“...Un vescovo lungimirante, riunisce al soldo della Sua fattività ed entusiasmo le non ingenti risorse di una città povera, ma in espansione che si deve aprire, verso il nuovo secolo, uscendo ormai decisamente dalle vecchia mura.
II vescovo Berardi, nei primi mesi dell'anno 1900, individuata nell'area corrispondente ad un vecchio e ormai in disuso lamione dell'antico castello, il sito della nuova chiesa, chiede all'ing. Egidio Boccuzzi "l'opera difficile della trasmutazione, e per la costruzione a nuovo di un maestoso prospetto a colonne".
Trasmutazione quindi, ristrutturazione diremmo oggi, con una precisa richiesta della committenza di un prospetto a colonne.
E allora immedesimiamoci con il progettista, pensiamo come può aver pensato l'ing. Boccuzzi, calandoci con lui nella problematica dei luoghi e degli spazi come allora gli appaiono.
Non facile deve essere stato, pensare e disegnare questa nuova chiesa: sono tanti i problemi di spazialità interna e di inserimento di una nuova facciata in un contesto urbanistico in fase di trasformazione.
Siamo in uno dei punti più carichi di storia della Città, in una nuova piazza completamente apertasi nelle sue visualità verso ponente, verso l'antica strada che porta al nord.
Con l'abbattimento delle mura avvenuto intorno alla seconda metà dell'800, il crollo della "Torre di Pilato" e lo spostamento della sede della municipalità nell’antico Palazzo Avitaja, è emersa chiaramente l'esigenza di riconfigurare spazialmente e ridefinire dal punto di vista architettonico quello slargo storico, adiacente la antica "Porta Castello".
Il "Largo Castello" si andava trasformando nella nuova "Piazza Regina Margherita", riprendendo pedissequamente la toponomastica riportata sulle prime planimetrie catastali di quegli anni. L'abbattimento delle mura e il tracciato dei nuovi Corsi perimetrali al nucleo antico configurano il luogo e gli affidano un ruolo di nuova centralità nei riguardi di una città in fase di forte espansione urbanistica.
Il confronto tra la prima planimetria catastale ed una immediatamente successiva alla costruzione della Chiesa, mostra chiaramente l'area di sedime dell'antico lamione, (ultima propaggine dell'antico castello), in perfetta posizione visuale sul fondale del nuovo corso Carafa; quanto di meglio per una nuova Chiesa!
Lo spazio, originariamente slargo, retrostante la principale porta della città, viene quindi ad assumere sempre più i connotati di una vera e propria piazza e non già il punto di smistamento di semplici tracciati viari. Le stesse cortine edilizie diventano quinte di delimitazione spaziale e punti di nuove convergenze visuali, abbisognevoli di quei caratteri architettonici conclusi, che uno spazio urbano di tale funzione determina.
Del resto il "nuovo" prospetto del palazzo della Principessa Melodia (voluto da questa intorno al 1850), in virtù di un radicale restauro delle dirute fabbriche del castello, altro non veniva a rappresentare, se non una nuova chiusura spaziale di significativa valenza architettonica fortemente rappresentativa della "proprietà".
La definizione volumetrica della piazza, in quegli anni è comunque ancora tutta da configurare. Dovremmo immaginare questa zona della città prima delle trasformazioni di fine secolo, molto più contenuto spazialmente, fagocitato dalla presenza dell'alta e massiccia torre, con il lato settentrionale chiuso dalla mole dell'antico castello, e i residuali spazi destinati essenzialmente alle sedi viarie in corrispondenza della "porta castello".
L'orografia del sito poneva anche non piccoli problemi, per il raccordo delle quote d'uso dei piani terra del castello (originariamente non accessibili dal lato della piazza) con la quota d'uso della sede viaria all'altezza della porta della città disposta a circa 3,50 metri inferiore alle quote di accesso sul fronte settentrionale.
