“Giuseppe nacque probabilmente a Betlemme. Suo padre si chiamava Giacobbe (Mt 1,16) e pare che fosse il terzo di sei fratelli. La tradizione ci tramanda la figura del giovane Giuseppe come un ragazzo di molto talento e di un temperamento umile, mite e devoto”.
Così viene tratteggiata la figura dello sposo di Maria Vergine e padre putativo di Gesù, Giuseppe, di mestiere falegname. Su san Giuseppe si sa molto poco, in realtà; è un uomo giusto, che non ripudia Maria, gravida per opera dello Spirito Santo, che si adopera per mettere in salvo la vita di Gesù, che osserva i comandamenti ed è fedele a Dio.
Un uomo attento alla voce dello Spirito, forse mediata da quella della sua sposa. Un uomo quindi avvolto dal silenzio che è la culla della Parola, è la Parola di Dio vissuta nell’abitacolo del cuore, sede degli affetti e della coscienza per il popolo ebraico. Egli è l’esempio dell’uomo interiore, nel quale prende corpo quella predisposizione alla carità che si fa gesto ed azione di giustizia. La sua grandezza sta nel quasi mistero che lo circonda, in questa penuria di informazioni sul suo conto, non alla stessa stregua di un personaggio mitologico, mai esistito e frutto della fantasia, ma di un uomo realmente esistito che si è messo a totale disposizione di Maria e del Figlio di Dio, di cui fu padre sul piano umano ma non genitore. Cosa intendo dire? Che se fra gli esseri umani accade spesso che il genitore biologico, cioè colui che genera, non sia anche in grado di essere padre, quindi di educare, di amare, di essere autorevole, nel caso particolare di san Giuseppe la sua paternità fu perfetta, intessuta di preoccupazioni e di amore per il figlio che Maria aveva concepito senza l’ausilio dell’uomo.
A san Giuseppe, la cui festa liturgica ricorre il 19 marzo, festa del papà, affidiamo in custodia i genitori, affinché riscoprano la vocazione alla santità attraverso l’educazione morale, religiosa e spirituale dei loro figli. Da buoni padri discendono ottimi figli, da padri pessimi nascono schegge impazzite. La paternità responsabile e spirituale nell’ambito della famiglia è un valore da riscoprire, di difficile avveramento ove i credenti (o molti di essi) dovessero continuare a comportarsi in modo “schizofrenico”, con un piede nel terreno di Dio e con l’altro nel campo di gioco di Satana.
Lontano dalla Chiesa e dalla pratica vissuta e sentita dei Sacramenti, quindi dalla Parola di Dio, si è come tamerischi nella steppa, mentre, sotto lo sguardo paterno di Giuseppe e della Vergine santa, nell’amore e nella fede in Dio, si realizza una radicale trasformazione del cuore, per cui dall’esperienza mortifera della steppa si passa a sperimentare la vita dello e nello Spirito, apportatrice di gioia e pace.
S. B.