IN CAMMINO VERSO IL NATALE

Miei Cari,
nell’Avvento tutto si mescola, le nostre vicende personali e la vicenda storica dell’umanità e la vicenda cosmica del tutto. È tempo di attesa, perché la vita è un’attesa che poi finirà, è tempo di speranza. Dio ha fatto il suo dovere con l’uomo, fornendogli in 90 per cento della salvezza. L’uomo deve completare mettendoci il 10 per cento del suo. Nel brano del Vangelo di Marco Gesù dice: “State attenti, vigilate, perché non sapete quando sarà il momento preciso”. Quale momento? Ogni momento della nostra vita che Dio vuol riprenderci. È troppo evidente che noi siamo temporalmente provvisori e che, se non assimiliamo l’eterno vivendo di Dio, ci muoviamo nel provvisorio finché non arriverà la catastrofe della storia, quella strettamente personale o quella totale. Noi siamo, aggiunge Gesù, come una casa o come il portiere di questa casa di cui il padrone è Dio. Il padrone, partendo per un lungo viaggio, ha ordinato al portiere di vegliare. Stiamo vegliando noi? L’orologio, dice Gesù, vi serve per diversi appuntamenti: l’ora della levata, del lavoro, del desinare, del riposo. Ma l’ora di Dio nessun orologio del tempo è mai riuscita a suonarla. Buon Avvento a tutti.

Don Vincenzo

All’amato vescovo don Ginol’augurio affettuoso per ilSanto Natale


Ricorre quest’anno il X Anniversario della Incoronazione della statua dell’Immacolata che lo scultore leccese Carmelo Bruno realizzò per la nostra chiesa parrocchiale nel 1904. Ricorderemo l’avvenimento che vivemmo dieci anni or sono con l’imposizione della preziosa corona da parte del vescovo don Gino, attraverso particolari manifestazioni che si concluderanno con le solenni Quarantore nei giorni 5 - 6 - 7 dicembre. La sera della domenica 7, il nostro parroco col canto del Te Deum, celebrerà la S. Messa solenne nel ricordo del suo 45° anniversario di Sacerdozio.

Quando è nato... il “Natale”

Non è storicamente accertato che Gesù sia nato effettivamente il 25 dicembre. Anche nei Vangeli di Matteo e di Luca, che forniscono una descrizione di alcuni momenti legati alla Natività, non viene citato né il giorno, né il mese, e neppure l’anno della venuta del Figlio di Dio, anche se sappiamo che Gesù nacque quando regnava l’imperatore Cesare Augusto. È nel IV secolo che si diffonde la celebrazione della festa cristiana del Natale di Gesù il 25 dicembre. In merito a tale datazione, nel corso degli anni, sono state formulate diverse ipotesi. Alcuni studiosi ritengono che questa data venne scelta dalla Chiesa in contrapposizione alla festa pagana del Sole invitto voluta dall’imperatore Aureliano nel 275, festa da celebrarsi, per l’appunto, il 25 dicembre cioè quattro giorni dopo il solstizio d’inverno (che cade il 21 dicembre). Dopo tale data la luce (il Sole) rinasce e prende gradatamente il sopravvento sulle tenebre, le giornate si allungano fino al 21 giugno il giorno più lungo dell’anno (il solstizio d’estate). La Chiesa quindi, secondo l’opinione degli studiosi, per contrastare il perpetuarsi di tale festa pagana radicata nella tradizione popolare, decise di celebrare in quella medesima data il dies natalis Christi, la nascita di Gesù: «Luce del mondo», il vero «Sole di giustizia» che brillerà in eterno. Una fonte autorevole, il Cronografo (il più antico calendario della Chiesa di Roma) del 354, indica il 25 dicembre quale giorno per la celebrazione della festa della Natività, ma un altro documento romano‘ la‘ Depositio episcoporum (elenco liturgico contenuto nello stesso Cronografo) attesta che tale celebrazione era già presente nel 336 (sembra che inizialmente tale festa venisse celebrata soltanto nella Basilica di San Pietro). La scelta di questo giorno, comunque, fu sanzionata nel 354 da Papa Liberio.

Davanti al presepe: la meraviglia nasce dal cuore.

San Francesco, il poverello di Assisi , è stato il primo a ideare l’al- lestimento del Presepe per stupirsi e avere memoria viva del mistero dell’Incarnazione. Come non provare meraviglia e stupore davanti al Bambinello? Come non interessarsi alla Sua storia? Come non guardar- Lo con amore? Come non comprendere che la Sua nascita è “il dono dei doni’’, perché atto d’amore del Padre celeste per redimere così l’uomo dal peccato? Sant’Alfonso Maria de’ Liguori richiama il popolo di Dio all’adorazione del Bambinello con il cuore. Egli cantò£con lo stupore (che è proprio della tenerezza di un santo) le meraviglie apportate sulla terra da Gesù Bambino. II “Tu scendi dal/e stel/ e...” rappresenta non solo l’invocazione corale delle anime al Redentore , ma narra anche l’umiltà del Re dei re che si fa uomo e scende in una grotta al freddo e al gelo. È chiara la struggente tenerezza con cui Sant’Alfonso contempla il Bambino divino nella mangiatoia. II mistero del Verbo incarnato rende vere e reali tutte le nascite e ad ogni uomo promette e assicura la rinascita eterna. È la notte magica dell’universo che s’illumina, perché gli Angeli cantano il loro “Osanna” al Bimbo celeste. E gli umili pastori accorrono. catturati dalle arcane melodie. I pastori comprendono l’eccezionalità dell’evento. ne assapora- no la celestialità e si prostrano in adorazione davanti a Gesù Bambino. Essi, rappresentanti di un’umanità umile. buona e operosa, prontamente accorrono sul luogo della Divina Nascita. In ginocchio omaggiano il Bambino Redentore e s’inebriano delle soavi melodie degli Angeli e di Maria. È tempo che noi con il cuore puro. ci disponiamo a seguire l’esempio dei pastori: pronti a riconoscere e ad amare il Dio dell’amore che si è fatto Uomo/ Bimbo. La gioia di trovarsi davanti al Presepe deve costituire. per il cristiano che ha fede, un momento significativo per riconoscere i propri peccati e affidarsi alla misericordia di Dio. È necessario. perciò. avvicinarsi al Presepe con la fede semplice di un bambino e con un amore grande per Gesù. invocando l’aiuto dello Spirito Santo affinché illumini la mente e apra il cuore alla comprensione del Mistero divino. Intratteniamoci davanti alla grotta e meditiamo sulle circostanze in cui volle nascere Gesù. Egli scelse per Sé tutto ciò che c’era di più povero. umile e semplice. E Maria umile ed eccelsa fra tutte le creature diede alla luce il Figlio di Dio in una stalla lo avvolse in fasce lo depose nella mangiatoia. s’inginocchiò e lo adorò. Avvolgiamo anche noi il Bambinello con le fasce del nostro cuore. Stupiamoci dello stupore con cui Maria Lo guarda. Seguiamo la voce dell’amore e stringiamo al petto i poveri. essi sono figli del nostro stesso Padre. Riscaldiamo il Bambinello con concreti gesti di generosa solidarietà nella gioia della condivisione. Seguiamo la stella cometa della bontà sull’esempio dei magi.

VOCE DI UNO CHE GRIDA NEL DESERTO

La figura che biblicamente domina l’Avvento e che la Chiesa propone ai cristiani come modello di autentica umanità e come maestro di vita spirituale che ci prepara all’incontro con il Messia, è quella possente di Giovanni Battista. Il Vangelo di Marco, tralasciando il racconto dell’infanzia di Gesù, attacca direttamente dalla carismatica predicazione di Giovanni Battista, citando Isaia: “Ecco io mando il mio messaggero davanti a te; egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Questa voce che grida e non lacera, anzi accarezza l’udito, persuade, si fa armonia di suoni: “Preparate la strada del Signore”, mentre il Signore viene realmente, perché tu quella voce l’hai ascoltata. L’austerità nel vestire e nel sostentamento corrispondono all’essenzialità di persona della quale Giovanni identificava se stesso restando libero di realizzare pienamente la vocazione per la quale era nel mondo: egli era una voce. Molto spesso, le cose di cui noi usiamo si sovrappongono alla nostra personalità e la stravolgono, ci alienano, ci rendono difficile di realizzare il nostro impegno umano. È la deleteria conseguenza del lusso e del consumismo, quando l’uomo non si considera per quello che è ma per quello che ha. Saremmo più ricchi, se fossimo più poveri, perché qui vicini a Dio, più vicini a noi stessi e agli altri, più vicini all’essenziale, che può essere apparentemente modesto, ma sempre ricchissimo. Se il vero destino di ogni uomo è di essere voce gridante nel deserto di preparare la strada del Signore, allora, per ognuno, può essere vero quello che afferma Kierkegaard: «Anche se tu fossi una povera donnetta, se stai al tuo posto, la tua voce è più potente che quella di mille profeti».

V.P.

IL SANTO NATALE: RIFLETTIAMO

Forse ci abbiamo fatto il callo a festeggiare il Santo Natale. Forse ci è venuto finanche a noia. E quanti di noi soffrono di questa autentica peste della noia, del non senso esistenziale, così da cogliere la palla al balzo per fare del Natale un’occasione mondana per cenoni e viaggi all’estero – come per San Valentino o Halloween (festa pagana) - e non un avvenimento di eccezionale rilievo spirituale per tutta l’umanità! Forse soltanto i bambini sfuggono a questo vizio e avvertono in pienezza la bellezza e la fecondità del Natale. Essi lo vivono in pienezza di gioia, nell’ansiosa attesa dei regali, della cena in famiglia con nonni e zii e parenti, ammesso che ci siano ancora famiglie unite, non spaccate da contasti e dissidi. Difatti è invalso l’uso comune di affermare che il Natale è una festa per i bambini e non per gli adulti, come se essi non possano più gioire. Per molti, anzi, l’arrivo del periodo natalizio segna l’arrivo della tristezza, proprio perché si è perduta l’innocenza e ci si è lasciati prendere la mano, anno dopo anno, dall’andazzo della cronaca quotidiana, infarcita di nero, di cinismo e di morte nelle sue varie accezioni e manifestazioni. Così il Natale, che è festa di vita, si trasforma in una stanca parodia della festa. Gli stessi riti natalizi sono stanche ripetizioni di frasi fatte? Talvolta si ha questa impressione. Fa fatica ad emergere il dato essenziale: la nascita del Redentore, che ripropone il tema della nascita, della rinascita a nuova vita e della festa interiore. Il cuore di cosa ha bisogno? Di cose? O necessita di parole di vita eterna, di lemmi di gioia, di una voce che ci dica che il mondo è uscito dal pensiero di Dio e che ha un senso, e noi con esso? Credo che abbiamo bisogno di essere rassicurati, di riappropriarci del senso autentico della vita che il Natale ci ripropone. La nascita di Gesù non è una favola. È un avvenimento che interpella ogni essere umano e che ci apre alla speranza senza fine, non ad un aborto di essa. Dio si fa uomo affinché l’uomo si elevi a Lui, ne diventi figlio, coerede del regno. I primi ad accorrere furono alcuni pastori, gente di scarto, emarginata. Poi vi giunsero i re magi, i quali non godevano di buona reputazione. Dio, quindi, si manifesta a coloro che noi, oggi, eviteremmo di incontrare, cioè a tutte le persone emarginate, che si tratti di poveri, di malati, di anziani, di disoccupati. Gesù accoglie tutta la gente di scarto, la chiama a sé, mentre rifiuta di manifestarsi ai sapienti del mondo, ai re, ai potenti. Perché Dio ama gli umili, e quelli umili non lo sono, amando chi il denaro, chi il potere, chi la propria scienza. Dunque, qual è il messaggio del Santo Natale? Che l’amore per gli ultimi ci innalza a Lui, mentre l’odio o l’indifferenza ci separano da Lui. Se amiamo gli ultimi, torniamo a rivivere, e sperimentiamo già qui ed ora la pace del regno di Dio.

