Come girasoli in cerca di luce

Miei Cari,
mi ha fatto riflettere il titolo dato a questa mia lettera e che volentieri propongo a voi: “Come girasoli in cerca di luce”. Infatti la solennità della Presentazione del Signore che stiamo per celebrare è una festa colma di luce. Il bambino Gesù viene portato al tempio, ma la liturgia legge il fatto come se nel tempio entrasse il grande Sacerdote che ci libera dal peccato, dalla morte, dalla schiavitù.
È un infante la cui vita appartiene a Dio e la cui vita è orientata a Lui, è risposta a Lui. Da grandicello dirà: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio”? La sua vita ha un orientamento come anche deve essere per ciascuno di noi: orientarsi verso Dio. E se siamo orientati a Dio, siamo nella luce, perché Dio è luce. Rivolgendoci a Lui saremo raggianti e i nostri volti non saranno confusi.
Le fiammelle con cui attraverseremo la navata della nostra chiesa faranno palpitare i nostri volti, li faranno brillare. Senza Gesù ci spegniamo e con Lui tutto si illumina. Senza luce ci smarriamo, ma con lui ritroviamo la nostra dignità. Senza luce una casa piomba nel buio, diventa un albergo, con Cristo diventa una comunione di cuori. Senza luce una parrocchia diventa una’accozzaglia di gruppi; con la luce di Cristo diventa una Comunità, il Popolo di Dio.
Se abbiamo la luce dentro, illuminiamo tutto (e se uno ha la luce dentro, lo si capisce).
La festa della Presentazione deve portarci a verificare il nostro orientamento: come girasoli.
E diamo tempo a questa illuminazione del cuore.
Non basta stare in chiesa, è il nostro cuore che deve essere rivolto. Possa diventare il nostro cuore come quello di Simeone e Anna e che ognuno di noi possa stringere Gesù tra le sue braccia.
È il mio augurio.

Don Vincenzo


Presentazione di Gesù al Tempio (De Matteis?)
proveniente dalla chiesa di S. Carlo, ora in S. Domenico




13 FEBBRAIO 2009 - ore 19,00
Anniversario Dedicazione
della Rettoria di S. Rocco (1503)
Solenne Celebrazione Eucaristica alla presenza delle
Amministrazioni Comunali di Ruvo e Barletta.
Seguirà nel Palazzo di Città una Conferenza sull’evento,
unito a quello della Disfida di Barletta
da parte della Prof.ssa RITA LEONE
Docente di Italiano e Storia
presso il Liceo Scientifico Statale di Ruvo



Anno Paolino:
7 Marzo 2009
Con il Vescovo Don Gino
a Roma
sui luoghi di S. Paolo
Vieni anche Tu!

