Il Santo, il Papa e il Vangelo

4 Ottobre Festa di San Francesco d’Assisi

Sono due personaggi che bene o male hanno largamente influito nella storia del cristianesimo. Uno si era innamorato della buona notizia portata da Gesù fino ad identificarsene. L’altro non ne è stato minimamente sfiorato. Uno è diventato santo, l’altro papa. Il papa è quello rimasto refrattario al Vangelo. Oggi il santo è più attuale che mai e il papa dimenticato. Infatti mentre il mite Giovanni, figlio di donna Pica e Bernardone di Assisi, conosciuto col nome di Francesco è presente col suo stile di vita e con i suoi insegnamenti, nessuno si ricorda del bellicoso conte Lotario, figlio dei conti di Segni, divenuto papa col nome di Innocenzo III. I due hanno vissuto nella medesima epoca e sono figli della mentalità e della cultura di quel tempo.
Entrambi hanno letto lo stesso Vangelo e hanno scelto di seguire Gesù. Ma i modi di manifestare questa sequela sono estremamente differenti. Se ancora oggi si prega e si canta con le parole di Francesco (“Laudato sii o mio Signore”), gli scritti di Lotario sono, per fortuna, dimenticati. Lotario scrisse, quando era ancora cardinale, “Il disprezzo del mondo”, libro che per circa sei secoli fu un best-seller e formò, o meglio deformò, la spiritualità cristiana.
Francesco scrisse solo poche ma incisive righe ancora valide. Lotario, confondendo il suo tetro pessimismo per sante ispirazioni, scrisse: “L’uomo viene concepito dal sangue putrefatto per l’ardore della libidine, e si può dire che già stanno accanto al suo cadavere i vermi funesti. Da vivo generò lombrichi e pidocchi, da morto genererà vermi e mosche; da vivo ha creato sterco e vomito, da morto produrrà putredine e fetore; da vivo ha ingrassato un unico uomo, da morto ingrasserà numerosissimi vermi... Felici quelli che muoiono prima di nascere e che prima di conoscere la vita hanno provato la morte... mentre viviamo continuamente moriamo e finiremo di essere morti allorquando finiremo di vivere, perché la vita mortale altro non è che una morte vivente...” (De cont. Mundi 3,4). Secondo Lotario, quando Gesù risuscita Lazzaro piange “non perché Lazzaro era morto, ma piuttosto perché lo richiamava dalla morte alle miserie della vita” (1,25). Se, per Lotario tutto è orribile e fonte di piagnistei, per Francesco tutto è bello, e fonte di benedizione: “Laudato si o mi Signore con tutte le tue creature... Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei bellezza...”
Di fronte ai problemi dell’epoca hanno risposto con soluzioni differenti. Papa Innocenzo III è il papa più potente del medioevo, colui che porterà al massimo la concezione della regalità papale e lo stato della Chiesa alla sua massima estensione.
Proprio lui sogna la Chiesa che sta per crollare, ma questa sarà salvata da frate Francesco: “va, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. Il papa pensò di salvare la Chiesa bandendo la tragica quarta crociata contro i saraceni e indisse perfino un Concilio (Lateranense IV) per definire ben settanta maniere per fare la “guerra santa” ovvero ammazzare nel modo più efficace (e mai si uccide con tanto gusto come quando si scanna in nome di Dio). Francesco andò disarmato dal sultano e ne divenne amico. Innocenzo, uomo bellicoso e violento, diede inizio alla prima forma di Inquisizione (quella episcopale) e arrostì sul rogo quanti nella Chiesa non erano d’accordo con lui. Tetro in vita, fu macabra la sua fine. Morì mentre era pronto a salire a cavallo con la spada in pugno per combattere i nemici e il suo cadavere, abbandonato da tutti e ormai in avanzato stato di decomposizione, fu spogliato dai ladri nella cattedrale di Perugia.
Francesco, all’avvicinarsi della morte si fece spogliare e deporre nudo per terra e morì cantando un inno di lode, circondato dall’amore dei suoi frati.
Un unico Signore, un solo Vangelo, due risposte differenti, un solo santo.

p. A. M.