II brusco dislivello sino ad allora esistente, venne addolcito creando un ampio slargo in falso piano che veniva ad attestarsi sul fronte settentrionale. Gli ambienti sotterranei del castello, sarebbero venuti ad emergere; la soluzione architettonica per risolvere il problema fu la realizzazione dell'ampio terrapieno terrazzato antistante il castello e tutto il fronte nord, con funzione di raccordo e pianerottolo per l'ascesa alle residenze disposte sul lato settentrionale della piazza.
Anche le vie perimetrali confluenti verso la nuova piazza furono risagomate con abbassamento delle sedi stradali verso il raccordo alle nuove quote.
In questa nuova spazialità urbana si inserisce ai primordi del nuovo secolo il progetto di edificazione della nuova Chiesa del Redentore.
La scarna documentazione fotografica di quegli anni ci mostra il lato settentrionale della piazza ripreso da tre differenti punti di vista: la notissima foto della torre di Pilato, quella del fotografo romano Romualdo Moscioni del novembre 1891 o ancora quella del settembre 1900(?), rappresentano di scorcio il sito dell'antico lamione ancora scollegato altimetricamente dal piano d'uso della piazza, ma unitario alla cortina d'ambito del castello.
Non pochi problemi per il nostro ing.Boccuzzi.
II vecchio lamione o stallone della Principessa Melodia, non si prestava certamente alle richiesto del vescovo. Un lungo, buio e triste lamione, probabilmente in cattivo stato di conservazione; uno spazio ad incastro in una cortina edilizia già in parte configurata, con allineamenti obbligati e sagome edilizie incombenti.
Ai nostri giorni sarebbe stato oggetto di un concorso di idee, argomento di pubblico dibattito, ma... altri tempi. E allora mettiamoci al lavoro.
L'area di sedime è impropria, consiste "nell'ampio fabbricato detto Lamione o stallone sito in abitato di Ruvo nonché il dietroposto contiguo tratto di giardino o suolo edificatorio per la larghezza dello stallone medesimo riesce al corso Jatta, e che confina nell'insieme da scirocco con in Piazza Regina Marglierita, da ponente con i nuovi fabbricati di Mauro Pansini, da nord col Corso Jatta e da levante col giardino e fabbricati della mandante principessa di Tricase;".
E' veramente un'area ad incastro; il rapporto di allungamento in pianta della erigenda chiesa è assurdo: circa 10 metri per 40. E poi è buio, da dove prendere luce?
E ancora, dove poggiare le nuove strutture? L'area di sedime non è delle migliori!
Più metri di materiali di riporto dividono il piano della nuova chiesa dalla roccia di base. E poi le murature longitudinali di confine sono in comune con le altre proprietà e non possono essere modificate.
E qui l'ing.Boccuzzi imposta il suo progetto. Navata unica e cappelle laterali discontinue, con funzione portante per la nuova volta di copertura. Accorciamento visivo e fisico dello sviluppo longitudinale dell'aula tramite la creazione di un vestibolo anteriore, in uno alla chiusura ottica dello spazio con un ampio abside molto ben illuminato che accentri su di se l'attenzione e lo sguardo ammirato del fedele del nuovo secolo. Queste credo siano state le linee guida del progetto.
Del progetto originario sono stati reperiti solo alcuni grafici che ci rappresentano la facciata e due disegni di dettaglio, in pianta e in alzato, del catino absidale.
La ricerca del progetto completo, sicuramente redatto dall'ing. Boccuzzi (e da rintracciare presumibilmente nel suo archivio personale), fornirebbe importanti elementi di conoscenza sul tema in questione, anche in relazione alle preesistenze presenti nel sito per le alte valenze storiche del luogo.
In primis il Boccuzzi azzerò il naturale dislivello esistente tra il vecchio lamione e
il piano della Piazza, rimovendo il tratto di terrapieno terrazzato antistante e abbassando quindi di circa due metri quell'originario piano d'uso.
