo all’inizio d’un nuovo anno pastorale: “Chi ha orecchi da intendere, intenda”.
Cordialmente e buon anno pastorale

Don Vincenzo



Domenica 19 settembre
Rientra in Ruvo la venerata
statua di
S. Rita da Cascia

il cui restauro è stato curato dagli
artefici leccesi Zappatore - Galati.
Alle 18,00 presso la chiesa di S.
Rocco avrà luogo la benedizione
del simulacro che processionalmente
sarà riportata in
Parrocchia per la solenne
Celebrazione Eucaristica con la
benedizione delle rose per gli
ammalati.

L’angolo della famiglia

Ti amo… e te lo dico!


Vorrei parlare in questo articolo sui gesti e linguaggi nella relazione d’amore.
Può apparire scontato richiamare il fatto che l’amore tra uomo e donna, essendo una comunione totale sul piano del corpo e dello spirito, coinvolga anche la gestualità fisica, che ha una sua espressione particolarmente significativa nel gesto sessuale. Ciò che non è altrettanto scontato è richiamare che la gestualità dell’amore uomo donna non è soltanto la gestualità sessuale genitale. Oggi c’è molta confusione in proposito. Dire ti amo alla persona amata si pensa che sia sottinteso di fare sesso subito, altrimenti quella parola non si può pronunciare.
Gli adolescenti in particolare, pensano che l’amore si risolva nel discorso genitale. Dire amore è qualcosa di molto più grande, impegnativo, di più profondo.
Quando una coppia per vari motivi non può più esprimere l’amore col linguaggio della genitalità, allora non può più pronunciare quella parola?
Penso che la risposta sia scontata. Penso a quella moglie che appena sposata si trova ad accudire il marito paralizzato in un incidente stradale. Mi diceva ho capito ancora di più in quel momento cosa significasse amare mio marito. Per ovvi motivi non ci potevamo esprimere l’amore con tutte le espressioni possibili. Ma mai abbiamo messo in discussione il nostro amore. Anzi si connotava di più profondità e autenticità quando amo una persona e le dico ti amo, la prima preoccupazione non deve esser quella di portarsela a letto, questo non è amore ma egoismo. Viviamo in un contesto in cui la relazione è fortemente sessualizzata, al punto, come dicevo sembra che tutto sia riducibile alla sessualità nella sua forma di genialità. Ho voluto fare questa premessa perché la gestualità non venga banalizzata.
L’amore è relazione personale. E come ogni relazione non si fonda solo sui gesti fisici, ma sul significato condiviso dei gesti. Ogni relazione d’amore ha un suo linguaggio proprio con “parole” proprie.
I gesti d’amore tra l’uomo e la donna espressi fuori dal loro contesto d’amore hanno altri significati e possono addirittura diventare un linguaggio materialmente corretto, ma falso non solo per l’intenzione di chi li compie, ma per quello che esprimono e comunicano. Occorre verità nei gesti soprattutto quando si è fidanzati, e ci si prepara ad un rapporto stabile dentro un progetto matrimoniale. Mi diceva una fidanzata: quando ci esprimevamo l’amore lui premetteva sempre la preoccupazione che se la storia finiva almeno si potesse rimanere amici. Questa era una preoccupazione di uno che sviliva la gestualità, che non capiva sufficientemente il linguaggio autentico dell’amore, come conferma di quello che dicevo nella premessa. Amore è una parola meravigliosa, impegnativa, non di due persone che si sfruttano, si usano, e si lasciano, ma che si rispettano.
Una caratteristica propria dell’amore coniugale è di essere una comunione di tutta la vita. “Intima comunione di vita” sostiene il documento conciliare Gaudium et Spes al n. 48, una comunione che coinvolge tutta la realtà personale dell’uno e dell’altra. L’essere umano è fatto di corpo e di spirito, la comunione coniugale implica non solo gesti corporei, cosa scontata, ma richiede che questi gesti corporei siano comunicatori dello spirito, affinché la comunione si realizzi. Solo in tal modo si salva e si costruisce l’unità della coppia. Invece quando è solo ricerca di corpi capiamo perché la coppia scoppia. Si spiegano così le evasioni coniugali.
Certo occorre progredire in questa unità di coppia.
Non si è mai sufficientemente preparati.
Proprio per l’unità corpo e spirito, il corpo umano è mediatore di ogni comunicazione della persona e mediatore di ogni relazione. La psicologia ci ha resi consapevoli che la comunicazione dell’interiorità passa attraverso la parola, intesa non solo come parola verbale: parola è la posizione del corpo, il modo di stare seduti, il modo di gesticolare, il modo di guardare, l’espressione del viso, il modo di vestire è un messaggio, verso la persona che ami, il modo di curare i capelli, un regalo, un servizio. Non c’è vera amicizia se non ci si vede mai figuriamoci in un rapporto di coppia stabile non avere il tempo di fermarsi per esprimere con tutto se stessi il proprio amore, si rischia di essere dei separati in casa. E quante situazioni del genere. Vi prego fermatevi nelle proprie case, trovate un tempo significativo per voi, ne beneficia la profondità del vostro linguaggio d’amore. Ne beneficiano i vostri figli che vedendovi innamorati e ricchi di stima reciproca, nella vostra gestualità avranno un bel messaggio verso la vita. Mi diceva una bambina: io non ho mai visto mio padre che accarezza mia mamma. Questa bambina aveva capito tutto. Perché abbiamo bambini pessimisti, insicuri, incupiti in una tristezza disarmante, perché nelle nostre case non si dice più ti amo, ti stimo, ti adoro. Ecco il contenuto profondo della gestualità autentica del linguaggio di una coppia che dice di amarsi. Altrimenti lasciamo perdere.
Altrimenti succede che mentre stai con la persona che dici di amare, hai già nel cuore il proposito di tradirla. L’ipocrisia in un rapporto di coppia ne costituisce la sua morte.
Parole e gesti devono camminare in piena sintonia col cuore. Ogni coppia sa bene che una delle fatiche del costruire la comunione coniugale è quello di capirsi. Capire il modo di essere del proprio partner e il suo modo di agire.
Capire le sue intenzioni. È spesso una fatica necessaria. Ogni coppia sa bene che talora non c’è bisogno di grandi cose per capirsi profondamente e sentirsi in piena comunione: basta uno sguardo o una dolce carezza.
Spesso i grandi sentimenti passano attraverso un semplice fiore, non solo di natura botanica il cui valore materiale è praticamente nullo, ma il cui valore simbolico è immenso.
Ciò significa che quello che dà senso e pienezza alla relazione, non sono sempre i grandi gesti, ma cosa c’è della persona in quei gesti anche piccoli ma che debbono essere quotidiani. I gesti sono importanti per la comunione di coppia, senza di essi non c’è comunicazione, ma non sono i grandi gesti che fanno la comunione, quanto la quotidianità della gestualità e del linguaggio dell’amore di coppia. Tutto questo non ha, né vuole avere il senso di svalutare la sessualità e la genitalità di coppia, ma di porla nel suo giusto contesto dell’insieme del linguaggio dell’amore coniugale, il quale non usa solo una parola, ma tutto un vocabolario e tanto più il vocabolario del cuore è ricco, tanto più la relazione diventa un poema d’amore. Giovanni Paolo II così si esprimeva in proposito: è tutta la persona, con tutta la ricchezza del linguaggio del corpo e dello spirito che deve partecipare a costruire la relazione d’amore. Solo così il corpo diventa manifestazione della persona e realizza il significato sponsale che gli è proprio. Questo significato sponsale si realizza in pieno quando la nuzialità del corpo diventa espressione della nuzialità dello spirito.
La chiave dell’armonia non sta nella riuscita della copulazione, bensì nella fioritura della nuzialità delle anime. Ciò significa che è l’intesa delle anime che deve guidare e suggerire le parole del linguaggio gestuale dell’amore e non viceversa. I gesti debbono liberarsi della loro istintività e della sola emotività per caricarsi di significatività e bontà. Solo così non avremmo col tempo degli annoiati in amore ma degli incantati, che si dicono sempre rispetto, stima, considerazione, in una parola amore.


