Michele Cantatore


Celebrandosi il 5° Anniversario della sua scomparsa, ecco il ricordo pronunziato dal
parroco durante il concerto in sua memoria sulla figura di un Laico doc qual’é stato


“A me non interessa né l’ottimista, né il pessimista, mi interessa l’uomo della speranza”. Così scriveva David Maria Turoldo; in tale contesto credo di poter annoverare Michele Cantatore tra le litanie interminabili dei laici santi che vanno componendosi nella storia che il Signore va scrivendo. Michele Cantatore fu l’uomo della speranza, la sua vita fu una conquista graduale, lenta e tormentata nella professione cristiana; una conquista intessuta di alternative, di esitazioni, di accostamenti timidi e inconsci alla luminosa fonte del soprannaturale e infine l’assestamento su una fede granitica che, costituendo l’approdo faticosamente raggiunto, divenne il punto di partenza di una missione che per oltre 60 anni svolse sotto il segno della più illuminata perseveranza nell’ambito liturgico della nostra chiesa di Ruvo. Con suo fratello Domenico è un continuo riandare, ogni volta che ci si incontra, a quei dettagli a volte non emersi chiaramente nella sua vita, ma che dicevano di una passione per la ricerca di Dio che si tramutava in sue composizioni dove la parola contava; non vi erano dissonanze, ma tutto diveniva una sinfonia da elevarti immediatamente al soprannaturale. Le sue numerose composizioni, prima fra tutte la prima delle tre messe intitolate alla S. Famiglia e che risale al 1947 fu eseguita prima dal coro di questa chiesa parrocchiale, le cui componenti non finì mai di elogiare per la fede e la squisitezza dell’impegno e dell’esecuzione. Ci fu poi una seconda Messa a tre voci in latino eseguite fino al 1967, anno in cui ne compose una terza, sempre a tre voci, per l’ordinazione sacerdotale di un presbitero di Ruvo. Ma la prima delle tre messe è quella che lo definisce e ne apre il suo cuore.
Le sue numerose composizioni, il forte attaccamento al canto gregoriano appreso da valenti sacerdoti ruvesi e squisitamente appropriatosene nella sua permanenza presso i benedettini di S. Giorgio a Venezia gli infondeva serenità e pace interiore. Per non parlare dei vari oratori ispirati al canto gregoriano, primo fra tutti quello della “lavanda dei piedi” con la stupenda antifona che lo contrassegnava e che modestamente ritengo la perla più bella di Michele “Exaltabo te Domine‘quamam suscepint me” Ti esalterò Signore perché mi hai ascoltato”.Umile, dimesso, di una pietà senza sofisticazioni, caritatevole, seppe leggere e scrutare i segni dei tempi, si adeguò e aiutò a fare altrettanto la comunità che servì con la musica e il canto liturgico, entrando nello spirito della liturgia rinnovata dal Concilio. I vescovi Taccone, Marena e Don Tonino lo apprezzarono tantissimo per questo suoi ministero.
Se il Vangelo è la buona notizia, non può non essere cantata: di qui il desiderio di fare cantare le belle pagine della Risurrezione di Lazzaro, dell’Annunciazione, del Figluol prodigo. Per queste sue composizioni in Oratorio tanto lavorò e si impegnò anche facendole eseguire fuori della nostra città presso la Santa Casa in Loreto. Ne ebbe apprezzamento e plauso per aver fatto cantare le parole; non ci sarebbe stato bisogno di accompagnamento perché cantava lo stesso testo.
Che dire poi della interminabile sequenza di “laudi” soprattutto alla Vergine: dalla Ave Maria composta per il matrimonio del fratello Domenico, alla Salve Regina e a quella bellissima laude “Salve, regina dei cieli” che immancabilmente faceva eseguire dal coro parrocchiale durante la messa mattutina che concludeva il mese mariano di ottobre in questa parrocchia. E in ultimo non può dimenticarsi il repertorio natalizio con a capo la messa pastorale che egli aveva composta negli anni‘’40 con alcuni temi che i vescovi di Ruvo provenienti dall’Irpinia avevano portato da noi. Ma si misurò anche con alcune pastorali, la più bella fra tutte “Nella grotta poverella”, con testo di Nicola Pende da lui mirabilmente musicato.
Questa mia umile e povera testimonianza si pone questa sera come doverosa riconoscenza a questa luminosa figura di laico che la Provvidenza mi mise accanto nella mia formazione sacerdotale. Mi fu e gli fui sempre accanto, da seminarista, da rettore del Santuario suburbano della Madonna delle Grazie, da vice parroco e parroco di questa diletta comunità. Se il canto caratterizza e offre il meglio durante le nostre celebrazioni si deve a quanto lui ha operato e fatto non soltanto qui ma anche in quelle comunità che hanno fruito della sua formazione spirituale e musicale.
Per concludere, se per obbedire ad una istanza di sintesi vogliamo definire Michele Cantatore dovremo dirlo un uomo di fede: di fede nelle verità rivelate, nella potenza intermediatrice della Vergine Santa, nel progresso della civiltà dell’uomo, nella bontà e fraternità umana. Attraverso la musica liturgica Michele Cantatore visse come vedendo l’invisibile: ciò che solo il cuore, il desiderio, il sogno, l'intuizione rendono visibile.
Quale dono maggiore poteva accordarmi la Provvidenza? Quello di essergli – da solo – vicino sul letto di morte nell’ospedale di Terlizzi quel 5 ottobre di 5 anni fa, di amministragli gli ultimi sacramenti e di vederlo spegnere mentre recitavamo insieme la Salve Regina. Gli occhi di lui, non vedente, si spalancavano nella penetrazione del mistero di Dio, da lui sempre cercato.