XVII Centenario del Martirio di S. Biagio (316-2016)

Miei Cari, 
una data che non può passare inosservata è quella del XVII Centenario che quest’anno ricordiamo ed è quella del Martirio di S. Biagio, nostro Santo Patrono. Egli fu infatti martirizzato nel 316 dopo Cristo. Rimane esempio di grande medico, maestro e protettore. Ma ripassiamo in rassegna le tappe più importanti della sua vita. Egli nasce in Armenia, regione bellissima dell’Asia. Al tempo di Biagio (sec. III – IV) la situazione è critica per le grandi conversioni al cristianesimo e per le tremende persecuzioni sostenute dagli imperatori Decio e Diocleziano. Anche dopo l’avvento dell’imperatore cristiano Costantino, la situazione resta pericolosa; imperatori, come Licinio, ritornarono a perseguitare i cristiani. Tra le vittime ci sarà anche Biagio che darà la sua bella testimonianza di fedeltà a Cristo fino al martirio. Egli si distinse per la sua fede luminosa dovuta alla conoscenza del Vangelo e la bontà del cuore. Terminati gli studi, Egli è pronto non solo per esercitare la sua professione di medico, ma anche per dedicarsi all'apostolato. Da sacerdote e Vescovo di Sebaste avrà mille occasioni per manifestare la sua bontà verso tutti e il suo eroismo durante le persecuzioni. Ricercato, troverà rifugio presso una grotta vicino al monte Argeo. Raggiunse al massimo la perfezione con il martirio fino alla decapitazione. Il suo corpo deposto nella cattedrale di Sebaste fu poi in parte imbarcato da cristiani armeni alla volta di Roma. Una tempesta tronca però il suo viaggio a Maratea (Potenza) e qui furono conservate e venerate le sue reliquie. Tra le tante città che assunsero il Patronato vi fu Dubrovnik in Croazia. Sembra proprio che durante il trafugamento delle sue reliquie verso Maratea anche Ruvo avrà sostituito il Patronato di S. Cleto con quello di S. Biagio. La ricorrenza centenaria non può non farci riandare ad una verifica della nostra fede che, pur non esigendo successivamente il martirio come quella di S. Biagio, deve portarci a verificarla costantemente per onorare il nostro Santo Patrono che da secoli veglia sulla nostra città di Ruvo.
Don Vincenzo




Al novello Priore della nostra Confraternita di San Rocco Angelo Fracchiolla e all'intera Amministrazione, l’augurio di tutti noi per un lavoro proficuo per un progresso nella fede e della devozione al grande Santo taumaturgo






FERMENTO: ANNO XXX

Il nostro mensile parrocchiale “Fermento”compie trent’anni. Un traguardo di tutto rispetto, fortemente voluto dal parroco don Vincenzo per contribuire a far lievitare il buon seme della Parola nella Chiesa locale e non solo. Fermento, infatti, viene letto ed apprezzato anche da molti ruvesi e persone dei paesi limitrofi, segno che si tratta di un mensile che ha dei contenuti e che invita rispettosamente a riflettere sui principali argomenti che attengono alla Chiesa e alla vita sociale. Esso ha ospitato anche firme di rilievo, i contributi di numerosi pastori e laici, fra cui è d’uopo ricordare, nel primo numero, l’auspicio del Servo di Dio mons. Antonio Bello. Numerosi i collaboratori che si sono avvicendati nel lavoro pastorale di diffusione della buona stampa, fra i quali ricordiamo Margherita Miraglino. L’obiettivo di “Fermento” è di continuare per molti anni ancora la propria missione di far lievitare la comunione e la partecipazione, specie in tempi di forte spinta individualistica ed egoistica. Anche “Fermento” è in attesa del nuovo Vescovo che, ne siamo certi, potrà prendere la parola e apprezzare il modesto contributo del nostro mensile a seminare parole cariche di attese, speranze e carità cristiana.