Padre Lino Sibillia

In difficoltà con i testimoni di Geova

Il dialogo con i testimoni di Geova è messo in crisi dalla difficoltà pura e semplice di trovare un orizzonte comune ove svolgerlo. La Bibbia dovrebbe essere la base per l’incontro: è per questa via, infatti, che si sviluppa l’ecumenismo tra le varie chiese e denominazioni cristiane.
Ma anche qui i testimoni di Geova alzano una barriera che è difficilmente sormontabile, perché è di principio e di metodo. La versione biblica dei geovisti italiani è condotta sull’inglese e non sull’originale ebraico e greco. Non esiste nessuno studioso qualificato e rigoroso dell’esegi biblica di fede geovista. Non mancano interventi faziosi sui testi.
I testimoni adottano un metodo di lettura che è inaccettabile in partenza. Ignorando che la Bibbia è parola di Dio espressa in parole umane e legata a una storia, a una cultura, a un tempo e a uno spazio e a un suo sviluppo, essi la leggono non nel valore che quelle parole avevano, ma così come esse suonano. Essi, che spesso conoscono approssimativamente la Bibbia, selezionano invece i passi secondo il loro interesse. Il più delle volte, però, essi usano un numero ristretto di citazioni frammentarie, estrapolate dal loro contesto e, quando fa comodo, non più interpretate letteralmente ma molto liberamente. Si tratta di una lettura confusa e arruffata, ora rigida ora evanescente, che ignora la sequenza dei testi, ma li smembra e li unisce secondo le proprie necessità. È chiaro che con una simile impostazione di principio e di metodo è difficile, per non dire impossibile, dialogare in modo costruttivo non solo da parte del fedele ma anche da parte del biblista serio, cattolico, ortodosso o protestante.

“Viaggio spirituale nella Chiesa del SS. Redentore di Ruvo”

Un cammino spirituale reso possibile dalla frequentazione del tempio, dalla “contemplazione” dei suoi tesori di grazia e santità. In “Viaggio spirituale nella Chiesa del SS. Redentore di Ruvo di Puglia”, il nostro capo redattore, Salvatore Bernocco, nel rendere omaggio all’impegno pastorale del Parroco in occasione del 40° anniversario di sacerdozio, indica alcune direttrici spirituali di marcia, sintetizzando il messaggio di alcuni santi la cui devozione è molto sentita nella comunità del SS. Redentore. Un lavoro ricco di spunti per un’analisi dello stato dell’anima e per cogliere il valore di una comunità attenta alle tradizioni ed aperta al futuro.

L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa

È indubbio che gli studi teologici sono causa di incomprensioni e, talvolta, di “scomuniche” preventive, laddove invece dovrebbero contribuire all’approfondimento della Parola di Dio per una maggiore comprensione del mistero dell’incarnazione del Cristo, del suo messaggio di salvezza, talvolta annacquato in senso troppo umano oppure spiritualizzato al punto di renderlo distante dalla concreta realtà dell’uomo. La Pontificia Commissione Biblica col documento “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” del 1993 ha ben chiarito che “l’esegesi cattolica deve […] mantenere la sua identità di disciplina teologica, il cui scopo principale è l’approfondimento della fede.
Questo non significa un minore impegno nella ricerca scientifica più rigorosa, né la deformazione dei metodi a causa di preoccupazioni apologetiche. Ogni settore della ricerca (critica testuale, studi linguistici, analisi letterarie, ecc.) ha le sue proprie regole, che deve seguire in piena autonomia. Ma nessuna di queste specialità è fine a se stessa.
Nell’organizzazione d’insieme del compito esegetico, l’orientamento verso lo scopo principale deve restare effettivo e fare evitare dispersioni di energie. L’esegesi cattolica non ha il diritto di somigliare a un corso d’acqua che si perde nelle sabbie di un’analisi ipercritica.
Adempie, nella Chiesa e nel mondo, una funzione vitale: quella di contribuire a una trasmissione più autentica del contenuto della Scrittura ispirata”.Tuttavia, se occorre conservarne l’unitarietà, è altresì indubbio partire dal presupposto che “l’interpretazione deve necessariamente essere pluralistica.
Nessuna interpretazione particolare può esaurire il significato dell’insieme, che è una sinfonia a più voci. L’interpretazione di un testo particolare deve quindi evitare di essere esclusiva”. Nessuno ha quindi il monopolio dell’interpretazione, che abbisogna di contributi umili e generosi, evitando di incorrere nella tentazione di stabilire che vi sia come una sorta di dogma interpretativo. Ciò detto, non possiamo non sottolineare, ad esempio, il pensiero di santa Caterina da Siena, secondo la quale l’Esegeta per eccellenza è Cristo: più siamo uniti a Cristo più conosciamo in profondità la Sacra Scrittura.
Quindi, in sintesi, se non possiamo fare a meno degli studi biblici, dobbiamo in ogni caso sottolineare che il senso profondo delle S. Scritture è rivelato dal Signore alle coscienze.
Lo Spirito Santo illumina gli ultimi, coloro che mancano di scienza umana, ma non di sapienza secondo Dio. Fa riflettere la circostanza che la Vergine Maria si sia rivelata a gente umile, mai ai sapienti della terra. In loro c’è spesso supponenza, distinguo, esercizio di lana caprina, mentre negli umili c’è accoglienza incondizionata e fede limpida. E la differenza, forse, sta tutta qui.

Salvatore Bernocco

Camposcuola 2010 - “Villaggio Boncore” - Torre Lapillo

Svegliaaa… noi ci siamo!


