“TANTUM AURORA EST”: SIAMO APPENA ALL’AURORA

50 Anni dall’inizio del 2°
Concilio Vaticano - 11 Ottobre 1962 / 2012



Miei Cari,
Padre Conciliare:
Mons. AURELIO MARENA
Vescovo di Ruvo e Bitonto (1950-1978)
frequentavo il 2° liceo classico presso il Seminario Regionale e si riaccendevano le speranze in una Chiesa che potesse uscirne più bella, ringiovanita. L’impegno del grande vescovo Mons. Aurelio Marena fu notevole nel preparare la sua diocesi di Ruvo e Bitonto all’evento. I gruppi parrocchiali, stimolati dal fervore dei giovani preti e dall’Azione Cattolica divennero fermento salutare in una comunità che stava quasi morendo in una sclerosi paurosa. Si avvertiva una gioia e un entusiasmo perfino modulato nelle note di un Inno-invocazione: “O eterno Pastore, Tu volesti affidare…” composto per la circostanza da don Mario Iurilli. E fu proprio durante gli anni del Concilio che molti di noi seminaristi raggiungemmo per la prima volta Roma: era il 1o dicembre 1963. Mons. Marena volle che anche i suoi clerici fossero presenti in S. Pietro per la beatificazione di Nunzio Sulprizio da lui portato agli onori degli altari. Fu un’aurora luminosa per la Chiesa. Quel mattino dell’11 ottobre 1962 in occasione dell’apertura del Concilio, rimanemmo incollati al televisore, impressionati dalla sfilata di circa tremila vescovi, pronti a riscoprirsi attori e fautori di una Chiesa che prendendo coscienza di sé - come affermò Paolo VI - sarebbe diventata missionaria. E dissentendo da alcuni profeti di sventura, Giovanni XXVIII affermava che il Concilio e quindi la Chiesa avrebbe continuato a custodire e insegnare in forma più efficace il deposito della dottrina cristiana: “tantum aurora est” fu l’affermazione che colpì a riaccese le speranze di noi giovani seminaristi del tempo. Fedeltà e rinnovamento fu l’intuizione del Papa buono che purtroppo non avrebbe portato a termine l’evento conciliare. Sarebbe stato Paolo VI a portarlo a compimento l’8 dicembre del ‘65 (una nota personale: il 5 dicembre Mons. Marena tornò per una giornata da Roma per conferirmi la S. Tonsura). Le parole ispirate di papa Montini riaccesero ancor più la speranza di una Chiesa in fermento: “Oh, caro e venerato Papa Giovanni, siano rese lodi a te, che per divina ispirazione, è da credere, hai voluto e convocato questo Concilio, aprendo alla Chiesa nuovi sentieri e facendo scaturire sulla terra onde nuove di acque sepolte e freschissime della dottrina e della grazia di Cristo signore”. In questi 50 anni siamo più volte tornati a misurarci sul dettato del Concilio; tanto c’è ancora da assimilarlo, miei Cari, perché la Chiesa ne esca sempre più giovane e più bella come l’ha resa Giovanni Paolo II e l’amato Papa Benedetto insieme ai nostri vescovi che ne hanno tenacemente incoraggiato e condotto questa nostra comunità diocesana.