Salvatore Bernocco


Nel tempo e nello spazio di Dio

Col pellegrinaggio parrocchiale a Pompei demmo inizio al mese di novembre. Lì celebrammo l’Eucarestia e ci incontrammo con l’Arcivescovo monsignor Caputo. Ci ritrovammo poi in parrocchia per la commemorazione dei defunti per i quali poi, con la comunità confraternale di S. Rocco fu celebrata al cimitero la S. Messa. Ripresero le attività catechistiche per ragazzi, genitori e adulti il cui numero di componenti quest’anno, è aumentato. Il parroco fu ad Assisi per gli Esercizi Spirituali, mentre ci fu il regolare funzionamento del centro ascolto Caritas ogni lunedì. La catechesi riprese il suo ritmo normale con l’incontro previo con i genitori che si cercò ulteriormente di responsabilizzare. Anche la messa delle 10,00 ogni domenica riprese il suo ordinario ritmo con la revisione del repertorio dei canti col maestro Rino Campanale. Ci preparammo poi a festeggiare il Titolare della nostra parrocchia, Cristo Re, vivendo momenti di adorazione e l’atto di Consacrazione, come previsto dalle rubriche. Proseguirono poi le catechesi neocatecumenali fino a quando (dicembre) si potrà avere l’aggregazione di nuovi fratelli nella comunità. Intanto fu ricordata S. Caterina il giorno 25 dal momento della chiusura al culto della chiesetta omonima da parte dl vescovo Garzìa. Il parroco poi ci introdusse nel tempo di Avvento con relazioni nel Vangelo di Marco, mentre i giovani hanno dato inizio al grande presepe che sarà realizzato sotto il porticato della nostra chiesa parrocchiale. Il Gruppo Eucaristico Parrocchiale animò l’adorazione del primo giovedì, mentre il Volontariato Vincenziano ebbe i suoi periodici incontri formativi e di programmazione. Puntuale anche l’incontro e la catechesi per le Associate alla Madonna del Buon Consiglio.

LETTERA DI PAPA FRANCESCO AI VESCOVI RIUNITI IN ASSISI

UNA OCCASIONE PER RIFLETTERE SULLA FORMAZIONE PERMANENTE DEI SACERDOTI

Questa mia riflessione, che chiude il 2014, si ispira ai contenuti della lettera che il Santo Padre ha inviato ai Vescovi riuniti ad Assisi, dal 10 al 13 novembre, per discutere sul tema della vita e della formazione permanente dei presbiteri. Essa, inoltre, cade in una felice coincidenza, l’ordinazione sacerdotale di Papa Francesco, avvenuta il 13 dicembre 1969, e quella del nostro parroco, don Vincenzo, il quale fu ordinato sacerdote il 7 dicembre dello stesso anno. Ad entrambi vanno i fervidi auguri della nostra comunità. Qualcuno potrebbe obiettare: è un argomento che ci riguarda molto relativamente. In realtà così non è, per la semplice ragione che il sacerdote è guida e pastore del gregge che gli è stato affidato, e noi, in quanto battezzati, ne facciamo parte. La formazione e la vita dei nostri sacerdoti, quindi, non possono esserci estranee, giacché da esse dipendono la crescita di una comunità di persone che si riuniscono nel nome del Signore e che camminano insieme ai loro pastori sulla via che conduce al Regno di Dio, che è già presente ed operante in mezzo a noi tutte le volte che agiamo conformemente al messaggio evangelico. Su questo punto non posso non ricordare quanto il Papa ha detto a proposito dei sacerdoti, che si rendono estranei alle loro comunità in due casi: quando idolatrano il dio denaro e quando maltrattano le persone. Tuttavia, se questo è vero, è altrettanto vero che la testimonianza deve essere data anche da ogni battezzato che, in virtù del battesimo, è re, sacerdote e profeta. E se è anche sacerdote, è in qualche modo obbligato a fare il bene e ad evitare di compiere il male, cercando di essere a sua volta di esempio alle sue guide. In altre parole, la responsabilità della Chiesa incombe su tutti, non soltanto sui sacerdoti, i quali però hanno un surplus di responsabilità etica e morale. Ci sono stati episodi molto gravi che hanno scosso il popolo dei fedeli. Essi, in qualche modo e misura, incidono sul sentimento popolare nei riguardi della Chiesa che, da arca della Parola di Dio, si è talvolta scoperta miserevole, luogo di tenebra e di immoralità, a causa del comportamento disdicevole di alcuni religiosi. Speriamo caldamente che simili atti non abbiano più a ripetersi. Per tornare alla lettera del Santo Padre, mi ha colpito questa affermazione: «Del resto, fratelli, voi sapete che non servono preti clericali il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione». Il Papa introduce due categorie, quella dei preti clericali e quella dei preti funzionari.
Chi è il prete clericale? In generale, il termine clericale indica «i sostenitori di una partecipazione determinante del clero e del laicato cattolico alla vita politica e al governo dello Stato, con un programma ispirato ai principî e alle esigenze dell’autorità ecclesiastica» (Treccani). Ma in questo caso il significato muta, e direi che l’espressione voglia indicare quella parte del clero che è fondamentalista ed intollerante, che appunto non è aperta al dialogo e bolla severamente tutti gli altri, escludendoli. Si tratta di coloro la cui religione è infarcita di moralismo e culto delle apparenze, di riti e salamelecchi, non di fede cristiana. Chi è invece il prete funzionario? Direi che è un mero amministratore dei sacramenti, cioè un sacerdote che vive la sua missione come un lavoro e che, pertanto, non cerca la sua consolazione nella fede, ma in altre cose, attività, esperienze mondane, come se non vestisse l’abito talare. Terminato il lavoro, si dà ad altro, semmai abbandonando la chiesa o la parrocchia, rifiutandosi di accogliere le persone che vorrebbero parlargli. Costui è incapace di ascolto e di misericordia e non serve la Chiesa né serve alla Chiesa. Papa Francesco torna spesso sulle succitate questioni che sono di importanza centrale. Perché fondamentali sono l’esempio, la testimonianza coerente, la pratica della carità e dell’accoglienza, la fedeltà al Vangelo, senza cui la Chiesa di Dio sarebbe una mera agenzia educativa, un circolo filantropico come tanti altri, e la resurrezione e la vita eterna oppio dei popoli.

Salvatore Bernocco

Cristo Re: “Il Campione dell’amore”

Miei Cari, 
la contemplazione della meravigliosa intuizione riprodotta nella Crocifissione sulla facciata del duomo di Larino in provincia di Campobasso, mi riporta al tema della “regalità” di Cristo che celebreremo nella solennità di Cristo Re, titolare della nostra comunità parrocchiale. Personalmente non mi era mai stato dato di ammirare il Cristo crocefisso con un angelo che gli sorvola sul capo e che rimuove la corona di spine, riponendola ai suoi piedi, mentre poi si appresta a porre un diadema nel capo di Gesù. Ho pensato a quanto dovrebbe fare ognuno di noi attraverso un impegno più ardimentoso di vita cristiana: porre sul capo del Cristo un diadema che dica amore, impegno costante solidarietà con i fratelli. Tale contemplazione mi ha riportato a quanto l’evangelista S. Giovanni descrive nel 4° Vangelo a cominciare dal capitolo 18. E poi ci mette in chiaro che il suo non è un racconto teso a commuovere il lettore vedendo quanto ha sofferto il povero Gesù per l’umanità, ma nella passione viene a manifestarsi il vero volto di Dio; per quanto Gesù non viene mai presentato come una vittima condotta al patibolo, ma come il Campione dell’amore. Durante la passione si nota in un crescendo che, pur essendo il momento delle tenebre, la luce che brilla in Gesù, brillerà sempre di più fino a squarciarle e annullarle. Gesù non è una vittima, ma è Lui il padrone della situazione per cui dirà: “chi cercate?” Lui non scappa via. Un Dio veramente strano, miei Cari. Gesù, il Dio a servizio degli uomini, è venuto ad inaugurare un regno dove il re non domina, ma si mette a servizio dei suoi; quanto dovrebbero fare vescovi, preti e Popolo di Dio, secondo il forte insegnamento di Papa Francesco, ecco perché Gesù non ha servitori che combattono per Lui, perché non ha bisogno di guardie, perché Lui si mette a servizio di tutti. Il mondo del potere è il regno della tenebra e della menzogna. Il potere non dice mai la verità, non può dirla, perché dal momento che la dice, si sgretola. Si trova forse un politico che dice la verità? Impossibile. Non può dire la verità perché se la dicesse, nessuno lo eleggerebbe e ottenuto il potere dovrà continuare nella menzogna. La regalità di Gesù consiste nel mettersi al servizio degli altri, nel manifestare la verità riguardo a Dio, in quanto ne manifesta l’amore. Quel Crocifisso di Larino mi ha ripresentato Pilato che proferisce solennemente: Ecco l’uomo! Ecco il vostro Re! Quindi Gesù, pienamente spogliato da ogni distintivo di gloria umana, manifesta la vera gloria che è quella dell’amore che si presenta in una maniera indefettibile: “Ecco l’uomo”, cioè ecco il modello dell’uomo voluto da Dio. Rattrista purtroppo il pensiero che l’istituzione religiosa, pur di non perdere a volte i propri privilegi e i prestigi, sposa il potente di turno: non è nata forse in quest’ottica la festa di Cristo Re? C’è voluto il Concilio Vaticano II per riposizionare al posto giusto tale festa e mettere in risalto, secondo il Vangelo di Giovanni un Gesù che prende da se stesso la croce: non gli viene caricata. È Lui che la prende quasi fosse un trofeo, perché si manifesti l’immensità dell’amore di Dio. Nel rimirare il Cristo di Larino viene quindi di pensare: Ecco l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio; ecco l’uomo che era il progetto di Dio sull’umanità, un uomo che come Dio è capace soltanto di una risposta di amore. Ci guidino, miei Cari, questi poveri pensieri a celebrare la festa del nostro Titolare, Gesù Redentore e a farci onore nell’accogliere il Suo amore che non è un “premio”, ma un “regalo” che egli continuamente ci fa.
Cordialmente
Don Vincenzo

NÉ NANI, NÉ GIGANTI. SOLO SERVI.

Servi inutili. Ma non è inutile il servizio L’aggettivo usato da Luca dice nel suo significato originario: siamo servi senza pretese, senza esigenze, senza rivendicazioni, che di nulla hanno bisogno se non d’essere se stessi. Appello alla più grande semplificazione: io non sono né il gigante dei miei sogni, né il nano delle mie paure. Sono un granellino che contiene un albero. Non sono inutile, ma sono senza pretese. Non ho bisogno d’applausi, di consenso, di gratificazioni, di successo. E neppure, ed è ciò che più mi costa, di un Dio che mi metta a tavola e passi a servirmi. Io ho solo bisogno di essere me stesso, e servitore, con la mia parte di umanità, con la gioia e la fatica di credere, con i miei granelli di fede, con la mia parte di doni e la mia porzione di fuoco, con un cuore che di tanto in tanto si accende per Dio, e spero che sia sempre più spesso. Non ho bisogno di nient’altro. Anzi, ho bisogno di un’altra cosa: di grandi campi da arare, e della spettacolare pazienza di Dio che tanto ha seminato in me, per tirar su quasi niente. Il segreto di una vita riuscita non risiede nei premi conquistati: è il servizio che è vero, non la ricompensa. Io servo perché servire è la cosa più vera. Io servo perché Dio è il servitore della vita. Io servo perché questo è il solo modo per creare una storia che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare. Io servo, non per premio o per castigo, come i bambini; non per sanzioni o per ricompense, come i paurosi, ma per necessità vitale. Mi bastano grandi campi, un granellino di fede, e gli occhi di un profeta per vedere il sogno di Dio come una goccia di luce impigliata nel cuore vivo di tutte le cose.