I CRISTIANI : GENTE DI AVVENTO

Miei Cari,
è ormai alle porte il tempo di Avvento: La riflessione si è fatta più insistente durante i giorni scorsi degli esercizi Spirituali che ho vissuto in Assisi.
Ancora dunque e sempre in attesa della manifestazione, per essere trovati irreprensibili nel giorno del Signore.
Il tempo di Avvento è nella natura dell’uomo, un tempo attuale: noi siamo gente di Avvento. I cristiani sono definiti «coloro che attendono amorosamente il ritorno del Signore». Il Signore è venuto, viene, verrà: Ma quando viene? E perché ritarda? Egli è sempre presente e assente insieme, Egli incombe ed è lontano.
Non è solo Lui che deve venire, siamo noi che dobbiamo andare a Lui continuamente. La Chiesa è questa umanità in cammino verso Dio, il paese dell’incarnazione perenne, paese dell’attesa e dell’avvento. La fede dovrà esser la continua tensione.
Senza questa tensione non esiste cristiano sulla terra, non esisterebbe Chiesa, questo segno sacramentale del Regno di Dio che deve sempre venire. L’Immacolata che tra poco festeggeremo ci ricorda proprio questo atteggiamento di attesa attraverso le orme indicate da Gesù, specialmente la preghiera, e quelle che derivano dall’unione a Lui, cioè l’esercizio delle virtù cristiane, che manifestano e consolidano l’unione medesima. Avvento dunque: tempo di concepimento di un Dio che ha sempre da nascere. Avvento: tempo di preparazione, tenerezza e speranza.
Disponiamo così, Miei Cari, il nostro cuore, il nostro impegno, la nostra speranza.
Cordialmente,

Don Vincenzo

Nomina dal Vaticano Mons. Girasoli, Nunzio apostolico


In data 30 ottobre il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Antigua, Barbuda, Bahamas, Dominica, Giamaica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vincenzo
e Grenadine, Suriname, Repubblica Cooperativistica della Guyana e Delegato Apostolico
nelle Antille Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Nicola Girasoli, Arcivescovo titolare di Egnazia Appula, finora Nunzio Apostolico in Zambia e in Malawi. Esprimiamo ancora, come Comunità del SS. Redentore, la nostra gratitudine e il compiacimento per il servizio di alto profilo umano, pastorale e diplomatico che Mons. Girasoli sta svolgendo per la Chiesa universale.

CHI NON RIDE, NON VIVE!

Ridere fa bene alla salute

Chi non ride, non vive!
Che la gioia sia un valore carico di ogni ben di Dio è una verità sulla quale, oggi, nessuno discute più. “La gioia di vivere è la più grande potenza cosmica”, diceva Teilhard de Chardin (1881-1955), uno tra i più intelligenti e originali studiosi del nostro secolo. A sua volta il noto scrittore tedesco Johann Wolfang Goethe (1749-1832) era convinto che “la gioia e l’amore sono le ali per le più grandi imprese”.
Noi, da parte nostra, diciamo che il mondo non è di chi si alza presto: il mondo è di chi è felice di alzarsi!
Quando si ride, tutto il corpo è in festa.
La respirazione migliora, il fegato e gli organi digestivi producono succhi gastrici e saliva, le endorfine si innalzano di circa il 20 per cento nel sangue (le endorfine sono sostanze prodotte dal cervello che danno la sensazione di piacere, come, ad esempio, quando mangiamo cioccolato o quando guardiamo un bel quadro o vediamo vincere la squadra del cuore...).
Dopo tutte le ricerche in proposito, nessuno può più dire: “Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi”, piuttosto deve dire: “Chi non ride, non vive!”.
Ne è convinto al 100 per cento il dottor Patch Adams nato nel 1945 a Washington. Al dottor Patch Adams va il merito di aver teorizzato e iniziato la “risoterapia”, cioè la cura medica basata sulla risata, sul sorriso. Da trent’anni Adams si presenta in ospedale vestito da pagliaccio e inventa qualche tipo di gioco nuovo pur di far sorridere i bambini che cura. Mentre li visita, scherza, come se fosse al circo...
All’inizio tutti lo prendevano in giro, oggi tutti gli battono le mani!
Finalmente si è capito che bisogna togliersi tanto di cappello davanti al “dottor sorriso”. Per questo la “risoterapia” viene praticata, ormai, in Svizzera, negli Stati Uniti, in Francia, in Canadà, in Italia, dove alcuni ospedali hanno allestito sale nelle quali si proiettano film comici, spettacoli di pagliacci, e si fanno ascoltare barzellette ai malati.
Ridere è segno di maturità. Non per nulla lo psicologo Gordon Willard Allport (1897-1967), tra i tanti indicatori di riuscita psichica di una persona, pone il senso dell’umorismo, la capacità di non avvelenare l’aria che gli altri devono respirare.
Riso come segno di maturità. Certo!
Perché punirci di esser vivi? Stiamo al mondo per poco tempo: è meglio farci su qualche risata. A questo punto si comprende ciò che un giorno ha detto Fryderyk Chopin (1810-1849): “Chi non ride mai, è un buffone!”.
Ridere è da buoni. Nella sua semplice saggezza Madre Teresa di Calcutta affermava: “Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un semplice sorriso”. Con la Beata di Calcutta concorda Roberto Benigni, il quale in un’intervista ha confidato: “Vorrei tanto essere un clown perché è l’espressione più alta del benefattore”.
Ridere è da liberi. Chi non sa sorridere è schiavo, anche se comanda!
Profondissima è l’osservazione del commediografo rumeno Eugène Ionesco(1912-1994): “Dove non c’è umorismo, c’è il campo di concentramento”.
Sulla stessa linea è Giacomo Leopardi: “Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire”.
Ridere è da civili. Per il filosofo Jacques Maritain (1882-1973): “Una civiltà senza umorismo prepara i propri funerali”. Un altro genio filosofico, Tommaso d’Aquino, considerava grande virtù la incunditas: la capacità di prendere in allegria ciò che accade.
Dunque, riassumendo: ridere è da saggi, da maturi, da buoni, da liberi, da civili.
Detto in una parola: ridere è da Uomo!
Da Uomo riuscito!