Dio: datore di senso

Intanto, per prima cosa, la fede in Dio ci rivela che la nostra vita non è assurda, ma ha un senso. Non siamo figli del Caso, ma di un Padre che si ha pensati, amati, voluti.
“Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe, mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro” (Sal 139,13-16).
Ebbene, la convinzione di avere Dio all’origine della nostra vita ci immunizza dalla più terribile malattie che possa cogliere l’uomo: l’angoscia. Cerchiamo di capire bene: credere in Dio non elimina, certo, le malattie fisiche (ad esempio, il mal di denti); non elimina le malattie psichiche (ad esempio la paura); credere in Dio elimina la malattia spirituale: l’angoscia.
Ammesso Dio, infatti, tutto ha un senso; ammesso Dio siamo in buone mani. Il Padre, infati, sa: “Il Padre nostro celeste sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate” (Mt 6,8).
E così Dio diventa come un potente ansiolitico. Credere che Dio c’è e mi ama, può rasserenare più di tutte le psicanalisi del mondo!
Lo psichiatra Giacomo Daquino non ha dubbi: “La religiosità matura rappresenta la miglior medicina, il miglior psicofarmaco per l’individuo sia verso se stesso che nel rapporto con gli altri. È infatti fonte di serenità, di equilibrio, di armonia emotiva”.
Chi crede in Dio è autorizzato a ridere! Comunque vadano le cose, sarà un successo: il lieto fine è assicurato!
C’è un Filo Conduttore che lega ogni cosa. C’è Uno che scrive diritto anche su righe che ci sembrano storte.
Ammesso Dio, tutto è grazia, anche le cadute, anche le fermate. Lo capiremo quando, dopo il tunnel, sentiremo la Sua spiegazione autorevole, divina. Capiremo e ringrazieremo d’esser nati uomini. Capiremo e gioiremo.
Sant’Agostino diceva: “Dio è la felicità che fa felici!”. Insomma, Dio è contro il malumore. ‘Religione’ non dovrebbe mai far rima con ‘depressione’. Papa Giovanni XXIII confidava: “Il segreto della felicità è farsi portare da Dio”, abbandonarsi alla sua volontà: “Nella tua volontà è la mia gioia” (Sal 118,16). Sentite questo brevissimo racconto che ci regala lo scrittore Luigi Santucci: “La paura bussò alla porta. La fede andò ad aprire. Non c’era nessuno!”.
Chiarissimo: la fede in Dio sconfigge la paura, sconfigge il mal di vivere.
Commenta Carlo Carretto: “Dio è mio padre. Queste semplici parole sono la proclamazione della più importante profezia che riguarda l’uomo e la risposta a tutti gli interrogativi posti dal mistero della vita.
Sì, se Dio è mio padre, posso star tranquillo e vivere in pace: sono assicurato per la vita, per la morte, per il tempo e per l’eterno. E che tipo di assicurazione è la mia!”.
La fede in Dio non è solo un ansiolitico, è anche un potente energetico.
A 46 anni Ludwig von Beethoven piomba nella sordità totale. È preso dalla massima disperazione. La sua fede in Dio vacilla paurosamente. Ma, ad un certo momento, trova la forza di vincere ancora. Compone in due anni la ‘Messa solenne’; sotto quelle note scrive: “Dio è un’incrollabile fortezza”.
Sì, la fede in Dio trasmette energia. Pensiamo a un don Alberione, a un don Bosco, a una Madre Teresa di Calcutta: tre sassolini (davvero tali se guardiamo al loro fisico)che, buttati nel mare della storia, hanno formato, per la forza della loro fede in Dio, cerchi a dimesione mondiale.
Con tutto ciò (sia ben chiaro!) non vogliamo ridurre Dio ad un nostro bisogno, ad un’illusione balsamica, ad una stampella spirituale, ad un ‘placebo’.
Vogliamo dire che Dio produce quegli effetti sull’uomo, ma non dipende da essi.
Che la fede in Dio sia uno psicofarmaco ed un energetico, non esaurisce Dio in queste funzioni, così come il fatto che il sole ci illumini e riscaldi non lo fa esistere: il sole esiste anche quando le nubi ci impediscono di goderlo. Insomma, Dio non dipende da quei meravigliosi effetti di cui abbiamo detto qualcosa. Che quello che precede sia serio e fondato, lo si può provare anche in negativo, dimostrando cioè, che “vivere senza Dio è un tormento”, come sosteneva lo scrittore russo Feodor Dostoevskij. Anche il teologo Hans Küng è convinto che il prezzo che l’ateo deve pagare è molto alto: “L’ateo rischia di cadere in uno stato di depressione, di desolazione, di insicurezza, con la conseguenza del dubbio, dell’angoscia, della disperazione. Che cosa possiamo sapere? Che cosa dobbiamo fare? Che cosa possiamo sperare? Tutte queste domande, nell’ateismo, restano, fodamentalmente, senza risposte”.
Davvero: l’ateismo rattrista, mentre, come diceva Sant’Ignazio di Loyola: “Chi crede in Dio non ha nessun motivo per essere triste e ne ha molti per essere gaio”. Perché? Perché “Dio è la sola cura globale. Non ne esiste altra. Qualsiasi altra terapia è solo parziale” (A. Jodorosky).