P. Ermes M. Ronchi

La lettera pastorale del vescovo don Gino per l’anno 2014-2015

«E SI PRESE CURA DI LUI - EDUCARE ALLA CARITÀ» 

Mons. Luigi Martella ha dato alle stampe e consegnato alla riflessione comunitaria la lettera pastorale per l’anno 2014-2015, dal titolo «E si prese cura di lui –Educare alla carità». L’espressione «e si prese cura di lui» rimanda alla parabola del Buon Samaritano, il quale si prese cura dell’uomo che era stato spogliato dei suoi beni da dei furfanti, ridotto in fin di vita e abbandonato sulla strada che da Gerusalemme conduce a Gerico. Gesù risponde con la parabola di cui stiamo trattando ad un dottore della legge che gli chiese chi fosse il suo prossimo. E non va per il sottile, mettendo sotto accusa certe figure che avrebbero dovuto prendersi cura dell’uomo e che invece lo videro ma passarono oltre: il sacerdote ed il levita. Invece uno scomunicato, ««un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno»» (Lc 10, 33-35). Il dottore della legge è quindi costretto ad ammettere che il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti è il Samaritano, cioè chi ha avuto compassione di quel pover’uomo. Gesù lo invita a fare come fece il Samaritano, cioè ad essere concreto nella carità, semmai a parlare meno di Dio, a teologizzare di meno, a mettere in pratica il comandamento dell’amore, quel comandamento che supera e contiene tutti gli altri. Oggi potremmo dire che l’invito che ci rivolge Gesù è a non dirci cristiani, ma ad esserlo con i fatti, nella realtà di ogni giorno, che spesso ci fa incontrare persone in difficoltà e alle quali non dedichiamo nemmeno un minuto del nostro tempo. Anzi. Ci mettiamo sulla difensiva. Tagliamo corto. È come se avessimo timore che possano interpellarci, che possano chiederci qualcosa. Perché questo? La risposta è semplice: perché siamo un concentrato di meschinità e di piccoli egoismi. È come se temessimo che il povero possa contribuire ad impoverirci invece che contribuire ad arricchirci. La cosa sconcertante è che non abbiamo ancora capito nulla o molto poco delle parole del Signore, il quale afferma, in sintesi, che la strada che conduce alla Vita non è lastricata di pie intenzioni, di interminabili preghiere, di riti, ma del bene fatto al nostro prossimo, a prescindere dalle sue qualità positive o negative. Il Samaritano, quando si accostò al pover’uomo, non si accertò prima di intervenire se quel tale fosse degno del suo aiuto, se fosse omosessuale o no, se fosse divorziato o separato o risposato, se fosse un poco di buono o un angelo. Egli si occupò di lui perché era un uomo in difficoltà, bisognoso di soccorso. Punto. Cosa facciamo invece noi, buoni cristiani che andiamo a messa tutte le domeniche (o quasi) senza interiorizzare un bel niente? Appena mettiamo i piedi fuori del luogo sacro, ci desacralizziamo in un attimo, rimuoviamo il messaggio evangelico. Dopo esserci battuti il petto e recitato il mea culpa, battiamo le teste del nostro prossimo, comportandoci alla stessa stregua dei briganti o come il levita ed il sacerdote. Diamo le spalle o guardiamo altrove. Non siamo capaci di perdono. Critichiamo senza cognizione di causa. Giudichiamo senza tatto e misericordia. Siamo cellule impazzite della società, seminatori di zizzania, amanti del denaro, del potere. Riteniamo di esserci messi a posto con la coscienza in virtù dell’assolvimento di un obbligo, quello di andare a messa, mentre la Parola non ha niente a che fare con i doveri, le prescrizioni, i cerimoniali, la deontologia, il perbenismo. La Parola ha a che vedere con l’amore e con nient’altro. Non facciamoci illusioni, quindi. Non ci salveremo per la quantità di concelebrazioni eucaristiche ascoltate, ma solo se avremo reso gli altri, chi ci accosta, più felice o meno infelice. Il resto sono suggestioni diaboliche.

Salvatore Bernocco


Tra le “gocce di miele” ...da TWITTER

Vivere come veri figlio di Dio, significa amare il prossimo e avvicinarsi a chi è solo e in difficoltà.

Possa lo SPORT, favorire sempre la cultura dell’incontro. Non temete di gettarvi nelle braccia di Dio, qualunque cosa vi chieda, vi ridonerà il centuplo.

La Chiesa è per sua natura missionaria: esiste perché ogni uomo e donna possa incontrare Gesù.

Quando si vive attaccati al denaro, all'orgoglio o al potere, è impossibile essere felici.

Il grande rischio del mondo attuale è la tristezza individualista che scaturisce dal cuore avaro.

Dio ama chi dona con gioia. Impariamo a dare con generosità, distaccati dai beni materiali.

Con Dio nulla si perde, ma senza di Lui tutto è perduto.

Non sparliamo degli altri alle spalle, ma diciamo loro apertamente ciò che pensiamo.

La pace è un dono di Dio, ma richiede il nostro impegno.

Cerchiamo di essere gente di pace nelle preghiere e nei fatti.

Nei momenti difficili della vita, il cristiano trova rifugio sotto il manto della Madre di Dio.

Ogni cristiano, nel posto di lavoro, può dare testimonianza, con le parole e prima ancora con una vita onesta.

Entriamo in profonda amicizia con Gesù, così potremo seguirlo da vicino e vivere con Lui e per Lui.

Vivere con fede vuole dire mettere tutta la nostra vita nelle mani di Dio, specialmente nei momenti difficili.

Se accumuli le ricchezze come un tesoro, esse ti rubano l’anima.

Quando non si adora Dio, si diventa adoratori di altro. Soldi e potere sono idoli che spesso prendono il posto di Dio.

Auguro ad ogni famiglia di riscoprire la preghiera domestica: questo aiuta anche a capirsi e perdonarsi.

Apprezziamo di più il lavoro dei collaboratori domestici e dei badanti: è un servizio prezioso.

Continuate a chinarvi su chi ha bisogno per tendergli la mano. Senza calcoli, senza timore, con tenerezza e compassione.

La cultura del benessere, che ci porta a pensare di noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle, che sono belle, ma che non sono nulla.

La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma dall'aver incontrato una persona: Gesù.

Il cristiano è uno che sa abbassarsi perché il Signore cresca, nel proprio cuore e nel cuore degli altri. Papa

Francesco a cura di p. Vincenzo De Rosa


TANTO TUONÒ CHE PIOVVE

La sana insistenza, caparbietà e dedizione del parroco Don Vincenzo hanno ottenuto lo scopo prefissato. Finalmente il campanile del Redentore ha avuto il Restyling che meritava. Le innumerevoli telefonate e marcature strette di don Vincenzo hanno vinto. Il primo sopralluogo fatto al campanile, in collaborazione dell’ingegnere Viviana Miscioscia, si mostrò talmente negativo da buttare la spugna. Il quadro igienico, fessurativo ed umido del campanile erano in uno stato di degrado eccessivo. Non si sapeva da dove cominciare. Inizialmente fu eseguita la disinfestazione di tutto l’ambiente, successivamente furono eseguiti rilievi e monitoraggi strutturali. Con l’uso di speciali attrezzature e con l’intervento del laboratorio ufficiale tecnologico di Matera fu verificato lo stato di salute del campanile. Il convincimento fu quello che il campanile non stava proprio male ma andava preservato e consolidato. Con la encomiabile collaborazione del maestro Rocco Brucoli, utilizzando malte rinforzanti speciali, furono consolidati pilastri, travi e solai; successivamente furono individuate e risolte tutte le disfunzioni di tenuta all’acqua delle varie componenti del campanile. I materiali utilizzati per la protezione dall’umidità furono scelti in funzione di specifiche caratteristiche contro l’invecchiamento e contro i raggi ultravioletti tutti di ultima generazione. Anche la cuspide del campanile fu trattata con materiali di alta tecnologia eliminando altresì la sensazione di sporco e nel contempo consentendole un rapido displuvio. Con questi sistemi si è data una iniezione di vitalità ad una struttura ormai sessantenne con la prospettiva di una ulteriore conservazione nel tempo. Ultimo tassello è stato quello di eliminare per sempre la piaga dei volatili e la risoluzione, non eccessivamente invasiva, è stata quella di apporre robuste reti di acciaio saldamente tassellate alle strutture e a prova di forti raffiche di vento. Si poteva fare di più? Forse, ma l’esiguo finanziamento regionale ci ha consentito perlomeno di togliere le cause del degrado del campanile conservandolo nel tempo. Grazie a don Vincenzo ho acquisito una esperienza unica su una struttura pubblica in umiltà e senza clamore, ma con la prospettiva di consegnare ai ruvesi il campanile del Redentore che svetta sulla piazza principale della città.

 ingegnere Francesco Ruta


Nel tempo e nello spazio di Dio

Ottobre segnò l’inizio dei lavori in ordine della ripresa dell’evangelizzazione con il Mandato ai catechisti dei fanciulli e a quelli che porteranno innanzi le catechesi del Cammino Neocatecumenale e che ebbero inizio il 27 ottobre. La pratica del mese in onore della Madonna di Pompei fu molto partecipata e sentita ed ebbe la conclusione con il pellegrinaggio della Comunità al Santuario mariano. Puntualmente si ebbero gli incontri di programmazione per i catechisti e i genitori, come pure per i giovani. Furono poi fissate le date per la ricezione dei sacramenti che avranno luogo in quest’anno pastorale e il parroco presentò al Consiglio pastorale la lettera programmatica che il vescovo ha consegnato alla comunità diocesana. Come ogni mese si ebbero poi i momenti dell’adorazione Eucaristica animata dai gruppi parrocchiali e da quello di P. Pio il 23 ottobre. Il parroco stimolò i vari gruppi ad andare all’essenziale in ordine al lavoro non lasciandosi irretire dalla volontà di perdersi in manifestazioni che nulla hanno a che vedere con l’evangelizzazione e che sfociano il più delle volte in baraonde che appartengono a ben altro tipo di movimenti o gruppi. Anche l’Associazione della Madonna del Buon Consiglio e la Confraternita di S. Rocco ebbero i loro momenti di spiritualità e di verifica e quest’ultima si è impegnata e ha dato già inizio ai lavori per la sesta edizione del presepe vivente. Non ha mancato anche qui il parroco a raccomandare che tali iniziative portino ad un maggiore impegno nella fede nella testimonianza cristiana. Si ebbero poi in questo mese le visite agli ammalati cui viene portata l’Eucarestia nei primi venerdì al S. Cuore che iniziano appunto in ottobre. La solenne celebrazione del 31 concluse solennemente il mese del Rosario che fu anche recitato ogni sera dalle famiglie alle 20,30, mentre la sera di giovedì 30 ebbe inizio la convivenza di inizio corso per la prima Comunità neo-catecumenale e che avrà termine domenica 2 novembre.

Luca


LAVORIAMO PER IL REGNO

Miei Cari,
con il mese di ottobre siamo tornati alla vita “normale”, almeno per la maggior parte di noi. È iniziata la scuola, il ritmo produttivo scandisce orari di lavoro con il consueto incalzare, le occupazioni della settimana si posizionano sull’agenda. È la routine, le solite cose da fare, le persone da incontrare, gli impegni da onorare. Che vita è questa? È la vita obbligata delle persone mature, quelle che hanno fatto scelte e preso impegni e non possono sottrarsi alle responsabilità familiari, professionali, sociali, ecclesiali… E non vogliono neppure spegnere i propri doni nella pigrizia e nell’individualismo. Ma non si può vivere di routine! Anche nel fare le cose più importanti e grandi (il volersi bene tra coniugi, il celebrar la Messa del prete, il donare la vita del volontariato…) può infiltrarsi, lo sappiamo bene, l’abitudine, la ripetitività, la stanchezza. Ecco la necessità di una vera spiritualità, quella che fa scoprire Dio al centro della vita e di ogni giornata: anche in mezzo alle mille occupazioni e preoccupazioni. “Vivere secondo lo Spirito” - scrive C. Contarini - è il segreto, soprattutto se si riesce a esplicitare il complemento oggetto: vivere la scuola, la famiglia, il lavoro, il servizio in parrocchia, tutto… secondo lo Spirito! Quello Spirito che è il segreto della giovinezza della  Chiesa, che dà l’energia di sempre nuova vitalità e la creatività nella fedeltà quotidiana. Il mese di ottobre poi aggiunge un’altra prospettiva che strappa dalla routine: la dimensione missionaria. Per respirare con tutta la Chiesa, che è “cattolica” cioè universale; per radicare sempre più seriamente il Vangelo nel centro del cuore; per dare incisività alla fede vissuta nella normalità di ogni giorno. Ricordiamo - scrive G. Bernanos - che il cristianesimo non è il miele del mondo, ma il sale della terra: nelle cui feritoie brucia. Son venuto a portare il fuoco, dice Gesù. Diamoci quindi da fare.
È il mio auspicio
Don Vincenzo

