Verso il XXV ° del nostro camminare insieme

Miei Cari,
mentre si avvicina la data del 18 maggio in cui Don Tonino Bello mi anticipava di volermi affidare la guida della nostra comunità parrocchiale, viene spontaneo tornare sul concetto di parrocchia come luogo naturale ai cristiani per incontrare il Signore, vivere l’esperienza della fraternità e comunione e scoprire il proprio ruolo per collaborare alla sua crescita. Cosicché la parrocchia è vista veramente come “la Chiesa in mezzo alle case degli uomini, continuazione della missione di Gesù presente e operante sul suo corpo mistico”. Così ho pensato dal primo momento del nostro camminare insieme la nostra Comunità parrocchiale.
Dalle molteplici verifiche di questi anni, prima fra tutte l’esperienza indimenticabile del 1 ° Sinodo parrocchiale (1994/95), a giudizio unanime, ne è scaturito l’aver incontrato quello che andavamo cercando e che si è rivelato non solo utile ma prezioso nella edificazione della nostra comunità.
Poiché non esiste un manuale, siamo partiti da una proposta suggerita da Don Tonino, da indicazioni che delineano chiaramente la figura di una parrocchia, cominciando dalla conoscenza di Gesù perché il cristianesimo è incontrare una Persona viva e presente, e si conosce Gesù, avendo in mano i Vangeli che parlano di Lui.
Senza tale conoscenza, ci ha ripetuto più volte Don Tonino, la religione rischia di tradursi in etica e tradizione e ci vuole ben altro per sostenere l’urto della cultura moderna imbevuta di relativismo.
Si partì poi dal problema dell’organizzazione e, prima ancora dalle cose da fare, ci preoccupammo di trovare persone capaci negli operatori pastorali chiamati a vivere una esperienza di fraternità: gli insegnamenti di Don Tonino Bello e Mons. Negro ci aiutarono a tradurre nel senso più vero il comando del Signore. “Come io vi ho amati...”. Non ha importato se questo nucleo di persone - almeno all’inizio - fu piccolo, ma si è dimostrato autentico e duraturo, perché la forza della fraternità è stata capace di contagiare altre persone. Lode al Signore per il clima di famiglia creatosi soprattutto con la benedizione che è stata la Visita Pastorale di don Gino nel dicembre 2006: tutti i gruppi, Associazioni, Movimenti e Confraternita ci si sente membra del Popolo di Dio in cui ci ha inseriti il Battesimo, la nostra casa, la nostra famiglia.
L’anniversario venticinquennale del cammino fatto insieme nella nostra parrocchia del SS. Redentore deve far si che cominciando dall’esistente si continui a trovare persone che la frequentino più assiduamente, la amino profondamente e si rendano disponibili alla collaborazione. Occorrerà insieme chiamarle alla comunione, prima ancora dell’azione, a vivere quell’autentica realtà chiesa che è la fraternità. Diventi, miei cari, quest’esperienza venticinquennale, un blocco di cuori, fusi nell’amore, che insieme al parroco camminano nella stessa direzione.
Per arrivare alla meta c’è bisogno di questi passaggi graduali anche distanziati e mai completamente realizzati perché la nostra parrocchia possa farsi “prossimo” là dove è necessario una presenza, una parola o un aiuto.
È il mio vivo auspicio.

Don Vincenzo

Foto: Aprile ci riporta col pensiero orante alle amabili figure di Giovanni Paolo II, scomparso il giorno 2 e don Tonino il 20. Li pensiamo ormai felicemente immersi nella sfera dell’Amore di Dio.


Foto1: Momento conclusivo del Percorso di Fede dei fidanzati.