NEL PALMO DELLA MANO DI DIO

In ognuno di noi si nasconde forse un venditore di almanacchi. All'inizio di un anno nuovo, andiamo cercando per noi e per gli altri i segni del buon augurio, i presagi della fortuna, ingrati verso il passato che detestiamo, proni e adulatori verso l’Anno Nuovo. E come se cercassimo di propiziarci i favori della fortuna. Quella fortuna che la tradizione ci ha consegnata cieca, chissà perché. Forse per dire che non è cattiva né buona; essendo cieca colpisce o accarezza senza sapere chi siano i destinatari di carezze e bastonate.
Naturalmente sappiamo benissimo che tutto ciò è falso e pagano. La fortuna per noi si chiama responsabilità e grazia. La fortuna è una fuga dalla realtà, è un modo per cercare scuse, alibi o consolazioni. Quando è a nostro favore diciamo che si, però se non avesse trovato noi... Quando invece “dice bene” agli altri, diciamo che a lei vanno tutti i meriti delle belle cose che fanno gli altri: «è tutta fortuna, è solo fortuna».
Eppure ogni passaggio di anno porta con sé questo senso, un po’ magico e un po’ angoscioso, del tempo che fugge e consente, si, di seppellire un passato non felice, ma che nasconde anche l’incognita del futuro. Il curioso è che l’anno vecchio, che di solito gettiamo dalla finestra simbolicamente la notte di San Silvestro, ricordato dopo molti altri anni, appare bello, degno di rimpianti, di nostalgie. È il segno che il tempo che passa, è un monito sulla morte, perché scandisce la fuga della vita. Il rimpianto del lontano passato non è che nostalgia di vita e di giovinezza e forse sgomento di morte. Ma qual è la vera prospettiva cristiana di fronte a questo evento, che si ripete immancabilmente ogni anno e che, preso in sé, non è che il volgere normale di una giornata, il giro del cielo, l’alba e il tramonto; ma che finisce invece per diventare simbolo del tempo che corre? Il senso cristiano è quello del dono che abbiamo ricevuto. E il dono dell’esistenza. Un dono che tende, vuole essere inesauribile. Noi siamo stati creati, infatti, per non morire, per vincere il tempo. Il nostro principio di vita è immortale, ma è affidato a uno strumento mortale. Le cellule del nostro pensiero sono di poco inferiori agli angeli e non moriranno. Le cellule dell’involucro - che non è un accessorio, ma è parte della nostra sostanza, anzi consustanziale, ciò che ci fa essere, con l’anima, persone - quelle cellule muoiono giorno dopo giorno, fino all'ultimo. Questa non è una contraddizione, ma è nella logica dei diversi principi vitali. Eppure noi la viviamo come una contraddizione, perché affrontiamo l’esperienza del tempo, della nascita e della morte con il nostro pensiero, che è immortale, immagine e somiglianza di Dio. E allora? Allora non possiamo considerare degne di questa apparente contraddizione le piccole fughe nella sfera d’argento o negli oroscopi. Noi abbiamo un dono che è nostro tipico, legato all'immortalità. E il dono della libertà, inseparabile da quello dell’intelligenza. Se siamo esseri intelligenti e liberi, possiamo anche affrontare i grandi problemi del tempo, della vita e della morte, che poi sono la risposta alle eterne domande: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo? Augurare Buon Anno significa dunque augurare che sia un anno vissuto nella pienezza della nostra libera intelligenza; la quale ci consente di conoscere e di amare noi stessi, Dio e il prossimo. Pensate se questo augurio si avverasse per tutti: che bellissimo anno ci aspetterebbe!
Una benedizione gaelica termina con «Possa Dio tenerti nel palmo della sua mano». Da quando siamo stati creati, conserviamo tutti - buoni e cattivi - ancora una traccia del tepore di quelle mani che ci hanno plasmato. E anche se poi Dio ci ha lasciati percorrere le vie della nostra libertà, non è mai venuta meno la sua cura, la sua premura e anche la sua preoccupazione. Non sappiamo quando, ma verrà un giorno in cui - concluso il nostro viaggio terreno - egli ci raccoglierà con le sue mani per riportarci nel suo orizzonte. A quella meta ultima tutti ci ritroveremo per essere insieme col Signore, nella pace e nella luce.