Giona D’Adan

PER SEMPRE O FINCHÉ DURA

Mi capita spesso di incontrare genitori della mia età, felicemente sposati, le cui figlie/i in età da marito/moglie scelgono di convivere.
“Adesso si usa così...”, “Eppure da noi hanno avuto un esempio diverso!”, “Cosa ci possiamo fare?”. La domanda, scettica, rassegnata, o accorata a seconda dei casi, rimbalza dai genitori ai parroci agli educatori, spesso agli stessi giovani.
Eppure, lo abbiamo detto nella prima puntata di questo nostro dialogo, il “per sempre” è una caratteristica inestirpabile del vero amore tra un uomo e una donna.
Del resto non lo ritroviamo solo nella formula del rito religioso del matrimonio(“Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre...”), ma ne rintracciamo un’eco anche nelle norme del Codice Civile (quando, a proposito di matrimonio, si parla di “obbligo reciproco alla fedeltà”, art. 143). Non c’è nessuno al mondo che non desideri essere definitivamente amato per poter, a sua volta, amare definitivamente. La misura con cui il Creatore ha “tarato” il cuore dell’uomo è infatti l’infinito. Di fronte a coloro che amiamo di più sentiamo come profondamente ingiusta la parola fine: “Ama chi dice all’altro: “Tu non puoi morire”” (Gabriel Marcel).
Ma se le cose stanno così, perché ci si sposa sempre di meno? E’ un problema di crescente individualismo, di maggior precarietà nelle relazioni affettive e di un preoccupante deficit di speranza. L’idea vincente, nelle nostre società avanzate, è quella di libertà come assenza di legami. Si preferiscono rapporti “corti” a rapporti “lunghi”, non solo in chiave temporale ma anche di coinvolgimento personale. Il modello mercantile del contratto è elevato a paradigma di ogni relazione. Così alla logica del dono si sostituisce quella del calcolo, del do ut des. “Solo gli uomini – osserva acutamente Chesterton – sono in grado di lanciare i loro cuori oltre tutti i calcoli, per conquistare ciò che il cuore desidera”. Ma il desiderio dell’uomo non può essere ingannato troppo a lungo impunemente: un’insospettata conferma ci è arrivata anche dal recente rapporto Censis. Se si vuole saziare la fame dell’uomo propinandogli in continuazione cibi stuzzicanti ma di scarso valore nutritivo, il suo desiderio languirà fino a spegnersi.
“Sarà - insistono i più disincantati – ma il mondo è cambiato. Nessuno accetta più di fare sacrifici”.
“Senza impegno” ci assicurano i venditori quando ci vogliono rifilare un prodotto. “Senza impegno” sembra essere diventata la massima aspirazione di molti giovani. Perché l’”impegno” mette paura.
Sentite cosa dice a questo proposito Chesterton: “L’uomo che prende un impegno definitivo prende un appuntamento con se stesso in qualche momento o luogo distante. Il pericolo è che egli stesso non riesca a mantenerlo. E nei tempi moderni questo terrore di se stessi, della propria debolezza e mutabilità, è cresciuto pericolosamente, ed è questa la base effettiva dell’obiezione ai voti di qualsiasi genere”.
Facciamo come la volpe della favola di Esopo: siccome non riusciva a raggiungere l’uva, ci rinunciò dicendo che era acerba. In questo modo noi, insieme con l’ampiezza del desiderio, riduciamo la nostra umanità.
Ma Gesù è venuto per salvarla. Cristo e la sua Chiesa fanno il tifo per la grandezza dell’uomo: per questo ci sono i sacramenti.
Quello del matrimonio si fonda sull’incrollabile certezza di cui parla san Paolo: “Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona la porterà a compimento” (Filippesi 1,6).
Mentre vi scrivo queste cose ho in mente i volti concreti di tante spose e di tanti sposi fedeli che il mondo giudica “eroici”, ma che sono semplicemente docili alla grazia del sacramento. Certo questo mette in conto il perdono, un altro “ingrediente” dell’amore tanto decisivo quanto sconosciuto. Chi non sa perdonare non ama. Ne parleremo ancora e più diffusamente.


