2012: Non cediamo al grigiore. Viviamo davvero !

Miei Cari,
L’anno vecchio è alle spalle: Quanti incontri e quanti avvenimenti sono successi!
Alcuni belli che ci hanno fatto gioire; altri brutti che ci hanno preoccupato e rattristato. La storia di ciascuno di noi si è intrecciata con quella dei nostri amici, dei parenti e sicuramente con quella di qualcuno incontrato per la prima volta.
È stato un anno difficile, con la parola “crisi” che sbucava da ogni parte: dalle pagine dei giornali: nei discorsi alla tv e anche nelle chiacchiere della gente si sentiva ripetere in continuazione. Adesso siamo tentati di voler dimenticare quello che non ci è piaciuto e non è andato come avremmo desiderato.
Eppure tutto ciò che accade ha un senso e sarebbe un peccato - oltre che impossibile – pensare di poterlo cancellare. Piuttosto è bene provare a capire e giudicare quello che è successo, soprattutto in questo momento in cui si apre davanti a noi una nuova occasione. Eh, sì! Il nuovo anno, ancora neonato, si spalanca con tutte le sue opportunità e il nostro cuore è pieno di speranze e di propositi.
Speranza di stare bene, insieme alle persone cui teniamo, e speranza che accada qualcosa che ci sorprenda e ci renda contenti di alzarci la mattina, lavorare, coltivare le amicizie e le nostre passioni. E poi i propositi.
L’anno che è appena arrivato un po’ conosce già la sua strada, ma un po’ dovremo indicargliela noi.
Ciascuno di noi avrà di sicuro la possibilità di creare occasioni perché il tempo non passi invano e si possa crescere davvero.
Abbiamo ragione di indignarci nei confronti della corruzione pubblica e privata che anche lo scorso anno si è ben attestata sulla scena mediatica, oppure sbuffare davanti a una politica così litigiosa e inconcludente. Speriamo che un ritorno di saggezza si manifesti e si insedi nei palazzi del potere politico ed economico, anche sulla base degli appelli del Papa, del Presidente della Repubblica, di tanti vescovi e persone stimate e oneste.
Giungiamo, così, a un’ultima riflessione un po’ scontata. Ogni nuovo anno è una porzione di tempo che ci‘è offerta. E proprio perché il tempo non è “infinito” come l’eternità, ha in sé le stimmate della fine e, diciamolo pure(anche se questa parola è oggi esorcizzata), può avere in sé anche la morte.
L’augurio che, allora, vogliamo proporre a noi e a tutti, è quello che ci ha lasciato un grande pensatore come il cardinal Newman, beatificato da Benedetto XVI il 9 settembre scorso: «Non aver paura che la vita possa finire. Abbi invece paura che non cominci mai davvero».
Buon Anno a tutti.