P. P.

IL CONCILIO VATICANO II, MEZZO SECOLO FA

“Quando fu eletto Papa il cardinale Roncalli, patriarca di Venezia, alcuni, per la sua età avanzata, sentenziarono che il suo sarebbe stato un pontificato di transizione. Non conosciamo il pensiero degli elettori, possiamo però dire che diverso era il disegno di Dio. All’inizio del nuovo pontificato, mentre molti cercavano di scorgerne la nota caratteristica, la svelò il Papa stesso. Tre mesi dopo l’elezione, Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 ai cardinali, riuniti nella sala capitolare del monastero benedettino di S. Paolo, annunziò la sua decisione di celebrare un concilio ecumenico. La risoluzione era scaturita dalla costatazione della crisi, causata nella società moderna dal decadimento dei valori spirituali e morali”. Così esordisce Vincenzo Carbone in una sua riflessione sul Vaticano II, che fu definito “fiore di inaspettata primavera”. Cosa resta oggi di quel fiore? Quali sono stati i frutti del Concilio? È ancora attuale parlarne o è tempo di accantonarlo? Sono in tanti a porsi questi quesiti a 50 anni dall’annuncio di Giovanni XXIII. Anche la nostra Comunità è chiamata ad interpellarsi, non foss’altro che per riscoprirne lo spirito di autentica apertura al mondo, di svecchiamento della tradizione a favore di un nuovo modo di essere Chiesa in cammino verso la Gerusalemme celeste a fianco di ogni uomo. Una Chiesa capace di parlare alla mente e al cuore degli uomini del XX secolo, questa fu la scommessa di Giovanni XXIII, il quale, alla secolarizzazione e all’ateismo strisciante non si contrappose con l’inappellabilità dei dogmi, imponendo la propria verità a scapito del dialogo, ma con un semplice invito ad accogliere la luce del Vangelo, ad approfondire la buona notizia di un Dio infinitamente buono. Il dialogo e la tolleranza sono strumenti di pace e di crescita, né le proprie convinzioni possono essere imposte senza far danno alle coscienze e minare persino le proprie buone ragioni.
Ogni imposizione si muta in opposizione e rifiuto, anche quando ha solidi fondamenti
di verità e bontà. Molto meglio quindi dialogare e confrontarsi, predisporsi a scorgere semi di verità e di libertà anche nelle posizioni più distanti dalle nostre. Il fine del Vangelo è la libertà e la felicità della persona umana, per cui ne è drammatica distorsione ogni idea, parola, atteggiamento che invece lo rendesse infelice e servo di qualcuno o di qualcosa, finanche della religione malamente intesa. Il cattolicesimo è la religione della libertà, non della intolleranza o della schiavitù. In un’epoca di miti, quindi di dèi che schiavizzano (sesso, potere, denaro), il Vangelo non si pone in antitesi alla gioia, anzi ne è il trattato per eccellenza. Giovanni Paolo II ha affermato che il Vaticano II “resta l’avvenimento fondamentale della vita della Chiesa contemporanea; fondamentale per l’approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo; fondamentale per il contatto fecondo con il mondo contemporaneo in una prospettiva d’evangelizzazione e di dialogo ad ogni livello con tutti gli uomini di retta coscienza”.
Occorre quindi vivificare lo spirito del Vaticano II, non lasciando marcire in noi le buone disposizioni ad essere comunità in dialogo con il mondo, attraverso la carità e la tolleranza, che sono maturate in noi grazie al Concilio. Se la Chiesa possiede già la Verità, che è il Cristo, non si dimentichi che anch’essa è impegnata, giorno dopo giorno, a comprenderla sempre meglio e più in profondità. Non tanto per ergersi a detentrice di essa, ma per porsi umilmente al suo servizio.

Salvatore Bernocco

Cammino Neo-catecumenale: una realtà nella nostra Chiesa Diocesana

Il Papa ai Neocatecumenali: “Primavera di speranza per la Chiesa”


Così il Papa ha parlato il 10 Gennaio scorso:

