L’Eucarestia: “Si alzerà e passerà a servirli...”

Miei Cari,
il mistero dell’Eucarestia che celebriamo ogni domenica e che in questo mese adoriamo con particolare intensità ci orienta ancora a riflettere su di esso e interiorizzarlo perché la nostra vita cambi condividendo con i fratelli quel pane che non è il “pane degli angeli” ma è piuttosto “medicina per gli ammalati”.
L’Eucarestia non è un culto da rendere a Dio perché Egli non ne ha bisogno, ma è il momento privilegiato per la comunità cristiana, nel quale il Dio che si mette a servizio dei suoi, comunica loro la sua stessa forza. Nel vangelo di Luca, al momento della Eucarestia, Gesù dà queste parole importanti: “Ecco, sono in mezzo a voi come colui che serve”.
L’Eucarestia non è un servizio a Dio.
Non ne ha bisogno, ma è la comunità che ha accettato il suo messaggio e si impegna a viverlo. Essa vien fatta riposare da Dio: quindi un momento di riposo. Egli passa a servirla e le comunica la sua stessa forza per un servizio ancora più grande. Nell’Eucarestia il momento centrale e determinante è quello in cui Gesù, il figlio di Dio, si fa pane perché quanti lo accolgono, lo mangiano e si fanno pane per gli altri affinché diventino anch’essi figli di Dio.
Al termine del Vangelo di Luca c’è una stupenda illustrazione dell’Eucarestia che dice: pensate ad un palazzo dove ci sono dei servi. A mezzanotte torna il padrone da un viaggio. Noi pensiamo che si farà subito servire. Invece no. Li chiamerà e sarà lui a servirli. Cambia completamente l’immagine di Dio!
Il momento dell’Eucarestia nel quale i servi -noi non siamo i servi di Dio, ma siamo figli di Dio e servi dei nostri fratelli, volontariamente- nel momento in cui ci trova, nella nostra vita al servizio degli altri, il Signore dice: adesso sedetevi, perché io passo a servire. Il Servizio del Signore è comunicare la sua stessa forza. Allora non è questione di culto a Dio, ma è l’accettare l’amore di Dio per prolungarlo verso gli altri. Ogni nostro atteggiamento e preghiera deve avere questo obiettivo. La preghiera deve spingere sempre nei confronti degli altri, non aiutare a centrare su se stessi, ma farci uscire da noi stessi.
Gesù dice: “Io sono il medico venuto fra gli ammalati”, proprio perché noi viviamo situazioni di peccato, di infedeltà, abbiamo bisogno di questa forza da parte di Dio. La Comunione quindi non è un premio per la buona condotta, ma la forza per ottenerla. È accogliendo il Signore che diventiamo puri.
Quando poi S. Paolo afferma che “il pane che mangiate indegnamente, quella è la vostra condanna”, egli ribadisce che il pane va condiviso, non si tratta di una connotazione morale, ma vuol dire che nella celebrazione eucaristica, Gesù si fa pane per noi perché noi, a nostra volta ci facciamo pane per gli altri e diventiamo anche noi figli di Dio.
Ci accompagnino questi pensieri nelle giornate eucaristiche che stiamo per vivere e in tutto questo mese che dedicheremo al Sacro Cuore di Gesù.


Cordialmente, Don Vincenzo

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21 Giugno: Memoria di S. Luigi Gonzaga
Al nostro vescovo don Gino l’augurio e il pensiero orante nel giorno del
suo onomastico dall’intera Comunità parrocchiale del SS. Redentore

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Al nostro don Angelo Mazzone
cui la fiducia del vescovo affidò lo scorso anno la Parrocchia della
Madonna della Pace e, quella dei vescovi pugliesi l’ufficio di Direttore
Amministrativo del Seminario Regionale, l’augurio affettuoso a lui
- che rimane sempre uno dei nostri - per il
X Anniversario della sua Ordinazione Presbiterale.

PERCHE’ I CATTOLICI IN POLITICA?