ATEI... ILLUMINATI

Caro direttore, da qualche tempo illustri pensatori del calibro di Augias, Dario Fo, Odifreddi ecc., si dedicano ad impegnativi problemi storico-religiosi. Nei loro libri e nelle loro “allocuzioni”, discettano di Chiesa e Papato con una sicurezza (e sicumera) tali da far arrossire san Tommaso d’ Aquino. Tanta sapienza è oggetto di devota attenzione nell’olimpo televisivo, dove già hanno notevole spazio i Santoro e i Travaglio. Altri scrittori, le cui opere pregevoli e documentale trattano eguali argomenti, sono semplicemente ignorati nei salotti televisivi alla moda. Come spiegaare certe alchimie a noi poveri mortali?

Lucio…….@……it
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Questa è la società in cui viviamo stavo per scrivere “ci meritiamo”. Cristo è da sempre “segno di contraddizione” – è parola di Vangelo – è quindi non meravigliano più di tanto i “pro” e i “contro” Cristo. La verità è che oggi sembra diventato per alcuni talmente ingombrante questo Gesù che ci si batte in tutti i modi per eliminarlo… o meglio per eliminare la seconda parte del suo nome, Cristo, lasciandogli la prima, Gesù, che lo qualificca uomo come tutti, anzi un perdente, un predicatore un po’ idealista e forse un po’ “suonato”, un sognatore che coltiva utopie, regolarmente cancellate dal potere, un rivoluzionario imprevidente e per nulla diplomatico. Lungo la storia, soprattutto recente, alcuni ci hanno provato – e altri ci provano ancora – a portare a termine questa operazione di svuotamento del Cristo della fede. Tutti sempre regolarmente sono stati beffati da Colui che più lo dichiari uomo e più si mostra Dio, più lo seppellisci e più risorge.
In effetti, i primi a meravigliarsi di questa immarcescibilità del maestro di Galilea sono i suoi stessi detrattori.
Per costoro si può rispolverare quello che il cardinale Consalvi disse a Napoleone che aveva fatto imprigionare Pio VII: “Non siamo riusciti noi preti a distruggere la
Chiesa, crede di riuscirci vostra Maestà?”. Basta cambiare “Chiesa” con “Cristo”, e la frase è ugualmente vera. Atei ce ne sono sempre stati… Anche se non tantissimi, a dire la verità.
Nell’antichità si contano sulla punta delle dita e non si possono chiamare veri atei, penso ai filosofi atomisti. Democratico e Leucippo. Il Medioevo praticamente non ne conosce e nemmeno l’Umanesimo e il Rinascimento. Si comincia a parlare di atei nel secolo XVII con Voltaire, Compte, De Sade (il famoso marchese), Hume, Diderot. Nel XVIII e XIX secolo spuntano Nietzsche, Zola, Russel, Freud (forse), Marx e pochi altri. L’età moderna e contemporanea può annoverare Sartre, Camus (forse), Onfray, Bob Dylan, Hack, Giorello, oltre a quelli da lei citati. Questi i nomi più noti (ammesso che siano tutti atei convinti). Alcuni di costoro con onestà riconoscono che se è impossibile dimostrare l’esistenza di Dio è altrettanto impossibile dimostrarne la non esistenza. Le do piena ragione riguardo alla boria supponente di certi conduttori nostrani e alla supina condiscendenza dei media. Vede, una cosa tanto grossa fa scoop, perché si attenta alla fede della granmaggioranza dell’umanità. Discuterne è questione di primaria importanza per conquistare audience, vero e unico dio dei media. E forse c’è sotto anche qualche motivo ancor meno nobile: per sentirsi “qualcuno” bisogna che si punti in alto, molto, molto in alto, altrimenti la normalità del quotidiano ti risucchia nell’anonimato. Allora, per non affogare nel mare del nulla non resta che urlare contro l’Intoccabile, così è assicurata, o quasi, la celebrità! Bah!

