LAVORIAMO PER IL REGNO

Miei Cari,
con il mese di ottobre siamo tornati alla vita “normale”, almeno per la maggior parte di noi. È iniziata la scuola, il ritmo produttivo scandisce orari di lavoro con il consueto incalzare, le occupazioni della settimana si posizionano sull’agenda. È la routine, le solite cose da fare, le persone da incontrare, gli impegni da onorare. Che vita è questa? È la vita obbligata delle persone mature, quelle che hanno fatto scelte e preso impegni e non possono sottrarsi alle responsabilità familiari, professionali, sociali, ecclesiali… E non vogliono neppure spegnere i propri doni nella pigrizia e nell’individualismo. Ma non si può vivere di routine! Anche nel fare le cose più importanti e grandi (il volersi bene tra coniugi, il celebrar la Messa del prete, il donare la vita del volontariato…) può infiltrarsi, lo sappiamo bene, l’abitudine, la ripetitività, la stanchezza. Ecco la necessità di una vera spiritualità, quella che fa scoprire Dio al centro della vita e di ogni giornata: anche in mezzo alle mille occupazioni e preoccupazioni. “Vivere secondo lo Spirito” - scrive C. Contarini - è il segreto, soprattutto se si riesce a esplicitare il complemento oggetto: vivere la scuola, la famiglia, il lavoro, il servizio in parrocchia, tutto… secondo lo Spirito! Quello Spirito che è il segreto della giovinezza della  Chiesa, che dà l’energia di sempre nuova vitalità e la creatività nella fedeltà quotidiana. Il mese di ottobre poi aggiunge un’altra prospettiva che strappa dalla routine: la dimensione missionaria. Per respirare con tutta la Chiesa, che è “cattolica” cioè universale; per radicare sempre più seriamente il Vangelo nel centro del cuore; per dare incisività alla fede vissuta nella normalità di ogni giorno. Ricordiamo - scrive G. Bernanos - che il cristianesimo non è il miele del mondo, ma il sale della terra: nelle cui feritoie brucia. Son venuto a portare il fuoco, dice Gesù. Diamoci quindi da fare.
È il mio auspicio
Don Vincenzo

4 Ottobre: ricordando Carlo Carretto

LE “DUE VITE” DI FRATEL CARLO

Di Carlo Carretto (Alessandria, 2 aprile 1910 - Spello 4 ottobre 1988) mi tormentano ancora i suoi vivi e penetranti occhi che mi fulminarono in quel lontano incontro di Assisi, durante un raduno mondiale dei giovani francescani. Erano gli occhi di un contemplativo, di un uomo e di un credente che, dall’azione umana ed ecclesiale energica e profetica, passò al totale dono di sé. Quegli occhi con cui guardava e contemplava le stelle che brillavano nel luminoso cielo del Sahara, il deserto algerino dove per dieci anni visse e si formò alla scuola dei fratelli di Charles de Foucauld. Sì, fratel Carlo era appassionato di astri, di quelle stelle, riflettenti l’unica Luce dell’unica Stella (Cristo), che divennero guide per la sua esistenza e dei tanti giovani che sono saliti a Spello dove visse la “seconda parte” della sua vita, dopo la permanenza, faticosa e performativa, nell’eremo africano. In una lettera ai famigliari del giugno 1974, così spiega e sintetizza la scelta della vita religiosa e contemplativa: «Con me Dio usò una tattica diversa. Prima chiese la mia azione, poi chiese me. Nel primo (periodo) mi trovai a lavorare nella Chiesa come un crociato, sentivo di contare qualcosa e mi buttavo nell’azione con la passione di un innamorato. […] Ma lui, il Signore… mi attendeva al varco. Mi sentii dire da lui: “Carlo, non voglio più la tua azione, voglio te”. E mi trovai nel deserto, come in un secondo periodo della mia vita, a svuotarmi delle mie sicurezze e a liberarmi dagli idoli. E’ stata la più splendida avventura della mia vita, anche se la più rude e dolorosa. Dal deserto le cose si vedono meglio, con proporzioni più eterne. Il cosmo prende il posto del tuo paese natio e Dio diventa davvero un Assoluto. Anche la Chiesa si dilata alle dimensioni dell’universo e i lontani, cioè coloro che non sono ancora visibilmente cristiani, diventano vicini».