Buon proseguimento di lavoro...
Don Vincenzo

UN CONCILIO DA ATTUARE

A cinquant’anni dalla sua conclusione il Concilio Vaticano Il è sempre attuale, la sua lezione, le sue proposte e scelte di fondo straordinariamente moderne. E invece lenta e ancora lontana da un compimento armonico la sua reale ricezione. Il Concilio fu universale perché cattolico, ecumenico perché «di e per» il mondo intero, storico perché seconda fase, nuova, di un percorso iniziato nei decenni precedenti. Di esso i tratti che vorrei sottolineare sono: il suo carattere comunionale sotteso alla priorità data al popolo di Dio prima che a ogni organizzazione gerarchica; l’indole peregrinante ed escatologica nella sua incarnazione nel tempo e nella storia, che porta alla dismissione di ogni trionfalismo a favore di una compiuta e compartita sinodalità; la vocazione alla santità che è comune a tutto intero il popolo di Dio. È un’elencazione parziale di alcuni dei temi innovatori. E se oltre alla Lumen gentium ci si apre agli altri documenti del Concilio, questi e altri motivi si trovano intrecciati nel segno dell’epifania della chiesa che è l’azione liturgica (Sacrosanctum concilium) o della Parola di Dio (Dei Verbum) che è fondamento ecclesiale, o ancora della solidarietà simpatetica che lega chiesa e mondo (Gaudium et spes). Per non parlare dell’ecumenismo (Unitatis redintegratio), delle religioni non cristiane (Nostra aetate), della libertà religiosa (Dignitatis humanae), della missione (Ad gentes), dell’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem) e così via. Il Concilio non ha sciolto tutti i nodi. Basta pensare ai tre problemi che Paolo VI avocò a sé: la regolamentazione delle nascite, l’ammissione delle donne al ministero sacerdotale e il celibato dei preti. Sono problemi che hanno avuto una accelerazione impetuosa negli ultimi due decenni e hanno ricevuto risposte parziali e in varia misura restano dunque aperti. C’è un passaggio nel discorso di chiusura del Concilio di Paolo VI che riporto integralmente perché considero di grande profezia e attualità: «Qual è il valore religioso del nostro Concilio? [...] L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. L’antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso [...] La religione cattolica e la vita umana riaffermano così la loro alleanza, la loro convergenza in una sola umana realtà: la religione cattolica è per l’umanità» (Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II). Riparto da qui per la mia riflessione. PER IL TERZO MILLENNIO Credo che la Chiesa, per sopravvivere, abbia veramente bisogno di scoprirsi costituita da una varietà di soggetti e di investire al meglio questa sua ricchezza. Animata dallo Spirito essa risulta composta di uomini e donne, a cui l’iniziazione cristiana conferisce il carisma-ministero fondamentale che tutti riconosce, nella triplice dimensione di re, sacerdoti e profeti. Su questa radice unificante ed esaltante vanno poi scoperti, alimentati e trafficati i doni propri a ciascuno e ciascuna. Sicché veramente appaia la dinamica costitutiva e gratuita dello Spirito e la Chiesa possa sino in fondo realizzare la sua indole di sacramento di salvezza.‘È chiaro, infatti, che il problema non è sopravvivere comunque, ma realizzare davvero il progetto di Dio che ci raduna come Chiesa. La Chiesa non esiste solo per quelli che le appartengono. Essa realizza la sua ragion d’essere solo nella misura in cui è portatrice del sacramento di salvezza. La Chiesa è per il mondo, i cristiani sono per gli altri. E l’una e gli altri sono tali solo se veramente interiorizzano le gioie e le speranze dell’umanità intera. Ma poiché il termine umanità potrebbe di nuovo ricondurci a un’astrazione, il discorso verte ancora sulla compiutezza di luogo, tempo e cultura. Occorre parlare tutte le lingue, dire la fede a ogni latitudine, inculturarla sempre e comunque, nell’Occidente secolarizzato come nelle altre situazioni e realtà di un cristianesimo che è minoranza e testimonianza a volte complessa che può portare fino al martirio per la professione di fede in Gesù risorto. È soprattutto la forza testimoniale che rende seducente e appetibile la scelta cristiana. La Chiesa può passare il testimone (di generazione in generazione) solo se interiorizza la condizione umana, se la fa sua sino in fondo, se elabora risposte concrete, che toccano i bisogni degli uomini e delle donne d’oggi. E, tra di essi, credo vadano annoverati innanzitutto quelli relativi alla pace, alla giustizia, alla dignità che è un diritto per ogni essere umano, uomo o donna. Una Chiesa che già al suo interno pratichi la giustizia e accetti ogni diversità come dono, che elabori regole proprie secondo le culture diverse, che ridica l’unica parola, l’unica fede, l’unico Cristo nella molteplicità diversa delle lingue, che rinunci a sentirsi potente, ma si faccia serva, sempre e comunque, che non disattenda il compito profetico della denuncia e della consolazione, che sia veramente compagna di ogni uomo e di ogni donna e ne faccia propria la vita. Una Chiesa corpo crismato che veramente faccia proprio il corpo negato o straziato d’ogni essere umano. Una Chiesa nel segno della «compassione».

