“Quando fu eletto Papa il cardinale Roncalli, patriarca di Venezia, alcuni, per la sua età avanzata, sentenziarono che il suo sarebbe stato un pontificato di transizione. Non conosciamo il pensiero degli elettori, possiamo però dire che diverso era il disegno di Dio. All’inizio del nuovo pontificato, mentre molti cercavano di scorgerne la nota caratteristica, la svelò il Papa stesso. Tre mesi dopo l’elezione, Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 ai cardinali, riuniti nella sala capitolare del monastero benedettino di S. Paolo, annunziò la sua decisione di celebrare un concilio ecumenico. La risoluzione era scaturita dalla costatazione della crisi, causata nella società moderna dal decadimento dei valori spirituali e morali”. Così esordisce Vincenzo Carbone in una sua riflessione sul Vaticano II, che fu definito “fiore di inaspettata primavera”. Cosa resta oggi di quel fiore? Quali sono stati i frutti del Concilio? È ancora attuale parlarne o è tempo di accantonarlo? Sono in tanti a porsi questi quesiti a 50 anni dall’annuncio di Giovanni XXIII. Anche la nostra Comunità è chiamata ad interpellarsi, non foss’altro che per riscoprirne lo spirito di autentica apertura al mondo, di svecchiamento della tradizione a favore di un nuovo modo di essere Chiesa in cammino verso la Gerusalemme celeste a fianco di ogni uomo. Una Chiesa capace di parlare alla mente e al cuore degli uomini del XX secolo, questa fu la scommessa di Giovanni XXIII, il quale, alla secolarizzazione e all’ateismo strisciante non si contrappose con l’inappellabilità dei dogmi, imponendo la propria verità a scapito del dialogo, ma con un semplice invito ad accogliere la luce del Vangelo, ad approfondire la buona notizia di un Dio infinitamente buono. Il dialogo e la tolleranza sono strumenti di pace e di crescita, né le proprie convinzioni possono essere imposte senza far danno alle coscienze e minare persino le proprie buone ragioni.
Ogni imposizione si muta in opposizione e rifiuto, anche quando ha solidi fondamenti
di verità e bontà. Molto meglio quindi dialogare e confrontarsi, predisporsi a scorgere semi di verità e di libertà anche nelle posizioni più distanti dalle nostre. Il fine del Vangelo è la libertà e la felicità della persona umana, per cui ne è drammatica distorsione ogni idea, parola, atteggiamento che invece lo rendesse infelice e servo di qualcuno o di qualcosa, finanche della religione malamente intesa. Il cattolicesimo è la religione della libertà, non della intolleranza o della schiavitù. In un’epoca di miti, quindi di dèi che schiavizzano (sesso, potere, denaro), il Vangelo non si pone in antitesi alla gioia, anzi ne è il trattato per eccellenza. Giovanni Paolo II ha affermato che il Vaticano II “resta l’avvenimento fondamentale della vita della Chiesa contemporanea; fondamentale per l’approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo; fondamentale per il contatto fecondo con il mondo contemporaneo in una prospettiva d’evangelizzazione e di dialogo ad ogni livello con tutti gli uomini di retta coscienza”.
Occorre quindi vivificare lo spirito del Vaticano II, non lasciando marcire in noi le buone disposizioni ad essere comunità in dialogo con il mondo, attraverso la carità e la tolleranza, che sono maturate in noi grazie al Concilio. Se la Chiesa possiede già la Verità, che è il Cristo, non si dimentichi che anch’essa è impegnata, giorno dopo giorno, a comprenderla sempre meglio e più in profondità. Non tanto per ergersi a detentrice di essa, ma per porsi umilmente al suo servizio.
Salvatore Bernocco