Don Vincenzo

DIO NON VUOLE LA SOFFERENZA DELL’UOMO

Quante volte accostiamo Dio al dolore e alla sofferenza! Lo riteniamo il mandante della morte degli innocenti, della sofferenza delle persone buone. Lo avvertiamo come una specie di giustiziere cieco di chi non ha particolari colpe, se non quelle fragilità che discendono dalla nostra natura umana.
Dio colpirebbe alla cieca e si divertirebbe a distribuire “croci” a destra e a manca. È come se fosse dispiaciuto della felicità dell’uomo che, superata una certa soglia, va ridimensionata e tramutata in infelicità. Dio, in altre parole, sarebbe un patrigno crudele ed arcigno che terrebbe una contabilità analitica dei nostri peccati e del nostro grado di gioia. Superato un certo numero di peccati o una soglia di felicità, ecco‘giungere dall’alto dei cieli la sanzione divina, una bella malattia o un accidente che ti cambia in peggio l’esistenza. Proprio come ai tempi degli dei pagani, i quali erano gelosi della felicità degli uomini, il Dio dei cristiani si comporterebbe come un magistrato, come uno di noi, che spesse volte non siamo equilibrati nel giudizio e assi poco misericordiosi verso chi sbaglia o ci sta poco simpatico. Questa concezione di Dio è platealmente anticristiana ed antievangelica. Ci consegna un dio troppo umano, solo umano, che ha gli stessi nostri sentimenti ed usa gli stessi nostri metri di misura. Il Cristo di Dio ha invece rivelato che Dio è un padre misericordioso, è un Dio esclusivamente amante. È un Dio che fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, che non separa il grano dalla zizzania ed i capri dalle pecore per dare la possibilità alla zizzania di mutarsi in grano ed ai capri di convertirsi in pecore. Gesù Cristo non ama la sofferenza e la morte. Resuscita Lazzaro, risana molti infermi, ridona la vista ai ciechi, fa camminare gli storpi, e quando commenta l’episodio del crollo della Torre di Siloe che causò diciotto morti, non parlò di vendetta di Dio, ma di un’esigenza di conversione generale. Quei diciotto malcapitati non erano più peccatori di chi non perì sotto le macerie della torre. Questo è ciò che credevano gli ebrei, e questo è ciò che pensiamo anche noi quando si verifica uno tsunami, quando l’AIDS fa strage di esseri umani, quando la morte rapisce un bambino o una persona giovane. Diciamo: Dio non ci sopporta più e ci punisce per i nostri peccati! Il Cristo che ha comandato di perdonare settanta volte sette, poi si sdoppierebbe ed indosserebbe i panni del carnefice. Le cose non stanno affatto così, e sarebbe ora di sbarazzarci per sempre di queste idee pagane, frutto di una religiosità malsana, demenziale e deviante che purtroppo ha fatto breccia e devastato le menti di tanti battezzati. Dio non è un terrorista! Il nostro Dio è esclusivamente Amore! Ma, detto questo, è bene considerare che non possiamo dirci figli di Dio se non ne mettiamo in pratica il comandamento dell’amore e se ci ostiniamo a scendere a patti con le tenebre, cioè con le opere dell’egoismo. Le Scritture sono chiare al riguardo: dobbiamo comportarci come il Cristo si è comportato.
Dobbiamo essere propagatori dell’undicesimo comandamento: “Amatevi come io vi ho amato”. Questo è il nocciolo della nostra fede. Dio vuole che l’uomo sia felice. Non dimentichiamo che la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo. Gesù ha messo fine alla morte e ha inaugurato un tempo nuovo, di misericordia e di perdono in vista della gioia eterna. La morte è stata vinta e sottomessa alle potenze celesti in virtù del sacrificio espiatorio del Figlio di Dio. Il 2012 sia quindi l’anno della riscoperta delle verità profonde della nostra fede, che non lega ma che ci libera in vista della vita che sarà.