IN ATTESA DEL NUOVO VESCOVO

La Chiesa locale è in fervida attesa del suo nuovo Pastore. Dopo la prematura scomparsa del vescovo Martella, si attende la nomina del suo successore, che era data per imminente. Com’è noto, il termine vescovo della Chiesa cattolica, indica chi è investito del governo di una diocesi ed è posto alla guida pastorale.
In un’epoca dove predomina la burocrazia, ovverosia il potere fondato sulle carte, sul comando e sulle disposizioni, la Chiesa è chiamata a svolgere un ruolo diverso, quello della cura delle anime e dell’attenzione particolare a chi versa in condizione di bisogno economico, morale e spirituale. La Chiesa di papa Francesco è una Chiesa antiformalista e che si fa prossimo.
È a dir poco scandaloso vedere vescovi di recente ordinati con ornamenti e paludamenti sfacciatamente preziosi dinanzi alla povertà di tanta povera gente che non può campare. Come avranno il coraggio di avvicinarsi ad essa?
È una Chiesa che si misura sulla misericordia del buon Samaritano, cioè sulle opere di carità. Essa cammina accanto ad ogni uomo che, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, è alla ricerca di un senso da dare alla propria esistenza, di valori che trascendono il tempo e lo spazio. In tal senso, anche i ricchi piangono, mentre i poveri in senso evangelico sono più fortunati perché animati dalla virtù della speranza che non delude. Sembrerebbe paradossale, ma compito della Chiesa è anche quello di trasformare un uomo ricco in un uomo povero di spirito, sebbene sia più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli. La comunità attende il suo nuovo Pastore, cioè colui che ha l’obbligo di spingere ad una conversione della mente e del cuore facendo leva sul suo esempio, sui suoi gesti ed atti pastorali, in spirito di umiltà e di fraternità, affinché nessuno, quale che sia la sua condizione esistenziale, si senta emarginato od escluso dall'amore di Dio, che è da sempre e che è per sempre. Impegno del nuovo Pastore dovrà essere quello di indicare il cammino verso la terra promessa, in unione di spirito e di azione col presbiterio locale, sollecitandolo e con tutti gli uomini di buona volontà. Né può sottacersi la necessità che egli si impegni affinché cresca il senso di appartenenza ad un’unica comunità ecclesiale, al di là dei confini territoriali e meramente fisici di ogni parrocchia. Molti episodi hanno evidenziato una esecrabile carenza di comunione e di unità di intenti fra gli uomini e le donne che dovrebbero testimoniare l’amore di Dio, la sua misericordia, il suo perdono. Qualche vescovo di felice memoria è stato finanche sottoposto a trattamenti indegni e vergognosi, intrisi di superbia ed animosità. È superfluo aggiungere che chi si comporta in questo modo dà una lezione di controtestimonianza evangelica che rende felice il maligno e avvilisce il cuore del Padre della misericordia. Questi comportamenti non servono la Chiesa, bensì allontanano quei fedeli e quei credenti che nutrono l’idea di una Chiesa povera, “ospedale di campo” per tutti coloro che vivono situazioni di miseria e di dolore. Quanta colpa hanno i credenti per l’ateismo o l’agnosticismo di chi non crede? È una domanda che bisogna farsi. È l’interrogativo che ogni cristiano dovrebbe porsi quando si accinge all'esame di coscienza - salutare - che andrebbe fatto prima di addormentarsi. L’anno giubilare della Misericordia è un invito caloroso e pressante a vivere in maniera viva, vera e vivace l’amore di Dio, un amore che non ha limiti e che copre tutti i peccati dell’uomo purché ci sia l’impegno alla conversione e ci si riconosca umilmente peccatori e quindi bisognosi del perdono del Padre, il quale è sempre pronto ad accoglierci, anzi è sempre pronto ad entrare nei nostri cuori nell'attimo stesso in cui gli apriamo la porta della nostra interiorità. Per cambiarci. Per renderci uomini nuovi, liberi dalla schiavitù del male che, specie oggi, riveste forme sottili e subdole. Per renderci fin da ora partecipi della felicità del Suo regno, dove non c’è più dolore. Per renderci uomini e donne di pace, costruttori di beatitudini in un mondo in cui perfino il concetto di Dio è causa di guerre, divisioni e delitti. 
L’auspicio è che il nuovo Vescovo agisca nel solco degli insegnamenti e delle opere del compianto don Tonino Bello, servo di Dio perché servitore degli uomini.
Tanto ci attendiamo da lui.

