Fidarsi di Lui: garanzia per il nuovo Anno

Miei Cari,
passa il tempo, passano gli anni e viene da chiederci se con la venuta del Salvatore abbiamo continuato ad essere ricercatori di valori spirituali. È stato detto che tale “ricerca” porta all’affermazione che il cristianesimo non è una religione, ma una novità esistenziale; anzi ci si và convincendo che la religione è una sovrapposizione illegittima a un bisogno spirituale esistente nell’uomo. I primi due “cristiani”, Nicodemo e la Samaritana sono tali perché si sono liberati della storia personale e del gruppo: ecco la rinascita data da Gesù a Nicodemo. Dio ha tanto amato il mondo, non un popolo. Il concetto di popolo è illegittimo davanti a Lui, come è illegittima una qualsiasi religione. “I cristiani, scrive P. Bergamaschi, devono ragionare con categorie universali; forse sarebbero dovuti rimanere in martirio - dopo l’imperatore Costantino - per altri dieci secoli, invece si sono accomunati con le altre religioni; ecco perché siamo in queste condizioni”. L’insegnamento di Gesù mira a fare dell’uomo il “vero uomo”. E prima di Lui, Socrate affermava che il vero uomo non è quello che è così com’è, ma il suo “dover essere”.
Interessante a riguardo è quanto affermava il francescano Duns Scoto, che cioé Gesù si sarebbe incarnato anche se Adamo ed Eva non avessero peccato. E mentre S. Tommaso dice che sarebbe venuto per risanare le rovine del peccato, Duns Scoto dice di no. Gesù sarebbe venuto sulla terra per celebrare fino in fondo le potenzialità della natura umana. Dio continua come Padre a prendersi cura e premura dei disobbedienti del giardino dell’Eden, o farsi protettore del fratricida Caino e che si impietosisce del popolo assetato e affamato; mentre il Natale è il suo farsi carne e l’Eucarestia il suo farsi pane, ciò è perché è Padre provvido, non è un optional della sua benevolenza. Iniziare pertanto, miei Cari, nei migliori dei modi il nuovo anno confidando nel Dio Padre che Gesù annuncia, significa partire col piede giusto, rinsaldando la fiducia nel Dio, Padre-Madre. Lui sa. Fidiamoci di Lui, cerchiamone la vicinanza nella preghiera, cogliamone i segni del suo amore, condividendone la fiducia, affidando tutto a Lui. La luce del suo volto illumini i passi di ogni giorno, conduca alla mensa di Gesù e ci apra tutti alla fraterna carità. È il mio auspicio e l’augurio per il 2009 che si apre dinanzi a noi!

Cordialmente, Don Vincenzo

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Nella notte di Natale e nel profondo dei nostri cuori, risuona l’annuncio antico e sempre nuovo della nascita di Gesù Bambino: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Rimanendo con noi, il “Figlio dell’Altissimo” ha santificato l’umanità ed ha acceso nel mondo il fuoco dell’amore di Dio, che mai si spegnerà. Come i Magi, inchiniamoci davanti al Dio Bambino con lo stesso amore con cui Maria Lo adorava e chiediamoGli di accendere questo fuoco nei cuori degli amici della nostra Parrocchia, affinché siano trasformati in santi e impegnati evangelizzatori, per infiammare il mondo, bisognoso di Amore.
I nostri più cari Auguri di un Anno nuovo colmo di pace e gioia, di benedizione e
grazie al nostro Vescovo Don Gino e a quanti rendono più vivace e bella la nostra Comunità Parrocchiale.

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1-8 Luglio 2009
Col nostro Parroco in TERRA SANTA



È l'invito che rivolgiamo agli Amici della nostra Comunità, per stringersi attorno al nostro don Vincenzo che nel 2009 celebra il suo 40° di Sacerdozio.

Le iscrizioni sono aperte e al più presto verrà fornito il programma dettagliato del Pellegrinaggio.