4 Ottobre: ricordando Carlo Carretto

LE “DUE VITE” DI FRATEL CARLO

Di Carlo Carretto (Alessandria, 2 aprile 1910 - Spello 4 ottobre 1988) mi tormentano ancora i suoi vivi e penetranti occhi che mi fulminarono in quel lontano incontro di Assisi, durante un raduno mondiale dei giovani francescani. Erano gli occhi di un contemplativo, di un uomo e di un credente che, dall’azione umana ed ecclesiale energica e profetica, passò al totale dono di sé. Quegli occhi con cui guardava e contemplava le stelle che brillavano nel luminoso cielo del Sahara, il deserto algerino dove per dieci anni visse e si formò alla scuola dei fratelli di Charles de Foucauld. Sì, fratel Carlo era appassionato di astri, di quelle stelle, riflettenti l’unica Luce dell’unica Stella (Cristo), che divennero guide per la sua esistenza e dei tanti giovani che sono saliti a Spello dove visse la “seconda parte” della sua vita, dopo la permanenza, faticosa e performativa, nell’eremo africano. In una lettera ai famigliari del giugno 1974, così spiega e sintetizza la scelta della vita religiosa e contemplativa: «Con me Dio usò una tattica diversa. Prima chiese la mia azione, poi chiese me. Nel primo (periodo) mi trovai a lavorare nella Chiesa come un crociato, sentivo di contare qualcosa e mi buttavo nell’azione con la passione di un innamorato. […] Ma lui, il Signore… mi attendeva al varco. Mi sentii dire da lui: “Carlo, non voglio più la tua azione, voglio te”. E mi trovai nel deserto, come in un secondo periodo della mia vita, a svuotarmi delle mie sicurezze e a liberarmi dagli idoli. E’ stata la più splendida avventura della mia vita, anche se la più rude e dolorosa. Dal deserto le cose si vedono meglio, con proporzioni più eterne. Il cosmo prende il posto del tuo paese natio e Dio diventa davvero un Assoluto. Anche la Chiesa si dilata alle dimensioni dell’universo e i lontani, cioè coloro che non sono ancora visibilmente cristiani, diventano vicini».

Un amore viscerale per la Chiesa 
Schiettezza, libertà interiore e radicalità evangelica lo portarono ad amare e correggere gli uomini di Chiesa e l’umanità con forza, fedeltà ed umiltà. Carlo Carretto, come Francesco d’Assisi, sognava una Chiesa che avesse gli stessi sogni di Dio, il sogno dell’amore, sempre, comunque. Combattuto tra amore alla “sua” Chiesa e sofferenze per le incomprensioni e le innegabili lontananze evangeliche di alcuni uomini di Chiesa, scriveva così, pregno di amore e dolore, sogni e speranze: «Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo! Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello». La Chiesa, amata e contestata da fratel Carlo, è santa e peccatrice, umana ed errante. Ma è proprio questa “dualità” (la santità della Chiesa perché è di Cristo, ed il peccato della Chiesa perché fatta di uomini e peccatori) che lo ha fatto innamorare perdutamente di Dio. «Quante volte ho avuto voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima - diceva idealmente alla Chiesa - e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure. No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te. E poi, dove andrei? A costruirne un’altra? Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò sarà la mia chiesa, non più quella di Cristo. L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: “Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi non è più credibile”. Mi fa pena! O è un sentimentale che non ha esperienza e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri. Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra. San Francesco urlava: “Tu mi credi santo, e non sai che posso ancora avere dei figli con una prostituta, se Cristo non mi sostiene”. La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo. Degli uomini è la debolezza e semmai la buona volontà di fare qualcosa di buono con l’aiuto della grazia che sgorga dalle vene invisibili della Chiesa visibile. Forse la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?».

Il sogno della fragilità 
Il sogno di Carlo Carretto si è imbattuto nell’amore del Padre che ama la fragilità, la debolezza, l’infedeltà della sua creatura. Ciò che deve farci amare la Chiesa e l’uomo è il perdono di Dio e la quotidiana risurrezione che lo Spirito Santo opera nella storia e negli uomini nonostante il peccato. Scriveva, ancora, il contemplativo del Subasio: «Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo papa. Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che aver fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nell’umiltà e nella coscienza della propria fragilità. No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una pietra così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io». La forza che vince la fragilità umana è la stessa di Cristo, ribadiva Carretto, una forza di sostegno e di trasformazione interiore: «Ma - continuava - c’è ancora un’altra cosa che forse è la più bella. Lo Spirito santo che è l’Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri. Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice. È come se il male non avesse potuto toccare la profondità metafisica dell’uomo. È come se l’Amore avesse impedito di lasciare imputridire l’anima lontana dall’amore. “Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle” dice Dio a ciascuno di noi, e continua: “Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele” (Ger 31,3-4). Ecco, ci chiama “Vergini” anche quando siamo di ritorno dall’ennesima prostituzione nel corpo e nello spirito e nel cuore. In questo Dio è veramente Dio, cioè l’unico capace di fare le “cose nuove”. Perché non m’importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, e più necessario che faccia “nuovi” i nostri cuori. E questo è il lavoro di Cristo. E questo è il lavoro divino della Chiesa. Volete voi impedire questo “far nuovi i cuori”, scacciando qualcuno dall’assemblea del popolo di Dio? O volete, voi, cercando altro luogo più sicuro, mettervi in pericolo di perdervi lo Spirito?». Il segreto di questo profeta, moderno e scomodo, è svelato dalle parole del suo amico Leonello Radi: «L’attività principale di Carlo Carretto erano le otto ore di preghiera al giorno. L’ho trasportato non so quante volte con il mio maggiolino rosso. Durante il viaggio si conversava e, soprattutto, si pregava».

Francesco Armenti


19 Ottobre: LA BEATIFICAZIONE DI PAPA PAOLO VI

Paolo VI (nato Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini) nasce a Concesio il 26 settembre 1897. È stato il 262° Vescovo di Roma e Papa a partire dal 21 giugno 1963 fino alla morte, avvenuta a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978. Venerabile dal 20 dicembre 2012, dopo che papa Benedetto XVI ne ha riconosciuto le virtù eroiche, sarà beatificato il 19 ottobre prossimo. Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a separarsi dalla spiritualità, che andava progressivamente secolarizzandosi, di fronte a un difficile rapporto chiesa-mondo, Paolo VI seppe sempre mostrare con coerenza quali sono le vie della fede e dell’umanità attraverso le quali è possibile avviare una solidale collaborazione verso il bene comune. Non fu facile mantenere l’unità della Chiesa cattolica, mentre da una parte gli ultratradizionalisti lo attaccavano accusandolo di aperture eccessive, se non addirittura di modernismo, e dall’altra parte i settori ecclesiastici più vicini alle idee socialiste lo accusavano d’immobilismo. Di grande rilievo fu la sua scelta di rinunciare, nel 1964, all’uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare, con il ricavato, i più bisognosi. Uomo mite e riservato, dotato di vasta erudizione e, allo stesso tempo, profondamente legato a un’intensa vita spirituale, seppe proseguire il percorso innovativo iniziato da Giovanni XXIII, consentendo una riuscita prosecuzione del Concilio Vaticano II, portandolo a compimento con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici ed aprendo fortemente verso i temi del Terzo Mondo e della pace. Da una parte appoggiò l’”aggiornamento” e la modernizzazione della Chiesa, ma dall’altra, come tenne a sottolineare, il 29 giugno 1978, in un bilancio a pochi giorni della morte, la sua azione pontificale aveva tenuto quali punti fermi la “tutela della fede” e la “difesa della vita umana”. Molto complesse furono le questioni del controllo delle nascite e della contraccezione, trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica. Il 24 dicembre 1974 inaugurò l’Anno Santo del 1975. Durante il sequestro Moro, il 16 aprile 1978 Paolo VI implorò personalmente e pubblicamente, con una lettera diffusa su tutti i quotidiani nazionali il 21 aprile, la liberazione “senza condizioni” dello statista e caro amico Aldo Moro, rapito dagli “uomini delle Brigate Rosse” alcune settimane prima. Ma a nulla valsero le sue parole: il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio 1978, nel bagagliaio di una Renault color amaranto, in Via Caetani a Roma. La salma di Moro fu portata dalla famiglia a Torrita Tiberina per un funerale riservatissimo. Ma il 13 maggio, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, alla presenza di tutte le autorità politiche, si celebrò un rito funebre in suffragio dell’onorevole, al quale prese parte anche il Pontefice. Il Papa, provato dall’evento, recitò un’omelia ritenuta da alcuni una delle più alte nell’omiletica della Chiesa moderna. Questa omelia inizia con un sommesso rimprovero a Dio ma prosegue affidandosi nuovamente alla misericordia del Padre: “Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il “De profundis”, il grido, il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui. Signore, ascoltaci!”. Il 10 maggio 1972 benedisse le due corone d’oro collocate sull’effige della Vergine e del Bambino Gesù custodita nel Santuario della Madonna delle Grazie.

Salvatore Bernocco


Nel tempo e nello spazio di Dio

Sia pure in sordina, il mese di settembre introdusse il lavoro pastorale con incontri di programmazione per il nuovo anno. Ci si incontrò con i responsabili della catechesi e degli altri movimenti parrocchiali per impostare meglio il lavoro che ci attende tra poco. Il parroco si assentò per alcuni giorni e fu a Bergamo dove si incontrò con amici e insieme con il cardinale Capovilla (novantanovenne) già Segretario di San Giovanni XXIII. Egli era stato a Ruvo e in parrocchia nel 1976 e nell’88. Molti i fedeli che si prepararono alla festa di S. Pio che culminò con il giorno 23, preceduta dalla Veglia di Preghiera e le celebrazioni con la festa esterna. L’adorazione mensile fu animata dal Gruppo Eucaristico parrocchiale e il Volontariato Vincenziano solennizzò la festa di S. Vincenzo de’ Paoli il giorno 27. Una buona rappresentanza della parrocchia, con il parroco, partecipò al Convegno Diocesano tenutosi presso l’Auditorium Regina Pacis. E un nutrito gruppo si recò in pellegrinaggio a Casacalenda a venerare la Madonna della Difesa il cui santuario è gemellato con la cappellina di Ruvo nella zona della “Difesa” comunale.

Luca


Pellegrinaggio a Casacalenda

Nutrire la propria fede allargando gli orizzonti è un esempio concreto di come la curiosità possa aggiungere alla propria vita quel pizzico necessario a scoprire per poi conoscere. Un valido esempio è stato il pellegrinaggio a Casacalenda (CB) il 28 settembre scorso, giorno in cui quel paese festeggia la sua Patrona: “S. Maria della Difesa”. Esperienza, frutto di un gemellaggio con l’omonima cappella di Ruvo, che ha visto un gruppo di amici della comunità, dirigersi verso questo bellissimo posto, guidati dal nostro parroco don Vincenzo. Subito il paesaggio naturale è emerso, rendendo il pellegrinaggio interessante e catturando spesso l’attenzione durante il viaggio. Isolato su una montagna, tra le nuvole, nei pressi del paese di Casacalenda, il santuario dedicato a S. Maria ha origini storiche risalenti a presunte visioni o sogni di contadini del luogo che furono invogliati a scavare nella località detta “Difesa” (da cui appunto la Madonna prende il nome) per la ricerca di un tesoro. Gli scavi portarono alla luce un altare, degli scheletri umani, resti di una chiesa e una lapide funeraria del 44 a.C.. su quelle fondamenta fu costruito il santuario dedicato a S. Maria, costruzione terminata poi nel 1898 con l’autorizzazione del vescovo di Larino Mons. Di Milla. La chiesa però, è stata chiusa al culto per lavori di restauro dovuti al terremoto del 31 ottobre 2002 e riaperta solo l’anno scorso al culto. Nel giorno della festa, sacro e folklore trovano il loro equilibrio radunando migliaia di fedeli da tutto il Molise e non solo e basta poco per rendersi conto di quanti siano stati, nel tempo, i miracoli che la gente ha attribuito alla Madonna. È per questo che tutte queste testimonianze sono state raccolte in un museo storico sovrastante la chiesa, inaugurato il 24 maggio 2014. Appena arrivati, il gruppo ha trovato il benevolo accoglimento del parroco di Casacalenda Mons. Gabriele Tamilia, che ha invitato il nostro parroco a celebrare l’Eucarestia. Non è mancata, anche l’occasione di raccontarsi a vicenda le due storie: quella della nostra cappellina e quella del santuario di Casacalenda dalla cui zona entrambe prendono il nome. Speriamo che questo incontro dia vita ad un fraterno gemellaggio che porterà quella comunità a visitare, il prossimo anno, la nostra bellissima terra pugliese.