(dal B.S. marzo 2008)

Riflessioni Pasquali

GIOVO’ L’INCREDULITA’


Il commento non è mio, ma vorrei partire proprio da queste parole che sono di un papa, Gregorio Magno.
Scriveva: "A noi giovò di più l’incredulità di Tommaso che la fede degli apostoli".
"Giovò di più l’incredulità di Tommaso…".
Il mio osservatorio – vedete – è piccolo, è quello di una parrocchia, di una città. Ma da questo osservatorio piccolo, limitato, se oggi vado ad esplorare dove si sono avviati – un inizio! – degli avvicinamenti alla fede, mi ritrovo a confessare che nella stragrande maggioranza dei casi non fu merito dei declamatori della fede, ma per merito di uomini e donne come Tommaso.
Non è la fede di coloro che pontificano dall’alto che giova a quelli che oggi sono in ricerca. È il cammino, provato dal dubbio, dalla fatica di non vedere – dubbio, fatica che ci appartengono – che fa dire loro: c’è dunque una speranza anche per noi.
Sulla scia delle parole di Gregorio Magno, forse dovremmo pregare che ci siano un po’ meno declamatori della fede e un po’ più uomini e donne veri, come
Tommaso, non i visionari, che non portano sul volto la beatitudine dei non vedenti, quella che oggi ci ha ricordato il Vangelo: beati quelli che non vedono. Ma coloro che nella loro vita quotidiana si ritrovano spesso a pagare con le parole luminose di quel padre del Vangelo che aveva un figlio epilettico: "Io credo,
Signore, ma tu aiutami nella mia incredulità"(Mc.8,23). Sono questi che possono aprire strade alla fede.
Mi sono anche chiesto che cosa aveva impedito a Tommaso di credere all’esclamazione della comunità dei discepoli che dicevano: "Abbiamo visto il Signore".
Premesso che alla fede non si arriva sempre in un sol giorno, premesso – ed è importante – che non siammo noi gli artefici della fede, forse una cosa non aveva convinto Tommaso: che parlavano del loro Maestro come di uno che aveva vinto la morte, e otto giorni dopo si trovavano aancora con le porte chiuse. Quelle porte chiuse erano una contro testimonianza al Vangelo della risurrezione, un vangelo che apre. Una comunità chiusa, separata, sulle difensive non sarà mai una buona testimonianza della risurrezione.
Questa purtroppo è l’immagine che spesso ancora oggi diamo: l’ho ritrovata puntualmente in un passaggio di un’intervista allo scrittore Giuseppe Pontiggia. Ecco le sue parole:
“Quello che più colpisce della buona novella di Cristo è il fatto che ogni uomo può essere salvato. Da questo punto di vista non c’è speranza più grande di quella contenuta in queste parole di Gesù al ladro crocifisso al suo fianco: “Oggi sarai con me in paradiso".
A volte, invece, la coscienza laica si trova a disagio davanti alla percezione di una comunità di eletti contrapposta alla massa sterminata delle persone che, per i motivi più diversi, restano al di fuori della salvezza.
Cristo ha parlato per i peccatori e non per i giusti, eppure il laico si sente comunque peccatore rispetto alla Chiesa: anche lui, però, può avere momenti di fede
autentica”.
"Una comunità di eletti contrapposta a una massa" – lasciatemelo dire – non è immagine buona del Signore risorto.
Forse dovremmo prendere sul serio le parole di Gesù ai suoi discepoli: "Come il padre ha mandato me, così io mando voi".
A volte ci si nasconde dietro la parola “mandato”. Noi siamo mandati. E ci si sofferma poco – troppo poco – su quel “come”, che segna una discriminante, e si pensa
per lo più che siamo mandati a parlare.
Ricordate l’inizio della missione pubblica di Gesù, nella sinagoga a Nazaret? Mandato per che cosa? Mandato come?
E Gesù riprende il passo di Isaia e dice: “Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia….”.
Come è stato mandato lui, così mandati noi: non a criminalizzare, non la condanna che rinchiude, ma il perdono, il perdono che fa stare il cuore nella pace: “Entrò e disse: Pace a voi!”. C’è una grazia per tutti.
Come Gesù. Non i gesti che chiudono, ma quelli che aprono, che sollevano: l’ombra di Pietro, l’ombra che guarisce al suo passaggio. Pensate, non una parola!
L’ombra, quasi l’assenza del gesto, l’ombra silenziosa, una presenza, l’aria che tu fai respirare, dà pace, risolleva il cuore, rimette in cammino..
La bellezza di una chiesa, quando bastava un’ombra!