Svegliaaa! Questo il “grido di battaglia” dei 25 ragazzi che hanno partecipato al camposcuola 2010 organizzato dalla nostra Parrocchia con la collaborazione di tre laboriose coppie del Gruppo Famiglia, Franco ed Anna, Biagio e Nicoletta ed Angelo e Mary, dell’instancabile Signora Maria, del simpaticissimo Nicola e, ultima ma indispensabile, la nostra Ninetta che prima a destarsi ed ultima a ringraziare il Signore della giornata concessa, ha vestito i panni di mamma e maestra conquistando la sincera stima e l’immenso affetto di tutti noi; il tutto sotto la guida spirituale del nostro parroco Don Vincenzo.
Dopo questo doveroso tour di presentazione, ritorniamo al nostro grido di battaglia con cui eravamo soliti salutare il sole e cacciar via la sonnolenza mattutina tipica di chi si è addormentato la sera soddisfatto e appagato della giornata trascorsa. Recitate le lodi, riassettate le stanze e paghi di una buona colazione le nostre giornate si sono svolte tra mare, sole, divertimento, turni di corvee, tornei sportivi e serate danzanti senza mai dimenticare il vero motivo di questa iniziativa estiva: convivere e socializzare in nome della più pura fratellanza cristiana. Ancora una volta l’ormai compatto Gruppo Giovani Parrocchiale si è riconfermato come presenza ferma nella nostra Parrocchia. Presenza in grado di dimostrare, nonostante la giovane età dei più piccoli, che l’entusiasmo e la gioia di vivere dei ragazzi lodano il Signore non meno di un avviato gruppo di cammino spirituale, tentando sempre di svegliare e rinnovare la nostra comunità. Ancora un grazie ad Angelo che ha animato le nostre giornate e le serate; a Ninetta la cui abilità culinaria ha sfamato il nostro appetito e ammaliato il nostro palato.
Svegliaaa! Il Gruppo Giovani è tornato!
Arrivederci alla prossima…


Flavia Fiore

Nel Mese

Due mesi pieni di attività quelli trascorsi.
Soprattutto per le realizzazioni di quelle stive concernenti l’oratorio e il campo scuola. Infatti numerosi ragazzi con i loro animatori hanno allietato con le loro attività e i loro giochi i dintorni della parrocchia vivacizzando il quartiere.
Tutto è avvenuto mentre alcune parrocchie chiudevano i battenti dell’oratorio estivo da esse realizzato.
C’è stata poi la fase del campo scuola che si è svolto ancora una volta a Boncore di Nardò dall’8 agosto. Sono state alcune coppie del gruppo famiglia coordinate da Angelo Fiore ad animare il numeroso gruppo di giovani e giovanissimi che hanno ampiamente soddisfatto le aspettative del parroco e dei suoi collaboratori. Il grazie sentito va anche a D. Pasquale Rizzo, parroco emerito di Boncore e Torre Lapillo. I fedeli si sono dati poi appuntamento per la festa di S.Maria Goretti e soprattutto per quella di S. Anna che ha registrato tantissimi devoti, soprattutto gestanti per le celebrazioni e il novenario in suo onore.
Giornate liete sono state vissute per festeggiare la Madonna della Rigliosa e quella della Difesa durante le quali il parroco ha intrattenuto i fedeli sulla vera devozione alla Madonna e sulla irrinunciabilità di essa come autenticazione del cammino personale di fede. Tra gli altri momenti di particolare intensità vanno ricordate le feste dell’Assunta che è tanto sentita nella nostra Comunità con quella di S. Rocco il cui simulacro d’argento è stato portato processionalmente il 16 agosto per il corso cittadino. Alcune date e anniversari non ultimo quello di parrocato di don Vincenzo (28 agosto) e altre di matrimonio hanno visto in piena e cordiale attività il Gruppo Famiglia Parrocchiale. Più volte ci si è incontrati a Villa Jazzo de’ Cesare e alla Difesa per serate di fraternità sia con la famiglia sia con i giovani che hanno vissuto l’esperienza del Campo Scuola o dell’Oratorio estivo. E proprio i ragazzi dell’oratorio hanno vissuto una bellissima giornata animata alla Difesa da Michele e Anna. Non è mancata l’adorazione comunitaria animata dal Gruppo Eucaristico parrocchiale e da quella di P. Pio. Insomma due mesi intensi che tutto hanno predisposto per riprendere il lavoro parrocchiale che sta per ricominciare.


Luca

Educarci per educare

Miei Cari,
vorrei tentare di proporvi alcune riflessioni sul tema della educazione che il Papa e i vescovi ritengono “ineludibile priorità, grande spia per la comunità cristiana e per l’intera società”.
Chissà che in questi mesi estivi non riusciate a trovare qualche momento per rivisitare l’argomento, per ricuperare il senso della “relazione” tra le persone e della appartenenza ecclesiale.
Oggi infatti è necessario ricuperare una convinzione e cioè che è possibile tornare ad educare. Se educare non è mai stato facile, oggi appare più difficile soprattutto per quel senso di smarrimento e di sfiducia che coglie proprio coloro che sono preposti al compito educativo.
Genitori, insegnanti, sacerdoti ed educatori a volte sono come in panne nel senso che i primi non possono lasciare a se stessi i figli, gli altri per le difficoltà che incontrano nella missione della formazione dei ragazzi e dei giovani soprattutto dovendosi coniugare la crescita delle persone e la libertà in cui uno è chiamato a realizzarsi.
Ce lo ha ricordato il card. Bagnasco che avendo assistito al progressivo venir meno del compito educativo, bisognerà “ritornare dall’esilio educativo” in cui sembra essersi confinata la civiltà occidentale.
Il Papa è tornato a ricordarci il compito insostituibile della educazione e della coscienza perché, come nessuno può darsi la vita da solo e nessuno è all’origine di se stesso, nessuno può diventare adulto da solo.
Da dove cominciare? In quale direzione muoversi? Il vescovo don Gino ci ha fornito ampi spunti a riguardo e sui quali faremmo bene a ritornarci. Un dato di fatto è che la società in cui viviamo sta progressivamente perdendo il senso della relazione.
Mentre la Parola di Dio, sin dalle prime pagine della Bibbia ci orienta all’incontro con l’altro, noi avvertiamo la tendenza a ricercare prevalentemente o unicamente se stessi. È l’egoismo. La proposta cristiana è ben altra cosa. L’individualismo mina alla radice la relazione personale e la solidarietà, genera solitudine e paura, chiusura e rifiuto dell’altro. Ma, scrive Levinas “è il volto dell’altro che ci interpella e ci guida verso la più difficile delle virtù: la responsabilità”.
Dignità e valore della persona anzitutto: “Avete un solo Padre nei cieli e voi siete tutti fratelli”. È la vera emergenza educativa. La parrocchia allora non può non presentarsi come movimento di educazione e rieducazione all’amore.
A volte capita che in parrocchia ci siano frequenze e organizzazione impeccabili, ma all’interno ci sia chi soffre fame e solitudine e nessuno se ne dà pensiero.
La parrocchia viene indicata come “ambito privilegiato per la formazione della mentalità e comportamento dei membri che la compongono, capace anche di generare cultura nel contesto umano in cui vive, essendo “chiesa” in mezzo alle case degli uomini. Tutti insieme, consapevoli e fiduciosi di poter assolvere questo compito.
Ricordiamo, miei Cari, che la Chiesa deve rimanere “casa e scuola di comunione”.
Questo periodo di riposo ci confermi sempre più in questo itinerario di educazione e rieducazione all’amore verso una parrocchia “famiglia di Dio”.

Buone vacanze
Don Vincenzo


“La bontà è una delle forme più alte di intelligenza!”.
Saramago J.