Periodicamente torna di attualità la questione della partecipazione dei cattolici alla vita politica del nostro Paese. Ne ha scritto ultimamente sulla Gazzetta del Mezzogiorno anche Mons. Ruppi. Perché sarebbe necessaria tale presenza? Quale sarebbe lo specifico apporto dei cattolici alla politica? Quale diversa qualità li connoterebbe rispetto ai “laici”?
Il discorso è complesso ed attiene al messaggio evangelico, che tutto trasuda amore per l’uomo e le comunità degli uomini, dove si sperimentano la quotidianità del vivere, la difficoltà di essere uomini e donne portatori naturalmente di diritti inalienabili, di dignità non conculcabili né dallo Stato né da altri. Vi sono diritti alla vita, alla pace ed alla felicità che rivengono per via diretta da una lettura in termini sociali ed economici dei vangeli. Il messaggio di Dio agli uomini è un messaggio di pace e di fecondità di vita.
Non appartiene al Cristianesimo una visione di una felicità posticipata all’aldilà. È una lettura errata e nera dei vangeli, pessimistica e demotivante: se la felicità è raggiungibile solo in Paradiso, perché saremmo venuti al mondo? Solo per soffrire e morire, come talune correnti cattoliche postulano? Esse seminano dolore in eccesso e timori di cui Gesù non ha mai parlato. Egli, anzi, ha parlato di felicità piena, conseguibile già qui ed ora. Come? In che modo? Mettendosi al servizio degli altri, senza nulla pretendere in cambio, inaugurando un circolo virtuoso di amore a cui risponde altro amore.
Questo è il centro del messaggio evangelico: la letizia e l’amore che la genera.
Il cristiano che si impegna in politica porta con sé questa visione della vita; è capace, con la preghiera e la meditazione, di scrutare i segni dei tempi grazie ad una sensibilità spirituale che molti non posseggono. Il cristiano scruta i segni, li legge alla luce del vangelo, ne trae spunti di analisi per progettare città a misura d’uomo, in cui regnino la solidarietà e la prosperità. Il bene comune è il bene pubblico, e su questa simmetria egli si incontra con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che, partendo da altri umanesimi, hanno a cuore l’uomo, la vita, la creazione. Il dialogo fra culture politiche diverse nasce da questo comune fondamento: la tutela della vita umana, dalla nascita alla fine naturale.
Su queste questioni etiche ci sono scontri e polemiche e, direi, grosse contraddizioni che andrebbero superate con intelligenza e sapienza. Un esempio: aree di pacifismo e di ambientalismo laici postulano la difesa dell’ambiente e della vita animale, ma dicono cose poco convincenti rispetto alla tutela della vita nascente e morente. Aborto ed eutanasia, secondo me, contrastano finanche con i presupposti ideologici del pacifismo e dell’ambientalismo. Prenderne coscienza sarebbe un grosso passo avanti. Ecco, il cattolico pone questioni di merito senza integralismi e con pieno rispetto per le altrui visioni, in un rapporto che, come ci insegnavano Moro e Dell’Andro, è di confronto e di dialogo, giacché nel dialogo qualcosa di noi resta in loro e viceversa. La nuova umanità nasce sempre da atti di amore e di dialogo, da un arricchimento reciproco che è vita nuova in corso d’opera.

Salvatore Bernocco

Un cucchiaino per l’eternità

Una vecchietta serena sul letto d’ospedale, parlava con il parroco che era venuto a visitarla. “Il Signore mi ha donato una vita bellissima. Sono pronta a partire”.
“Lo so” mormorò il parroco.
“C’è una cosa che desidero. Quando mi seppelliranno voglio avere un cucchiaino in mano”.
“Un cucchiano?”. Il buon parroco si mostrò autenticamente sorpreso. “Perché vuoi essere sepolta con un cucchiaino in mano?”.
“Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e alle cene delle feste in parrocchia. Quando arrivavo al mio posto guardavo subito se c’era il cucchiaino vicino al piatto. Sa che cosa voleva dire? Che alla fine sarebbero arrivati il dolce o il gelato”.
“E allora?”.
“Significava che il meglio arrivava alla fine! È proprio questo che voglio dire al mio funerale. Quando passeranno vicino alla mia bara si chiederanno: “Perché quel cucchiaino?”. Voglio che lei risponda che io‘ho il cucchiaino perché sta arrivando il
meglio”.