Angelo Scola
Arcivescovo di Milano

UNA NUOVA FASE?

Sic transit gloria mundi.
È quanto disse Silvio Berlusconi apprendendo dell’uccisione del leader libico Gheddafi, la cui fine, all’indegna della violenza estrema, non è di buon auspicio per la nuova Libia. Tutt’altro. Quando si uccide il proprio nemico, ci si pone sullo stesso piano delle violenze che ebbe a perpetrare. La legge del taglione sopravvive, quindi, e non è affatto una buona notizia. Tuttavia, anche per Berlusconi si chiude un’epoca costellata di episodi incresciosi e volgari che hanno condotto il Paese ad una sorta di isolamento europeo ed internazionale.
Potremmo dire che la stagione della politica “bunghista”, fatta di proclami, marketing elettorale, promesse mancate, donne scosciate, episodi incresciosi(come le corna nei vertici internazionali o le barzellette erotiche o certi commenti su capi di governo donne), si chiude nel peggiore dei modi. La maggioranza è venuta meno, molti “fedelissimi”, fiutata l’aria, hanno preso il largo. I riposizionamenti sullo scacchiere politico sono cominciati, con la transumanza di alcuni, come la Carlucci, forzista della prima ora, dal PDL all’U.D.C., che mi auguro non diventi la casa dei rifugiati o il refugium peccatorum o l’approdo dei malpancisti o una sorta di caritas per i senzatetto della politica. Il riciclaggio ed il trasformismo sono antichi mali della politica italiana. Tollerarli ancora oggi; ritenerli quasi naturali, sarebbe come sostenere l’impossibilità di inaugurare una nuova fase politica all’insegna della chiarezza, dell’onestà della trasparenza dei comportamenti. Sarebbe quindi auspicabile che si faccia piazza pulita di certi personaggi e si rottamino certi comportamenti che rendono l’idea del Parlamento come di un pantano o di una jungla. Caduto il re, i cortigiani, che avevano già pronte le valigie, se ne sono andati in cerca di casa, sperando che qualcuno li ricandidi e di tornare a riscaldare le agognate sedie della Camera o del Senato, lautamente – ed ingiustamente – troppo retribuite alla faccia di tanta gente che non sa cosa fare per dar da mangiare alla propria famiglia. E tanto accade in un Paese cattolico, sede della Santa Sede. È come dire che viviamo in terra di dei pagani: il denaro, il sesso, il potere, l’egoismo più sfrenato, la corsa agli idoli della mentalità consumistico-nichilista. E gli ideali? Materia eterea o per idealisti irriducibili. Non va affatto bene. Senza valori ed ideali, come si è visto, non si va da nessuna parte, c’è solo il baratro.
Senza giustizia e verità, uno Stato perde di credibilità e di fiducia.
La situazione economica e finanziaria del Paese è fuori controllo. Ma mentre l’attacco speculativo all’Italia si faceva più virulento, il nostro presidente del Consiglio, invece di adottare provvedimenti per la crescita, invece di far girare l’economia, faceva girare la cosiddetta “patonza”. Come soluzione non c’è male. Forse per sostenere la crescita pensava alla riapertura delle case chiuse dalla legge Merlin. Se penso che osò paragonarsi ad Alcide De Gasperi, un brivido mi corre lungo la schiena.
Ma quella stagione di estrema decadenza sembra ormai archiviata. Ora pare che arrivi Monti, un tecnico che dovrebbe risolvere i problemi accumulati dalla politica con un governo di larghe intese. Mi sembra una folle speranza.
Tuttavia, è senza dubbio la certificazione del fallimento di tutta una classe politica, specie di quella che ha governato il Paese, del declino irreversibile di un modo di essere incentrato sui disvalori etici.
La nuova fase non potrà quindi prescindere da un modo di essere diverso. Si tratta di ricollocare al centro della politica la persona umana, ma non una tantum o nei convegni o nelle omelie o nelle cerimonie pubbliche, ma nella realtà effettuale di ogni giorno. Se questo non dovesse accadere, saremo compagni di sventura non già della Grecia, ma di qualche paese africano.