La tempesta non distrugge le radici

Ci fu tempesta; all’esterno sembrava tutta una distruzione dell’esistente; ma fu una illusione: le radici dell’albero secolare non furono distrutte!
Così c'è da dire sull’ultima tempesta mediatica circa la figura sacerdotale.
Tanto nerume, tanto soffiare di venti impietosi con l’intento anche di sradicare la necessaria esistenza del ministero sacerdotale nel mondo… ma in effetti le radici resistettero all’urto violento. Stampa, radio, Tv da ogni parte del mondo comunicavano casi vissuti in tempi lontani ed oggi riesumati quasi a legittimo fondamento di una tesi macabra e dissoluta.
Ma la tempesta purifica non distrugge; il dopo-tempesta fa ritrovare l’ambiente più composto e fa ritornare ogni cosa alla sua genuina originalità.
Il sacerdozio cattolico non può essere vittima sacrificale delle sfide culturali dell’oggi che marciano sulle onde del nichilismo. È nato nel Cenacolo dove in effetti aleggiava l’ombra della fragilità, ma altrettanto v’era la presenza forte e decisa degli Undici che portarono il messaggio cristiano in tutto il mondo.
La presenza della fragilità non è sinonimo di vulnerabilità collettiva… ed ecco oggi, dopo la tempesta, sul volto della Chiesa vi si legge qualche ferita ma non certo la sconfitta, né la fuga in massa.
Si va avanti: ci sono i sacerdoti dalle mille pietre preziose di una oblatività senza confini, di una carità trasversale verso anche i lontani, di una creatività che sfida i progetti umani, di una realizzazione di opere che rende possibile il grido: è un mistero.
E nel mistero del mondo che si accompagna anche il mistero del prete,lievito del bene che non fa clamore.


Raffaele Faccio

BONIFICHE E CONVERSIONI: PER UN’ ESTATE DI RIPENSAMENTI

Stamattina, appena alzato e prima di correre al mare, mi sono casualmente imbattuto in un pensiero del padre gesuita indiano Anthony de Mello (1931-1987): “La religione non è una questione di rituali o di studi accademici. Non è un tipo di culto o compiere delle buone azioni.
La religione consiste nello sradicare le impurità del cuore. Questa è la via da percorrere per incontrare Dio.” È proprio così: la religione può essere una manifestazione puramente esteriore che lascia intatto il desolante quadro interiore.
Nessun reale cambiamento, nessuna bonifica dei pensieri, nessuna conversione del cuore, ma esteriorità, rituale, paravento che cela ogni sorta di deficienza morale e spirituale. Quelle che de Mello chiama “le buone azioni” possono anch’esse veicolare all’esterno il nostro egoismo, per cui compio una buona azione per gratificare il mio ego piuttosto che per vero amore del mio prossimo. Peggio ancora sarebbe compiere una buona azione per amore di Dio e non dell’uomo, col quale Dio ha voluto identificarsi.
E che dire di certa teologia (gli “studi accademici”) che scava nel mistero insondabile di Dio, confondendo le acque e tramutando il Vangelo in testo filosofico? Comprendere sempre meglio il Vangelo non implica un atto o uno sforzo intellettuale, ma l’adozione di un altro modus vivendi: farsi piccoli, perché soltanto i piccoli, gli umili, i dimenticati hanno accesso alle profondità del mistero di Dio. È Dio stesso che si mostra ai suoi piccoli senza mediazioni umane. L’accesso al cuore del Padre dei poveri è precluso ai dotti ed ai sapienti. Lo ha detto il Cristo: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25-30). Chi sono “i piccoli”? Qualcuno asserisce che siano i discepoli.
Può darsi, sebbene preferisca pensare agli umili, ai pastori che si recarono alla grotta di Betlemme, ai tre pastorelli di Fatima, a Bernadette Soubirous, all’indio Juan Diego, al quale apparve la Madonna a Guadalupe, in Messico, a san Francesco D’Assisi.
Povertà nel senso letterale del termine, semplicità, assenza di beni cui attaccarsi, rinuncia e distacco dalle sicurezze del denaro e del potere per aderire alle ricchezze del Cristo. Dobbiamo essere sinceri. Dire la verità non è mai peccato, anzi. C’è una parte della Chiesa-istituzione che cinguetta col potere. Ci sono stati e ci sono esempi nella Chiesa cattolica da non seguire. Alla implacabilità dei principi morali impartiti al popolo dei fedeli non sempre ha corrisposto un comportamento moralmente ineccepibile da parte di molti aderenti alla Chiesa cattolica, si tratti di prelati, di sacerdoti, di suore o di semplici fedeli laici. Portiamo sulle spalle un fardello pesante di responsabilità verso il mondo, al quale avremmo dovuto rivelare il Cristo nella sua onnipotenza d’amore e di salvezza. Sua Santità Benedetto XVI ha ammesso, con verità e senza mezzi termini, che il pericolo peggiore per la Chiesa viene dal suo interno, dal peccato dei suoi membri. È una dichiarazione di forte impatto e dalle molteplici prospettive, cui faranno seguito atti consequenziali. Questo Papa non è affatto debole, sta affrontando con coraggio e fermezza molti nodi venuti al pettine, e lo farà al meglio delle sue possibilità.
È una fase di catarsi e di conversione dei cuori. È una stagione delicata, dolorosa, ma necessaria. Dal male Dio trarrà il bene. Ciascuno di noi è interpellato a collaborare a questo rinnovamento morale e spirituale, partendo da se stesso, dalle proprie azioni, dalle proprie idee, che vanno ri-orientate. Bonificarci per bonificare ed essere meno indegni di Colui che diede la vita per noi. È il compito per questa estate. Arrivederci a settembre!

Salvatore Bernocco

Riconciliarsi con il creato

“Cara Madre natura…” Non desta più di tanta meraviglia, ai giorni nostri, imbattersi in una lettera che abbia come destinatario Madre Natura, con tanto di lodi, ringraziamenti, perfino scuse. Se da una parte, lodevolmente, sta crescendo l’attenzione nei confronti delle problematiche ambientali, dall’altra sembra si stia scivolando verso un’assolutizzazione: la natura viene personificata e venerata quasi come una divinità. Una nuova religiosità? Da sempre l’uomo venera con tremore quando non riesce a controllare. Alluvioni, terremoti e calamità di vario genere fanno temere che la natura si stia ribellando e la risposta degli “umani” è la paura, piuttosto che l’amore.
L’uomo è così indotto più a idolatrare che a custodire la natura. C’è sicuramente bisogno di riconciliarsi con l’ambiente, ma la sua divinizzazione non sembra una via rispettosa della realtà del cosmo, tanto meno dell’uomo.
“Laudato si, mi’ Signore, per sora nostra matre terra”. San Francesco amava la natura o, meglio, il creato. Chiamava la terra, con accenti di amore riconoscente a Dio, “sorella e madre”: la natura non era per lui un tabù intoccabile né una realtà di cui abusare. Tutto quanto viveva sulla terra era “fratello” dell’uomo: persino il fuoco che gli doveva curare dolorosamente la cecità; anche la morte, perché lo metteva in comunicazione con un mondo più vero e più grande. Egli ci ha insegnato che possiamo sentire la presenza amorosa e paterna di Dio per tutto il creato e sentirci fratelli di tutti gli esseri, nati come noi dall’unico Padre. Il Santo di Assisi era davvero un uomo riconciliato con il creato: vi leggeva il progetto di quella bontà-bellezza che Dio ha impresso in ogni cosa all’atto della creazione.
E’ ancora attuale il suo insegnamento?
Questi giorni offrono a molti la preziosa occasione di fermarsi per contemplare e osservare il creato nella sua bellezza e fragilità.
L’augurio è che il nostro sguardo ci permetta di riconoscere e assaporare il dono di Dio che si manifesta attraverso le meraviglie della natura, consegnandoci il mandato di custodirla, di prendercene cura. Lo stupore possa prendere il posto della volontà di sfruttare e l’amore quello del timore.