Francesca de Astis


All’inizio del nuovo anno pastorale il Papa ci ricorda:

“PAZIENZA: È SALUTARE DA LONTANO LE PROMESSE DI DIO”

Miei Cari,
Settembre, mese della ripresa dei lavori. Qualcuno dice: armiamoci di santa pazienza e andiamo avanti. E proprio sulla “Pazienza” vorrei soffermarmi un po’, attingendo da quelle pepite fantastiche che emergono quotidianamente dalle messe mattutine di Papa Francesco dalla cappella di S. Marta dove il Papa si raccoglie in preghiera e celebra l’Eucarestia. Sappiamo tutti che non è facile la ripresa dei lavori, che le vacanze ci hanno forse distratti dagli impegni, che i vari incontri ricreativi, campi, classi oratoriane ci hanno fatto rientrare al “lavoro usato” più stressati di prima. Sono un po’ le confidenze che ci scambiamo tra amici in questi giorni. E intanto la Pazienza, ritenuta da sempre “la virtù dei forti”, molto probabilmente oggi, per il relativismo così diffuso è invece un vizio, una sorta di abitudine umana negativa. In questo particolare momento storico che stiamo vivendo, forse vale la pena sottrarsi ai ritmi frenetici del quotidiano e dedicarsi più alla riflessione, al silenzio, alla meditazione e riflettere sulla necessità di mettere l’uomo nella dimensione dell’amore per il quale è nato. Di qui la necessità della‘“Pazienza” che può farci uscire dalla insofferenza e immetterci nella ricerca umile e contenuta della Luce, della Verità che è Cristo. E proprio in una sua omelia di alcuni mesi orsono, il Papa Francesco ha precisato che… “la Pazienza non è rassegnazione… è la gioia di salutare da lontano la promessa di Dio. Chi non ha pazienza vuole tutto subito. Tutto di fretta. Chi non conosce questa saggezza della Pazienza è una persona capricciosa che non cresce, che rimane nei capricci del bambino, che non sa prendere la vita come viene: o questo o niente. Questa è una delle tentazioni: diventare capricciosi”. Oggi, più che mai l’uomo deve saper leggere con intelligenza e con fede i segni del tempo (mi raccomando cari Catechisti!), accettare le prove della vita per educarsi ed educare alla pazienza e alla vita. Chi non è paziente crede di avere l’esclusiva della verità, invece ne possiede solo un piccolissimo frammento e non si accorge di essere vittima dell’illusione di possedere tutta, l’unica e sola verità. Pazienza verso gli altri e verso noi stessi per attendere il rinnovamento per tempi lunghissimi e proiettarci verso un futuro migliore per chi ci sarà domani. Siano questi, miei Cari, alcuni pensieri per iniziare questo nuovo anno pastorale… armandoci di tanta e “santa Pazienza”.
Cordialmente
Don Vincenzo


FESTA DEI SANTI ARCANGELI - Mediatori tra l’infinito di Dio e il finito dell’uomo

Dalla prima pagina della Bibbia con i «cherubini dalla fiamma della spada guizzante», posti a guardia del giardino dell’Eden, fino alla folla angelica che popola l’Apocalisse, le Sacre Scritture sono animate dalla presenza di queste figure sovrumane ma non divine, la cui realtà era nota anche alle culture circostanti a Israele, sia pure con modalità differenti. Il nome stesso ánghelos, ne denota la funzione: significa, infatti, “messaggero”. Da qui è possibile intuire la missione e, per usare un’espressione del filosofo Massimo Cacciari, la “necessità” (L’angelo necessario è il titolo di un suo libro) di questa figura biblica, affermata ripetutamente dalla tradizione giudaica e cristiana, confermata dal magistero della Chiesa nei documenti conciliari (a partire dal‘Credo di Nicea del IV secolo) e pontifici e accolta nella liturgia e nella pietà popolare. Il compito dell’angelo è sostanzialmente quello di salvaguardare la trascendenza di Dio, ossia il suo essere misterioso e “altro” rispetto al mondo e alla storia, ma al tempo stesso di renderlo vicino a noi comunicando la sua parola e la sua azione, proprio come fa il “messaggero”. La funzione dell’angelo‘è, anche, quella di rendere quasi visibili e percepibili in modo mediato la volontà, l’amore e la giustizia di Dio, come si legge nel Salterio: «L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva… Il Signore darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi; sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede». Si ha qui l’immagine tradizione dell’“angelo custode”, bene raffigurata nell’angelo Azaria-Raffaele del libro di Tobia. Il compito dell’angelo è, ancora, quello del mediatore tra l’infinito di Dio e il finito dell’uomo e questa funzione la espleta anche per Gesù Cristo. Come scriveva il teologo Hans Urs von Balthasar, «gli angeli circondano l’intera vita di Gesù, appaiono nel presepio come splendore della discesa di Dio in mezzo a noi; riappaiono nella Risurrezione e nell’Ascensione come splendore dell’ascesa di Dio». La loro è ancora una volta la missione di mettersi vicini all’umanità per svelare il mistero della gloria divina presente in Cristo in un modo che non ci accechi come sarebbe con la luce divina diretta.

A.C.

Inizia la scuola: genitori sempre educatori. SAPER DIRE DI NO

Lo stile del ‘no’ Perché il ‘no’ sia utile, deve essere detto con stile, deve, cioè avere alcune caratteristiche. Non urlato. Se gridato, il ‘no’ potrebbe essere interpretato come dipendente dal nostro umore del momento e non già come una decisione presa per impedire qualcosa che, comunque, non si deve compiere, indipendentemente dal nostro ‘raptus’. Dosato. Quando i ‘no’ sono troppo frequenti perdono efficacia, come le leggi. Perché in Italia le leggi si infrangono così di frequente? Una ragione è anche questa: perché sono troppe. Mentre in Francia e in Germania sono sui settemila, da noi superano le centocinquantamila! Oltre a ciò, è bene che il ‘no’ sia dosato perché il censurare troppo i figli rischia di frustrare la loro creatività e di renderli più insicuri. Giustificato. Il figlio deve sapere che le nostre proibizioni hanno una ragione. Giustificando i ‘no’ lo illuminiamo, lo orientiamo, lo facciamo crescere. È chiaro che la motivazione deve rispettare la maturazione raggiunta dal figlio. Al piccolo di tre anni diremo: “Non prendere il coltello: taglia!”. Al ragazzo adolescente tentato dall’alcol spiegheremo che dove entra il bere esce il sapere; diremo che solo chi è poco saggio si lascia imbottigliare dal vino! Quali ‘no’? È impossibile, in ogni caso, fare l’elenco completo dei ‘no’ da dire ai figli. Ci limitiamo ai quattro che ci sembrano i più urgenti. No alle mode. Dove è scritto che tutti i ragazzi debbano avere lo stesso zainetto, che a Natale tutti debbano ricevere montagne di regali? Ha tutte le ragioni lo psichiatra Fulvio Scaparro ad essere così deciso: “Mamme e papà, imparate dai salmoni che vanno contro corrente! Liberatevi dai copioni!”. No al servizio. Perché la mamma deve continuare ad insaponare il figlio, ad allacciargli le scarpe e il papà a sbucciargli la mela? Qualche anno fa il sociologo Francesco Alberoni ha lanciato un messaggio: “Basta con i vizi ai figli! Se la cavino da soli!”. Tutti gli hanno battuto le mani. E se fossimo d’accordo anche noi? No al cuore di panna e all’indulgenza plenaria. Concedere tutto al figlio è tradirlo: non si può vivere in pantofole! Concedere tutto al figlio è preparare un infelice: “Il passero ubriaco trova amare anche le ciliegie”, recita il proverbio. No alle continue richieste. “Me lo comperi?”. “Voglio questo!”. “Dammi quello”… Ad un certo punto bisogna dire ‘No!’. “Ne hai abbastanza!”. “È inutile insistere!”. “Sarebbe troppo”. “Questo non è per nulla necessario!”… Parole sapienti. Parole benefiche. Parole che forgiano un uomo capace di stare in piedi anche quando la vita mostra i denti.

Pino Pellegrino

Dove eravamo rimasti?

Ci eravamo lasciati che tutto (o quasi) pareva esente da conflitti devastanti, quali quelli che oggi infiammano il mondo e che hanno indotto il Santo Padre a parlare di una sorta di terza guerra mondiale combattuta in modo frazionato. Tanto per portare qualche cifra, in Africa sono coinvolti ben 26 Stati e 156 tra milizie-guerrigliere, gruppi separatisti e gruppi anarchici. In Asia, 15 Stati e 128 tra milizie-guerriglieri, gruppi separatisti e gruppi anarchici. In Europa, 9 Stati e 71 tra milizie-guerriglieri, gruppi separatisti e gruppi anarchici. Punti caldi: Cecenia (guerra contro i militanti islamici), Daghestan (guerra contro i militanti islamici), Ucraina (Secessione dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk e dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk). In Medio Oriente, 8 Stati e 180 tra milizieguerriglieri, gruppi separatisti e gruppi anarchici, con i seguenti punti critici: Iraq (guerra contro i militanti islamici dello Stato Islamico), Israele (guerra contro i militanti islamici nella Striscia di Gaza), Siria (guerra civile), Yemen (guerra contro e tra i militanti islamici). E ci fermiamo qui. Possiamo affermare che la guerra spadroneggia, fa da sfondo alle nostre giornate, per fortuna tranquille da quel punto di vista. Da noi non ci sono conflitti, non siamo costretti ad imbracciare i fucili, ma ciò non ci esime dall’essere seriamente preoccupati per quanto sta accadendo specie in Medio Oriente e fra la Russia e l’Ucraina. I terroristi dello stato islamico dell’ISIS costituiscono un’autentica minaccia per la pace. Decapitano ed uccidono in nome della Jihãd, parola araba che significa “esercitare il massimo sforzo” e che possiede un ampio spettro di significati, “dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino alla guerra santa”. È evidente che Dio con le guerre e gli omicidi non ci azzecca nulla. Il male è opera dell’uomo che si è lasciato sedurre dal male. Chi si ritiene “santo” o si allena alla santità non scatena guerre, non uccide, non taglia teste o gole, ma costruisce ponti di pace. Chi sostiene il contrario, semmai appoggiandosi ad interpretazioni di testi religiosi, è un satellite di Satana. La mia personale convinzione è che questi conflitti siano scatenati o fomentati dai grossi interessi economici, quelli per cui ciò che conta è il profitto, il dio denaro, e l’uomo è merce, bersaglio, oggetto. Le industrie belliche devo vendere armi, aerei, ecc. e le armi devono funzionare. Si pensi che nel 2008, dato di cui sono venuto in possesso, le industrie armiere italiane avevano aumentato notevolmente i loro profitti: esportazioni autorizzate per oltre 3 miliardi di euro, cioè il 29% in più rispetto al 2007, quando la cifra si era fermata a poco meno di 2 miliardi e 400 milioni. Se all’Italia si aggiunge il resto del mondo, i fatturati delle industre belliche sono a dir poco stratosferici. La fame nel mondo sarebbe un lontano ricordo se quei soldi venissero destinati a scopi benefici. Purtroppo così non è, perché il mondo, l’uomo, ama il denaro più di Dio. Come credenti nel Re della Pace abbiamo il dovere di spegnere i focolai di guerra, anche quando assumono i connotati di quegli odi che dividono le nostre famiglie, le nostre comunità umane, e che costituiscono l’habitat naturale degli odi più grandi. La pace implica la rinuncia all’ego bellico che si contrappone all’io secondo il Cristo, aperto all’amore e alla vita. È un impegno quotidiano e delicato a far prevalere i pensieri di bene su quelli che ci stimolano al conflitto. Soli così il mondo potrà conoscere un nuovo periodo di prosperità e di benessere.