Il mese di Giugno dedicato al S. Cuore

UN CUORE ASSETATO D’AMORE

Ha scritto il Papa Leone Magno che se vogliamo onorare il Redentore dobbiamo guardarlo‘“con gli occhi del cuore, in modo da riconoscere nella sua carne la nostra carne”.
La celebrazione della festa del Sacro Cuore ci colloca nella condizione privilegiata di poter guardare negli occhi Gesù e scoprire in questa luce la profondità del suo amore per noi, fino a sentire vibrare nell’anima il suo grido: “Ho sete”.
Prima di pronunciare: “tutto è compiuto” e “nelle tue mani, o Padre, affido il mio spirito”, Gesù consegna ai discepoli un desiderio, il testamento del suo passaggio tra noi.
Un giorno al pozzo di Sichem aveva chiesto alla donna samaritana: “Dammi da bere”. Allora Gesù era all’inizio della sua vita pubblica. Le folle sarebbero venute più tardi. Quando Gesù si affacciò alla vita pubblica scelse di privilegiare relazioni individuali con le persone. Aveva fatto così con i primi discepoli e a Sichem tende la mano ad una donna samaritana. Scoccava in quell’incontro la scintilla di un modo diverso di valutare le cose. Dopo quasi tre anni da quell’episodio, è inchiodato sulla croce; innalzato sul crinale che separa il tempo dall’eternità, non vuole da bere, ma grida al mondo: “Ho sete”.
Nei cenacoli della carità, fondati da Santa Teresa di Calcutta, nell’angolo riservato all’adorazione eucaristica, accanto al tabernacolo, sempre campeggia la scritta: “Ho sete”. In quel testamento di Gesù morente, Madre Teresa ha colto il fine di tutta la sua azione caritativa: “Appagare la sete di Gesù” non è altro che saziare la fame e la sete della gente con una Parola di speranza, di evangelica misericordia e con il dono del Pane della vita eterna.
La nostra vita di fede, infatti, non dovrebbe essere altro che: conoscere, amare, vivere, proclamare e testimoniare la Parola rivelata; tutto questo con i gesti di una carità che si fa compagnia. Fa parte infatti della missione affidata ad ogni battezzato provvedere ad ogni persona il necessario di “quell’acqua” sgorgata dal Cuore di Gesù, capace di diluire l’amaro delle sofferenze della vita.
In un momento in questa “grido” di Gesù sulla croce, Gianni Gennari scrive: “E allora sentire questa parola di Gesù - ‘Ho sete’ - diventa un compito: significa ricevere un comando, ricevere un impulso, ricevere una missione. Tutto lo scopo della nostra esistenza può divenire quello di dissetare il Signore (presente anche in ogni fratello). Questo significa diventare noi stessi, come Lui ci ha promesso, fonte da cui sgorga l’acqua zampillante sino alla vita eterna”.
Oggi tutti stiamo attraversando una stagione di aridità dello spirito. Gli orizzonti angusti delle esistenze umane stanno facendo crescere la sete d’amore e di benevolenza nelle persone. Tutti abbiamo un ardente bisogno di sentirci amati.
Gesù sotto la spinta dell’amore è arrivato sino al vertice del Calvario. In quel pellegrinare faticoso, nella sua anima risuonava costante l’eco delle parole del Padre: “Figlio mio, tu sei l’amato. In te mi sono compiaciuto”.
Gesù percorre le strade del suo tempo amando con un cuore di carne, sospinto dal vento dell’amore del Padre, mentre in lui risuonano le parole del salmo: “La mia anima ha sete del dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?”.
Quella “sete” è una profezia sul senso del nostro vivere, un’offerta di Dio per farci vivere in pienezza. Chiediamo a Gesù di farci bruciare della sua “sete” e di saziarla con il suo Spirito che “rinnova la faccia della terra”.


M.C.