Nicola Tonello

Amabilità

1) Muoveremo una guerra accanita e senza tregua agli sgarbi, alle risposte
impertinenti, alle piccole e meschine ribellioni dell’amor proprio.
2) Non opporremo mai un “no” reciso e non giustificato a qualunque ordine
ed anche desiderio dei genitori, superiori o a qualunque piacere che ci verrà
chiesto dal nostro prossimo.
3) Non ci mostreremo mai né contrariati, né malcontenti, né di cattivo umore.
4) Reprimeremo, appena ci accorgiamo, un moto primo di impazienza ed
elimineremo bestemmie e volgarità.
5) Penseremo ogni mattina come potremo far piacere ad un compagno che non
ci è soverchiamente amico.
6) Impiegheremo sempre quelle forme di gentilezza, che non sono pesanti che
per i cuori aridi ed egoisti: Abbi la bontà. Fammi il piacere. Ti sono tanto
riconoscente. Il signore ti ripaghi. Grazie infinite... ecc. E ci saluteremo con
un cordiale sorriso ogni volta che c’incontreremo.
7) Studieremo il carattere delle persone che avviciniamo per rispettarne il lato
debole e mai parlare dei loro difetti.
8) Non assumeremo mai arie di comando altezzoso, preferendo chiarezza e
decisione sempre unite a garbo e tatto. Stima e valorizzazione dell’altro.
9) Riconosceremo semplicemente il nostro torto, ed accetteremo il richiamo dei
genitori o superiori.
10) Avremo abitualmente il sorriso sulle labbra.
Il tutto sia vissuto con sincerità e amore.

Nel Mese

Iniziammo il mese con particolari riflessioni sull’amore di Dio, visibilmente manifestatosi nel Cuore del suo Figlio e soprattutto nei momenti di adorazione, animati dal Gruppo Eucaristico e da quello di P. Pio; avemmo l’opportunità di prepararci meglio alla festa dell’Ottavario del Corpus Domini. Ma la comunità si era andata preparando con la Messa di Prima Comunione che si celebrò il 6 giugno e che fu preceduta dal ritiro spirituale presso il Santuario di Picciano (Mt). Ci fu poi la conclusione dell’anno catechistico con la prospettiva del Campo Scuola che si terrà in agosto a Boncore di Nardò. Fu molto partecipata anche la tredicina a S. Antonio e volsero a termine le catechesi sui vangeli che quindicinalmente il parroco
ci ha fatto gustare come non mai.
Il giorno 18 ci incontrammo nell’Eucaristia con il nostro don Angelo Mazzone per il suo decennio di sacerdozio. Seguì un momento di festa. Poi, circondati dall’affetto dei loro cari e dal gruppo famiglia parrocchiali celebrarono il 25° di matrimonio Pino e Lella Iurilli che fanno parte dl gruppo. Anche per essi ci fu un incontro conviviale, come spesso sta avvenendo in alcuni giorni e serate di questo periodo estivo presso Villa Iazzo de Cesare. Anche i genitori dei bambini che hanno ricevuto la Prima Comunione si riunirono in fraternità e convivialità e lo ripeteranno giovedì 8 luglio. Un momento particolare di riflessione lo ebbero i catechisti col parroco e la loro responsabile a mo’ di consuntivo dell’anno. Lo stesso avvenne per il Consiglio Pastorale che ringraziò tutti gli operatori pastorali soprattutto dei settori Caritas e catechisti.
Alcuni dei nostri parteciparono al Convegno pastorale tenuto a Molfetta il 22 giugno mentre il giorno precedente facemmo giungere gli auguri onomastici al vescovo don Gino. A concludere solennemente con la celebrazione eucaristica il Mese al S. Cuore fu l’arcivescovo Mons. Girasoli, Nunzio Apostolico in Zambia.


Luca

L’Eucarestia: “Si alzerà e passerà a servirli...”

Miei Cari,
il mistero dell’Eucarestia che celebriamo ogni domenica e che in questo mese adoriamo con particolare intensità ci orienta ancora a riflettere su di esso e interiorizzarlo perché la nostra vita cambi condividendo con i fratelli quel pane che non è il “pane degli angeli” ma è piuttosto “medicina per gli ammalati”.
L’Eucarestia non è un culto da rendere a Dio perché Egli non ne ha bisogno, ma è il momento privilegiato per la comunità cristiana, nel quale il Dio che si mette a servizio dei suoi, comunica loro la sua stessa forza. Nel vangelo di Luca, al momento della Eucarestia, Gesù dà queste parole importanti: “Ecco, sono in mezzo a voi come colui che serve”.
L’Eucarestia non è un servizio a Dio.
Non ne ha bisogno, ma è la comunità che ha accettato il suo messaggio e si impegna a viverlo. Essa vien fatta riposare da Dio: quindi un momento di riposo. Egli passa a servirla e le comunica la sua stessa forza per un servizio ancora più grande. Nell’Eucarestia il momento centrale e determinante è quello in cui Gesù, il figlio di Dio, si fa pane perché quanti lo accolgono, lo mangiano e si fanno pane per gli altri affinché diventino anch’essi figli di Dio.
Al termine del Vangelo di Luca c’è una stupenda illustrazione dell’Eucarestia che dice: pensate ad un palazzo dove ci sono dei servi. A mezzanotte torna il padrone da un viaggio. Noi pensiamo che si farà subito servire. Invece no. Li chiamerà e sarà lui a servirli. Cambia completamente l’immagine di Dio!
Il momento dell’Eucarestia nel quale i servi -noi non siamo i servi di Dio, ma siamo figli di Dio e servi dei nostri fratelli, volontariamente- nel momento in cui ci trova, nella nostra vita al servizio degli altri, il Signore dice: adesso sedetevi, perché io passo a servire. Il Servizio del Signore è comunicare la sua stessa forza. Allora non è questione di culto a Dio, ma è l’accettare l’amore di Dio per prolungarlo verso gli altri. Ogni nostro atteggiamento e preghiera deve avere questo obiettivo. La preghiera deve spingere sempre nei confronti degli altri, non aiutare a centrare su se stessi, ma farci uscire da noi stessi.
Gesù dice: “Io sono il medico venuto fra gli ammalati”, proprio perché noi viviamo situazioni di peccato, di infedeltà, abbiamo bisogno di questa forza da parte di Dio. La Comunione quindi non è un premio per la buona condotta, ma la forza per ottenerla. È accogliendo il Signore che diventiamo puri.
Quando poi S. Paolo afferma che “il pane che mangiate indegnamente, quella è la vostra condanna”, egli ribadisce che il pane va condiviso, non si tratta di una connotazione morale, ma vuol dire che nella celebrazione eucaristica, Gesù si fa pane per noi perché noi, a nostra volta ci facciamo pane per gli altri e diventiamo anche noi figli di Dio.
Ci accompagnino questi pensieri nelle giornate eucaristiche che stiamo per vivere e in tutto questo mese che dedicheremo al Sacro Cuore di Gesù.