“COMBATTERE LA POVERTÀ,COSTRUIRE LA PACE”

Il Messaggio di Benedetto XVI per la 42a Giornata Mondiale della Pace

L’8 dicembre 2008, Festa della Immacolata Concezione, è stato reso noto il testo del messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLII Giornata Mondiale della Pace, che cade il 1° gennaio 2009. Il titolo è eloquente di per sé: la pace si costruisce sulle ceneri delle povertà, tanto di quelle materiali quanto di quelle immateriali, “che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali”. “Nelle società ricche e progredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverse forme di disagio nonostante il benessere economico”, scrive Sua Santità, il quale sottolinea come il divario tra ricchi e poveri si sia allargato. Non conforta il povero apprendere che‘“anche i ricchi piangono”, sono cioè poveri immateriali malgrado le ricchezze materiali di cui dispongono.
Sono povertà agli antipodi, tuttavia entrambe agenti e laceranti, ma la povertà interiore dei ricchi, la loro infelicità ed insanabile insoddisfazione, è determinata proprio dal disinteresse verso i poveri in senso materiale. A ben vedere, anzi, non si tratta di povertà interiore, cioè dello spirito o per lo spirito, evangelicamente ricercabile, ma di miseria, che è la degenerazione assoluta della povertà. Come riflette Padre Alberto Maggi, si possiede Dio, che agisce per la felicità dell’uomo, se ci si prende cura di chi non ha o non é. È una equazione dura da comprendere per chi fa del denaro il suo dio, per ciò facilus est camelum per foramen acus transire quam divitem intrare in regnum caelorum(Mt. XIX, v.24). Poiché l’immagine di un cammello che cerca di passare per la cruna di un ago è inverosimile, qualcuno sostiene che il passo biblico sia stato tradotto male. Tuttavia, che si tratti di un cammello o di un grosso canapo, il senso delle parole di Gesù non cambia: ai ricchi il regno dei cieli è precluso, a meno che non se ne privino per fare felici gli altri (e se stessi).
Nel mondo si combatte la pace e si costruisce la povertà. Le statistiche parlano chiaro: i morti per fame, sete, conflitti, pandemie, sono una moltitudine. Molte sono le guerre dimenticate, per tacere della distruzione dell’ecosistema a causa del profitto, che è una devastazione nelle devastazioni. E dei milioni di aborti (“lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani”) a cui si aggiunge la povertà dei bambini. “Quando la povertà colpisce una famiglia, i bambini ne risultano le vittime più vulnerabili: quasi la metà di coloro che vivono in povertà assoluta oggi è rappresentata da bambini”, riflette il Papa. Le domande che dobbiamo porci sono: dove stiamo andando? Quale futuro stiamo costruendo? Siamo consapevoli che siamo i tutori del mondo e della vita e non i loro liquidatori? Siamo capaci di tendere la mano a chi è in difficoltà oppure la nostra mano è arida e il nostro spirito è rachitico? Siamo consapevoli che il cristianesimo non è un’ideologia o un bel compendio di filosofia ma un manuale di arti e mestieri? Che dobbiamo trafficare i talenti (e le ricchezze) piuttosto che tesaurizzarli? Che la lotta agli armamenti è una lotta per la difesa della vita? Che le guerre che appaiono così lontane da noi, ci sono in realtà assai vicine, anzi ruggiscono dentro di noi? Le nostre chiese sono comunità fraterne o meri teatri del sacro e della religione? Anche le amministrazioni locali sono chiamate a fare la loro parte. Si tratta di immaginare politiche ed interventi “per la promozione del riscatto e dell’inclusione nella società di quelle fasce della popolazione che sono spesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso difficilmente raggiungibili dagli aiuti ufficiali”. Nella nostra città si va alla ricerca di questa categoria di poveri, spesso afona e dignitosa, silenziosa e non facilmente rintracciabile, oppure la si tratta con fastidio e la si scarica alle associazioni caritative, senza alcuna forma di inclusione e di promozione sociale?
Il messaggio di Benedetto XVI non è rivolto soltanto ai capi delle nazioni, ma a ciascuno di noi. Cerchiamo di renderlo vivo e palpitante con le opere di pace, quelle di cui si fece promotore e parte attiva don Tonino Bello, servo di Dio perché al servizio dei più poveri.


