La figlia primogenita dell’orgoglio

Il più stupido dei vizi, quello dell’invidia, è frequentemente stigmatizzato dalla predicazione morale. Lo ritroviamo nella serie di vizi offertaci da san Paolo (Rm 1,29; Gal 5,21) e sappiamo anche la stretta parentela che lo unisce alla gelosia, quando non soltanto vorremmo per noi il bene altrui, ma lo desideriamo in esclusiva.
Sorelle gemelle, invidia e gelosia sono considerate da San Cipriano “radici di tutti i mali”, e costituiscono una proiezione dell’orgoglio, che ci spinge ad avere tutto e a non mancare di nulla, varcando illusoriamente, anche in questo caso, i limiti e i
confini della nostra condizione di creature. L’invidioso e il geloso sono incapaci di considerare i beni altrui come un bene anche per sé e non sanno rapportarsi nei loro confronti con interiore libertà, rispetto e gratuità. Chi è segnato da invidia e gelosia si chiude in se stesso in un atteggiamento a dir poco “demoniaco” (Satana è colui che “vive a porte chiuse” e “parto demoniaco”: sono espressioni dette da san Basilio a proposito di invidia e gelosia), con questo risultato: che i beni concupiti sono irrimediabilmente perduti e in noi restano soltanto il rovello interiore e la rabbia di una disfatta irreparabile.
Ma è opportuno domandarsi se invidia e gelosia, come tutte le passioni umane, non nascondono una intuizione, un bisogno latente che chiede di esprimersi in modo positivo. Nel qual caso l’estirpazione del vizio sarebbe preordinata all’acquisizione della virtù corrispondente e viceversa.
Ci mette sulla giusta via il fatto che le Scritture fanno della gelosia non soltanto una virtù di Dio (quante volte si legge: “Il Signore tuo Dio è un Dio geloso”) (Dt 4,24), ma uno e non l’ultimo dei suoi stessi nomi: “Il Signore si chiama Geloso” (Es 34,14). La gelosia divina è sinonimo dell’amore esclusivo e sconfinato che Dio ha per le proprie creature. E’ semplicemente esaltante sapersi amati da un Dio geloso! Ne nasce l’assoluta certezza che non saremo lasciati ai nostri smarrimenti e ai nostri traviamenti e che l’amore folle di Dio trionferà sulle nostre resistenze e sui nostri rifiuti. La “gelosia divina” diventa inoltre il più potente strumento apostolico, se anima l’azione pastorale dei ministri di Dio, e chiede un’impegnativa, gioiosa contropartita: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è un unico Signore. Ama il Signore tuo Dio con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze” (cfr Dt 6,5).
Dunque, alcune originarie inclinazioni dell’animo umano hanno valenze positive: sta a noi servircene come di vigorose spinte al bene, invece che rovinosi stimoli al male. Se quindi il bene dell’altro rappresentasse per noi non un impoverimento o un affronto, ma una sfida salutare, una mèta “da raggiungere, da conquistare, da imitare, fino magari a superarne le posizioni, in questo caso ci sentiremo fortemente aiutati in un crescente arricchimento e perfezionamento materiale, culturale, spirituale”, si sosteneva in un Convegno dedicato alla riflessione sull’invidia. Per concludere che “al posto dell’invidia avremo il suo contrario, che è l’emulazione”. Analoghe considerazioni possiamo fare in merito alla gelosia. Se essa si traducesse in amore tenace, illimitato, pronto a ogni sacrificio, allora si rivelerebbe una forza prorompente, destinata ad abbattere ogni ostacolo. Accanto all’invidia e alla gelosia, c’è una terza figlia dell’orgoglio: la vendetta. La Vendetta comporta un enorme investimento di energie distruttive, che si rivelano nel contempo autodistruttive. Da un punto di vista psicologico il manico del coltello omicida è molto affilato e tagliente della lama che viola l’incolumità del fratello, così che uno colpisce se stesso con quello strumento con cui intende ferire l’altro, inoltre la vendetta apre una spirale di successivi gesti sempre più illusoriamente protesi a fare giustizia, quando la vera giustizia consiste nel disarmo interiore
e nella pacificazione del cuore.
Anche la vendetta è figlia primogenita dell’orgoglio, il quale non tollera il benché minimo attentato non soltanto alla nostra incolumità ma all’immagine che ci facciamo di noi stessi come esseri che non dovrebbero mai subire critiche, smentite, insuccessi, contraddizioni, fraintendimenti e offese. Ne segue che la persona vendicativa vive in uno stato congenito di rancore, in un lacerante dissidio nei confronti della realtà che sarà sempre impossibile piegare ai propri sogni di onnipotenza.
Occorre, cari amici, ancora una votla sottostare dinanzi all’imparziale e implacabile specchio della nostra coscienza, illuminata dalla fede, nell’intento di far emergere, ove presenti, le tracce spesso sottili e nascoste dei nostri risentimenti, prenderne coscienza, per prenderne le distanze, secondo l’invito di Dio a Caino: ´Il peccato è accovaccciato alla tua porta: verso di te è il suo istinto, ma tu dominaloª (Gen 4,7). E soltanto con la grazia di Dio e la potenza del suo Spirito possiamo debellarlo!


F. N.