Cordialmente, Don Vincenzo

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21 Giugno: Memoria di S. Luigi Gonzaga
Al nostro vescovo don Gino l’augurio e il pensiero orante nel giorno del
suo onomastico dall’intera Comunità parrocchiale del SS. Redentore

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Al nostro don Angelo Mazzone
cui la fiducia del vescovo affidò lo scorso anno la Parrocchia della
Madonna della Pace e, quella dei vescovi pugliesi l’ufficio di Direttore
Amministrativo del Seminario Regionale, l’augurio affettuoso a lui
- che rimane sempre uno dei nostri - per il
X Anniversario della sua Ordinazione Presbiterale.

PERCHE’ I CATTOLICI IN POLITICA?

Periodicamente torna di attualità la questione della partecipazione dei cattolici alla vita politica del nostro Paese. Ne ha scritto ultimamente sulla Gazzetta del Mezzogiorno anche Mons. Ruppi. Perché sarebbe necessaria tale presenza? Quale sarebbe lo specifico apporto dei cattolici alla politica? Quale diversa qualità li connoterebbe rispetto ai “laici”?
Il discorso è complesso ed attiene al messaggio evangelico, che tutto trasuda amore per l’uomo e le comunità degli uomini, dove si sperimentano la quotidianità del vivere, la difficoltà di essere uomini e donne portatori naturalmente di diritti inalienabili, di dignità non conculcabili né dallo Stato né da altri. Vi sono diritti alla vita, alla pace ed alla felicità che rivengono per via diretta da una lettura in termini sociali ed economici dei vangeli. Il messaggio di Dio agli uomini è un messaggio di pace e di fecondità di vita.
Non appartiene al Cristianesimo una visione di una felicità posticipata all’aldilà. È una lettura errata e nera dei vangeli, pessimistica e demotivante: se la felicità è raggiungibile solo in Paradiso, perché saremmo venuti al mondo? Solo per soffrire e morire, come talune correnti cattoliche postulano? Esse seminano dolore in eccesso e timori di cui Gesù non ha mai parlato. Egli, anzi, ha parlato di felicità piena, conseguibile già qui ed ora. Come? In che modo? Mettendosi al servizio degli altri, senza nulla pretendere in cambio, inaugurando un circolo virtuoso di amore a cui risponde altro amore.
Questo è il centro del messaggio evangelico: la letizia e l’amore che la genera.
Il cristiano che si impegna in politica porta con sé questa visione della vita; è capace, con la preghiera e la meditazione, di scrutare i segni dei tempi grazie ad una sensibilità spirituale che molti non posseggono. Il cristiano scruta i segni, li legge alla luce del vangelo, ne trae spunti di analisi per progettare città a misura d’uomo, in cui regnino la solidarietà e la prosperità. Il bene comune è il bene pubblico, e su questa simmetria egli si incontra con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che, partendo da altri umanesimi, hanno a cuore l’uomo, la vita, la creazione. Il dialogo fra culture politiche diverse nasce da questo comune fondamento: la tutela della vita umana, dalla nascita alla fine naturale.
Su queste questioni etiche ci sono scontri e polemiche e, direi, grosse contraddizioni che andrebbero superate con intelligenza e sapienza. Un esempio: aree di pacifismo e di ambientalismo laici postulano la difesa dell’ambiente e della vita animale, ma dicono cose poco convincenti rispetto alla tutela della vita nascente e morente. Aborto ed eutanasia, secondo me, contrastano finanche con i presupposti ideologici del pacifismo e dell’ambientalismo. Prenderne coscienza sarebbe un grosso passo avanti. Ecco, il cattolico pone questioni di merito senza integralismi e con pieno rispetto per le altrui visioni, in un rapporto che, come ci insegnavano Moro e Dell’Andro, è di confronto e di dialogo, giacché nel dialogo qualcosa di noi resta in loro e viceversa. La nuova umanità nasce sempre da atti di amore e di dialogo, da un arricchimento reciproco che è vita nuova in corso d’opera.

Salvatore Bernocco

Un cucchiaino per l’eternità

Una vecchietta serena sul letto d’ospedale, parlava con il parroco che era venuto a visitarla. “Il Signore mi ha donato una vita bellissima. Sono pronta a partire”.
“Lo so” mormorò il parroco.
“C’è una cosa che desidero. Quando mi seppelliranno voglio avere un cucchiaino in mano”.
“Un cucchiano?”. Il buon parroco si mostrò autenticamente sorpreso. “Perché vuoi essere sepolta con un cucchiaino in mano?”.
“Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e alle cene delle feste in parrocchia. Quando arrivavo al mio posto guardavo subito se c’era il cucchiaino vicino al piatto. Sa che cosa voleva dire? Che alla fine sarebbero arrivati il dolce o il gelato”.
“E allora?”.
“Significava che il meglio arrivava alla fine! È proprio questo che voglio dire al mio funerale. Quando passeranno vicino alla mia bara si chiederanno: “Perché quel cucchiaino?”. Voglio che lei risponda che io‘ho il cucchiaino perché sta arrivando il
meglio”.