Salvatore Bernocco

Ricetta per la Pazienza

1) Convincersi che la bontà è la forza più potente del mondo. Chiederla a Dio nella preghiera. I “duri” non fanno che inasprire.
2) Essere sempre pronti agli imprevisti. Fare in modo che il sentimento non prevalga sulla ragione con reazioni incontrollate.
3) Saper tacere. Di fronte alle offese, ai guasti improvvisi… lasciar passare il tempo (contare fino a 33?). Tutto tornerà normale.
4) Saper prevedere le occasioni e le persone… che possono farci arrabbiare. Premunirsi fin dal mattino.
5) Prendere coscienza della propria fragilità e rendersi conto che noi sbagliamo più degli altri, che spesso sono migliori di noi.
6) Non drammatizzare. Molte volte una scintilla fa scatenare un incendio. I litigi spesso nascono da cose da niente. Una piccola divergenza fa nascere un conflitto. Riduciamo le cose alla loro misura.
7) Sape chiedere scusa. Quando ci si accorge di aver sbagliato avere la prontezza di chiedere scusa, anche alle persone inferiori. Così si risanano le ferite e si prevengono mali peggiori.


L’uomo è stato creato rivestito
della grazia santificante;
egli è nudo a causa del peccato.
La veste assume allora
un duplice senso:
l’ipocrisia delle foglie di fico
dietro le quali Adamo ed Eva
si nascosero,
o la tunica di pelli
di cui Dio li rivestì,
e che preparava la veste battesimale.

Erik Peterson



“Il Problema non è allungare la vita, ma allargarla”


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Nell’Anno 2008
Battezzati..................... 9
Prima Comunione ............... 20
Cresimati ..................... 20
Matrimoni ..................... 2
Defunti........................ 29

La figlia primogenita dell’orgoglio

Il più stupido dei vizi, quello dell’invidia, è frequentemente stigmatizzato dalla predicazione morale. Lo ritroviamo nella serie di vizi offertaci da san Paolo (Rm 1,29; Gal 5,21) e sappiamo anche la stretta parentela che lo unisce alla gelosia, quando non soltanto vorremmo per noi il bene altrui, ma lo desideriamo in esclusiva.
Sorelle gemelle, invidia e gelosia sono considerate da San Cipriano “radici di tutti i mali”, e costituiscono una proiezione dell’orgoglio, che ci spinge ad avere tutto e a non mancare di nulla, varcando illusoriamente, anche in questo caso, i limiti e i
confini della nostra condizione di creature. L’invidioso e il geloso sono incapaci di considerare i beni altrui come un bene anche per sé e non sanno rapportarsi nei loro confronti con interiore libertà, rispetto e gratuità. Chi è segnato da invidia e gelosia si chiude in se stesso in un atteggiamento a dir poco “demoniaco” (Satana è colui che “vive a porte chiuse” e “parto demoniaco”: sono espressioni dette da san Basilio a proposito di invidia e gelosia), con questo risultato: che i beni concupiti sono irrimediabilmente perduti e in noi restano soltanto il rovello interiore e la rabbia di una disfatta irreparabile.
Ma è opportuno domandarsi se invidia e gelosia, come tutte le passioni umane, non nascondono una intuizione, un bisogno latente che chiede di esprimersi in modo positivo. Nel qual caso l’estirpazione del vizio sarebbe preordinata all’acquisizione della virtù corrispondente e viceversa.
Ci mette sulla giusta via il fatto che le Scritture fanno della gelosia non soltanto una virtù di Dio (quante volte si legge: “Il Signore tuo Dio è un Dio geloso”) (Dt 4,24), ma uno e non l’ultimo dei suoi stessi nomi: “Il Signore si chiama Geloso” (Es 34,14). La gelosia divina è sinonimo dell’amore esclusivo e sconfinato che Dio ha per le proprie creature. E’ semplicemente esaltante sapersi amati da un Dio geloso! Ne nasce l’assoluta certezza che non saremo lasciati ai nostri smarrimenti e ai nostri traviamenti e che l’amore folle di Dio trionferà sulle nostre resistenze e sui nostri rifiuti. La “gelosia divina” diventa inoltre il più potente strumento apostolico, se anima l’azione pastorale dei ministri di Dio, e chiede un’impegnativa, gioiosa contropartita: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è un unico Signore. Ama il Signore tuo Dio con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze” (cfr Dt 6,5).
Dunque, alcune originarie inclinazioni dell’animo umano hanno valenze positive: sta a noi servircene come di vigorose spinte al bene, invece che rovinosi stimoli al male. Se quindi il bene dell’altro rappresentasse per noi non un impoverimento o un affronto, ma una sfida salutare, una mèta “da raggiungere, da conquistare, da imitare, fino magari a superarne le posizioni, in questo caso ci sentiremo fortemente aiutati in un crescente arricchimento e perfezionamento materiale, culturale, spirituale”, si sosteneva in un Convegno dedicato alla riflessione sull’invidia. Per concludere che “al posto dell’invidia avremo il suo contrario, che è l’emulazione”. Analoghe considerazioni possiamo fare in merito alla gelosia. Se essa si traducesse in amore tenace, illimitato, pronto a ogni sacrificio, allora si rivelerebbe una forza prorompente, destinata ad abbattere ogni ostacolo. Accanto all’invidia e alla gelosia, c’è una terza figlia dell’orgoglio: la vendetta. La Vendetta comporta un enorme investimento di energie distruttive, che si rivelano nel contempo autodistruttive. Da un punto di vista psicologico il manico del coltello omicida è molto affilato e tagliente della lama che viola l’incolumità del fratello, così che uno colpisce se stesso con quello strumento con cui intende ferire l’altro, inoltre la vendetta apre una spirale di successivi gesti sempre più illusoriamente protesi a fare giustizia, quando la vera giustizia consiste nel disarmo interiore
e nella pacificazione del cuore.
Anche la vendetta è figlia primogenita dell’orgoglio, il quale non tollera il benché minimo attentato non soltanto alla nostra incolumità ma all’immagine che ci facciamo di noi stessi come esseri che non dovrebbero mai subire critiche, smentite, insuccessi, contraddizioni, fraintendimenti e offese. Ne segue che la persona vendicativa vive in uno stato congenito di rancore, in un lacerante dissidio nei confronti della realtà che sarà sempre impossibile piegare ai propri sogni di onnipotenza.
Occorre, cari amici, ancora una votla sottostare dinanzi all’imparziale e implacabile specchio della nostra coscienza, illuminata dalla fede, nell’intento di far emergere, ove presenti, le tracce spesso sottili e nascoste dei nostri risentimenti, prenderne coscienza, per prenderne le distanze, secondo l’invito di Dio a Caino: ´Il peccato è accovaccciato alla tua porta: verso di te è il suo istinto, ma tu dominaloª (Gen 4,7). E soltanto con la grazia di Dio e la potenza del suo Spirito possiamo debellarlo!