Angelo Casati

Ci scrivono da Milano: Qualche considerazione…

Noi, ruvesi residenti ormai da decenni a Milano e dintorni, abbiamo apprezzato in modo particolare la presenza della “nostra” statua degli “Otto santi” nella città d’adozione.
Sia la visita alla mostra delle sculture in cartapesta che la manifestazione del 23
Febbraio u.s., hanno rappresentato per noi l’occasione per ricordare e rivivere momenti indimenticabili della nostra infanzia e della nostra gioventù.
Con nostalgia e commozione abbiamo sentito accanto a noi la presenza tangibile, anche se invisibile, dei genitori e della famiglia.
Questo tuffo nel passato ci ha dato entusiasmo e rinnovato il desiderio di poter godere ancora dei momenti indimenticabili dei riti della settimana santa a Ruvo.
La presenza del caro don Vincenzo è stato poi il regalo più grande che avessimo potuto ricevere.
A lui, agli amministratori di Ruvo, a tutti i ruvesi convenuti a Milano per l’occasione, a tutti coloro che hanno permesso lo svolgersi della manifestazione, vanno i nostri più sentiti ringraziamenti.
Ringraziamo in modo particolare don Vincenzo anche per l’invio, come da promessa,
del mensile parrocchiale “Fermento” di marzo, sul quale ci siamo rivisti nelle fotografie.
Questo ci ha fatto sentire ancora partecipi della comunità ruvese che, seppur lontani, abbiamo sempre nel cuore.