Il mese di Giugno dedicato al S. Cuore

UN CUORE ASSETATO D’AMORE

Ha scritto il Papa Leone Magno che se vogliamo onorare il Redentore dobbiamo guardarlo‘“con gli occhi del cuore, in modo da riconoscere nella sua carne la nostra carne”.
La celebrazione della festa del Sacro Cuore ci colloca nella condizione privilegiata di poter guardare negli occhi Gesù e scoprire in questa luce la profondità del suo amore per noi, fino a sentire vibrare nell’anima il suo grido: “Ho sete”.
Prima di pronunciare: “tutto è compiuto” e “nelle tue mani, o Padre, affido il mio spirito”, Gesù consegna ai discepoli un desiderio, il testamento del suo passaggio tra noi.
Un giorno al pozzo di Sichem aveva chiesto alla donna samaritana: “Dammi da bere”. Allora Gesù era all’inizio della sua vita pubblica. Le folle sarebbero venute più tardi. Quando Gesù si affacciò alla vita pubblica scelse di privilegiare relazioni individuali con le persone. Aveva fatto così con i primi discepoli e a Sichem tende la mano ad una donna samaritana. Scoccava in quell’incontro la scintilla di un modo diverso di valutare le cose. Dopo quasi tre anni da quell’episodio, è inchiodato sulla croce; innalzato sul crinale che separa il tempo dall’eternità, non vuole da bere, ma grida al mondo: “Ho sete”.
Nei cenacoli della carità, fondati da Santa Teresa di Calcutta, nell’angolo riservato all’adorazione eucaristica, accanto al tabernacolo, sempre campeggia la scritta: “Ho sete”. In quel testamento di Gesù morente, Madre Teresa ha colto il fine di tutta la sua azione caritativa: “Appagare la sete di Gesù” non è altro che saziare la fame e la sete della gente con una Parola di speranza, di evangelica misericordia e con il dono del Pane della vita eterna.
La nostra vita di fede, infatti, non dovrebbe essere altro che: conoscere, amare, vivere, proclamare e testimoniare la Parola rivelata; tutto questo con i gesti di una carità che si fa compagnia. Fa parte infatti della missione affidata ad ogni battezzato provvedere ad ogni persona il necessario di “quell’acqua” sgorgata dal Cuore di Gesù, capace di diluire l’amaro delle sofferenze della vita.
In un momento in questa “grido” di Gesù sulla croce, Gianni Gennari scrive: “E allora sentire questa parola di Gesù - ‘Ho sete’ - diventa un compito: significa ricevere un comando, ricevere un impulso, ricevere una missione. Tutto lo scopo della nostra esistenza può divenire quello di dissetare il Signore (presente anche in ogni fratello). Questo significa diventare noi stessi, come Lui ci ha promesso, fonte da cui sgorga l’acqua zampillante sino alla vita eterna”.
Oggi tutti stiamo attraversando una stagione di aridità dello spirito. Gli orizzonti angusti delle esistenze umane stanno facendo crescere la sete d’amore e di benevolenza nelle persone. Tutti abbiamo un ardente bisogno di sentirci amati.
Gesù sotto la spinta dell’amore è arrivato sino al vertice del Calvario. In quel pellegrinare faticoso, nella sua anima risuonava costante l’eco delle parole del Padre: “Figlio mio, tu sei l’amato. In te mi sono compiaciuto”.
Gesù percorre le strade del suo tempo amando con un cuore di carne, sospinto dal vento dell’amore del Padre, mentre in lui risuonano le parole del salmo: “La mia anima ha sete del dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?”.
Quella “sete” è una profezia sul senso del nostro vivere, un’offerta di Dio per farci vivere in pienezza. Chiediamo a Gesù di farci bruciare della sua “sete” e di saziarla con il suo Spirito che “rinnova la faccia della terra”.


M.C.

DALLA PARTE DEL SANTO PADRE


Se guardiamo, a distanza di qualche tempo e a mente più serena, alla campagna di stampa ordita contro il Santo Padre e la Chiesa cattolica, non possiamo esimerci dall’evidenziarne la virulenza e la pretestuosità. Intendiamoci bene su un punto: la pedofilia è un crimine abominevole, degno della massima riprovazione, di una severa condanna non soltanto morale ma anche penale. Chi lo compie commette un peccato di inaudita gravità, specie poi se veste l’abito talare o è un religioso. Chi ha fatto voto di servire Dio non può nel contempo servire l’Anticristo.
L’inferno sarà semmai più duro per costoro (ma aggiungo anche per chi, pur sapendo, omise di intervenire), ha ammonito Monsignor Charles Scicluna, il “promotore di giustizia” della Congregazione per la Dottrina della Fede, come se ci fosse una sorta di gradazione della pena là dove le anime bruciano per la lontananza da Dio. Se l’Inferno dantesco fosse attuale, costoro sarebbero posti nel girone dei lussuriosi o dei traditori. Tuttavia, ci preme sottolineare che la reazione del Santo Padre è stata ferma e decisa. Non ci sono sconti per nessuno né più coperture o trasferimenti di sede. La sofferenza di Benedetto XVI è intensa per i peccati della Chiesa, a cui si richiede totale conformità all’insegnamento evangelico, esempio coerente e fedele, amore casto verso gli uomini, specie i più indifesi. La conversione della Chiesa è un tema di estrema attualità. Anch’essa infatti è chiamata a convertirsi, a vestire i panni del buon samaritano, liberandosi di quelli del fariseo e del levita o del lupo travestito da pecora. Come scrive il più grande esorcista vivente, Padre Gabriele Amorth, anche nella Chiesa si avverte puzza di zolfo. Lo affermò, suscitando un certo stupore, anche Paolo VI molti anni or sono.
Ma, detto questo, non comprendiamo come mai analoghi polveroni mediatici non siano stati sollevati per analoghi terribili episodi accaduti all’interno di altre confessioni religiose. Non si comprende fino in fondo perché si sia spulciato nella vita di Benedetto XVI e finanche in quella di Giovanni Paolo II, a caccia di scoop, di elementi da cui potesse evincersi l’infedeltà di costoro, un’azione sistematicamente volta a coprire i misfatti di taluni loschi individui. Non parliamo di complotto, ce ne guarderemmo bene, ma di una tendenza a demonizzare tutta la Chiesa per i peccati di alcuni, partendo dal basso per sferrare colpi in alto, alla cieca, facendo di tutta l’erba un fascio. È un’operazione pericolosa e dagli esiti imprevedibili.
Ma non tutto il male viene per nuocere. Questo è il momento propizio per liberarsi di pesi e zavorre, imboccare nuove vie, separare, per quanto possibile, il grano dalla zizzania, anche se la zizzania ha il colore della porpora. L’umanità ha bisogno di esempi positivi, di credere che Dio ami attraverso l’amore disinteressato di uomini e donne cristiani. Rivelare il Dio infinitamente buono spetta a ciascun cristiano.
In caso contrario assisteremmo ad una fuga non soltanto dalla Chiesa, ma dall’idea stessa di un Dio misericordioso e amante. Non ci sarebbe esito più nefasto di questo.

S. B.

Nel Mese

Con rinnovato entusiasmo demmo inizio al mese mariano e tutti ci alternammo nella recita del Rosario.
Si intensificò la catechesi soprattutto in vista dei sacramenti che saranno conferiti nelle prossime settimane.
Anche per i genitori si sono svolti vari incontri di verifica e per una adeguata preparazione alla celebrazione dei sacramenti.
Una straordinaria partecipazioni di fedeli si è avuta per la festa di S. Rita, qui venerata dal 1902. I tantissimi devoti si sono accostati ai sacramenti e al termine sono state benedette le rose per gli ammalati e presentata al bacio la Reliquia di S. Rita conservata nella nostra chiesa parrocchiale.
Il vescovo fu presente la sera del 30 per conferire la Cresima a 24 nostri ragazzi, mentre la sera del 29 ci portammo processionalmente in un rione della parrocchia per la Veglia mariana animata dai vari responsabili parrocchiali.
L’adorazione mensile coronò l’intero mese mariano. Anche le lezioni del Vangelo di Giovanni ebbero termine la sera del 28 maggio.
Il 31 poi con la solenne celebrazione dell’Eucarestia concludemmo il mese alla Madonna.