E poi pensò all'impostazione planimetrica e all'alzato. Per quest'ultimo, stante il contesto, venivano a mancargli precisi riferimenti compositivi quali livelli di marcapiano o coronamenti su cui eventualmente poggiare il nuovo disegno di facciata.
E' da notare come il grafico della facciata del Beccuzzi manchi di qualunque riferimento al contesto circostante.
L'eccessivo rapporto di allungamento della sagoma dell'antico lamione, insieme all'impossibilità di intervenire sulle murature longitudinali di confine, indirizzò il Boccuzzi verso l'impostazione di una navata unica scandita longitudinalmente da quattro cappelle laterali di modesta profondità, alternate da piccole nicchie e paraste gemellate sulle quali concentrare gli scarichi della grande volta a botte di copertura.
In questa maniera il Boccuzzi concentrò anche i punti di scarico principali della costruzione in maniera da non incidere eccessivamente dal punto di vista statico sulle strutture fondali originarie dei vecchi muri d'ambito, incerte nella quota e nella portanza.
Sempre per accorciare funzionalmente e visivamente la nuova chiesa, oltre che per filtrare rispetto allo spazio esterno l'accesso dei fedeli, creò, subito dopo l'ingresso, uno spazio di disimpegno, di minore altezza, ove collocare la scala per la salita al piano di copertura e a mezza quota, quello che poi sarà il piano dell'organo della Chiesa.
Il tema non semplice della funzio-nalizzazione di questa nuova chiesa viene anche brillantemente risolto con la creazione di vani ad uso parrocchiale addossati al retro della facciata, caso non frequente nella impostazione architettonica di una chiesa.
L'altare maggiore è pensato ovviamente sopraelevato rispetto all'aula, in area presbiteriale e disimpegna, tramite due corridoi avvolgenti l'abside, il percorso di accesso al retro.
E' da notare che nel disegno del Boccuzzi non appare ancora l'ambiente sacrestia che sarà poi ricavata successivamente sul suolo sovrapposto del vecchio giardino del castello.
L'impostazione architettonica della facciata è molto semplice, con una netta divisione in due ordini fortemente contrastanti nel rapporto tra i pieni ed i vuoti. Il timpano di coronamento centrale conclude il sobrio progetto con la previsione su! suo asse di un pubblico orologio che non sarà però mai realizzato.
La posa della prima pietra è del 1 aprile 1900, ma in realtà i lavori hanno inizio successivamente alla acquisizione dell'immobile (1.12.1900) attraverso vari e ingenti lavori di svuotamento e adattamento delle fabbriche originarie.
La costruzione, pluridecennale, avverrà in più fasi, a seconda delle disponibilità economiche, con impiego di materiali e maestranze locali. Una realizzazione diremmo ora "in economia", come si evince dalle numerose note di riepilogo delle diverse lavorazioni reperite nell'archivio parrocchiale e delle continue ininterrotte sottoscrizioni finalizzate volta per volta ad un nuovo pezzo di questa grande chiesa.
All'inizio della costruzione, un vero e proprio contratto fu di fatto sottoscritto tra il Vescovo Berardi e il maestro muratore Vincenzo Jurilli per la realizzazione del solo primo ordine della facciata, e questo è sintomatico delle modeste possibilità economiche per la realizzazione del progetto.
I materiali lapidei per la facciata, furono essenzialmente locali, usufruendo della maestria di capaci scalpellini per la lavorazione della pietra; il Boccuzzi non disdegnò, comunque, l'uso dei "nuovi" materiali (il tufo e i solai in putrelles) impiegati prevalentemente nella costruzione delle arcate laterali della Chiesa e nei solai intermedi dei vani addossati alla facciata.
Il giorno di apertura al pubblico, il 10 agosto 1902, il prospetto risultava ancora incompiuto, come anche il catino absidale e la relativa volta che furono realizzate solo tra il 1906 e il 1913 per opera del Vicario curato Raffaele Montaruli, mentre nel 1921 don Salvatore Ciliberti edificava a sue spese la sacrestia.