Un amore viscerale per la Chiesa 
Schiettezza, libertà interiore e radicalità evangelica lo portarono ad amare e correggere gli uomini di Chiesa e l’umanità con forza, fedeltà ed umiltà. Carlo Carretto, come Francesco d’Assisi, sognava una Chiesa che avesse gli stessi sogni di Dio, il sogno dell’amore, sempre, comunque. Combattuto tra amore alla “sua” Chiesa e sofferenze per le incomprensioni e le innegabili lontananze evangeliche di alcuni uomini di Chiesa, scriveva così, pregno di amore e dolore, sogni e speranze: «Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo! Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello». La Chiesa, amata e contestata da fratel Carlo, è santa e peccatrice, umana ed errante. Ma è proprio questa “dualità” (la santità della Chiesa perché è di Cristo, ed il peccato della Chiesa perché fatta di uomini e peccatori) che lo ha fatto innamorare perdutamente di Dio. «Quante volte ho avuto voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima - diceva idealmente alla Chiesa - e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure. No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te. E poi, dove andrei? A costruirne un’altra? Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò sarà la mia chiesa, non più quella di Cristo. L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: “Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi non è più credibile”. Mi fa pena! O è un sentimentale che non ha esperienza e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri. Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra. San Francesco urlava: “Tu mi credi santo, e non sai che posso ancora avere dei figli con una prostituta, se Cristo non mi sostiene”. La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo. Degli uomini è la debolezza e semmai la buona volontà di fare qualcosa di buono con l’aiuto della grazia che sgorga dalle vene invisibili della Chiesa visibile. Forse la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?».

Il sogno della fragilità 
Il sogno di Carlo Carretto si è imbattuto nell’amore del Padre che ama la fragilità, la debolezza, l’infedeltà della sua creatura. Ciò che deve farci amare la Chiesa e l’uomo è il perdono di Dio e la quotidiana risurrezione che lo Spirito Santo opera nella storia e negli uomini nonostante il peccato. Scriveva, ancora, il contemplativo del Subasio: «Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo papa. Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che aver fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nell’umiltà e nella coscienza della propria fragilità. No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una pietra così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io». La forza che vince la fragilità umana è la stessa di Cristo, ribadiva Carretto, una forza di sostegno e di trasformazione interiore: «Ma - continuava - c’è ancora un’altra cosa che forse è la più bella. Lo Spirito santo che è l’Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri. Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice. È come se il male non avesse potuto toccare la profondità metafisica dell’uomo. È come se l’Amore avesse impedito di lasciare imputridire l’anima lontana dall’amore. “Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle” dice Dio a ciascuno di noi, e continua: “Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele” (Ger 31,3-4). Ecco, ci chiama “Vergini” anche quando siamo di ritorno dall’ennesima prostituzione nel corpo e nello spirito e nel cuore. In questo Dio è veramente Dio, cioè l’unico capace di fare le “cose nuove”. Perché non m’importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, e più necessario che faccia “nuovi” i nostri cuori. E questo è il lavoro di Cristo. E questo è il lavoro divino della Chiesa. Volete voi impedire questo “far nuovi i cuori”, scacciando qualcuno dall’assemblea del popolo di Dio? O volete, voi, cercando altro luogo più sicuro, mettervi in pericolo di perdervi lo Spirito?». Il segreto di questo profeta, moderno e scomodo, è svelato dalle parole del suo amico Leonello Radi: «L’attività principale di Carlo Carretto erano le otto ore di preghiera al giorno. L’ho trasportato non so quante volte con il mio maggiolino rosso. Durante il viaggio si conversava e, soprattutto, si pregava».

Francesco Armenti


19 Ottobre: LA BEATIFICAZIONE DI PAPA PAOLO VI

Paolo VI (nato Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini) nasce a Concesio il 26 settembre 1897. È stato il 262° Vescovo di Roma e Papa a partire dal 21 giugno 1963 fino alla morte, avvenuta a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978. Venerabile dal 20 dicembre 2012, dopo che papa Benedetto XVI ne ha riconosciuto le virtù eroiche, sarà beatificato il 19 ottobre prossimo. Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a separarsi dalla spiritualità, che andava progressivamente secolarizzandosi, di fronte a un difficile rapporto chiesa-mondo, Paolo VI seppe sempre mostrare con coerenza quali sono le vie della fede e dell’umanità attraverso le quali è possibile avviare una solidale collaborazione verso il bene comune. Non fu facile mantenere l’unità della Chiesa cattolica, mentre da una parte gli ultratradizionalisti lo attaccavano accusandolo di aperture eccessive, se non addirittura di modernismo, e dall’altra parte i settori ecclesiastici più vicini alle idee socialiste lo accusavano d’immobilismo. Di grande rilievo fu la sua scelta di rinunciare, nel 1964, all’uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare, con il ricavato, i più bisognosi. Uomo mite e riservato, dotato di vasta erudizione e, allo stesso tempo, profondamente legato a un’intensa vita spirituale, seppe proseguire il percorso innovativo iniziato da Giovanni XXIII, consentendo una riuscita prosecuzione del Concilio Vaticano II, portandolo a compimento con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici ed aprendo fortemente verso i temi del Terzo Mondo e della pace. Da una parte appoggiò l’”aggiornamento” e la modernizzazione della Chiesa, ma dall’altra, come tenne a sottolineare, il 29 giugno 1978, in un bilancio a pochi giorni della morte, la sua azione pontificale aveva tenuto quali punti fermi la “tutela della fede” e la “difesa della vita umana”. Molto complesse furono le questioni del controllo delle nascite e della contraccezione, trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica. Il 24 dicembre 1974 inaugurò l’Anno Santo del 1975. Durante il sequestro Moro, il 16 aprile 1978 Paolo VI implorò personalmente e pubblicamente, con una lettera diffusa su tutti i quotidiani nazionali il 21 aprile, la liberazione “senza condizioni” dello statista e caro amico Aldo Moro, rapito dagli “uomini delle Brigate Rosse” alcune settimane prima. Ma a nulla valsero le sue parole: il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio 1978, nel bagagliaio di una Renault color amaranto, in Via Caetani a Roma. La salma di Moro fu portata dalla famiglia a Torrita Tiberina per un funerale riservatissimo. Ma il 13 maggio, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, alla presenza di tutte le autorità politiche, si celebrò un rito funebre in suffragio dell’onorevole, al quale prese parte anche il Pontefice. Il Papa, provato dall’evento, recitò un’omelia ritenuta da alcuni una delle più alte nell’omiletica della Chiesa moderna. Questa omelia inizia con un sommesso rimprovero a Dio ma prosegue affidandosi nuovamente alla misericordia del Padre: “Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il “De profundis”, il grido, il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui. Signore, ascoltaci!”. Il 10 maggio 1972 benedisse le due corone d’oro collocate sull’effige della Vergine e del Bambino Gesù custodita nel Santuario della Madonna delle Grazie.