Salvatore Bernocco


TUTTI IN FESTA PER S. PIO

Settembre - quando riprendono i lavori - vede impegnato il Gruppo di Preghiera di S. Pio, essendo sorta nella nostra parrocchia la devozione a Lui. Non era infatti neppure stato proclamato “Beato” quando nel 1988, memori dei benefici ricevuti dal Santo, i coniugi Giuseppe e Maria Tota chiesero a Don Tonino di erigere un monumento all’ingresso della nostra chiesa parrocchiale. Fu realizzato dallo scultore Mario Piergiovanni e lo stesso anno - 1988 - nacque il primo Gruppo di Preghiera in Ruvo. Anche quest’anno tutti i devoti sono mobilitati per onorare il Santo di Pietrelcina con il solenne novenario e la veglia di preghiera che avrà luogo il 22 settembre iniziando dalle ore 19,00. Il 23 poi faremo festa‘al Santo partecipando all’Eucarestia e al momento devozionale esterno nel circondario della parrocchia. La cittadinanza è invitata a partecipare in massa, alle 19,30, come è avvenuto lo scorso anno.

Nel tempo e nello spazio di Dio

Si è riusciti a mettere insieme un po’ di riposo e attendere ad adempimenti che sono obbligatori in questi mesi estivi. Vedi gli appuntamenti con le feste di S. Anna e di S. Rocco presso l’omonima chiesa. Molti i fedeli che hanno partecipato sia alla prima che alla seconda manifestazione di fede. Gestanti e partorienti hanno frequentato la novena a S. Anna e molto partecipate sono state le Eucarestie celebrate cui è seguita la benedizione dei bambini. Per‘S. Rocco c’è stato un triduo di preghiere, animate da confratelli del sodalizio e la processione del simulacro argenteo del Santo il giorno 16 agosto. Sia pure limitata nel numero c’è stata l’esperienza dell’Oratorio estivo, preceduta dall’incontro festivo del Gruppo famiglia con il Vescovo don Gino il 5 luglio. Abbiamo poi festeggiato S. Maria Goretti della quale ci ha parlato il parroco, sottolineando l’attualità del messaggio di questa fanciulla trasparente, umile e coraggiosa. Come negli anni precedenti, tanti sono stati i fedeli che hanno preso parte alle manifestazioni di fede in onore della Madonna della Rigliosa nel rione omonimo e alla Madonna della Difesa, gemellate con quella di Casacalenda. Non sono mancati gli incontri eucaristici del primo giovedì del mese e del 23 animati questi ultimi dal Gruppo di Preghiera di Padre Pio. Un momento di riflessione e di festa si è poi avuto il 28 agosto, data di inizio del cammino pastorale con don Vincenzo immesso da don Tonino a guida della Comunità parrocchiale.
Luca

TEMPO DI VACANZE : SILENZIO CREATIVO

Miei Cari,
una pausa di silenzio non fa male in questo periodo estivo, per cui vi propongo alcune riflessioni nelle quali mi accompagna la giornalista L. Scaraffia. Forse non viviamo una vita vera, ma siamo i protagonisti di un film: questo sembra essere il messaggio che ci lanciano le colonne sonore che – volenti o nolenti – accompagnano le nostre vite, proprio come succede ai personaggi dei film. Ormai un sottofondo musicale è previsto praticamente dovunque: bar, ristoranti, negozi e perfino nei supermercati – pare che così la gente compri di più – e talvolta anche nelle stazioni o negli aeroporti. Naturalmente le musiche sono differenti: possiamo sentirci immersi in ritmi melodici napoletani in una pizzeria, in un’atmosfera jazz se il bar dove entriamo e sofisticato; in un clima americano melodicco – magari con Frank Sinatra – in un ristorante, come se ogni cena fosse l’occasione di affascinare l’anima gemella. Nei negozi di jeans prevale il rock o il genere metal; in quelli vintage canzoni buffe degli anni Trenta; se i tavolini di un caffè sono all’aperto, musiche da operetta possono rievocare i cafè chantant; nei musei, soffusa nello sfondo, musica classica. Perfino nelle chiese, in quelle antiche e artisticamente belle, quelle dove si entra non solo per pregare, ma anche per ammirare, ormai è prevista una colonna sonora: naturalmente si tratta di musica sacra, a volume basso, ma comunque tale da rompere il silenzio. Forse in quest’ultimo caso l’intenzione è buona: è un modo per far capire ai turisti che si trovano in un luogo sacro, che non possono parlare ad alta voce, far rumore. E’ un modo di generare rispetto, di suscitare sentimenti di devozione. In ogni caso, queste colonne sonore colorano la nostra vita di atmosfere che magari in quel momento sono molto lontane dal nostro stato d’animo, influenzano – qualche volta, bisogna ammetterlo, in modo positivo – il nostro umore. Ma creano anche sensazioni bizzarre e fuori luogo: come se fossimo sempre, a ogni età e in ogni occasione, innamorati e sospirosi, o, in altri casi, ribelli ee scontenti. E poi rendono difficili i contatti umani, perché per parlare dobbiamo alzare la voce, che perde le inflessioni che vorremmo darle: i messaggi si fanno brevi e perentori, specie se il loro contenuto è in contrasto con il clima musicale imposto. Quante volte, in un ristorante, un gruppo di persone che si incontra per chiacchierare viene indotto a rinunciare a qualsiasi discorso un po’ lungo e complesso dalla musica che imperversa e rende difficile ogni scambio verbale? Perfino un’antica abitudine ben collaudata, come quella di dire “andiamo a prenderci un caffè così ne parliamo” viene annullata dalla colonna sonora che imperversa, impedisce di sentire cosa dice l’altro e, per di più, crea un’atmosfera spesso poco adatta al discorso che si vuole affrontare. Anche se ci stiamo talmente abituando alla musica che quasi non la ascoltiamo più la musica, e se qualcuno la commenta lo guardiamo stupiti: per noi è solo uno tra i tanti rumori che ci circondano, e ci rimbambiscono. Così abbiamo ucciso il silenzio, che non sempre e non solo significa solitudine. Silenzio è anche possibilità di sottrarsi alla banalità quotidiana, di entrare nel profondo di se stessi, nel luogo dove nasce un pensiero che si plasma poi nella parola. L’apice del silenzio ce l’abbiamo nella lettura silenziosa, che permette al lettore solitario di creare con il libro un rapporto esclusivo. Non è un caso che nella nostra società, inquinata da musiche e rumori, stia scomparendo l’abitudine alla lettura: soprattutto per i giovani è sempre più difficile trovare concentrazione e silenzio, condizioni indispensabili per la comprensione di un testo. E chi non legge perde molto. Come ha scritto un grande studioso, Giovanni Pozzi: “Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace”.
Cordialmente
Don Vincenzo

Al Sig. Vincenzo Caldarola, Presidente del Comitato Feste Patronali

Caro Presidente,
la nostra amicizia e il tuo diuturno impegno come 1° Componente della Confraternita di S. Rocco di cui sono Assistente Spirituale, e ti fanno tra i miei principali collaboratori, mi inducono a prendere la parola in ordine alla recente festa patronale dell’Ottavario del Corpus Domini (unica - da sempre - per la nostra città). Nel contempo ti esprimo la solidarietà per l’atto intimidatorio di cui sei stato oggetto in questi giorni.

1. Da diversi anni c’è un revival di mosse per far tornare il tutto all’antica tradizione, quasi i tempi non fossero cambiati e il Concilio Vaticano non avesse parlato a riguardo. E comunque - come altri hanno ricordato - la festa patronale dell’Ottavario non è un fatto parrocchiale ma è una festa dell’intera città “per cui vanno tenute presenti tutte le componenti di esse e, in primis, vescovo e intero Presbiterio. Se il vescovo non fosse stato tempestivamente informato sarebbe venuto a Ruvo la sera della domenica della festa. Tant’è che il suo programma riportato su “Luce e Vita” prevedeva alle ore 11,00 dello stesso 29 giugno l’amministrazione delle Cresime nella parrocchia di S. Giuseppe in Molfetta. E ancora: se volevasi la tradizione, perché anche il giorno del Corpus Domini, la processione non è avvenuta al mattino? E quando mai, nel giorno del Corpus, si son date le benedizioni agli altari delle porte di Ruvo? Tale prerogativa è stata sempre del vescovo e solo il giorno dell’Ottavario. E il giorno del Corpus Domini è stato sempre l’arcidiacono o, da quando era tra noi Don Tonino, è stato il Vicario generale a presiedere la processione del Corpus o, se è passata al parroco, lo si è fatto perché il vescovo mons. Negro, decretò, prima che fosse stata abolita la processione del Corpus Domini e poi - date le resistenze - che fosse stata una processione nel solo territorio parrocchiale. Cosa che caparbiamente non si è mai attuata. Il degrado poi ha raggiunto il culmine negli ultimi tempi con l’erezione di un misero altare (una gabbia donde sono stati liberati dei colombi come ha detto il popolo) in piazza Castello, confinato in un angolo sugli spalti del castello con accanto gli ombrelloni di un bar. Povero culto eucaristico! La piazza più antica e più bella scippata a Gesù Eucarestia per dar posto a mucchi di sedie, gazebo, palchi e quant’altro. La piazza diventava da sempre un’immensa basilica all’aperto donde il vescovo, prima di impartire la benedizione aveva modo di istruire la sua comunità cittadina. Da tempo immemorabile, anche se la festa non è stata “ricca” ha sempre troneggiato l’imponente altare posto al centro della piazza, alto, solenne e non frammischiato tra spalliere luminose di scarso valore anche scenografico. Gli amici confinanti dei paesi vicini venivano ad ammirare il maestoso altare dal quale il vescovo avrebbe poi impartito la prima benedizione.

2. Vorrei poi, caro Presidente, che non si dimenticasse come si è voluta affossare la grande festa di S. Rocco, Patrono Minore di Ruvo, e solo per il quale la città si mobilitò per la realizzazione del capolavoro d’argento del Sammartino. Fino all’episcopato Marena, lo stesso vescovo ha sempre partecipato alla processione la sera del 28 settembre. Da dopo l’episcopato Marena e il rientro processionale per il breve tratto dalla vicina chiesa del Purgatorio in Cattedrale (chiusa diversi anni per i restauri) della statua di S. Biagio, la festa di quest’ultimo ha soppiantato quella di S. Rocco anche se al primo era riservato il pontificale del 3 febbraio, il bacio della reliquia, le nocelline e alcune girandole nella piazzetta della Cattedrale. E basta. Far rivivere la tradizione del passato? Non a piacimento di alcuni e a discapito di ben più radicate tradizioni. Non è mai così avvenuto per Terlizzi in cui le tradizioni cittadine sono oltremodo consolidate e intoccabili (vedi i vari spostamenti della Madonna di Sovereto o il festone della Madonna del Rosario con la partecipazione del vescovo a tutte queste).

Quindi, caro Presidente, la memoria storica di Ruvo non va presa per quello che fa comodo, soprattutto perché quanto è avvenuto quest’anno non si ripeta e che la Processione dell’Ottavario torni nelle ore pomeridiane, come strenuamente voluto dagli ultimi vescovi, ma anche dalla stragrande parte della popolazione che al mattino dell’Ottavario ha preferito le spiagge di Bisceglie o di Barletta. Senza dire di quell’intervento su Facebook, peraltro non condiviso in pieno dall’autorità competente, dove si è favorito il commento di qualche laico con la “l” minuscola. Avrebbe fatto bene a non soffermarsi sui giudizi ai preti, se si devono indossare questo o quell’altro abito, peraltro assegnato e indossato per designazione della Segreteria di Stato del Papa
Con amicizia.
d. Vincenzo Pellegrini

NELLA VITA DELLA COPPIA SPESSO MANCA LA PAZIENZA

Nelle relazioni affettive la pazienza è una virtù essenziale e non va d’accordo con lo stile del nostro tempo che vorrebbe tutto e subito. La pazienza non è attesa vuota ma speranza nel futuro.