Salvatore Bernocco

STORIA DI UN PEZZO DI PANE

Quando l’anziano dottore morì, arrivarono i suoi tre figli per sistemare l’eredità: i pesanti vecchi mobili, i preziosi quadri e i molti libri. In una finissima vetrinetta il padre aveva conservato i pezzi delle sua memoria: bicchieri delicati, antiche porcellane, pensieri di viaggio e tante altre cose ancora. Nel ripiano più basso, in fondo all’angolo, venne trovato un oggetto strano: sembrava una zolletta dura e grigia. Come venne portata alla luce, si bloccarono tutti: era un antichissimo pezzo di pane rinsecchito dal tempo.
Come era finito in mezzo a tutte quelle cose preziose? La donna che si occupava della casa raccontò: Negli anni della fame, alla fine della grande guerra, il dottore si era ammalato gravemente e per lo sfinimento le energie lo stavano lasciando.
Un suo collega medico aveva borbottato che sarebbe stato necessario procurare del cibo. Ma dove poterlo trovare in quel tempo?
Un amico del dottore portò un pezzo di pane sostanzioso cucinato in casa, che lui aveva ricevuto in dono. Nel tenerlo tra le mani, al dottore ammalato vennero le lacrime agli occhi.
E quando l’amico se ne fu andato, non volle mangiarlo, bensì donarlo alla famiglia della casa vicina, la cui figlia era ammalata.
“La giovane vita ha più bisogno di guarire, di questo vecchio uomo”, pensò il dottore.
La mamma della ragazza ammalata portò il pezzo di pane donatole dal dottore alla donna profuga di guerra che alloggiava in soffitta e che era totalmente una straniera nel paese. Questa donna straniera portò il pezzo di pane a sua figlia, che viveva nascosta con due bambini in uno scantinato per la paura di essere arrestata. La figlia si ricordò del dottore che aveva curato gratis i suoi due figli e che adesso giaceva ammalato e sfinito. Il dottore ricevette il pezzo di pane e subito lo riconobbe e si commosse moltissimo.
“Se questo pane c’è ancora, se gli uomini hanno saputo condividere tra di loro l’ultimo pezzo di pane, non mi devo preoccupare per la sorte di tutti noi”, disse il dottore.
“Questo pezzo di pane ha saziato molta gente, senza che venisse mangiato. E’ un pane santo!”.
Chi lo sa quante volte l’anziano dottore avrà più tardi guardato quel pezzo di pane, contemplandolo e ricevendo da esso forza e speranza specialmente nei giorni più duri e difficili!
I figli del dottore sentirono che in quel vecchio pezzo di pane il loro papà era come più vicino, più presente, che in tutti i costosi mobili e i tesori ammucchiati in quella casa.
Tennero quel pezzo di pane, quella vera preziosa eredità tra le mani come il mistero più pieno della forza della vita.
Lo condivisero come memoria del loro padre e dono di colui che una volta, per primo, lo aveva spezzato per amore.

Nel tempo e nello spazio di Dio

Anche quest’anno è stato molto partecipato il mese in onore della Madonna del Rosario recitato al mattino, alle 18,30 e alle 20,30, animato dal Gruppo Famiglie della parrocchia. Il parroco ha poi dato il Mandato ai catechisti, inaugurando così il nuovo anno. Si sono pertanto avuti gli incontri con i catechisti, con i genitori dei ragazzi, con i giovani e giovanissimi. Anche per gli uomini di A.C.I. c’è stata una riunione programmatica di inizio d’anno.
Hanno avuto inizio le lezioni quindicinali per gli “Amici della Parola” e il tema trattato è stato: “il Dio che non c’è”. Il Gruppo Famiglie ha anche avuto il suo primo incontro del mese; il parroco ha parlato sulle prospettive dell’Incontro mondiale che per le famiglie si terrà a Milano. Le Comunità Neo-Catecumenali hanno vissuto le convivenze di inizio anno, come pure sono state celebrate le liturgie penitenziali. L’adorazione mensile animata dal Gruppo Eucaristico e da quello di S.Pio hanno dato occasione di una verifica spirituale e di una impostazione adeguata al nuovo anno pastorale.

Luca