Luca Rolandi

UNA PORTA SEMPRE APERTA

Un tempo di grazia Con l’indizione dell’ Anno della fede - che avrà inizio 1’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Nostro‘Signore Gesù Cristo Re dell’Universo - Benedetto XVI ci ha consegnato un’immagine suggestiva: una porta da varcare, da attraversare. Una sfida a uscire dalle nostre piccole sicurezze, dai nostri dubbi, dalle nostre “crisi di fede”, per avventurarci nel mare aperto della vita, lì dove la fede non è teoria, nozione, pura conoscenza, ma esperienza da condividere, raccontare, spezzare con altri che sono in cammino con noi e come noi. Un tempo di grazia e di impegno che viene offerto a tutti noi per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarlo con gioia all’uomo del nostro tempo. Questo anno, ha spiegato il Papa, si rivolge in primo luogo a tutta la Chiesa, perché dinanzi alla drammatica crisi di fede che tocca molti cristiani sia capace di mostrare ancora una volta e con rinnovato entusiasmo il vero volto di Cristo che chiama alla sua sequela. Un’occasione propizia, quindi, perché tutti i fedeli comprendano più profondamente che il fondamento della fede cristiana è «l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» ( Deus caritas est, 1). Fondata sull’incontro con Gesù Cristo risorto, la fede potrà essere riscoperta nella sua integrità e in tutto il suo splendore. L’invito forte e chiaro è quello”di andare incontro agli uomini del”nostro”tempo per offrire loro occasioni di dialogo, di scambio, di”rinnovamento interiore e di avvicinamento a Dio. Luoghi”e occasioni di”incontro per ridire la fede in modo nuovo e insieme cercare ragioni per vivere. Una sorta di esodo dalla terra del non senso per riconquistare verità perdute o mai possedute,‘«per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza».

“UNA FEDE CHE CAMBIA LA VITA”

Lettera pastorale per l’anno 2012 – 2013 del Vescovo Mons. Martella

“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”. Queste parole di Gesù si trovano in Luca 18,8. Sono parole attuali, nel senso che oggi la fede sembra essersi eclissata, estinta o ridotta ad un feticcio. Già adesso potremmo porci la stessa domanda. C’è fede sulla terra? C’è fede fra i credenti in Cristo? Ovviamente ci sono persone che hanno fede e che la conservano praticando l’amore, il comandamento nuovo che include in sé tutti gli altri. Chi ama e rinuncia alle molteplici forme dell’egoismo viene da Dio; chi non ama non viene da Dio. Come scrive Padre Davide Abellon, teologo domenicano, “viene da ricordare quanto Benedetto XVI ha detto ai giornalisti mentre si recava a Fatima nel 2010: “Quando si parla di credenti si dà per presupposto che ci sia la fede, ma spesso questa non c’è”. Se per fede s’intende sapere che Dio c’è, ebbene questa fede ce l’hanno anche i demoni. Aver fede invece significa orientare la propria vita a Dio e obbedire a Dio”. Ci sono quindi cattolici e credenti che vivono una fede finta, che la simulano. A che pro? Per quale vantaggio? Per una manifestazione esteriore di pietà? Perché presenziare alle processioni dà un’immagine pubblica di noi che possiamo sfruttare per finalità di prestigio personale? Per apparire come amavano apparire scribi e farisei? Mons. Luigi Martella, in occasione della prossima apertura dell’anno dedicato alla fede, indetto da Bendetto XVI con la Lettera apostolica in forma di Motu Proprio dal titolo Porta Fidei, ha dato alle stampe la Lettera pastorale intitolata “Una fede che cambia la vita”. Il titolo del testo è apprezzabile e rende l’idea di quale sia l’intento del nostro Vescovo, cioè quello di far sì che vita e fede si intreccino, che il credente viva di fede e per la fede, che mai può prescindere dall’amore. Già nella Gaudium et Spes, uno dei documenti del Concilio Vaticano II, si legge: “Il distacco, che si constata in molti tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo”. Occorre quindi annullare il distacco tra fede e vita, tra vita pubblica e vita privata. Quanti scandali sono commessi da chi si dice e si mostra credente! Il furto sistematico dei soldi pubblici ne è un esempio eclatante. La controtestimonianza, quando proviene da chi si professa cattolico, è una minaccia alla Chiesa ed alla credibilità del messaggio evangelico. Ciò implica che si imposti la propria vita secondo principi di fede viva. Pregare di più e meglio, dialogare con Dio, accostarsi ai sacramenti della riconciliazione e della comunione, tenersi lontani da scelte di vita contrari alla morale cristiana, sono essenziali alla vita dello spirito. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica “soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa”.