Salvatore Bernocco


Il Battesimo

Non è un pedaggio da cui non ci si sottrae pur di assicurarsi una vita protetta e stare tranquilli con la propria coscienza. Non è una tassa da pagare a Dio, per “accontentarlo” o “rabbonirlo”. È una proposta di vita e d’amore, ovvero di vita d’amore, che i genitori offrono al figlio come gesto d’amore, avendo già loro accolto e sperimentato la ricchezza di tale dono. Il Battesimo è riconoscimento della paternità/maternità di Dio, felice della gioia dei suoi figli. Questa gioia i figli la sperimentano riconoscendosi e vivendo come fratelli. Con un corpo e una identità in una specifica comunità. Se i genitori non accettano e/o non vivono la dimensione comunitaria della propria esistenza sociale e religiosa in una ben definita comunità ecclesiale/parrocchiale (così come l’essere uomo di ciascuno, pur avendo in sé segnali ed elementi di universalità e di eternità, si concretizza in una famiglia), perché inserire il figlio in un cammino che non si condivide? Tale impegno lo si può affidare anche ad altri (Padrino, Madrina), ma occorre che almeno questi siano credibili, ovvero testimoni autentici nella vita di fede. Il dono dello Spirito e la vita in Cristo si realizzano nel Battesimo e grazie al Battesimo. Si è nella Chiesa, si è Chiesa grazie al Battesimo. E la Cresima?

Una religione fai da te?

Sono una cattolica non praticante. La motivazione della mia non pratica sta nel fatto che non riesco ad accettare le incoerenze di prelati e preti di cui parlano tutti i mezzi della comunicazione sociale. Preferisco vivere la fede a modo mio anziché dipendere da un prete che ha molti più difetti di me.
L.C.

Il vissuto odierno è caratterizzato dal rifugiarsi nel privato e dal privilegiare in modo esasperato la propria vita privata ed elevare la propria autonomia a parametro ultimo di misura. Se questa filosofia della vita influenza anche il credente portandolo a preferire la soluzione personale nella ricerca del rapporto con Dio, viene impoverita la concezione stessa del cristianesimo che è essenzialmente comunione di persone e di intenti. Sono convinto che gli scandali di cui è protagonista il clero può far male e indignare, ma non può e non deve essere la ragione determinante per abbandonare la pratica della fede, come l’abbandono della fede non può essere attribuita esclusivamente a ragioni sociali. Spesso dietro a certi abbandoni c’è una profonda immaturità di fede e fattori di ordine personale. Se un cristiano solo perché subisce degli scandali abbandona la pratica religiosa vuol dire che il suo rapporto con il vangelo e con Cristo è molto fragile e forse inconsistente. Essere cristiano vuol dire prima di tutto essere discepolo di Cristo, che vuol dire primariamente mettere in pratica le istanze morali e spirituali contenute nel vangelo, è obbedire al precetto dell’amore di Dio e dei fratelli. Tutto il resto è relativo alla pratica di ciò. Gli scandali nella chiesa ci sono sempre stati e sempre ci saranno perché essa è una comunità di uomini e di donne peccatori e peccatrici, ma è autentica perché Cristo la rende tale.

Nel tempo e nello spazio di Dio

La solennità dell’Immacolata fu introdotta dalle Quarantore che, come ogni anno, vide riunita la Comunità parrocchiale in adorazione. Seguirono gli incontri catechistici mensili e quelli per i genitori e Gruppo famiglia in ordine all’Anno Santo della Misericordia. Presentammo poi gli auguri al Parroco nell’anniversario della sua Ordinazione sacerdotale (7 dicembre) e pregammo per la stessa circostanza il 13 dicembre per Papa Francesco (15 dicembre). Con molto entusiasmo ci preparammo al Natale con incontri di catechesi e l’allestimento dei presepi. Bella l’iniziativa di fare in alto la Natività con la finalità pedagogica di apprendere da questa “cattedra” stupenda a impostare le nostre famiglie. Come sempre fu molto partecipata la messa mattutina della Vigilia di Natale concelebrata anche da don Peppino Ricchiuto di Bitonto. Festive le serate delle Vacanze natalizie e affollata fu la messa di fine d’anno preceduta dalla giornata Eucaristica e il canto del Te Deum. Molto bello il concerto natalizio della Corale polifonica Michele Cantatore diretto dal M° Angelo Anselmi.

Luca