È indubbio che gli studi teologici sono causa di incomprensioni e, talvolta, di “scomuniche” preventive, laddove invece dovrebbero contribuire all’approfondimento della Parola di Dio per una maggiore comprensione del mistero dell’incarnazione del Cristo, del suo messaggio di salvezza, talvolta annacquato in senso troppo umano oppure spiritualizzato al punto di renderlo distante dalla concreta realtà dell’uomo. La Pontificia Commissione Biblica col documento “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” del 1993 ha ben chiarito che “l’esegesi cattolica deve […] mantenere la sua identità di disciplina teologica, il cui scopo principale è l’approfondimento della fede.
Questo non significa un minore impegno nella ricerca scientifica più rigorosa, né la deformazione dei metodi a causa di preoccupazioni apologetiche. Ogni settore della ricerca (critica testuale, studi linguistici, analisi letterarie, ecc.) ha le sue proprie regole, che deve seguire in piena autonomia. Ma nessuna di queste specialità è fine a se stessa.
Nell’organizzazione d’insieme del compito esegetico, l’orientamento verso lo scopo principale deve restare effettivo e fare evitare dispersioni di energie. L’esegesi cattolica non ha il diritto di somigliare a un corso d’acqua che si perde nelle sabbie di un’analisi ipercritica.
Adempie, nella Chiesa e nel mondo, una funzione vitale: quella di contribuire a una trasmissione più autentica del contenuto della Scrittura ispirata”.Tuttavia, se occorre conservarne l’unitarietà, è altresì indubbio partire dal presupposto che “l’interpretazione deve necessariamente essere pluralistica.
Nessuna interpretazione particolare può esaurire il significato dell’insieme, che è una sinfonia a più voci. L’interpretazione di un testo particolare deve quindi evitare di essere esclusiva”. Nessuno ha quindi il monopolio dell’interpretazione, che abbisogna di contributi umili e generosi, evitando di incorrere nella tentazione di stabilire che vi sia come una sorta di dogma interpretativo. Ciò detto, non possiamo non sottolineare, ad esempio, il pensiero di santa Caterina da Siena, secondo la quale l’Esegeta per eccellenza è Cristo: più siamo uniti a Cristo più conosciamo in profondità la Sacra Scrittura.
Quindi, in sintesi, se non possiamo fare a meno degli studi biblici, dobbiamo in ogni caso sottolineare che il senso profondo delle S. Scritture è rivelato dal Signore alle coscienze.
Lo Spirito Santo illumina gli ultimi, coloro che mancano di scienza umana, ma non di sapienza secondo Dio. Fa riflettere la circostanza che la Vergine Maria si sia rivelata a gente umile, mai ai sapienti della terra. In loro c’è spesso supponenza, distinguo, esercizio di lana caprina, mentre negli umili c’è accoglienza incondizionata e fede limpida. E la differenza, forse, sta tutta qui.
Salvatore Bernocco