MA DIO E’ VENDICATIVO

Scrivo anche a nome di alcune colleghe insegnanti. Insieme, quando ci è possibile, una volta al mese cerchiamo di fare nostra la Parola di Dio, come ci è suggerito dai nostri pastori, leggendo qualche pagina della Bibbia. Avendo trovato delle schede bibliche nella libreria cattolica della nostra diocesi, ci siamo orientate per quest’anno sul libro del Deuteronomio. Abbiamo cercato dei riferimenti per la nostra vita, ma come mai nell’Antico Testamento ad ogni pagina si leggono interventi di Dio miracolosi, parole di incoraggiamento, di rimprovero, minacce di castighi, condanne a morte… Ed ora Dio sembra tanto lontano e assente dai nostri problemi. Quando poi Dio si è presentato vendicativo e quasi sadico nel minacciare castighi, siamo rimaste perplesse specie confrontando questa presentazione che Dio fa di Sé con quella di un Dio tutto misericordia del Nuovo Testamento e poi Dio è immutabile, invisibile, inamovibile e nell’Antico Testamento è sempre presente? A volte, per questi pensieri che vengono in mente sembra di bestemmiare: è così?
Molte domande ci venivano consultando libri scolastici di letteratura, dove gli episodi della Sacra Scrittura vengono proposti come miti alla pari dei miti della Grecia, dell’Egitto, dei popoli orientali.
Conosce qualche libro che potrebbe servire per chiarirci le idee? Per ora abbiamo deciso di rivolgere il nostro lavoro su altri libri non storici (per quelli storici abbiamo capito che ci vorrebbe un cardinal Ravasi tascabile) come salmi e libri sapienzali…
Perdoni se ci siamo espresse confusamente, ma leggiamo sempre il Bollettini Salesiano che una delle nostre colleghe riceve avendo il marito exallievo di un collegio salesiano. Nella speranza di una risposta per tutte.
“Fare nostra la Parola di Dio”, come lei scrive, vuol dire amarsi della torcia della fede vissuta nella Chiesa e munirsi di idonei strumenti culturali che possano abilitarci nella comprensione e orientarci in un autentico ginepraio fatto di mentalità, leggi, costumi, tradizioni, linguaggi, modi di esser diversi e lontani dalla nostra realtà. Questo perché la Bibbia non è stata scritta da angeli, ma da uomini di diversa estrazione sociale e culturale vissuti in un arco di tempo che abbraccia oltre mille anni. I generi letterari da loro usati svariano dalla storia alla raccolta di leggi, dal genere profetico al poetico lirico, al sapienzale, all’epistolare ed all’apocalittico.
Gli autori sacri si esprimono mediante paradossi, miti, allegorie, parabole, racconti edificanti, e narrazioni, a volte, , crudeli e ripugnanti al nostro modo di vedere. Dio nella Scrittura parla, come dice la costituzione dogmatica Dei Verbum al numero 12, “per mezzo di uomini ed alla maniera umana”. Di conseguenza, continua il testo conciliare, “l’interprete della sacra scrittura… deve ricercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole”. Questo comporta un faticoso lavoro di studio e di meditazione individuale portato avanti con impegno ed umiltà, non nella solitudine ma accompagnati e guidati dal magistero della Chiesa. Nella Bibbia si parla di santità e di peccato, di odio e di perdono, di vendetta e di misericordia. In essa gli episodi edificanti si accompagnano a comportamenti obbrobriosi. Il Dio dell’Antico Testamento spesso fa suoi atteggiamenti e comportamenti, ben lontani dalla sua divina bontà, che sorprendono e lasciano perplessi. È il caso del Deuteronomio 23, 63-64 che lei cita. La Bibbia non l’agiografia di un dio buono ed impeccabile nelle sue relazioni, ma la storia appassionata di Jahweh che ama follemente il suo popolo e non esita, nell’educarlo, a fare suoi comportamenti e modi di esprimersi tipicamente umani per traghettarlo, lungo i secoli, dalle sponde della barbarie codificata nella legge del taglione, a quelle del perdono, della misericordia e dell’amore testimoniati da Gesù. Per aver “qualche libro che potrebbe servire per chiarire le idee” basta rivolgersi ad una buona libreria cattolica, dove troverà ampia possibilità di scelta e persone in grado di consigliarla adeguatamente.

Ermete Tessore
Docente di Filosofia e Religione

CHE FAMIGLIA... SE I GENITORI OBBEDISSERO

Il calendario liturgico, ormai giunto al termine, ci ha accompagnato pedagogicamente lungo quest’anno pastorale offrendoci l’opportunità di un cammino di crescita nella fede e nell’amore, fino a condurci alla grande celebrazione conclusiva della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.
Quella domenica mi trovavo in una affollatissima parrocchia romana, alla cosiddetta Messa dei bambini, anche se questi non erano i più numerosi; oltre ai catechisti e ad altri fedeli, infatti, erano tanti i genitori che li avevano accompagnati. Il loro esserci parlava da solo, eloquente segno di una convinzione profonda e di un cammino di fede, finalmente e visibilmente, “formato famiglia”.
Il sacerdote e i ministranti, attraverso la solennità dei riti, dei paramenti, dei gesti e delle parole, hanno fatto emergere il significato più profondo della speciale celebrazione. Nell’omelia dialogata, i bambini sono stati invitati a dire chi fosse per loro un re e a pensare in che modo, invece, Gesù aveva scelto di manifestare agli uomini la sua regalità. Puntuali, chiare, reali le risposte, oserei dire, sorprendenti per la loro profondità. Questo, in particolare, il passaggio del celebrante rivolto ai bambini, che ha dato vita alle mie riflessioni: Cristo ha manifestato tuttala sua regalità nell’obbediente ascolto e compimento della volontà del Padre; allo stesso modo, anche i genitori debbono obbedire!
Credo che, oggi più che mai, alla genitorialità vada restituita la propria vocazione: l’obbedienza a Dio, da cui trae origine ogni paternità e maternità.
All’uomo e alla donna, che insieme sono il “capolavoro di Dio” fatto a sua immagine e somiglianza, Egli ha dato il potere e il compito di custodire la vita e le nuove generazioni, di indicare come meta la piena maturità di Cristo, di essere trasparenza del suo amore, manifestazione della sua gloria e di aspirare alla santità. L’obbedienza a Dio richiede, innanzitutto, un ascolto umile, desideroso di scoprire e di sottomettersi liberamente alla volontà di Colui che ci ha amati e che ha donato suo Figlio per noi.
L’obbedienza dei genitori nasce e si fonda sulla consapevolezza di essere stati resi partecipi da Dio della sua opera creatrice e continua nel prossimo numero di essere “con-creatori” con Lui nel far sbocciare una nuova vita, nel custodirla e portarla a pienezza.
Non, dunque, detentori della vita altrui, neanche quando questi fossero i propri figli; non ostentatamente sicuri di sé e della propria forza, perché senza di Lui non possiamo far nulla (cf Gv 15,4.5); non indiscussi padroni dei propri progetti e sogni, ma collaboratori di un Progetto più grande.
Sì, se i genitori obbedissero all’Amore, avremmo famiglie molto più felici.
È Gesù stesso ad assicurarlo: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,10-11).
Il primo comandamento, che racchiude in sé tutto, ce lo ha insegnato Gesù dall’alto di quella croce abbracciata per amore e per obbedienza al Padre: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cf Gv 15,12).