Cari fratelli e sorelle!
Con grande gioia vi accolgo quest’oggi così numerosi, in occasione del 40° anniversario dell’inizio del Cammino neocatecumenale a Roma, che conta attualmente ben 500 comunità. A voi tutti il mio cordiale saluto. …Saluto i responsabili del Cammino neocatecumenale: il signor Kiko Argüello, che ringrazio cordialmente per le parole con cui si è fatto interprete dei sentimenti di tutti voi, la signora Carmen Hernández e padre Mario Pezzi. Saluto le comunità che partono in missione verso le periferie più bisognose di Roma, quelle che vanno in “missio ad gentes” nei cinque continenti, le 200 nuove famiglie itineranti, e i 700 catechisti itineranti responsabili del Cammino neocatecumenale nelle varie nazioni. …Voi oggi siete qui riuniti per rinnovare questa stessa professione di fede. La vostra presenza, così folta e animata, sta a testimoniare i prodigi operati dal Signore nei trascorsi quattro decenni; essa indica anche l’impegno con cui intendete proseguire il cammino iniziato, un cammino di fedele sequela di Cristo e di coraggiosa testimonianza del suo Vangelo, non solo qui a Roma ma dovunque la Provvidenza vi conduca, un cammino di docile adesione alle direttive dei Pastori e di comunione con tutte le altre componenti del Popolo di Dio. Voi questo intendete fare, ben consapevoli che aiutare gli uomini di questo nostro tempo ad incontrare Gesù Cristo, redentore dell’uomo, costituisce la missione della Chiesa e di ogni battezzato.
Il “Cammino neocatecumenale” si inserisce in questa missione ecclesiale come una delle tante vie suscitate dallo Spirito Santo con il Concilio Vaticano II per la nuova evangelizzazione. …Come non benedire il Signore per i frutti spirituali che, attraverso il metodo di evangelizzazione da voi attuato, si sono potuti raccogliere in questi anni? Quante fresche energie apostoliche sono state suscitate sia tra i sacerdoti che tra i laici! Quanti uomini e donne, e quante famiglie, che si erano allontanate dalla comunità ecclesiale o avevano abbandonato la pratica della vita cristiana, attraverso l’annuncio del kerygma e l’itinerario di riscoperta del Battesimo, sono state aiutate a ritrovare la gioia della fede e l’entusiasmo della testimonianza evangelica! La recente approvazione degli statuti del “Cammino” da parte del Pontificio Consiglio per i laici è venuta a suggellare la stima e la benevolenza con cui la Santa Sede segue l’opera che il Signore ha suscitato attraverso i vostri iniziatori. Il Papa, Vescovo di Roma, vi ringrazia per il generoso servizio che rendete all’evangelizzazione di questa città e per la dedizione con cui vi prodigate per recare l’annuncio cristiano in ogni suo ambiente. La vostra già tanto benemerita azione apostolica sarà ancor più efficace nella misura in cui vi sforzerete di coltivare costantemente quell’anelito verso l’unità che Gesù ha comunicato ai Dodici durante l’ultima cena.
Prima della Passione, infatti, il nostro Redentore pregò intensamente perché i suoi discepoli fossero una cosa sola in modo che il mondo fosse spinto a credere in lui (cfr Gv 17,21).‘È questa unità, dono dello Spirito Santo e incessante ricerca dei credenti, a fare di ogni comunità un’articolazione viva e ben inserita nel Corpo mistico di Cristo. L’unità dei discepoli del Signore appartiene all’essenza della Chiesa ed è condizione indispensabile perché la sua azione evangelizzatrice risulti feconda e credibile. So con quanto zelo stiano operando le Comunità del Cammino neocatecumenale.
…L’inserimento organico del “Cammino” nella pastorale diocesana e la sua unità con le altre realtà ecclesiali torneranno a beneficio dell’intero popolo cristiano, e renderanno più proficuo lo sforzo della diocesi teso a un rinnovato annuncio del Vangelo in questa nostra città.
In effetti, c’è bisogno oggi di una vasta azione missionaria che coinvolga le diverse realtà ecclesiali, le quali, pur conservando ciascuna l’originalità del proprio carisma, operino concordemente cercando di realizzare quella “pastorale integrata” che ha permesso di conseguire significativi risultati. E voi, ponendovi con piena disponibilità al servizio del vescovo, come ricordano i vostri statuti, potrete essere di esempio per tante Chiese locali, che guardano giustamente a quella di Roma come al modello a cui fare riferimento.
C’è un altro frutto spirituale maturato in questi quarant’anni, per il quale vorrei ringraziare insieme con voi la Provvidenza divina: è il grande numero di sacerdoti e di persone consacrate che il Signore ha suscitato nelle vostre comunità. Tanti sacerdoti sono impegnati nelle parrocchie e in altri campi di apostolato diocesano, tanti sono missionari itineranti in varie nazioni: essi rendono un generoso servizio alla Chiesa e offrono un prezioso servizio all’evangelizzazione del mondo. È una vera “primavera di speranza” per la Chiesa!
Ringrazio il rettore e i suoi collaboratori del Seminario Redemptoris Mater di Roma per l’opera educativa che essi svolgono. Il loro compito non‘è facile, ma molto importante per il futuro della Chiesa. Li incoraggio pertanto a proseguire in questa missione, adottando gli indirizzi formativi proposti tanto dalla Santa Sede quanto dalla diocesi. L’obiettivo a cui occorre mirare da parte di tutti i formatori è quello di preparare presbiteri ben inseriti nel presbiterio diocesano e nella pastorale sia parrocchiale che diocesana. …Incoraggiano a porre la fiducia unicamente nella potenza di Cristo, a prender la “propria croce” e a seguire le orme del nostro Redentore che, in questo tempo natalizio ormai al termine, ci è apparso
nell’umiltà e nella povertà di Betlemme.
La Vergine Santa, modello di ogni discepolo di Cristo e “casa di benedizione” come avete cantato, vi aiuti a realizzare con gioia e fedeltà il mandato che la Chiesa con fiducia vi affida.
Mentre vi ringrazio per il servizio che rendete nella Chiesa, vi assicuro la mia preghiera e di cuore benedico voi qui presenti e tutte le comunità del Cammino neocatecumenale sparse in ogni parte del mondo.