A questo periodo si fa risalire anche l'impianto di un piccolo campaniletto a vela, in pietra, destinato a reggere una campana proveniente dalla Chiesa del Carmino; in seguito, fu questo sostituito, da un secondo (ancora non definitivo) campanile a cuspide in calcestruzzo, a due ordini antecedente la fase di completamento della facciata.
Solo nel 1953, infatti, con il Vescovo Aurelio Marena, e sotto il parrocato di don Montaruli, si cominciò la costruzione del timpano superiore, e successivamente del terzo e definitivo campanile a tre ordini, anch'esso cuspidato su disegno dell'ing. Armando De Leo.
Il timpano, analogo nelle proporzioni al disegno del Boccuzzi, fu semplificato nella decorazione. Il disegno originario prevedeva anche un orologio nel fastigio centrale sormontante il timpano di coronamento del finestrone di secondo ordine.
Dell'intenzione di installarvi l'orologio, secondo l'idea del Boccuzzi, peraltro vi è traccia in alcune comunicazioni tra il Vescovo Berardi e il Sindaco De Venuto, risalenti al 1914. In queste si discuteva delle modalità di accesso alle coperture, al fine di consentire la regolazione quotidiana e la manutenzione del meccanismo, non essendo più consentito l'accesso al piano di copertura dai fabbricati confinanti; si pensò a tal fine anche di costruire una scala, delimitata da un muretto in mattoni, nell'interno del porticato della Chiesa, ma di quest'idea non si conosce nessun grafico che descrivesse il suo esatto posizionamento rispetto alle arcate del primo ordine che, probabilmente ne sarebbero state in parte tompagnate.
Diversi momenti, in questo secolo di storia della costruzione, vedono arricchimenti dell'apparato decorativo e di completamento dell'edificio religioso, quali la realizzazione degli organi, gli altari laterali e la risistemazione dell'altare maggiore con la circostante area presbiteriale e nuovi finestroni istoriati.
L'esterno
E' noto che, in concomitanza all'avvento del Movimento Moderno, nella prima metà del secolo scorso, in fase di post neo classicismo, le caratteristiche dell'architettura stiano, nel panorama internazionale, completamente mutando. In ambito locale sono invece ancora prevalenti espressioni di un linguaggio architettonico legate a forme classicheggianti.
E da queste non si discosta il Boccuzzi:
Il ricorso agli stili è ampio, sia nel disegno che nelle proporzioni.
La ripartizione della facciata è su due ordini sovrapposti, con un semplice timpano conclusivo. Gli ordini presentano un diverso trattamento della sequenzialità delle aperture determinando un differente ordine di lettura: nell'ordine inferiore lo sguardo prosegue e si dilata nella direzione orizzontale mentre, nell'ordine superiore si contrae verso il centro. Completamente smaterializzato, l'ordine inferiore presenta tre arcate per il sagrato della chiesa; arcate che potrebbero essere ripetute all'infinito. Tanto più che i medaglioni scolpiti nei pennacchi, vengono bruscamente interrotti alle estremità dai cantonali bugnati, unici elementi che non rispondono a proporzioni classiche.
Risulta evidente la notevole mole dello pseudo capitello, "stirato" in altezza fino a raggiungere la fascia marcapiano, che sovrasta il fusto della parasta bugnata poggiante su una base di proporzioni più appropriate.
Le arcate invece, più elegantemente proporzionate e di evidente richiamo rinascimentale, sono a tutto sesto e sostenute da colonne binate di ordine fonico che immettono in un piccolo spazio porticato con funzione di filtro verso l'interno: questo piccolo portico è coperto da un solaio piano, privo di una qualunque valenza spaziale.
Maggiormente studiata risulta invece l'impaginazione dell'ordine superiore: le aperture a edicola si addensano verso il centro e sono proporzionate secondo lo schema degli archi di trionfo dove l'imposta dell'arcata centrale è tangente alla chiave delle nicchie laterali.