Continua...

IL PROTETTORE DELL’ANNO: SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA


San Gabriele nasce da famiglia aristocratica ad Assisi (Perugia) il 1° marzo 1838. E’ l’undicesimo di tredici figli di Sante Possenti, sindaco della città, e Agnese Frisciotti. Lo battezzano lo stesso giorno con il nome dell’illustre concittadino, Francesco. In casa però sarà sempre chiamato Checchino. Nel 1846 riceve la cresima e nel 1851 la prima comunione. A tredici anni affronta gli studi liceali nel collegio dei gesuiti. E’ intelligente, esuberante, vivace, gli piace studiare, riesce ottimamente soprattutto nelle materie letterarie. Elegante, vivace, spigliato, diventa un punto di attrazione per la sua allegria.
Gli piace seguire la moda, veste sempre a puntino. Vuole primeggiare in tutto, “la bella vita non gli dispiace”. Organizza partite di caccia, partecipa a passeggiate e scampagnate, va volentieri a teatro col padre e le sorelle, va a ballare (in città è anche conosciuto come “il ballerino”), anima le serate nei salotti di Spoleto, legge i romanzi e lo attirano gli autori del tempo, il Manzoni, il Grossi, il Tommaseo. Ma è anche di animo buono, generoso sensibile alle sofferenze dei poveri, ama la preghiera. Sprizza vita da tutti i pori. E’ un bel ragazzo e ne è consapevole. Alto,
snello, moro, viso rotondo fragile, occhi neri vividi, labbra ondulate con finezza sempre in sorriso, capelli castano scuri dal ciuffo ribelle. Checchino della vita è innamoratissimo, ma sul futuro sembra ancora indeciso. I ripetuti lutti familiari e alcune brutte malattie in cui è incappato gli hanno fatto apparire le gioie umane brevi ed inconsistenti; come l’ultimo dramma, la morte dell’amatissima sorella Maria Luisa, il 17 giugno 1855. Segue un anno tribolato senza riuscire a fare una scelta. Le cose non sono più quelle di prima, l’idea del convento torna con più insistenza. Il 22 agosto 1856, durante la processione, quando l’immagine della Madonna del duomo passa davanti a lui, gli risuonano nel cuore chiare parole: “Francesco, cosa stai a fare nel mondo? Segui la tua vocazione!”. Questa volta non riesce a resistere, è la madre che chiama. Il 6 settembre parte da Spoleto; la sera del 7 è a Loreto; nella santa casa trascorre l’intera giornata dell’8 settembre, festa della Madonna. Il 10 è già a Morrovalle (Macerata) per iniziare il noviziato. Lui, il ballerino elegante, il brillante animatore dei salotti di Spoleto, ha scelto di entrare nell’istituto austero dei passionisti, fondato nel 1720 da San Paolo della Croce con lo scopo di annunciare, attraverso la vita contemplativa e l’apostolato, l’amore di Dio rivelato nella Passione di Cristo. A 18 anni dunque Francesco volta pagina e cambia anche nome: d’ora in poi si chiamerà Gabriele dell’Addolorata, perché sia chiaro che il passato non esiste più. La scelta della vita religiosa è radicale fin dall’inizio: si butta anima e corpo, da innamorato. Ha trovato finalmente la pace del cuore e la felicità. Non gli fanno certo paura le lunghe ore di preghiera, le penitenze e i digiuni, perché ha trovato quello che cercava: Dio che gli riempie il cuore di gioia. Lo scrive subito al papà: “La mia vita è una continua gioia. La contentezza che io provo è quasi indicibile. Non cambierei un quarto d’ora di questa vita”. Il 22 settembre 1857 emette la professione religiosa. A fine 1861 si ammala di tubercolosi; ogni cura risulta vana. Non riesce a diventare sacerdote anche perché difficoltà politiche impediscono nuove ordinazioni.
Gabriele si rende conto che non c’è niente da fare. Il viaggio è già finito. Ma non si sconvolge. E’ proprio quello che aveva chiesto qualche anno prima. Quel che conta è solo la volontà di Dio.
“Così vuole Dio, così voglio anch’io”, scrive. La mattina del 27 febbraio 1862 “al sorgere del sole” Gabriele saluta tutti, promette di ricordare in paradiso, chiede perdono e preghiere. Poi muore confortato dalla visione della Madonna che invoca per l’ultima volta: “Maria, mamma mia, fa’ presto”.
La sua è ritenuta da tutti la morte di un santo. Tutti ricordano i suoi brevi giorni, all’apparenza comuni.
Il quotidiano è stato il suo pane, la semplicità il suo eroismo. Le piccole fragili cose di ogni giorno che diventavano grandi per lo spirito con cui le compiva. Lo ripeteva spesso: “Dio non guarda il quanto ma il come; la nostra perfezione non consiste nel fare le cose straordinarie ma nel fare bene le ordinarie”. Tutti ricordano la sua vita trascorsa all’ombra del Crocifisso e di Maria Addolorata, che è stata la ragione della sua vita.
Gabriele viene dichiarato beato da san Pio X nel 1908 e in suo onore viene innalzata la prima basilica. Nel 1913 nasce la rivista “L’Eco di san Gabriele”, portavoce del messaggio del santo nel mondo. Gabriele è proclamato santo da Benedetto XV nel 1920. Nel 1926 diventa compatrono della gioventù cattolica italiana e nel 1959 Giovanni XXIII lo dichiara patrono d’Abruzzo. Il 30 giugno 1985 Giovanni Paolo II compie una storica visita al santuario durante la quale, in un messaggio ai giovani, trasmetto dalla Rai in mondovisione, addita il santo come modello per le giovani generazioni. Il Papa inaugura la cripta e la cappella della riconciliazione del nuovo santuario.
San Gabriele è innanzitutto il santo dei giovani.
Sono centinaia di migliaia i giovani che vanno da lui per una sosta di preghiera. San Gabriele è il santo dei miracoli, invocato in ogni parte del mondo come potente intercessore presso Dio.
San Gabriele è il santo del sorriso. Seppe vivere sempre con gioia ed entusiasmo la sua esistenza.