Perdere la pazienza è una delle caratteristiche di noi essere umani. Basta che chi ci sta davanti al semaforo non riparta immediatamente quando appare il verde che subito cominciamo a suonare per svegliarlo; basta che un relatore sia più pesante del previsto che cominciamo a sentirci a disagio e guardiamo cento volte l’orologio. Chi non ha assistito a qualche lite per il rispetto dei posti nelle code alle poste o in qualche altro ufficio? Per fortuna oggi esistono i numeri che si prendono all'ingresso degli uffici. In una società dove tutto avviene velocemente la pazienza è proprio la virtù dei forti. Nelle relazioni affettive la pazienza è una virtù essenziale e non va d’accordo con lo stile del nostro tempo che vorrebbe tutto e subito. Tutti dicono che è essenziale il dialogo in famiglia ma per dialogare serve tempo e pazienza. Tutti dicono che i conflitti vanno affrontati ma per sciogliere alcuni nodi serve tempo e pazienza e oggi è diventato un luogo comune ripetere che non abbiamo tempo. Ci vogliono anni per conoscersi e verificare la possibilità di una vita insieme; ci vogliono nove mesi perché nasca un bambino e poi perché nasca alla vita adulta ci vuole tanto tempo e tanta pazienza. La vita frenetica un po’ alla volta rischia di svuotarci perché ciò che viene sacrificato alla fretta della vita è il tempo di stare insieme, parlarsi, condividere, ascoltarsi; ciò che manca alla fretta della vita è la capacità di perdere tempo per l’essenziale. Ciò che manca è la pazienza. Nella vita di coppia il passare degli anni porta inevitabilmente a farsi un’idea dell’altra persona che lentamente si sclerotizza e diventa un pregiudizio difficile da modificare. Solo l’amore ma anche tanta pazienza può smontare questi pregiudizi e permetterci di vedere oltre l’apparenza e oltre i nostri schemi. La pazienza è la capacità di coniugare i valori con il tempo. Quanto più preziosi e delicati sono alcuni valori, tanto più è necessario un percorso lungo per viverli. Ma questo non avviene in modo passivo perché la pazienza non è attesa vuota, apatia, rassegnazione ma scelta del cuore, amore alla vita e alle persone, fiducia in quello che stiamo costruendo, speranza nel futuro. La pazienza è l’arte dell’educare che sa di essere come un contadino che semina e attende la stagione dei frutti. Ma la sua attesa è attiva e creativa perché si prende cura del terreno e poi della pianticella, la nutre e la difende dal gelo. La pazienza porta a credere che nella vita e nell'educazione è più importante il “processo” del “prodotto”. E’ più facile arrivare in un rifugio di montagna con la funivia ma è un’altra cosa arrivarci a piedi. In funivia è assicurato il prodotto, cioè il risultato, ma l’escursione regala fatica, consapevolezza delle proprie forze e limiti, paesaggi, compagnia, voglia di tornare indietro, attesa. In questa pazienza, cioè nel “processo”, si forma l’uomo maturo. Quanta pazienza ha Dio nei nostri confronti! Come non ricordare la pazienza del padre che aspetta il ritorno del figlio prodigo; la pazienza nei confronti dei suoi discepoli che fino alla fine non capiscono o travisano le sue parole; la pazienza nei confronti di quel fico che da anni non portava frutto e i discepoli vorrebbero tagliare mentre Gesù chiede ancora pazienza. E la pazienza di perdonarci sempre quando bussiamo alla sua porta per domandare perdono.

La riqualificazione di Piazza Castello

Prendiamo le mosse dal comunicato stampa del Comune di Ruvo di Puglia sulla riqualificazione di Largo Castello, il quale sarà possibile “grazie a un finanziamento di 2.006.900 euro nell’ambito del PO FESR 2007-2013, Azione 7.1.1, ottenuto dal Comune per un progetto che prevede anche la riqualificazione di piazza Cavallotti e dell’imbocco di Via Cotugno. Il progetto integrato di rigenerazione urbana predisposto dal Comune ha per obiettivo la riqualificazione di parti significative della città, la valorizzare del patrimonio storico e archeologico, il miglioramento della qualità urbana e l’incremento dell’offerta turistica, puntando anche sul contenimento del traffico carrabile e sul potenziamento della mobilità lenta, al fine di consentire una migliore fruibilità e degli spazi pubblici”. Questo, fra l’altro, si legge nel comunicato. Seguono le dichiarazioni di sindaco ed assessore al ramo, che parlano di “traguardo significativo”, di “progetto strategico”, di rilancio del turismo, etc. Staremo a vedere, sebbene sia arduo immaginare che lo sviluppo economico di un paese possa passare attraverso la riqualificazione urbana di una piazza. Non ne scorgiamo il nesso, forse per nostra cecità. Invece era logico attendersi lo squillar di trombe della politica locale (“squillar s’ode da lunge un suon di trombe,/un dare a l’arme ed un gridar di genti/tal, che ne tuona e ne rimugghia il cielo”, da L’Eneide di Virgilio), che, avendo dato segnali laschi in questi anni, cerca affannosamente di riacquistare il consenso dell’elettorato e di far dimenticare che pendono sulla nostra comunità cittadina tanto la questione del debito gigantesco quanto quella degli avvisi di garanzia. Non si dimentichi che la bassa percentuale di partecipanti al voto per il rinnovo del Parlamento europeo, se ha suscitato le grida di giubilo dei vincitori, sono e restano, per chi sia intellettualmente onesto e non fazioso, un segnale allarmante di crescente disaffezione della gente dalla politica. A nostro modesto avviso, la riqualificazione, che va fatta, non deve tramutarsi in uno stravolgimento totale dei luoghi coinvolti dai lavori. In secondo luogo, forse sarebbe stato opportuno mettere a confronto più soluzioni tecniche, promuovere un concorso di idee per poi optare per la soluzione maggiormente condivisa. Qualcuno parla di tempi ristretti. Se così fosse, non si comprende la ragione per cui non ci si sia mossi per tempo. La fretta, com’è noto, fa i figli ciechi e potrebbe indurre qualcuno a prendere decisioni errate, a dare il placet a progetti che potrebbero risolversi in uno sperpero di denaro pubblico. In tempi di vacche magre come quelli che viviamo, sarebbe un vero e proprio reato.

Filoteo


Nel tempo e nello spazio di Dio

Giugno si caratterizzò per il mese in onore del S. Cuore. Ma anche per l’immediata preparazione dei fanciulli di Prima Comunione. Si concluse con il pellegrinaggio al Santuario del Miracolo Eucaristico di Lanciano da parte dei bambini, dei loro genitori e dei catechisti. Tutti furono felici e soddisfatti di questa catechesi formidabile sull’Eucarestia. Si concluse anche il corso di catechesi con un incontro consuntivo da parte dei catechisti con il parroco. La verifica portò anche alla decisione “ad experimentum” di portare la catechesi al solo giorno di sabato per il prossimo anno catechistico del mese di settembre. Anche il Gruppo Giovani si è riunito per fare il punto della situazione e per l’organizzazione di momenti formativi estivi. Per i ragazzi si è pensato all’Oratorio estivo che avrà inizio il 1° luglio e continuerà ad oltranza anche perché mentre altre realtà parrocchiali chiudono molti ragazzi restano per le strade. I volontari parrocchiali provvederanno ad essi. Si è poi celebrata la festa della Prima comunione il giorno del Corpus Domini. Molto ben riuscita la preparazione e la celebrazione.

LUCA


AI FANCIULLI DI PRIMA COMUNIONE

Miei Cari,
Giugno: mese eucaristico che ci riporta alla Pasqua. Ce la facciamo raccontare da Matteo, la guida spirituale di questo anno liturgico, nel suo Vangelo al capitolo 26, al versetto 26. “Mentre mangiavano prese un pane”. Gesù prende un pane e non il pane, significa quindi che non prende il pane azzimo. Il pane tondo significa che non c’è una parte migliore, come per l’agnello, ma è uguale per tutti. Il pane è formato da chicchi di grano che prima erano sparsi e, una volta macinati, diventano una cosa sola. È segno di unità: come il pane è formato da chicchi di grano che erano sparsi così la Comunità cristiana nell’Eucarestia tende a diventare una cosa sola. “Poi benedì”. Benedire significa che l’autore del pane è il Signore; ciò significa che non dobbiamo tenerlo egoisticamente per noi ma condividerlo con amore con gli altri. “Lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: “Prendete, mangiate…”. Mangiare significa che il pane va assimilato, assorbito, fatto nostro. Mangiare il Corpo di Cristo significa fare nostro il suo modello di comportamento e amare come lui ama. “Questo è il mio corpo”. Spezzare, distribuire il pane, mangiare il pane: la Comunità in cui il Pane si spezza, si distribuisce e si mangia è il Corpo vivo di Gesù. “Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: bevetene tutti”. È l’immagine della morte di Gesù. Per vivere il messaggio di Gesù non basta solo mangiare il Pane, ma occorre essere fedeli fino ad essere capaci di affrontare la persecuzione, l’ostilità, l’incomprensione anche fino alla morte. Poi disse Gesù presentando il Calice: “questo è il mio sangue dell’alleanza”. Nella cultura ebraica il sangue rappresenta la vita. Per un ebreo non era assolutamente possibile bere il sangue. Bere il sangue significa che Gesù penetra intimamente nell’uomo, lo trasforma e lo rende come lui figlio di Dio. La nuova alleanza è un impegno di amore per gli altri fino alla morte. Con Gesù il suo stesso sangue, il Vino, viene bevuto. Il sangue è quello che è versato per molti per il perdono dei peccati. Ciò significa che l’amore di Gesù, che comunica con il suo calice, è lo Spirito, la stessa vita di Dio, la sua stessa capacità di amare. La cancellazione dei peccati si ha dando adesione a Gesù che si offre all’uomo per liberarlo dalle colpe. Per cancellare i peccati non è più necessario offrire doni per la penitenza, andare al tempio e partecipare a un rito liturgico. Il vino nuovo è l’amore che Gesù dimostra al momento della croce. Il giorno della morte di Gesù in cui si manifesterà il suo Spirito. Dal momento della croce in poi ci sarà questo vino nuovo che Gesù berrà nella sua nuova comunità. Dice S. Matteo che dopo aver cantato l’inno usciranno verso il monte degli ulivi. Nel libro dell’Esodo è scritto che è proibito uscire la notte di Pasqua. I discepoli escono e cantano anche gli inni, che significa lodare Dio. È una immagine priva di qualsiasi elemento di tristezza. Gesù libera l’uomo da ogni legge opprimente perché ha a cuore solo ed esclusivamente il bene dell’uomo. Della cena pasquale non rimane assolutamente niente. Gesù inaugura qualcosa di completamente nuovo. Gesù non uccide una vita ma offre la sua vita; non toglie il pane ai discepoli ma si offre lui come pane. Gesù non chiede, ma dona. Per capire ancora meglio il significato dell’Eucarestia, incominciamo, con i fanciulli, a liberarci da immagini e parole non propriamente corrette. I Cristiani celebrano la Cena del Signore come dice S. Paolo o la Frazione del Pane come dice San Luca. Per cui non ci raccogliamo davanti ad un altare. L’altare presuppone un sacrificio da offrire a Dio. Noi ci riuniamo intorno alla Tavola con il significato di mensa. Nella tavola cristiana è il Signore Gesù che si offre ai suoi come alimento di vita. Fino al IV secolo i cristiani celebravano l’Eucarestia nelle case. Gesù si fa servo perché noi ci facciamo signori. Così si comporta Gesù. Ricordiamo, come dice un teologo che “Dio non è un sostantivo, Dio è un verbo”. Se non sperimentiamo queste dimensioni della divinità siamo destinati a parlare soltanto e non agire: solo parole e niente cammino. Diciamo molto bene quando cantiamo: “Il tuo popolo in cammino cerca in te la Guida”. Solo Gesù Eucaristia è la nostra certezza, l’amore, la Guida. È il mio augurio a voi fanciulli di Prima Comunione. Don Vincenzo