Luca

“Le viti in fiore spandono profumo”

Miei Cari,
la primavera incipiente mi fa riandare alle viti in fiore che spandono profumo, come afferma il Cantico dei Cantici, ma anche alla stupenda immagine riferita da Gesù: “Io sono la vera vite”. La vite era la pianta che rappresentava simbolicamente il popolo di Israele. Dichiarandosi la vera vite, Gesù inaugura una nuova alleanza da un respiro universale e il suo orizzonte si allarga a tutta l’umanità. Appartenere al popolo di Dio non dipende quindi dalla razza, dalla religione, ma dalla adesione a Gesù. Egli stabilisce molto bene i ruoli specifici: Lui è la vite e il Padre è il Vignaiolo.
“Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”: ogni componente della Comunità di Gesù che partecipa all’Eucarestia, si ciba del pane della vita, ma poi non si fa pane per gli altri, non porta frutto, “questo lo toglie”. Il Signore Gesù ci nutre per nutrire gli altri. Chi non si fa pane per gli altri è un parassita perché, pur ricevendo la linfa non lo traduce in amore per gli altri.
“Ogni tralcio che porta frutto lo purifica perché porti più frutto”. Il Padre non “pota” ma “purifica”. L’unica preoccupazione del credente è nel ricevere linfa vitale, l’amore del Signore per tradurlo in altrettanto amore, in fonte di vita per gli altri.
Quelle impurità, quei difetti, gli elementi negativi, quelle tendenze che crediamo possono impedirci di portare frutti non siamo noi a doverle eliminare e neanche gli altri tralci che devono fare osservare. Ci penserà il Padre perché è interesse del Vignaiolo che il tralcio porti più frutto.
Ciò significa un cambio radicale nella nostra esistenza e nei rapporti con Dio.
Tutti i nostri sforzi per eliminare le imperfezioni hanno portato ad un irrobustimento dei difetti perché l’uomo si “Le viti in fiore spandono profumo” centra su se stesso e non ha la capacità di orientarsi verso gli altri e centrarsi sugli altri. L’unico compito, miei Cari, è il preoccuparsi degli altri. Gesù ci invita a non preoccuparci. Tutti abbiamo imperfezioni, elementi negativi. Il nostro unico impegno è quello di rendere felici gli altri. Se ci sono elementi che possono impedire di portare frutto o di comunicare vita agli altri, sarà il Padre che li eliminerà, non noi. E ci si chiedese il difetto, l’elemento negativo rimane? Si vede che agli occhi del Signore non è di impedimento per portare più frutto. Dice San Giovanni: “anche se il tuo cuore ti rimprovera qualcosa, stai tranquillo, stai in pace perché Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Ecco la buona notizia che una vite in fiore ci regala. Gesù ci dà grande serenità.
Quegli aspetti della nostra vita che reputiamo negativi, lasciamo che pensi Lui ad eliminarli perché è suo interesse eliminare dalla nostra vita tutto quello che ci impedisce di portare più frutto. E se il Padre non lo elimina, si vede che agli occhi suoi questo non è negativo: la religione, la società, come le mode cambiano, ma Dio non cambia mai. Questo ci dà un’enorme serenità.
Dice inoltre Gesù: “Voi siete già puri per la parola che vi ho annunziato”. Egli laverà i piedi agli apostoli non prima della cena, ma durante. È la partecipazione alla cena quella che purifica il discepolo, il partecipante. Non c’è da purificarsi prima di partecipare alla Cena, ma è partecipare alla cena che ci purifica. In fondo non è vero che bisogna essere puri per accogliere il Signore, ma è l’accoglienza del Signore che ci purifica. Mi pare che siano questi i pensieri che devono portarci a meglio vivere la Messa per “rimanere” nell’amore di Gesù perché più amiamo e più Egli ci dona l’energia per dilatare la nostra capacità d’amore. Proviamoci in questa esperienza.

Cordialmente
Don Vincenzo
vostro Parroco


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Mamma, nella tua festa un fiore…
Ogni fiore nasconde parole a centinaia.
La violetta è tenerezza, viene con la primavera a farci compagnia.
L’anemono è il fiore del vento, suggerisce speranza.
L’amarillide è fierezza, si regala alle spose.
La rosa è regina, ma ha dolci sussurri d’amore.
Il giglio è un tocco di candore sull’infanzia in festa.
Il ciclamino, amico delle ombre, dà lezione di modestia.
La Mistica Rosa è “il nome del bel fior” che ispirava Dante sulle
soglie supreme del paradiso.
A Maria, Rosa sempre fiorita, leviamo la preghiera e l’augurio per
te, Mamma, per tutte le Mamme.

La Comunità del Redentore

La Preghiera che ispirò Giovanni Paolo II

Era il 25 marzo il 1987 quando papa Woytjla appose la firma a una delle sue encicliche più care, quella sulla Vergine Maria, la REDEMPTORIS MATER (Madre del Redentore).
Lui stesso, nella conclusione, afferma di essere stato ispirato dall’invocazione che nella liturgia delle Ore la chiesa rivolge a Maria:
O santa Madre del Redentore,
porta dei cieli,
stella del mare,
soccorri il tuo popolo,
che anela a risorgere.
Tu che accogliendo il saluto dell’angelo
Nello stupore di tutto il creato,
hai generato il tuo Creatore,
madre sempre vergine, pietà di noi peccatori.

Il Papa si ferma a meditare sui versetti di quest’antifona liturgica, ben nota a chi, sacerdoti a parte, recita la Liturgia delle Ore sullo sfondo degli affanni quotidiani. Come Giovanni Paolo II, il credente è colpito dall’espressione: “nello stupore di tutto il creato!”. Essa esprime “quello stupore della fede, che accompagna, in certo senso, nel cuore della Chiesa”.
L’eterno Dio si è spinto veramente lontano, ha colmato l’infanzia distanza che separa il creatore della creatura. Tale è la rivelazione di sé all’uomo e l’incarnazione del Verbo, che si è fatto uomo mediante la Vergine di Nazareth. Insieme all’uomo, tutto il creato rimane stupito di fronte a questo dono. Nel vivo di questo stupore sta Maria. Alma Madre del Redentore, ella l’ha provato per prima: “Tu che hai generato, nello stupore di tutto il creato, il tuo santo Genitore”!
È questa la svolta della storia umana. Altra non ve ne è al di fuori dell’incarnazione e dell’opera redentrice del Figlio di Dio e di Maria. Eppure, oggi ci lasciamo intimidire dal grido scomposto dei maestri del nulla. Predicano verità, solo Cristo fa luce. Dei falsi maestri siamo avvertiti dalla storia passata e dalle esperienze che facciamo.
L’infinito amore del Padre, che “per riscattare il servo ha sacrificato il Figlio”, lascia all’uomo la libertà delle scelte e la possibilità dell’errore. La preghiera a Maria tocca un punto nevralgico mentre esclama:““Soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur sempre anela a risorgere”!
Cadere e risorgere sono i poli della condizione umana. “L’umanità - osserva il Papa - ha fatto mirabili scoperte e ha raggiunto risultati portentosi nel campo della scienza e della tecnica…, ma tutto il progresso lascia in bilico l’uomo tra il cadere e il risorgere, tra la morte e la vita. Tale condizione diventa una incessante sfida alle coscienze umane…, la sfida a seguire la via del non cadere, legando la propria debolezza all’energia salvifica della grazia e ai modi per ottenerla”.
Da parte sua, la Chiesa e i singoli credenti in essa, “popolo che cade, ma pur anela a risorgere”, volgono lo sguardo a Maria, la Madre che è creatura di grazia, ma pur sempre radicata nel mistero salvifico di Cristo.