DALLA PARTE DEL SANTO PADRE


Se guardiamo, a distanza di qualche tempo e a mente più serena, alla campagna di stampa ordita contro il Santo Padre e la Chiesa cattolica, non possiamo esimerci dall’evidenziarne la virulenza e la pretestuosità. Intendiamoci bene su un punto: la pedofilia è un crimine abominevole, degno della massima riprovazione, di una severa condanna non soltanto morale ma anche penale. Chi lo compie commette un peccato di inaudita gravità, specie poi se veste l’abito talare o è un religioso. Chi ha fatto voto di servire Dio non può nel contempo servire l’Anticristo.
L’inferno sarà semmai più duro per costoro (ma aggiungo anche per chi, pur sapendo, omise di intervenire), ha ammonito Monsignor Charles Scicluna, il “promotore di giustizia” della Congregazione per la Dottrina della Fede, come se ci fosse una sorta di gradazione della pena là dove le anime bruciano per la lontananza da Dio. Se l’Inferno dantesco fosse attuale, costoro sarebbero posti nel girone dei lussuriosi o dei traditori. Tuttavia, ci preme sottolineare che la reazione del Santo Padre è stata ferma e decisa. Non ci sono sconti per nessuno né più coperture o trasferimenti di sede. La sofferenza di Benedetto XVI è intensa per i peccati della Chiesa, a cui si richiede totale conformità all’insegnamento evangelico, esempio coerente e fedele, amore casto verso gli uomini, specie i più indifesi. La conversione della Chiesa è un tema di estrema attualità. Anch’essa infatti è chiamata a convertirsi, a vestire i panni del buon samaritano, liberandosi di quelli del fariseo e del levita o del lupo travestito da pecora. Come scrive il più grande esorcista vivente, Padre Gabriele Amorth, anche nella Chiesa si avverte puzza di zolfo. Lo affermò, suscitando un certo stupore, anche Paolo VI molti anni or sono.
Ma, detto questo, non comprendiamo come mai analoghi polveroni mediatici non siano stati sollevati per analoghi terribili episodi accaduti all’interno di altre confessioni religiose. Non si comprende fino in fondo perché si sia spulciato nella vita di Benedetto XVI e finanche in quella di Giovanni Paolo II, a caccia di scoop, di elementi da cui potesse evincersi l’infedeltà di costoro, un’azione sistematicamente volta a coprire i misfatti di taluni loschi individui. Non parliamo di complotto, ce ne guarderemmo bene, ma di una tendenza a demonizzare tutta la Chiesa per i peccati di alcuni, partendo dal basso per sferrare colpi in alto, alla cieca, facendo di tutta l’erba un fascio. È un’operazione pericolosa e dagli esiti imprevedibili.
Ma non tutto il male viene per nuocere. Questo è il momento propizio per liberarsi di pesi e zavorre, imboccare nuove vie, separare, per quanto possibile, il grano dalla zizzania, anche se la zizzania ha il colore della porpora. L’umanità ha bisogno di esempi positivi, di credere che Dio ami attraverso l’amore disinteressato di uomini e donne cristiani. Rivelare il Dio infinitamente buono spetta a ciascun cristiano.
In caso contrario assisteremmo ad una fuga non soltanto dalla Chiesa, ma dall’idea stessa di un Dio misericordioso e amante. Non ci sarebbe esito più nefasto di questo.

S. B.

Nel Mese

Con rinnovato entusiasmo demmo inizio al mese mariano e tutti ci alternammo nella recita del Rosario.
Si intensificò la catechesi soprattutto in vista dei sacramenti che saranno conferiti nelle prossime settimane.
Anche per i genitori si sono svolti vari incontri di verifica e per una adeguata preparazione alla celebrazione dei sacramenti.
Una straordinaria partecipazioni di fedeli si è avuta per la festa di S. Rita, qui venerata dal 1902. I tantissimi devoti si sono accostati ai sacramenti e al termine sono state benedette le rose per gli ammalati e presentata al bacio la Reliquia di S. Rita conservata nella nostra chiesa parrocchiale.
Il vescovo fu presente la sera del 30 per conferire la Cresima a 24 nostri ragazzi, mentre la sera del 29 ci portammo processionalmente in un rione della parrocchia per la Veglia mariana animata dai vari responsabili parrocchiali.
L’adorazione mensile coronò l’intero mese mariano. Anche le lezioni del Vangelo di Giovanni ebbero termine la sera del 28 maggio.
Il 31 poi con la solenne celebrazione dell’Eucarestia concludemmo il mese alla Madonna.


Luca