Benedetto XVI
(da: l’Osservatore Romano dell’11 Gennaio ‘09)


SAN GERARDO MAIELLA: protettore dell'anno in Comunità

S. Gerardo Maiella nasce a Muro Lucano nel 1726 in una famiglia molto povera. Umanamente parlando non è un granché: di costituzione gracile e di scarsa istruzione. Fa l'apprendista sarto accettando ogni angheria per amore di Dio. Quindi è domestico nella casa del vescovo di Lacedonia, dove si ferma fino alla sua morte.
Tornato a Muro Lucano, apre una bottegha, ma anche come sarto non brilla, preferendo la preghiera all'ago. La sua diventa la bottega del "sarto fai da te": ogni suo guadagno, tolto quanto occorre alla madre e alle sorelle, lo destina ai poveri e a celebrazioni per i defunti. Pensa seriamente di farsi religioso, ma viene respinto dai Cappuccini e anche dai Redentoristi. Ma Gerardo non desiste e, nonostante fosse stto chiuso in camera da sua madre per impedirgli di unirsi a loro, si cala dalla finestra e li raggiunge, facendosi accettare.
La mamma troverà nella sua camera un foglio con poche parole: "Vado a farmi santo", che furno il programma della sua breve ma intensa esistenza, vissuta all'insegna della preghiera e della carità. Colpito dalla tubercolosi, deve mettersi a letto; sulla porta della sua cella ha fatto scrivere: "Qui si fa la volontà di Dio, come vuole Dio e fino a quando vuole Dio".
Muore nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1755 nel convento di Materdomini, Gerardo Maiella è stato proclamato santo da Pio X nel 1904. E' uno dei santi più venerati del nostro Meridione.


S.B.

Nel Mese

Demmo inizio al nuovo anno con la festosa celebrazione durante la quale il parroco annunziò - com'è tradizione nella nostra parrocchia - il Santo Protettore dell'anno: S. Gerardo Maiella. La Solennità dell'Epifania ha visto poi il rientro dei ragazzi che hanno partecipato all'Eucarestia e la solenne processione di Gesù Bambino in piazza Castello; tanta festa per i doni della Befana.
E' ripresa poi la catechesi e gli incontri mensili a cominciare dalla Adorazione Eucaristica e dall'altra animata dal Gruppo di Preghiera di Padre Pio. Dodici sono quest'anno le coppie di giovani che celebreranno il loro matrimonio: il percorso di fede è iniziato il 7 gennaio e avrà termine per le prime settimane di marzo, alternandosi le conversazioni col parroco a quelle con alcune coppie a ciò abilitate. Si è poi celebrata la giornata per il seminario pregando anche per i seminaristi e quelli della parrocchia.
Si sta intensificando la catechesi per i giovani e quella per i ragazzi che si accosteranno quest'anno ai sacramenti.
La 1° Comunione Neo-Catecumenale si è ritrovata per la convivenza in preparazione al passaggio della "Traditio" e si è accostata al sacramento della penitenza. Anche l'incontro di catechesi del 26 per le Associate della Madonna del Buon Consiglio, ha visto una buona partecipazione, compresi anche i Confratelli. Si è celebrata in ultimo la festa di S. Ciro.


Luca