L’UMILTÀ DEI DUE PAPI

Da un’intervista a Mons. Capovilla

E’ vero che dopo la sua elezione a Papa, Francesco le ha telefonato? 
Pensavo fosse uno scherzo perché era il primo d’aprile dello scorso anno. Verso sera squilla il telefono, io rispondo e dall'altra parte sento una voce: “Mons. Capovilla, sono papa Francesco”. Aveva fatto lui il numero, senza passare dal centralino, perché Mons. Camastri gli aveva dato un mio dépliant per l’Anno della fede nel quale è scritto: “Con papa Francesco, celebriamo il cinquantesimo di Pacem in terris (11 aprile 2013) e del transito di Giovanni XXIII (3 giugno 2013)”. “Lei mi invita a questo convito di memorie – mi ha detto Francesco – e io la ringrazio. Visto che siamo in conversazione – ha aggiunto – la prego di un favore: preghi papa Giovanni perché io diventi più buono”. Semplice come la preghiera di un bambino.
Sono molte le somiglianze con papa Giovanni XXIII.
Sì, devo confessare che al termine della mia vita tocco con mano che alcune intuizioni di papa Giovanni vengono oggi messe sul tappeto da papa Francesco. Nel discorso agli ambasciatori che hanno presentato le credenziali, lui ha detto che la Chiesa deve preoccuparsi in particolar modo degli ultimi. Ha ripetuto la stessa frase di papa Giovanni nel radiomessaggio un mese prima dell’apertura del Concilio, l’11 settembre: “La Chiesa è di tutti e nessuno è escluso, ma è particolarmente la Chiesa dei poveri”.
Qualcuno ha detto che questa è demagogia, ma dov'è la demagogia se tuo fratello muore di fame?
E’ un grande discorso che quelli che si vogliono chiamare cristiani devono vivificare dentro di loro: non accontentarsi solo di battere le mani al Papa.
I due pontefici sembrano simili anche negli atteggiamenti… 
Anche Francesco avvicinando le persone non dà l’impressione di chiedersi se sia cattolico o se  vada a Messa tutte le domeniche, ma per prima cosa vede in lui una creatura di Dio, un uomo, una persona che ha dei diritti inalienabili che sono il diritto all'ascolto e al rispetto, in ogni caso al buon rapporto, al tentativo dell’amicizia. Mi hanno colpito le immagini del Papa nel carcere minorile di Casal del Marmo il giovedì santo dello scorso anno: un vecchio prete inginocchiato a lavare i piedi di quei ragazzi, non spruzzando un po’ d’acqua, ma lavandoli davvero, baciandoli e guardando ogni ragazzo in volto. Uno di loro gli ha chiesto: “Cosa sei venuto a fare?”. “Sono venuto perché mi ha mandato l’amore – ha risposto Francesco -, perché mi devo occupare anche di te”. Ma non è questo che aspetta il mondo? Non è questo ciò in cui confidiamo
Insomma, da Papa testimone dell’amore di Dio…
Come dovrebbe essere per tutti noi. Nella mia camera più intima ho appeso le fotografie dei sette monaci di Tibhirine, i trappisti rapiti e trovati sgozzati il 30 maggio 1996, sepolti nel giardino del monastero, là dove avevano piantato semi di fede, di speranza e di amore. Sette martiri, testimoni di amore al Dio dell’alleanza da lui stabilita con l’umanità. Li guardo e penso che si può credere che l’amore è più forte dell’odio, la vita più forte della morte. E penso che ciò che è impossibile agli uomini sia possibile a Dio…

LE EUROPEE DELL’ASTENSIONE

Le cifre, i numeri sono molto più veritieri delle opinioni. I numeri non mentono. Nel nostro paese, Ruvo di Puglia, l’affluenza ai seggi è stata appena del 46,3%, mentre nel 2009 ascendeva al 68,2%. In cinque anni l’astensione alle urne per il rinnovo del Parlamento europeo è aumentata di circa il 22 %. Un numero abnorme che dovrebbe seriamente preoccupare i politici locali, i quali, invece, preferiscono tenersi stretti i propri numerini e sbandierarli come trofei. E c’è chi esprime pure enorme soddisfazione. Se non ci fosse materia su cui piangere, potremmo sorridere, anzi sganasciarci dalle risate. Il vero dato da valutare non sono le percentuali raggiunte dai partiti, ma quel 22% in più che suona come un ceffone alla politica, di destra, di sinistra, di centro o non schierata. Il 54% dei ruvesi aventi diritto di voto (20.862) non si sono recati ai seggi. Fatti i conti, si tratta di ben 11.265 ruvesi che hanno dato buca, per usare un termine colorito. Hanno preferito starsene a casa o andare al mare o in campagna. Al di là della retorica del “chi non partecipa ha sempre torto”, che pure ha una sua giustificazione, va detto che l’astensione è anch’essa l’espressione di un sentimento, di una distanza, di un dissenso rispetto al mondo/teatrino della politica, di una sfiducia verso le caste che tendono a perpetuare i propri privilegi, semmai dando l’impressione che vi si vuole rinunciare. Ed è un elemento che va democraticamente preso in seria considerazione perché è comunque sintomo inequivocabile di un sistema o regime che non intercetta i bisogni e le attese di tantissimi cittadine e cittadini, che non fornisce loro risposte soddisfacenti in termini di lavoro, servizi sociali, sanità, scuola, etc.. Se al dato allarmante dell’astensione aggiungiamo i dati delle schede bianche (123) e nulle (396), il quadro non è affatto idilliaco. Pertanto, chi usa toni trionfalistici, sappia che non c’è molto da festeggiare. Tutt’altro. Un’altra considerazione: la divisione non porta a nulla di buono. La dispersione dei cosiddetti moderati fa il gioco delle altre parti. Anche in questo caso facciamo quattro conti. Forza Italia (1.791), Nuovo Centro Destra – Unione di Centro (501), Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale (444), insieme, avrebbero portato a casa un risultato meno deludente. Si sono comportati come quel coratino che, per fare un dispetto a sua moglie, se lo tranciò di netto. Contenti loro, contenti tutti.

Salvatore Bernocco

DARIO FO INTERROGATO

Che giudizio ha di Papa Francesco? 
E’ un personaggio straordinario.
Perché? 
Innanzitutto ha capito che il più scomodo fra tutti i santi era san Francesco.
In che senso?
San Francesco a quarant’anni dalla sua morte è stato censurato e la chiesa cattolica apostolica romana ha inventato un altro santo cancellando e seppellendo l’originale. Addirittura adoperando altri santi per rimpiazzarlo con storie che la chiesa voleva appiccicare a san Francesco.
Scomodo perché?
San Francesco da ragazzo aveva partecipato a una rivolta straordinaria, era stato in galera, aveva combattuto per la libertà del suo paese, era stato fatto prigioniero, ferito. Tutto questo, però, è stato cancellato, la gente non lo sa. E al posto di questa storia hanno messo racconti che non c’entrano niente con lui. San Francesco da ragazzino aveva tradito la famiglia, la classe a cui apparteneva, si era buttato alla distruzione totale delle torri di Assisi e alla cacciata dei nobili e dei potenti della sua città. Si era messo nelle liste per diventare soldato, fu catturato, ferito e portato in galera rimanendoci un anno. Da lì, però, è partita la sua conversione che col tempo lo portò “a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore”…
Ma c’è un papa, maestro, a cui si sente più vicino?
Sicuramente papa Francesco, anche se la parola “vicino” è particolarmente importante… Papa Bergoglio ha capito che per poter vestire i panni e assumere il linguaggio, i significati e soprattutto la politica di san Francesco bisognava fare un salto mortale e rischiare. Non bisogna mai dimenticare che lui è entrato in un momento di grande crisi della chiesa, comprese le dimissioni di papa Ratzinger. Lui, allora, parla come Francesco, ma il Francesco censurato. Ad esempio le cose che dice sull’uso del potere, del denaro, sull’ipocrisia e la calunnia le trae dal Francesco originale… Quando uno ha la grande forza di costringere i politici italiani a levarsi dal letto alle sei del mattino per assistere alla sua messa non può non essere un grande… E in quell’occasione tiene un discorso “violento” dipingendo i politici corrotti come esseri indegni che cancellano ogni diritto e logica di giustizia disinteressandosi della disperazione dei poveri… Formidabile, roba da non crederci.

SCOMPARSO L’ARTISTA VITO ZAZA

Il 5 maggio si è spento a seguito di una grave malattia lo scultore molfettese Vito Zaza nato nel 1939, uno degli artisti contemporanei più apprezzati dalla critica. “Un’arte - la sua - ove è possibile pescare tensioni differenti sotto cifre passate e presenti, ma tuttora velata dalla sacralità che ad essa si accosta con una dose di devozione che prescinde dai tempi, con la contemplazione – cioè – di chi si trova di fronte ad un mistero profondo, intessuto delle imperturbabili problematiche che l’umana esistenza non ha risolto, dacchè i tempi furono dall’uomo organizzati per essere tradotti in “presente”, “documento” e “STORIA” (Gaetano Mongelli). E’ suo l’altare nel presbiterio della nostra chiesa, ultimo ad essere consacrato dal nostro Vescovo Don Tonino il 5 Aprile 1992.

Nel tempo e nello spazio di Dio

Portati felicemente a termine alcune scadenze in ordine ai Sacramenti: è avvenuto per la Prima Confessione dei fanciulli di 3^ elementare e i ragazzi di 2^ media che hanno ricevuto la Cresima. I primi e i secondi si sono ritrovati a Calentano per il ritiro spirituale e il giorno 24 il vescovo don Gino ha amministrato la Cresima. Buona la partecipazione di genitori e padrini ai sacri riti. Si sono svolti regolarmente gli incontri preparatori e la catechesi a tutti i livelli: dai genitori alle Associate alla Madonna del Buon Consiglio. Partecipata come non mai la novena a S. Rita che è culminata con il giorno della festa il 22 maggio e la partecipazione è stata così numerosa da dover procedere alla benedizione delle rose per gli ammalati, fuori della chiesa in Piazza Castello. Puntualmente si sono tenuti gli incontri per i giovani e per alcune iniziative a carattere ricreativo. I momenti dell’Adorazione eucaristica sono stati portati a compimento dai vari aderenti al Gruppo Eucaristico e a quello di P. Pio. La conclusione del mese di maggio si è avuta in Via Pio XII, un quartiere dove ci sono più anziani e ammalati. Anche con i catechisti si sono avuti incontri per la conclusione dell’anno. Come ogni mese e le domeniche dopo Pasqua si sono tenute celebrazioni della Parola, eucaristiche, penitenziali, convivenza ed evangelizzazione in Piazza nelle domeniche dopo Pasqua dalle tre Comunità neo-catecumenali.

LUCA

PREGARE È DARE FASTIDIO A DIO PERCHÉ CI ASCOLTI

Gesù ci insegna a pregare

Miei Cari,
 “Quante volte di uno che ci chiedeva con tanta insistenza qualcosa abbiamo detto: “E’ un seccatore”. Solo Dio non lo penserà mai delle nostre preghiere. Anzi ci incoraggia ad agire nei suoi confronti come dei veri e propri seccatori”. Lo ha ricordato, Vangelo alla mano, il Papa in un’omelia tenuta durante la Messa a Casa Santa Marta. “ Non so se forse questo suona male – ha detto -, ma pregare è un po’ dare fastidio a Dio, perché ci ascolti”. Papa Francesco ha ricordato a questo proposito i termini di paragone usati da Gesù per far capire con quale insistenza dobbiamo pregare. “Il Signore lo dice: come l’amico a mezzanotte, come la vedova al giudice”. Pregare, dunque, “è attirare gli occhi, attirare il cuore di Dio verso di noi. E questo – ha ricordato il Pontefice – lo hanno fatto anche quei lebbrosi, che gli si avvicinarono: “Se tu vuoi, puoi guarirci”. Lo hanno fatto con una certa sicurezza. Così, Gesù ci insegna a pregare. Quando noi preghiamo, pensiamo a volte: “Ma, sì, io dico questo bisogno, lo dico al Signore una, due, tre volte, ma non con tanta forza. Poi mi stanco di chiederlo e mi dimentico di chiederlo”. Questi gridavano e non si stancavano di gridare. Gesù ci dice: “Chiedete”, ma anche ci dice: “Busssate alla porta”, e chi bussa alla porta fa rumore, disturba, dà fastidio”. Ma se l’insistenza ai limiti del fastidio è il primo elemento, nella preghiera, ha spiegato il Papa, ce n’è anche un altro: “Una incrollabile certezza”. In sostanza nella preghiera diciamo: “Ho questo bisogno, ascoltami, Signore”. Ma anche “Ascoltami. Io credo che tu possa farlo perché tu lo hai promesso”. Quindi pregare, ha ricordato Papa Francesco “è sentirci rivolgere da Gesù la domanda ai due ciechi: “Tu credi che io possa fare questo?”. “Lui può farlo. Quando lo farà, come lo farà non lo sappiamo”. “Pensiamo se la nostra preghiera è bisognosa ed è sicura – ha concluso Papa Francesco – bisognosa, perché diciamo la verità a noi stessi, e sicura, perché crediamo che il Signore possa fare quello che noi chiediamo”. Sia così il nostro pregare.
Cordialmente, Don Vincenzo