Salvatore Bernocco


Nel tempo e nello spazio di Dio

Sia pure in sordina, il mese di settembre introdusse il lavoro pastorale con incontri di programmazione per il nuovo anno. Ci si incontrò con i responsabili della catechesi e degli altri movimenti parrocchiali per impostare meglio il lavoro che ci attende tra poco. Il parroco si assentò per alcuni giorni e fu a Bergamo dove si incontrò con amici e insieme con il cardinale Capovilla (novantanovenne) già Segretario di San Giovanni XXIII. Egli era stato a Ruvo e in parrocchia nel 1976 e nell’88. Molti i fedeli che si prepararono alla festa di S. Pio che culminò con il giorno 23, preceduta dalla Veglia di Preghiera e le celebrazioni con la festa esterna. L’adorazione mensile fu animata dal Gruppo Eucaristico parrocchiale e il Volontariato Vincenziano solennizzò la festa di S. Vincenzo de’ Paoli il giorno 27. Una buona rappresentanza della parrocchia, con il parroco, partecipò al Convegno Diocesano tenutosi presso l’Auditorium Regina Pacis. E un nutrito gruppo si recò in pellegrinaggio a Casacalenda a venerare la Madonna della Difesa il cui santuario è gemellato con la cappellina di Ruvo nella zona della “Difesa” comunale.

Luca


Pellegrinaggio a Casacalenda

Nutrire la propria fede allargando gli orizzonti è un esempio concreto di come la curiosità possa aggiungere alla propria vita quel pizzico necessario a scoprire per poi conoscere. Un valido esempio è stato il pellegrinaggio a Casacalenda (CB) il 28 settembre scorso, giorno in cui quel paese festeggia la sua Patrona: “S. Maria della Difesa”. Esperienza, frutto di un gemellaggio con l’omonima cappella di Ruvo, che ha visto un gruppo di amici della comunità, dirigersi verso questo bellissimo posto, guidati dal nostro parroco don Vincenzo. Subito il paesaggio naturale è emerso, rendendo il pellegrinaggio interessante e catturando spesso l’attenzione durante il viaggio. Isolato su una montagna, tra le nuvole, nei pressi del paese di Casacalenda, il santuario dedicato a S. Maria ha origini storiche risalenti a presunte visioni o sogni di contadini del luogo che furono invogliati a scavare nella località detta “Difesa” (da cui appunto la Madonna prende il nome) per la ricerca di un tesoro. Gli scavi portarono alla luce un altare, degli scheletri umani, resti di una chiesa e una lapide funeraria del 44 a.C.. su quelle fondamenta fu costruito il santuario dedicato a S. Maria, costruzione terminata poi nel 1898 con l’autorizzazione del vescovo di Larino Mons. Di Milla. La chiesa però, è stata chiusa al culto per lavori di restauro dovuti al terremoto del 31 ottobre 2002 e riaperta solo l’anno scorso al culto. Nel giorno della festa, sacro e folklore trovano il loro equilibrio radunando migliaia di fedeli da tutto il Molise e non solo e basta poco per rendersi conto di quanti siano stati, nel tempo, i miracoli che la gente ha attribuito alla Madonna. È per questo che tutte queste testimonianze sono state raccolte in un museo storico sovrastante la chiesa, inaugurato il 24 maggio 2014. Appena arrivati, il gruppo ha trovato il benevolo accoglimento del parroco di Casacalenda Mons. Gabriele Tamilia, che ha invitato il nostro parroco a celebrare l’Eucarestia. Non è mancata, anche l’occasione di raccontarsi a vicenda le due storie: quella della nostra cappellina e quella del santuario di Casacalenda dalla cui zona entrambe prendono il nome. Speriamo che questo incontro dia vita ad un fraterno gemellaggio che porterà quella comunità a visitare, il prossimo anno, la nostra bellissima terra pugliese.

Francesca de Astis