La schematizzazione della facciata secondo un preciso ordine geometrico è un ulteriore richiamo al gusto compositivo rinascimentale.
Il timpano di coronamento, realizzato solo dopo gli anni 50, ma secondo le linee del progetto originario, semplicemente completa la facciata con la statua del Redentore.
Il disegno complessivo è gradevole, anche se la facciata, risulta quasi schiacciata tra l'edilizia adiacente e la mole dell'incombente campanile. E' da dire che il Boccuzzi non aveva sicuramente previsto la costruzione di un campanile, meno che mai nelle forme e nella mole attuale. Il progetto dell'ing. Armando De Leo lo ideò spostato sul lato sinistro della facciata, nell'unica posizione possibile, in asse comunque alla visuale che della chiesa si ha dal frontistante Corso Carafa. Fu edificato dai maestri Antonio e Domenico Altamura (1955).
La scelta planimetrica della chiesa, del tipo ad aula unica con cappelle laterali che ricorda le tipologie gesuitiche, è stata dettata dalla conformazione del lamione preesistente, fortemente sviluppato nella direzione longitudinale secondo un rapporto che supera di tre volte la larghezza della chiesa.
Ciò risulta molto più evidente nella lettura in pianta più che nella lettura spaziale, infatti la scansione interna delle paraste secondo una metrica del tipo a/b/a tende leggermente a ridimensionare questa forte sproporzione.
Le paraste inquadrano quattro cappelle laterali a tutto sesto (a), e quattro nicchie (b) su ciascun lato, delle quali la prima sul lato destro accoglie un'antica tela raffigurante San Nicola e nella quarta, sullo stesso lato, è inserito un piccolo pulpito scolpito, accessibile attraverso una scaletta retrostante.
Le paraste di ordine corinzio, poste su un alto basamento in conci di pietra, sono interrotte dalla trabeazione di imposta e corrono per tutta la superficie della volta come nervature piatte che definiscono bianche superfici.
L'attenzione dei fedeli viene così subito rivolta verso l'altare, inserito nel catino absidale riccamente decorato con recenti mosaici (1995-96) su tutte le superfici, in forte risalto cromatico rispetto alla navata. Infatti, l'apparato decorativo della chiesa, scarno sulle superfici murarie della navata, è affidato completamente agli altari e alle immagini sacre inserite nelle cappelle e nelle nicchie.
L'area absidale, sotto il lungo parroccato di Mons. Montaruli, ha subito una notevole variazione rispetto all'impostazione originaria voluta dal Boccuzzi; era previsto, infatti, un ordine principale inquadrato nell'ordine principale, circostante l'altare maggiore, delimitato da semplici parastine trabeate sorreggenti una piccola cornice. Nel 1992 fu risistemata l'area absidale per la sistemazione - secondo la liturgia rinnovata dal Concilio - del nuovo altare bronzeo dello scultore Vite Zaza. Pur alterando il rapporto chiaroscurale dell'impostazione originaria, che prevedeva l'illuminazione diretta dell'altare maggiore in forte contrasto col resto della navata, il parroco Montaruli pensò bene di fare aprire lungo la volta di essa, negli anni 40 due lucernari, mentre nell'87 fu aperto quello in corrispondenza dell'abside essendosi ridotta la luminosità a causa delle tre vetrate istoriate che ornano il catino absidale. Tali ristrutturazioni furono realizzate perché solo nel 1987 vennero alla luce dalla famiglia del Boccuzzi alcuni disegni del predetto e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione.
A distanza di cento anni dalla prima pietra può dirsi conclusa la costruzione del tempio, grazie al sacrificio dell'intera comunità e all'impegno e alla volontà dei parroci fortemente impegnati per il reperimento delle risorse.
Le aspettative ed obiettivi iniziali, si possono ritenere ormai raggiunti. Al Parroco attuale l'onere della conservazione materiale di questa chiesa e dell'arricchimento spirituale che ne deriva, per tutti.
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