F. N.


Dio è più forte del male

Il peccato originale, il mistero del male che, come un fiume sporco, attraversa la storia umana, la forza prevalente del bene, il mistero della Luce. Benedetto XVI
affronta la dottrina sul peccato originale in san Paolo.


Come uomini di oggi dobbiamo chiederci: che cosa è il peccato originale? Che cosa insegna san Paolo, che cosa insegna la Chiesa? È ancora oggi sostenibile questa dottrina? Sono le tre domande con cui Benedetto XVI si addentra nel mistero del peccato originale, cioè della frattura che separò l’uomo dal suo Creatore, sanata dal Cristo. Che il male sia presente dentro di noi è un’evidenza inconfutabile. San Paolo nella Lettera ai Romani rivela che nell’uomo ci sono due spinte, una a fare il bene, l’altra a fare il male: “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (7, 18-19). Tremenda verità! Il male che non vogliamo, questa “seconda natura” che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona, come diceva il pensatore francese Pascal, è come un fiume sporco che attraversa la vicenda umana. Un fiume sporco a cui il Cristo oppone un fiume di luce, cioè di libertà dal male, il quale proviene da una libertà creata, da una libertà abusata, dice il Papa. “Come è stato possibile, come è successo?”, si chiede Benedetto XVI, il quale risponde in questi termini:“Questo rimane oscuro. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso”. Adamo ed Eva, il paradiso terrestre, la mela del peccato, il serpente tentatore, sono tutte grandi immagini di una originaria e profonda lesione, dicono per l’appunto di una volontà autonoma da Dio che tende ad affermarsi nonostante il Suo disegno di amore, suggerita all’uomo da “una libertà creata”. Un enigma che resterà tale. Ma poiché Dio è esclusivamente buono e non c’è in lui ombra di male, anche l’uomo è essenzialmente buono, può cioè essere sanato. “Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l’uomo, è sanabile”, sostiene il Santo Padre. Anzi, l’uomo è sanato di fatto. “Dio ha introdotto la guarigione. […] Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene”, il Cristo, un fiume di luce presente nella storia. I santi ed i semplici fedeli ne sono una testimonianza concreta. Questa è la buona notizia. Il Natale, che abbiamo da poco celebrato, è appunto l’irruzione nella storia di quel fiume di luce che sana ogni uomo che vi si accosta con umiltà e desiderio.


S. B.