Nel tempo e nello spazio di Dio

Iniziata a fine novembre portammo a termine con la presenza di bambini, giovani e adulti la novena dell’Immacolata durante la quale ci venne ampiamente spezzata la parola dal parroco che festeggiammo nell’anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale (7 dicembre). La solennità dell’Immacolata fu preceduta dalla celebrazione delle Quarantore e il giorno 6, Anniversario della Dedicazione della nostra chiesa parrocchiale registrò la presenza del Vescovo don Gino che celebrò l’Eucarestia. L’allestimento del presepe in chiesa e di una bellissima grotta, fuori, sotto il portico, predispose tutti alla novena di Natale che, come ogni anno, si concluse con la messa vigiliare alle 5,30 e alla Messa di Mezzanotte alla quale partecipò anche il Sindaco della città che resse l’ombrello di onore alla statuetta di Gesù Bambino partito processionalmente alla grotta allestita in Piazza Castello dal Comune. Non mancarono le serate ricreative presso l’oratorio e che furono animate dal Gruppo Famiglia e dai giovani. La sera del 30 inoltre, festa della S.Famiglia, partecipammo tutti all’Eucarestia predisposta dalle coppie animatrici, a seguire poi un’agape fraterna coinvolgendo nel gioco anche gli uomini di Azione Cattolica.
La sera del 31 ci ritrovammo poi per il Te Deum di ringraziamento e la messa di fine d’anno. Grande successo del Presepe Vivente realizzato nel centro storico dalla nostra confraternita di S. Rocco.

Luca