Salvatore Bernocco

ALDO MORO “SERVO DI DIO”

Con Aldo Moro, il sindaco Giovanni Bernocco
e Renato Dell’Andro
 Mio padre Giovanni era amico di Aldo Moro. Io, di riflesso, ne ho apprezzato le qualità culturali, morali e politiche, vedendo il lui un uomo che univa fede e vita. Oggi, a distanza di anni, mi definisco ancora moroteo. Il suo impegno politico fu stroncato il 9 maggio 1978 dalle Brigate Rosse, gruppo di ispirazione marxista e leninista avverso alla fede cristiana. La prigionia di Moro durò 55 giorni, dal 16 marzo al giorno del ritrovamento del suo cadavere in via Caetani a Roma. In quel periodo Moro non cessò mai di rivolgersi a Dio. Lo testimoniano le sue lettere dal carcere, alcune molto commoventi, specie quelle indirizzate alla sua famiglia. Ora, il Presidente del Tribunale Diocesano di Roma ha dato il via libera all’inchiesta sulla sua beatificazione, dopo il nulla osta dato dal cardinale Agostino Vallini, Vicario del Papa, che ha indicato lo statista ‘Servo di Dio’. Maria Fida Moro, figlia dello statista democristiano, ha detto di ritenere che “in piena umiltà cristiana mio padre ne fosse assolutamente degno, per il modo nel quale ha trascorso i giorni della sua vita e quelli della sua ‘morte’, ovvero la prigionia nelle mani dei terroristi, essendo esempio di mitezza, compassione e misericordia. Mio padre è stato uno straordinario esempio di umanità e di fede”. “Come altri prima di lui, da Dossetti a Sturzo – ha ricordato - potrebbe salire all’onore degli altari perchè è stato un politico che ha lavorato sempre per il bene comune, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Aveva una profonda spiritualità, e questo era il suo tratto distintivo”. A favore della beatificazione dello statista democristiano anche Ferdinando Imposimato, legale di Maria Fida Moro, il quale ha dichiarato che “i brigatisti che lo hanno tenuto prigioniero, mi hanno raccontato che Aldo Moro ha mostrato una fede irriducibile: nel ‘carcere del popolo’ ha letto sempre la Bibbia, anche se dietro aveva la bandiera con la Stella a 5 punte. Moro ha dimostrato anche un senso di perdono per coloro che lo avevano abbandonato, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche. Chiese e ottenne dalle B.R. il testo delle Sacre Scritture, e in quelle pagine si rifugiava tutti i giorni. Ha vissuto la sua prigionia con coraggio e spirito di santità estrema. Non è vero che aveva paura della morte: era solo preoccupato che con la sua fine la famiglia venisse abbandonata, cosa che poi si è puntualmente verificata”.

EVENTI E CELEBRAZIONI

L’inizio dell’Anno della fede coincide con il ricordo di due grandi eventi che hanno segnato il volto della Chiesa ai nostri giorni: il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano Il, voluto dal beato Giovanni XXIII (11 ottobre 1962), e il ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, offerto alla Chiesa dal beato Giovanni Paolo II (11 ottobre 1992). Il Concilio, secondo papa Giovanni XXIII, ha voluto «trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», impegnandosi affinché «questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo». Al riguardo, resta di importanza decisiva l’inizio della Costituzione dogmatica Lumen gentium: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa» (n. 1). Dopo il Concilio, la Chiesa si è impegnata nella recezione e nell’applicazione del suo ricco insegnamento, in continuità con tutta la Tradizione, sotto la guida sicura del Magistero. Per favorire la corretta recezione del Concilio, i Sommi Pontefici hanno più volte convocato il Sinodo dei Vescovi, proponendo alla Chiesa degli orientamenti chiari attraverso le diverse Esortazioni apostoliche postsinodali.

Angela Savastano

Nel tempo e nello spazio di Dio

In sordina sono riprese le attività parrocchiali attraverso incontri con i vari operatori pastorali che hanno offerto e intendono offrire la loro disponibilità per quanto attiene alle varie attività della comunità: dalla Caritas, alla catechesi per fanciulli e adulti. I quadri sono ormai completi e con il 1 ottobre si darà inizio anche se il “Mandato” poi sarà dato la seconda domenica di ottobre. Si è intanto riunito il Consiglio Pastorale per una verifica delle attività estive e l’impostazione del nuovo anno pastorale, tenendo presente quanto il vescovo ha suggerito nel Progetto e nella lettera pastorale, esplicativa diremmo dello stesso progetto. In questo mese poi ci sono state varie riunioni per le Associate della Madonna del Buon Consiglio e assemblea per i fratelli di S. Rocco per alcuni problemi inerenti alla vita della stessa confraternita. Molto partecipato è stato poi il triduo in preparazione alla festa di S. Pio e il giorno della festa il nostro Nunzio apostolico Mons. Girasoli ha presieduto l’Eucarestia. Rappresentati della Comunità hanno partecipato al Convegno pastorale tenutosi nei giorni 19 e 20 settembre. Il giorno 29 poi il parroco ha celebrato l’Eucarestia in suffragio di don Michele Montaruli, già parroco della nostra parrocchia.

Luca