Giacomo Caldarola
Vincenzo Bernocco
Antonio Fracchiolla e famiglie

LA LEZIONE POLITICA DI ALDO MORO



Cosa resta della lezione politica di Aldo Moro a distanza di trent’anni dalla barbara uccisione degli uomini della sua scorta (Zizzi, Leonardi, Rivera, Jozzino, Ricci) e dal suo assassinio? È ancora attuale parlarne? Può essere ancora punto di riferimento culturale, morale e politico per gli uomini e le donne che vogliano dedicarsi alla res publica? La strategia dell’attenzione e le convergenze democratiche (non parallele, Moro non ne parlò mai, l’espressione fu coniata da Eugenio Scalfari) vanno contestualizzate, collocate nel contesto storico dell’epoca.
Allora avevano un senso ed una portata politici, in presenza in Italia di un forte Partito comunista che, nel 1976, aveva quasi operato il sorpasso sulla Democrazia cristiana. Il mondo era diviso in due blocchi, da un lato c’erano i Paesi del Patto Atlantico, dall’altra quelli del Patto di Varsavia. Moro aprì prima al Partito socialista, poi al Partito comunista poiché voleva consolidare le basi della democrazia in Italia, attribuendo alla sua politica una prospettiva ed una funzione che oggi chiameremmo “progressiste”. Di certo c’è che Moro non era un uomo di sinistra, come si è talvolta insinuato (una statua lo ritrae finanche con una copia del giornale L’Unità), ma un democratico coerente ed un antitotalitario. Del resto, questa era la politica della D.c., “la lotta su due fronti, la individuazione di una minaccia totalitaria anche sulla destra dello schieramento politico”(27 gennaio 1962, Congresso di Napoli), il che, tra l’altro, avrebbe reso centrale il ruolo della D.c. e svuotato di ragioni, di forza e di contenuti l’opposizione comunista. Se la politica inclina a destra, si accentua il progresso della sinistra, mentre una politica lungimirante, aperta al nuovo ed alle istanze sociali, non rancorosa né aspra, avrebbe reso possibile l’ampliamento progressivo delle basi democratiche dell’Italia, traghettato il comunismo nostrano su sponde socialdemocratiche, sbloccato la democrazia italiana, dove l’alternanza al governo, con la conseguente rigenerazione nel ruolo oppositivo, era preclusa. La nostra era una democrazia bloccata a causa della politica internazionale, divisa in due blocchi contrapposti. Forse l’aver forzato la mano alla storia ne decretò la tragica fine. Le eminenze grigie della politica internazionale non potevano consentire simili sviluppi. Ne è sinistra conferma che in Via Fani, quel terribile 16 marzo 1978, assistettero (o parteciparono?) al rapimento di Moro uomini dei servizi segreti di mezzo mondo, e si fece persino l’ipotesi, altrettanto inquietante, che Moro fosse stato segregato a Roma nell’ambasciata di un Paese dell’Est.
Una politica nel segno della moderazione, quindi, del confronto, del dialogo, dell’attenzione, che guardava al futuro, laddove per “moderazione” non deve intendersi la posizione dei pavidi, ma l’idea di fondo, valida per ogni contesto umano, della tessitura paziente del futuro, della costruzione graduale ed intelligente di nuovi ed avanzati equilibri politici e sociali, che devono avere comunque visibile e concreto riscontro nella realtà.
Non basta annunciare politiche avanzate sul piano sociale, ad esempio, se poi agli annunci non corrispondono i fatti. Lo stesso dicasi per le politiche cosiddette liberali o liberiste.
Se la vicenda politica di Moro non è trasferibile nell’oggi e sembra appartenere alla nostra preistoria politica, non per questo non hanno valore assoluto i suoi insegnamenti circa il modo come far avanzare i processi politici. Alla superficialità ed alla mancanza di valori di questa stagione italiana, dove ai processi si sostituiscono le iniziative estemporanee o gli scomposti movimenti che, per loro natura, sono fragili ed inconsistenti, può contrapporsi virtuosamente la lezione di Moro, che è di monito. La democrazia si salva e progredisce se c’è senso di responsabilità, se nascerà un nuovo senso del dovere. Non mi riferisco alla democrazia formale, ma a quella sostanziale, che vuole ogni essere umano unico ed irripetibile, intercettato nei suoi concreti bisogni spirituali e materiali, cittadino e non suddito.
I valori cattolici possono dare un importante contributo al farsi della democrazia sostanziale, nella speranza che anch’essi non finiscano con lo stemperarsi, perdere sapore, rifluire nel privato, a tutto vantaggio di teorie sull’uomo che non ne rispettano l’incommensurabile dignità.

Salvatore Bernocco

Nel Mese

L’anticipo della Pasqua ha dovuto richiedere supplementi di lavoro in ogni senso, dalla catechesi a tutti i livelli, a giovani, ai genitori dei ragazzi che riceveranno i sacramenti, alle catechesi neo-catecumenali, alla conclusione del
percorso di fede per i fidanzati.
La celebrazione solenne in onore di S.Luisa di Marillac, promossa dal Volontariato Vincenziano è stata anticipata al giorno 13; molto il concorso di popolo e la Liturgia è stata animata dal Gruppo della Gioventù Mariana.
Non è mancata, preceduta dalla Liturgia Penitenziale, l’adeguata preparazione alla Settimana Santa che nella sua semplicità ha beneficamente influenzato la nostra comunità. E intanto han fatto ritorno gli Otto Santi dalla Mostra di Milano e che hanno sostato in Parrocchia per poi essere riportati nella chiesetta di S.Rocco dopo la proiezione di un dvd sull’avvenimento. Anche se la festa esterna di S. Giuseppe si è rimandata al 1 ° Maggio, l’afflusso dei ruvesi a venerare il Santo il 19 Marzo è stato notevole.
Così pure il giorno 14, ci siamo recati come ogni anno in pellegrinaggio al Santuario dell’ SS. Salvatore in Andria. Momenti di festa si sono avuti durante il
periodo Pasquale. Tanti i fedeli poi si sono dati appuntamento il 25 Marzo per
la festa dell’Annunziata.
Incontri Mariani si sono avuti con l’Associazione della Madonna del Buon Consiglio e con i confratelli del sodalizio di S. Rocco.

Luca

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